L\' Unico e la sua proprietà - M. Stirner PDF

Title L\' Unico e la sua proprietà - M. Stirner
Course Filosofia della storia
Institution Università degli Studi di Genova
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Riassunto completo dell'intero libro "L'unico e la sua proprietà" di M. Stirner, definito come . ...


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L’UNICO E LA SUA PROPRIETA’ – Max Stirner. Pubblicato nel 1844. Stirner, già allievo di Hegel a Berlino, si ribella ad Hegel in nome dell’individualismo anarchico e rimprovera Feuerbach di aver sostituito al Dio della religione un altro Dio parimenti pericoloso: l’umanità. L’opera fondamentale di Stirner è L’unico e la sua proprietà, dove difende la tesi che, per essere atei sino in fondo, occorre appunto negare sia Dio sia l’umanità, e questo in nome dell’unica realtà e di quell’unico valore che è: l’individuo. L’individuo, l’Io o l’Unico, è irripetibile, è misura di tutte le cose, non può essere schiavo né di Dio, né dell’umanità, né di ideali. All’Unico si subordina tutto. La conseguenza delle idee ora esposte è l’assoluto egoismo. Conta solo l’Unico e non Dio, o la società, o gli ideali. L’uomo non può venir soffocato e compresso dalla Chiesa, dallo Stato, dalla società, dai partiti. E nemmeno dal socialismo che lo libera, sì, dalla schiavitù della proprietà privata, ma lo fa diventare servo della società. Il centro e il fine dell’autentica libertà è l’io singolo, l’Unico. L’Unico è la sola fonte del diritto: né Dio, né la società, né la rivoluzione sono legittimate, per Stirner, ad imporre regole all’individuo. L’unico vero soggetto sono io. L’Io (con la I maiuscola) è tutto ciò che esiste ed in questo modo viene elevato al rango di Dio. Ogni uomo diventa Dio. Per Stirner la società è giustificata dal fatto che l’io si associa agli altri io per diventare più forte e considera gli altri come oggetto. IO HO FONDATO LA MIA CAUSA SU NULLA. In questa brevissima introduzione Stirner concentra l’essenza del suo libro, osservando come generalmente la causa personale, individuale, di un uomo (ovvero gli interessi e gli scopi di un individuo, di un popolo, per il cui trionfo si lotta), nonostante si dica essere la mia causa non lo è mai propriamente o per lo meno egoisticamente, ma è invece la buona causa della verità, della giustizia, di Dio, dell’umanità, della mia patria e mille altre cause ancora. Con ciò si vuol dire che la nostra causa è in realtà la causa di altri, e mai la nostra, egoisticamente parlando. Tuttavia, coloro per la cui causa noi dobbiamo lavorare, sacrificarci – Dio, l’umanità, la giustizia eccetera – non si pretende che servano una causa esterna, estranea a loro stessi e i loro interessi. Le loro cause sono cause puramente egoistiche. E questo perché esse si considerano quali cause superiori, mentre la causa personale dell’individuo, al confronto, è tanto più piccola e insignificante, e proprio per ciò gli si richiede di servire delle cause superiori. Insomma, è l’egoista che ha sempre la meglio, e «io, per conto mio, ne traggo un grande insegnamento e, piuttosto che continuare a servire disinteressatamente quei grandi egoisti, voglio essere IO stesso l’egoista». Dio e l’umanità hanno fondato la loro causa su null’altro che se stessi, e allo stesso modo io fondo allora la mia causa su me stesso, io che, al pari di Dio, sono il nulla di ogni altro, sono il mio tutto, il mio unico. «Lungi da me perciò ogni causa che non sia interamente la mia causa!».

