L istinto di narrare di gottschall - Good Governance PDF

Title L istinto di narrare di gottschall - Good Governance
Author Giada Grassi
Course Educazione all'immagine
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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Summary

riassunto schematico e ben fatto del libro...


Description

L’ISTINTO DI NARRARE PREFAZIONE Abbiamo una vera dipendenza dalle storie. Il libro riguarda il primate Homo fictus, la scimmia antropomorfa con la mente capace di raccontare storie. Forse non ne siamo consapevoli ma siamo creature di un reame immaginario chiamato l’Isola che non c’è. L’isola che non c’è è casa nostra perché gli uomini sono immersi nelle storie: la nostra mente è sempre libera di vagare in mondi immaginari e lo fa di continuo. Però l’isola che non c’è rimane un territorio sconosciuto e fuori dalle mappe. Idea del libro è venuta ascoltando una canzone (pag.10-11).

CAPITOLO 1: IL POTERE AMMALIATORE DELLE STORIE La vita umana è talmente avvolta nelle storie da renderci desensibilizzati al loro strano e ammaliante potere. Bisogna indagare quella patina di consuetudine che ci impedisce di notare la straordinarietà di questa assuefazione (es. Philbrick, Nel cuore dell’oceano). La mente umana cede impotente al risucchio di una storia, indipendentemente da quanto ci sforziamo di concentrarci, di opporre resistenza non siamo in grado di contrastare la forza di gravità esercitata dalla fantasia. Anche se chiudiamo il libro l’immagine di ciò che abbiamo letto continuerà a permanere nella nostra immaginazione. Gli autori ingannano i lettori inducendoli a compiere la maggior parte del lavoro di immaginazione: spesso la lettura è considerata un atto passivo ma non è affatto così infatti quando entriamo in contatto con una storia la nostra mente continua a lavorare. Metafora: pittura con la scrittura. Gli scrittori disegnano, ci offrono contorni abilmente tracciati con qualche suggerimento su come riempirli ma è la nostra mente che colora, che fornisce la maggior parte delle informazioni alla scena. Quando leggiamo delle storie questo corposo sforzo creativo è continuamente in atto e procede instancabile al di fuori della nostra consapevolezza. Lo scrittore non è un architetto onnipotente della nostra esperienza di lettura; guida il nostro modo di immaginare ma non lo determina; le parole dell’autore sono inerti e per essere portate in vita hanno bisogno di un catalizzatore cioè l’immaginazione del lettore. È risaputo che sin da piccoli i bambini sono creature profondamente legate alle storie (si appassionano alle storie dei libri o dei video oppure le creano attraverso il gioco simbolico). Le storie sono talmente fondamentali nell’esistenza infantile da essere in sostanza l’elemento che la definisce. I Bambini producono storie, gli adulti non possono, ma possono continuare a praticare la finzione attraverso i romanzi, sogni film ecc. Le storie ci accompagnano e la finzione non ci abbandona mai. Ci piace la narrativa, le biografie e in particolare le autobiografie. Leggiamo meno del passato perché la pagina è stata soppiantata dallo schermo. Anche la musica veicola storie anche quando sono celate e travestite; ci sono anche poi le storie che raccontiamo a noi stessi, nei sogni di notte ma anche di giorno, quando la mente, non concentrata, scivola in divagazioni. Raccontare storie costituisce anche la colonna portante dello sport in televisione, delle serie TV, dei reality show e delle pubblicità. Le storie toccano ogni aspetto della nostra vita: es. archeologi, politici, avvocati ecc.. anche tra amici e familiari raccontiamo storie. A noi stessi raccontiamo alcune delle storie migliori: gli scienziati hanno scoperto che i ricordi che utilizziamo per creare narrazioni relative alla nostra vita sono largamente intrisi di finzione. Ma perché siamo inzuppati di storie? Immaginiamo che in passato esistessero due tribù: la tribù della pratica e la tribù delle storie; quest’ultima diversamente da quello che ci si aspetterebbe ha prevalso e questo fatto costituisce l’enigma della finzione, il mistero del nostro inspiegabile istinto di narrare.