PARTE PRIMA – L’UOMO. 1 - UNA VITA D’UOMO. Nella vita per molto tempo ci è risparmiata una lotta che più tardi ci investirà: la lotta contro la ragione. L’infanzia più bella passa senza che siamo costretti a batterci con la ragione, e non ci preoccupiamo affatto di essa, non vogliamo anzi sentire ragione alcuna, ma allo stesso tempo siamo poco resistenti davanti a carezze e punizioni. L’aspra lotta con la ragione comincia infatti più tardi, nella giovinezza. Qui lo SPIRITO (o la ragione) è il primo ritrovamento di sé, la prima “sdivinizzazione” degli spettri, delle “potenze superiori”. L’atteggiamento si è completamente RIBALTATO: rispetto all’infanzia, il giovane assume un comportamento spirituale, mentre il fanciullo/bambino, non sentendosi ancora spirito, cresce imparando meccanicamente. Al contrario dle fanciullo, poi, il cerca di impossessarsi non delle cose, ma di cioè che c’è dietro le cose; il fanciullo, invece capisce sì i rapporti, ma non le idee, lo spirito. Se nell’infanzia bisognava confrontarsi con le leggi del mondo, adesso ci si scontra con un’obiezione derivante dallo spirito, dalla ragione, dalla propria coscienza. «Questo è irragionevole!», così la voce della coscienza ci intimorisce e ci impedisce di portare a termine ciò che avevamo in mente; ciò che ora si teme non è più la potenza di Dio, né la collera di Posidone, né il bastone dle padre, bensì la coscienza. Così seguiamo i comandamenti della ragione (o coscienza) così come prima seguivamo quelli dei nostri genitori. Certo, è vero, già da bambini pensavamo, ma i nostri pensieri non erano incorporei, astratti, assoluti, puri, logici, bensì strettamente legati, vincolati e derivanti dal materiale, che derivano da cose determinate e specifiche. Ad

esempio pensavamo «questa tal cosa è vera o falsa» ma non pensavamo la verità o l’essenza della verità in se stessa, slegata da cose materiali e determinate. Portare alla luce il pensiero puro è cosa che fanno i giovani, e lo spirito viene considerato quale elemento essenziale a cui sono ancorate la verità, la libertà, la natura umana. Tuttavia, questo spirito “singolo” presto si sperderà nello spirito più perfetto, ovvero nello spirito generale, sia esso lo Spirito Santo o l’umanità. L’uomo adulto è invece diverso dal giovane, perché prende il mondo com’è e non cerca di migliorarlo, modellandolo in base al proprio ideale; nell’uomo adulto si consolida l’opinione che nel mondo bisogna seguire il proprio INTERESSE, e non i propri ideali, fossero essi religiosi o patriottici o di altro genere. Solo nell’età adulta si ha un interesse egoistico, cioè un interesse non solo del nostro spirito, ma un interesse alla soddisfazione di TUTTA la persona: questo perché abbiamo imparato ad amare anche il nostro corpo e godere di noi stessi. Perciò l’uomo adulto manifesta un secondo ritrovamento di sé: il giovane ha trovato se stesso come spirito e di nuovo si è perso nello spirito generale, lo spirito perfetto, lo Spirito Santo, l’umanità o altri ideali; l’uomo trova invece se stesso come spirito corporale. In base a questi presupposti, Stirner afferma che la vita del singolo come del genere si sviluppa secondo tre fasi: del realismo, dell'idealismo, dell'egoismo. I FANCIULLI avevano soltanto interessi materiali, o comunque non-spirituali, cioè privi di idee o pensieri puri, perché nell’infanzia il bambino entra in contatto con "cose" che resistono ai suoi tentativi d’intromissione e spesso lotta per non soccombere. Mette alla prova le sue prime energie contro le forze naturali, cercando di scoprire i punti deboli della realtà che lo circonda. I GIOVANI solo interessi spirituali e quindi persegue, invece, un cammino "celeste": assume un contegno spirituale superando la fase meccanicistica del nesso causa-effetto, tipico dell'età precedente; mentre l’UOMO ADULTO ha interessi corporali, personali, egoistici. Così il FANCIULLO era realista, materialista; il GIOVANE era idealista, i pensieri lo entusiasmavano; l’ADULTO che è egoista, e pone al di sopra di tutto il proprio interesse personale. 