CAPITOLO 2: L’ENIGMA DELLA FINZIONE

Dall’età di circa un anno i bambini iniziano a creare dei giochi di finzione e raggiungono il pieno sviluppo verso i 3-4 anni, facendo da padroni nel territorio del “facciamo finta che” fino a 7-8 anni. Per i bambini il gioco di immaginazione e l’invenzione di storie è una cosa automatica e insopprimibile, proprio come i sogni. I bambini inventano storie istinto e non necessitano di alcuna guida per crearle. Ma perché raccontiamo le storie? Ma se l’evoluzione è implacabilmente utilitaristica perché il lusso della finzione narrativa non è stato eliminato dalla vita umana? Alcuni pensano che come la mano anche le storie di finzione potrebbero servire a molte cose (un gioco cognitivo, fonti di informazione e apprendimento grazie all’esperienza altrui, un collante sociale che unisce le persone attorno a valori comuni. La finzione narrativa è una droga (detto da Kessel nel suo libro Invaders): si possono inventare le più nobili giustificazioni estetiche per la propria assuefazione al consumo di storie ma esse sono semplicemente una

droga che usiamo per sfuggire alla noia e alle brutture della vita reale. Per Kessel vediamo drammi, leggiamo libri per lo sballo. Alcuni studiosi (come Kessel) sostengono che le storie non servono a niente, infatti per loro il cervello non è progettato per la narrazione ma presenta delle anomalie che lo rendono vulnerabile alle storie; ci educano, danno piacere ma le storie non hanno finalità biologica. Altri studiosi invece sostengono che se la narrazione fosse solo un piacevole fronzolo l’evoluzione l’avrebbe già eliminata; il fatto che le storie siano un universale umano costituisce una forte evidenza di una finalità biologica. Non si sa ancora quale sia la versione più attendibile. Per capire meglio la funzione della narrazione è necessario prestare attenzione ai giochi “facciamo finta che” dei bambini. Il gioco di immedesimazione è molto serio perché i bambini entrano in un mondo in cui devono affrontare forze oscure, combattendo per la propria vita. Il gioco di finzione dei bambini riguarda chiaramente molte cose: mamma e papà, mostri ed eroi ecc. però allo stesso tempo è incentrato su una sola cosa: i problemi e le situazioni che generano ansie e preoccupazioni (problemi quotidiani o esistenziali). Secondi il teorico del gioco Suttonsmith, le storie narrate oralmente dai bambini comprendono azioni quali l’essersi persi, essere portati via, morire, cadere, scappare ecc.. ritraendo un mondo in continuo mutamento, di disastri. Vivian Paley nel libro “Boys and Girls, superheroes in the doll corner mostra uno studio sui ruoli di genere presenti nei giochi di finzione dei bambini. Aveva bisogno che i maschi della sua classe si comportassero in modo più disciplinato sotto l’aspetto dei sessi. L’isola che non c’è dei maschi è molto pericolosa, con minacce di morte e distruzione continue; l’isola che non c’è delle femmine ha situazioni problematiche legate alle crisi domestiche della quotidianità. L’esperimento è culminato nella sua dichiarazione di resa di fronte alla profondità strutturale dei generi: decise di lasciare che la femmine si comportassero da femmine e viceversa. Studi infatti dimostrano che i bambini e le bambine tendono autonomamente a segregarsi in base al proprio sesso. I bambini giocano in modo più disordinato e turbolento, con giochi avventurosi, di guerra e con più minacce mentre le bambine giocano con attività più incentrate sulle crisi domestiche della quotidianità. Gli esperti di psicologia infantile concordano nel sostenere che il gioco di finzione ha delle funzioni biologiche: esso aiuta i bambini a simulare azioni per prepararsi alla vita adulta, il gioco è il lavoro dei bambini. Da dove derivano gli scenari di lacrime esangue presenti nel gioco dei bambini? È possibile che in parte derivino dalle storie che raccontiamo (es. fiabe fratelli Grimm), filastrocche oppure dalla televisione ecc.. Ma perché le storie sono piene di guai e difficoltà? La risposta fornisce un importante indizio per la soluzione dell’enigma della finzione.