2 – UOMINI DEL TEMPO ANTICO E DEL MODERNO. 2.1 Gli antichi. La tradizione ha dato il nome di «antichi» agli uomini pre-cristiani; quindi Cristo fu l’innovatore, cioè la figura che li rimpiazzò per dare inizio lui stesso ad una nuova cronologia e una nuova concezione del tempo. Si può facilmente vedere che per ciascuna delle due parti, il mondo antico o pagano e il cristianesimo, vale come verità il contrario di ciò che vale per l’altra: per gli antichi la NATURA, per i cristiani lo SPIRITO; per gli antichi le COSE e i legami terreni, come il legame di sangue, la patria, per i cristiani la patria celeste. Come, però, l’antichità poté dare origine all’età moderna? Stirner ricorda per primi i sofisti, che riconobbero nello spirito la vera arma dell’uomo contro il mondo; per questo si caratterizzano per una grande abilità dialettica, per l’eloquenza, l’arte della disputa. Essi proclamano che contro ogni cosa va usato lo spirito, la ragione. Ma sono ancora molto lontani dalla sacralità dello spirito, perché esso è per loro un mezzo, un’arma: è l’intelletto. Poi arrivò Socrate, che disse che non basta far uso del proprio intelletto in ogni cosa: l’importante è vedere per quale causa, quale scopo, lo si impegna. Oggi noi diremmo: bisogna servire la «buona causa»! ma servire la buona causa vuol dire essere morali: per questo Socrate è considerato il fondatore dell’etica. Perciò egli dice: dovete essere puri di cuore, se volete che la vostra intelligenza, il vostro pensiero sia degna di venire ascoltata e considerata. Successivamente gli antichi scacciarono dal cuore ogni contenuto, e non lasciarono che palpitasse più per nessuna cosa: questa fu l’opera degli scettici: nell’età degli scettici il cuore raggiunse quella stessa purezza che nell’età dei sofisti l’intelletto si era conquistato: l’educazione sofistica ha fatto sì che l’intelletto non si arrestasse più di fronte a nulla; quella scettica, che il cuore non fosse mosso più da nulla, l’imperturbabilità. Gli scettici, così, portarono a compimento la rottura con il mondo. Così con gli scettici si libera lo SPIRITO: l’uomo, prima di sentirsi spirito (senza mondo materiale), dovette innanzitutto diventare così privo di riguardi e incurante, indifferente verso il mondo da poterlo vedere crollare senza commuoversi. Gli ANTICHI si spinsero dunque fino allo spirito e aspirarono a diventare spirituali; ma ancora non avevano lo spirito, non poterono esercitare lo spirito. Ancora gli ebrei – per Stirner – non sanno trovare lo spirito, perché ancora sono legati alla materialità: il loro stesso Dio è antropomorfo, ha caratteri umani. Il CRISTIANO è un uomo spirituale; l’ebreo invece non capisce propriamente questi interessi nella loro purezza, perché per lui ogni cosa ha un valore. Gli ebrei hanno soltanto lo spirito di questo mondo. Il mondo antico è tanto lontano dalla spiritualità del mondo cristiano quanto la terra dal cielo.

Infatti, chi si considera puro spirito non è affatto turbato dalle cose di questo mondo, perché non le considera. Se sentisse ancora la loro influenza, il loro peso, allora ciò significa che è lui ad essere tanto limitato da dare valore a quelle cose, e il che non fa che sottolineare che si tiene alla propria vita terrena. La sua vita non è materiale: la sua vita consiste nell’occuparsi di cose spirituali, la sua vita è pensiero, e tutto il resto non gli preme, non gli interessa. Nella preghiera, nella riflessione, nella conoscenza filosofica, il suo fare è sempre e comunque un pensare. Ecco dove sta il progresso tra tarda antichità e modernità: mentre gli ANTICHI spendevano la loro vita terrena a lottare contro tutto ciò che è terreno, contro le cose del mondo; i MODERNI, invece, conducevano una vita spirituale, cioè appartata dalle cose terrene e materiali: ecco i moderni, i cristiani, innovatori.