CAPITOLO 3: L’INFERNO è AMICO DELLE STORIE La finzione narrativa è solitamente considerata un intrattenimento per evadere dalla realtà. Le storie sono piacevoli perché ci permettono di evadere dalla realtà; ma è difficile conciliare questa teoria dell’evasione con le caratteristiche di fondo riscontrate nell’arte dello storytelling, del raccontare le storie. La finzione narrativa ci libera temporaneamente dai nostri problemi irretendoci in una nuova serie di problemi, conflitti e tensioni. Siamo attratti dalla finzione perché ci da piacere presentandoci ma la maggior parte di ciò che è contenuto nella finzione è qualcosa di spiacevole: minacce, morte, disperazione ecc.. (paradosso rilevato da Aristotele nelle Poetica). Se non ci sono problemi intricati non c’è storia. Le storie di puro appagamento dei desideri non ci tentano e le storie legate all’iperrealismo falliscono perché ad esse manca l’ingrediente chiave (come anche alle storie di puro appagamento) cioè una trama sviluppata intorno ai problemi (noiosa leggere una storia di una vita comune di un impiegato a cui non succede nulla).

La finzione narrativa (dal gioco di immedesimazione dei bambini ai racconti folclorici alla letteratura moderna) è incentrata sui problemi. Nella vita il conflitto ha spesso una connotazione negative mentre nella finzione il conflitto drammatico è essenziale perché in letteratura solo i problemi sono interessanti. Non è così nella vita. Usando le parole dell’autore Charles Baxter “l’inferno

è amico delle storie”. Praticamente tutte le storie sono incentrate sugli sforzi di uno o una protagonista per ottenere di solito ciò che desidera. Storia= personaggio + situazione difficile/problema + tentativo di superamento. Alla fine di solito i protagonisti risolvono i loro problemi ma prima devono guadagnarsi un lieto fine sfidando vari problemi, più la situazione è difficile più la storia ci piace. Nella finzione narrativa di tuto il mondo c’è una grammatica universale, una struttura profonda che vede gli eroi affrontare i problemi e combattere per superarli. Oltre a questa struttura comune, le storie si sviluppano di solito intono a poche tematiche principali: difficoltà della condizione umana, sesso, amore, paura della morte, sfide della vita e potere. Questa struttura rivela una delle funzioni principali dello storytelling: suggerisce che la mente umana sia stata modellata per le storie cosi che possa essere modellata dalle storie.

Le storie costituiscono lo spazio in cui gli individui si esercitano a utilizzare le competenze più importanti della vita sociale umana; Burroway sostiene che il principale vantaggio offerto da questa pratica sia la possibilità di vivere esperienze surrogate, soprattutto emozionali, senza esporsi in prima persona. Ci offre opportunità di vivere esperienze forti rimanendo vivi. Secondo questo ragionamento la natura ci ha progettati per mare le storie affinché potessimo fruirne per fare pratica; la finzione narrativa è un’arcaica tecnologia di realtà virtuale specializzata nella simulazione di problemi umani. Ci sono delle prove a sostegno di tale teoria? Negli anni novanta alcuni neuro scienziati hanno scoperto i neuroni a specchio: possediamo delle reti neurali che si attivano quando eseguiamo una certa azione o sperimentiamo un’emozione e anche quando osserviamo qualcun altro eseguire quell’azione o provare quell’emozione. I neuroni a specchio potrebbero essere alla base della capacità umana di creare nella mente potenti simulazioni di fronte a una finzione narrativa. Le interpretazioni su questa tesi sono le più varie ma di una cosa siamo certi, le storie influiscono su di noi non solo a livello mentale ma anche fisico ( quando nel racconto uno è in difficoltà le nostre pulsazioni aumentano ecc.., pensiamo stia accadendo a noi ciò che leggiamo o vediamo). Sembra quindi plausibile che la nostra immersione nel problem solving finzionale possa migliorare la nostra capacità di affrontare problemi reali: le storie possono essere considerate simulazioni di problemi. Il modello di simulazione descritto da Gottschall non dipende dalla nostra capacità di immagazzinare scenari funzionali in maniera accurata e accessibile ma dipende dalla memoria implicita, cioè quello che il cervello sa ma noi no. La memoria implicita è inaccessibile alla mente conscia, es guidare un auto, muovere la mazza da golf ecc. Quando viviamo un’esperienza finzionale la nostra mente si attiva e determina nuove connessioni neurali preparando le vie nervose che regolano le nostre risposte alle esperienze di vita reale. Questa idea però è stata testata poco a causa dello scarso interesse nel cercare risposte scientifiche a questioni letterarie. Però se la funzione della finzione narrativa è, almeno in parte, quella di simulare i grandi dilemmi della via, le persone che ne consumano molta dovrebbero avere una maggiore competenza nell’operatività sociale rispetto a chi non ne consuma. Riassumendo: la finzione simula i grandi dilemmi della vita e la costante attivazione dei nostri neuroni in risposta a stimoli derivanti dalla finzione narrativa rafforza le vie neurali che consentono una navigazione competente nei problemi dell’esistenza. Quindi siamo attratti dalla finzione narrativa non a causa di un’anomalia dell’evoluzione ma perché la finzione è per noi vantaggiosa perché permette al nostro cervello di fare pratica con le sfide che sono le più cruciali per il nostro successo come specie.

CAPITOLO 4: STORIE NOTTURNE Tutte le notti della nostra vita, nel sonno, vaghiamo attraverso una dimensione altra della realtà. Nei nostri sogni proviamo intensi sentimenti di paura, dolore, gioia, rabbia ecc.. I sogni sono a tutti gli effetti delle storie notturne: si focalizzano su un protagonista che combatte per realizzare dei desideri. Ci sono varie interpretazioni dei sogni: per esempio alcuni studiosi ritengono che i sogni non abbiamo alcuno scopo; nella “teoria del sogno come prodotto collaterale” nota come RAT (random activation theory), i sogni sono solo spazzatura mentale. Altri studiosi invece criticano questa teoria portando come sostegno l’argomento dell’atonia, ossia della paralisi del sonno che si genera durante la fase REM. Quando sogniamo pensiamo realmente di compiere le azioni che stiamo vedendo nel sogno ma no le compiamo realmente perché tutti i comandi motori vengono intercettati da un meccanismo inibitorio situato nel tronco encefalico. L’evoluzione avrebbe potuto disabilitare il nostro narratore interiore per la notte invece essa ha progettato una soluzione che consente alla mente di inscenare in sicurezza le sue simulazioni, come se i sogni servissero realmente a qualche scopo importante che necessita di essere protetto. Inoltre bisogna ricordare che il sogno non è esclusivo degli umani ma è presente anche in altri animali (studi di Jouvet sui gatti) e rappresenta un simulatore di realtà virtuale in cui persone e animali affinano le risposte da dare alle grandi sfide della vita. La maggior parte dei ricercatori concorda sul fatto che il mondo dei sogni non è un mondo felice e che la tipologia di sogni più frequente è quella in cui si è cacciati o attaccati. Il mondo dei sogni è pieno di pericoli è più della metà dei sogni che facciamo contiene almeno un evento minaccioso. Il mondo dei sogni è più minaccioso del mondo della veglia tanto che le minacce nella vita reale sono inferiori rispetto a quelle che si mostrano nei sogni. Questo sostiene la tesi che nei sogni le emozioni predominanti sono quelle negative. Mentre crisi e conflitti sono ampiamente sovra-rappresentati nei sogni, l’ordinaria quotidianità è sottorappresentata. I problemi sono il robusto filo rosso che collega le fantasie del gioco di immedesimazione dei bambini, la finzione narrativa e i sogni, tre luoghi in cui fare pratica per affrontare i dilemmi dell’esistenza umana. Il cervello ci fa sembrare che la nostra esperienza onirica è reale perché dal suo punto di vista è reale. Individuare una funzione per il sogno o per il gioco di immedesimazione o per la finzione narrativa non significa aver individuato la funzione.