2.2 I moderni. Gli antichi lasciano in eredità ai moderni un mondo – il mondo delle cose – che giace ai nostri piedi, disprezzato; lo spirito non è più servo, ma è libero e trascendente. Dopo la perdita del mondo e di ciò che è terreno e mondano, che cosa rimane allo spirito, che dopo molti sforzi si è liberato dal mondo? Nient’altro che lo spirito stesso, e tutto ciò che è spirituale. Ma lo spirito si è semplicemente allontanato dal mondo materiale, senza riuscire a distruggerlo: il mondo rimane dunque un ostacolo ineliminabile. 2.2, § 1. Lo spirito. Vediamo più da vicino cos’è propriamente lo spirito, questa eredità degli antichi. Innanzitutto c’è da dire che finchè lo spirito non ha a che fare che con il suo mondo, il mondo spirituale, allora fino allora non è spirito libero, puro spirito, ma solo “spirito di questo mondo”, o per lo meno legato, costretto a questo mondo. E lo spirito, il puro spirito, lo spirito che non è altro che spirito, posso IMMAGINARLO, ma non posso esserlo io stesso: certo, io ho uno spirito, ma non esisto solo come spirito, bensì come uomo in carne ed ossa – solo con la morte l’uomo potrà spogliarsi di questo corpo, conservando lo spirito, l’anima, per l’eternità, per il cristianesimo il corpo non è che un “involucro”, un contenitore, una dimora per lo spirito eterno in noi. E dato che il PURO SPIRITO, NIENT’ALTRO CHE SPIRITO non posso esserlo io stesso, vorrà dire che sarà un altro, chiamato Dio. Infatti l’uomo non può dissolversi del tutto nel concetto di spirito, il puro spirito, esso non può che risiedere al di fuori del mondo delle cose, il suo posto è il cielo. Da ciò risulta anche che la “liberazione dalla religione” che Feuerbach voleva regalarci è in realtà piena di sapienza divina: egli afferma infatti che l’uomo ha oggettivato – inconsapevolmente – la propria essenza in un essere trascendente, che è Dio, e riconoscendo in un secondo momento che Dio non è altro che il nostro essere umano, allora dovrebbe riconoscerla di nuovo come tale, e trasferirla dall’aldilà nell’aldiquà. Ma – si chiede Stirner – che cosa ci guadagniamo se, per cambiare, spostiamo il divino da fuori di noi a dentro di noi? Ma noi non siamo lo spirito che abita in noi, la nostra essenza, tanto quanto io non sono il mio cuore, o per lo meno non sono solo il mio cuore. E proprio perché noi non siamo il nostro spirito abbiamo dovuto porlo fuori di noi. Mettiamo a confronto il pov di Feuerbach e la confutazione di Stirner: Feuerbach dice «l’essenza dell’uomo è l’essere supremo dell’uomo; esso viene chiamato Dio dalla religione e considerato un essere oggettivo, ma in verità non è che l’essenza propria dell’uomo. Questo è perciò il punto di svolta della storia universale: d’ora in avanti per l’uomo Dio non apparirà più come Dio, ma sarà l’uomo ad apparire come Dio». Stirner allora replica: «l’essere supremo è sicuramente l’essenza dell’uomo, ma appunto perché è la sua essenza e non lui stesso è chiaro che noi lo vediamo fuori di noi, e lo chiamiamo Dio, oppure se lo troviamo in noi lo chiamiamo umanità. Io non sono né Dio, né l’umanità, né l’essere supremo, e perciò non cambia niente se io penso l’essenza in me o fuori di me». Effettivamente è da sempre che lo spirito, l’essere supremo, sia al tempo stesso interno ed esterno: secondo la concezione cristiana, infatti, lo Spirito di Dio dimora sia in cielo che in noi (lo Spirito di Dio è anche il nostro spirito). 2.2, § 2. Sull’essere supremo. Se si viene tacciati di egoismo vuol dire che si ha in mente qualcos’altro che si dovrebbe servire più di se stessi e che dovrebbe essere più importante di ogni altra cosa, insomma qualcosa in cui si dovrebbe cercare la propria santificazione e la propria salvezza, quindi qualcosa di sacro, un essere superiore. Ogni essere superiore, come la verità, l’umanità, dio, è un essere al di sopra di noi. Solitamente un’incontrovertibile verità matematica non è sacra, perché non è una verità rivelata, ossia perché non è la rivelazione di un essere superiore. Ma chi considera come verità rivelate solo quelle religiose si sbaglia, secondo Stirner, perché misconosce totalmente l’ampiezza del concetto di “essere superiore”. Ad esempio, gli atei si fanno beffe dell’essere superiore, e gettano nel fango una dopo l’altra le prove della sua esistenza; ma essi non si accorgono che distruggono il vecchio essere superiore solo perché sentono l’esigenza di uno nuovo a cui far posto: l’uomo, l’umanità. Esso non è forse un essere superiore al singolo? È certo che l’umanità sorpassa ogni singolo

uomo, e benchè venga ritenuto la “sua essenza”, in realtà non lo è (la sua essenza è singola come lo è lui stesso), ed è invece un essere generale e superiore, supremo, per gli atei. E così come le rivelazioni divine non furono scritte da Dio stesso, di suo pugno, ma invece rese pubbliche attraverso gli “strumenti del Signore”, allo stesso modo anche il nuovo essere supremo, l’umanità, non scrive da sé le sue rivelazioni, ma ce ne fa dare notizia da “veri” uomini reali. Fantasmi. Stirner definisce questo fantomatico essere supremo – sia esso Dio o l’umanità – come una potenza misteriosa e incomprensibile, un fantasma. Se prima della religione consideravamo questo mondo e le cose materiali che lo popolano ciò che veramente esiste, con la religione ciò a cui prima attribuivamo l’esistenza, come il mondo e cose simili, appare adesso come pura parvenza, e veramente esistente è piuttosto l’essenza: si dà risalto e superiorità all’essenza, e l’apparenza diviene allora parvenza, illusione. La religione consiste appunto nel non conoscere e non riconoscere che le essenze, e nient’altro che queste; il suo regno è un regno di essenze, di fantasmi, di spettri. Per la religione l’uomo è SPIRITO: perisca il corpo, purché lo spirito si salvi: l’importante è solo lo spirito, soltanto la salvezza dell’anima (o dello spirito) merita attenzione. Così, l’uomo è diventato a se stesso un fantasma, uno spirito (anima) al quale si attribuisce perfino una sede determinata nel corpo (sede dell’anima). Quindi, IO non sono l’uomo nella sua forma vera e adeguata, ma soltanto un suo involucro mortale, dal quale egli può separarsi, senza per questo cessare di esistere. Al pari del DIO della religione, altri fantasmi infestano la credenza umana: il popolo, ad esempio, è un essere superiore al singolo ed è, al pari dell’umanità, uno spirito che aleggia nei singoli: lo SPIRITO DEL POPOLO. Gli antichi onoravano questo spirito, e il singolo aveva un suo valore, un suo significato, solo in quanto serviva questo spirito. Ora Stirner nomina alcuni altri esempi di fantasmi o spiriti aleggianti a titolo d’esempio, per poi passare alla descrizione del nostro comportamento verso di essi: Spirito Santo, la verità, il diritto, la legge, la buona causa, la maestà, il matrimonio, il bene comune, l’ordine, la patria. Fissazioni. Qui Stirner, senza mezzi termini, che tanto tutte le verità di fede, di cui non si può dubitare, così anche l’intoccabilità della morale, sono tutte IDEE FISSE, idee da matti, da maniaci delle idee fisse della moralità, della legalità, della cristianità. E c’è solo da provare a toccare ad uno di questi “matti” la sua idea fissa, e ci si ritroverebbe subito a doversi difendere le spalle dai suoi attacchi furiosi. Queste idee fisse e i loro sostenitori (i virtuosi nei confronti della morale, i liberali nei confronti della umanità, lo Spirito Santo per i cristiani) non ammettono alcuna critica, perché chi le mette in dubbio compie un atto sacrilego. A questo punto Stirner osserva che, come possiamo incontrare persone possedute dal diavolo, troviamo altri ossessi che sono posseduti dal bene, dalla morale, dalla legge, o da qualche altro principio. Ad esempio, osserviamo come si comporta un “uomo morale” che spesso sostiene di aver liquidato Dio e rifiuta il cristianesimo; egli però non ha mai messo in dubbio che l’accoppiamento tra fratelli sia un incesto, che la monogamia rappresenti il vero matrimonio, che la fedeltà e il rispetto siano sacri doveri eccetera. Questo perché egli crede a quei comandamenti morali, ha fede morale, e per quanto si accanisca contro i cristiani, egli è rimasto, nel profondo, altrettanto cristiano, un cristiano morale. Provate a mettere in discussione ciò il cui egli crede, e vi accorgerete che è anche lui un paladino della fede. Alcuni lottano per la fede nella Chiesa, altri per la fede nello Stato altri ancora per le leggi morali; in nome di un determinato oggetto di fede tutti condannano chi si comporta diversamente da come la loro fede prescrive: gli viene impresso il marchio di “delinquente” e viene lasciato a marcire nella correzione morale, nelle carceri. La fede morale non è meno fanatica della fede religiosa. Stirner vuole in poche parole dimostrare come religione e morale concordano sul punto fondamentale: entrambe hanno come oggetto di fede un essere supremo, rispettivamente sovraumano e umano, un essere al di sopra del singolo, al di sopra di me. Alla fine, il serpente ha solo cambiato pelle, e anche se la religione è stata rifiutata, la fede nell’essere umano e nella morale rimane ancora un comportamento religioso. Lo stesso Feuerbach sostiene: «La prima e suprema legge dev’essere l’amore dell’uomo per l’uomo. Homo homini Deus est – l’uomo è, per l’uomo, Dio – questo è il sommo principio»; ma appunto, Stirner subito osserva che è cambiato solo ...


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