CAPITOLO 5: LA MENTE È NARRATRICE Una psicologa, che ha affrontato il suo bipolarismo, sostenne che vi è una forte connessione tra malattia mentale e creatività letteraria. In alcuni studi su scrittori, la malattia mentale risulta essere prevalente. C’è qualcosa nel tipo di vita degli scrittori (solitudine, frustrazione, lunghe divagazioni nell’immaginazione) che scatena la malattia mentale? Forse, ma studi condotti sui familiari degli scrittori rivelano la presenza di una componente genetica. Le persone affette da malattie mentali tendono ad avere più artisti nelle loro famiglie e gli artisti tendono ad avere più malattie mentali nelle loro. La narratività della mente fu involontariamente individuata nel 1962 quando il chirurgo Joseph Bogen sottopose un paziente epilettico ad un intervento in cui scisse in due il cervello rendendo impossibile la comunicazione tra emisfero destro e sinistro. Lo scienziato Michael Gazzaniga ha studiato soggetti splitbrain e ha individuato dei circuiti neurali specializzati dell’emisfero sinistro, la cui funzione è trovare un senso alla marea di informazioni che il cervello riceve di continuo dall’ambiente esterno. Questi circuiti neurali devono individuare ordine e significato in quel flusso e organizzarlo in un resoconto coerente dell’esperienza di una persona, in altre parole in una storia. Gazzaniga ha denominato “interprete” questa struttura cerebrale. Ognuno di noi ha nel proprio cervello uno Sherlock Holmes in miniatura: il suo compito è ragionare all’indietro da ciò che possiamo osservare nel momento presente e dimostrare quali serie di cause comuni hanno portato a determinati effetti particolari. L’evoluzione ci ha dato un Holmes interno perché il mondo è pieno di storie ed è bene riconoscerle. L’attitudine narrativa della mente è un essenziale adattamento evoluzionistico, che ci consente di esperire la nostra vita come qualcosa di coerente, ordinato e dotato di senso e non come un caos travolgente. Ma la mente narrante è imperfetta e se non riesce a trovare degli schemi significativi nel mondo esterno cercherà di imporveli. In altre parole la mente quando può produce storie vere ma quando non può produce menzogne. La mente umana è predisposta per individuare schemi significativi nell’ambiente che ci circonda e questa fame di schemi si traduce in fame di storie. Nello stesso momento in cui la nostra mente vede uno schema astratto e vi individua un volto, la nostra immaginazione vede uno schema di eventi e ne individua una storia. Molti studi scientifici dimostrano come automaticamente estraiamo storie dalle informazioni che riceviamo e come, se proprio non ce ne sono, siamo ben felici di inventarne una. Gli studi mostrano che se si dà a una persona un’informazione causale, che non rientra in alcuno schema, quella persona avrà una capacità limitata di non intesserla in una storia. La nostra mente è in grado, se vediamo delle immagini uguali, se ci vengono date tre frasi, di creare una struttura narrativa anche dove una storia o un montaggio non mostrano alcun significato. La confabulazione patologica è una fantasia esagerata e assolutamente non plausibile a cui, chi l’ha creata, crede ciecamente. Gli esempi di confabulazione patologica (es. schizofrenia paranoide) in cervelli lesionati o affetti da varie patologie ci consentono di conoscere aspetti non così evidenti del funzionamento di una mente sana, perché le persone comuni sono più difficili da cogliere sul fatto quando inventano storie. Quando la nostra mente crea storie laddove non esistono vengono a volte a crearsi delle teorie cospiratorie. Le teorie del complotto sono infatti storie finzionali a cui alcune persone credono con convinzione perché affascinate da trame fosche e sensazionali. I fautori delle teorie cospiratorie collegano dati reali e dati immaginari in una versione della realtà coerente ed emotivamente gratificante. Ci affascinano perché raccontano storie avvincenti, con la classica struttura basata su un problema, e una netta definizione dei buoni e dei cattivi (es. Il codice da vinci, X-files). Ciò che stupisce è che esiste una teoria cospiratoria praticamente per qualsiasi cosa e che un gran numero di persone crede davvero a queste storie. Coloro che hanno diffuso le cospirazioni non sono contadini o gente poco istruita anzi, sono principalm...


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