LA CITTA DEL XX SECOLO - B. Secchi (riassunto) PDF

Title LA CITTA DEL XX SECOLO - B. Secchi (riassunto)
Author Silvia Grassi
Course Laboratorio di progettazione urbanistica
Institution Politecnico di Milano
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Summary

LA DEL XX spiegare il tema della della trasformazione della e dei paesaggi europei, Secchi fa tre racconti tra loro non contraddittori, i quali dividono il secolo dal punto di vista dei diversi aspetti primo racconto tratta della del XX secolo posta tra due Crescita indefinita e smisurata della Diss...


Description

LA CITTÀ DEL XX SECOLO Capitolo 1 Per spiegare il tema della sovra-determinazione della trasformazione della città e dei paesaggi europei, Secchi fa uso di tre racconti tra loro non contraddittori, i quali dividono il secolo dal punto di vista dei diversi aspetti tematici. Il primo racconto tratta della città del XX secolo posta tra due estremi: A. Crescita indefinita e smisurata della città B. Dissoluzione e frammentazione Entrambi generano angosce da parte degli studiosi della città. Il fenomeno della crescita urbana rimane inarrestabile fino agli anni ’60, durante il periodo dell’industrializzazione europea, quando un numero sempre più consistente di persone si sposta dalle campagne alla città passando da un lavoro di tipo agricolo ad una cultura più urbana. La paura, invece, della dissoluzione e trasformazione della città in qualcosa di non più caratteristico e tipico dell’insediamento umano nasce verso la fine del XX secolo a causa dello spostamento verso nord e verso le aree urbane più industrializzate che portano alla dispersione insediativa. Il secondo racconto tratta dell’idea principale che caratterizza il XX secolo: la città viene vista come parte di un più vasto progetto di configurazione di una nuova società. Questa è un’idea di tipo moderno e intellettuale. La città e il territorio diventano oggetto di proposte radicali, differenziandosi dai secoli precedenti. L’urbanistica e l’architettura sono due discipline che hanno il compito di rappresentare i valori di una società protesa al cambiamento e sono viste come strumento concreto per una nuova politica di rinnovamento, progresso e liberazione. Il terzo racconto tratta della ricerca delle dimensioni fisiche concrete del benessere individuale e collettivo, rappresentazione di una rottura col passato. Secondo questo punto di vista il XX secolo si divide in tre periodi: 1. “Moralizzazione” della città (Amsterdam, Vienna) 2. Sperimentazione del welfare, argomento centrale caratterizzante un secolo lungo e discontinuo. Le politiche mettono in primo piano la città pubblica con conseguenti modifiche (geografia, ritmi, percezione del tempo e dello spazio, diverse esigenze e richieste) 3. Estetizzazione della vita individuale e collettiva L’accento dei tre racconti viene posto su tre diverse questioni: 1. ASPETTI FENOMENICI (crescere e dissolversi della città) Come la città si è trasformata, spiegata attraverso studi e ricerche che descrivono e interpretano il cambiamento sulla base di documenti. 2. RUOLO DEL PROGETTO La città del XX secolo si trasforma grazie allo sviluppo di immaginari e pratiche costruttive. Al loro interno il ruolo del progetto urbanistico e architettonico è rilevante (al contrario delle antiche città, indipendenti dall’azione urbanistica e architettonica), visto come un più vasto progetto sociale. 3. RUOLO DELL’INDIVIDUO E ASPIRAZIONI (emergere dell’autonomia del soggetto a partire dal Rinascimento italiano); questo porta a una maggiore attenzione verso le dimensioni del quotidiano della città traducendosi in una ricerca del benessere fisico e collettivo che influisce sulle trasformazioni dello spazio. La differenza delle tematiche nei diversi periodi raccontate non coincide con l’avvenimento di grandi eventi storici, il quale non è del tutto indifferente alle varie trasformazioni che però si creano a partire dalla microstoria, come conseguenza di movimenti più profondi e che durano da più tempo.

Il grande evento viene usato come input finale per la dichiarazione della trasformazione vera e propria (la quale, comunque, non si esplicita nell’immediato). Il cambiamento viene dettato poi da personaggi che portano specifici interessi, culture e immaginari all’interno di determinati condizioni locali e storiche. Per una restituzione completa della storia della città vanno unite queste storie con altre “sotto-storie” che si articolano a loro volta portando a diversi racconti e a infiniti ragionamenti e modi di pensare la città. Al centro dei tre racconti c’è la differente idea di rapporto tra città e individuo e le differenti modalità utilizzate per rispondere in modo concreto a tali esigenze. Nel XX secolo il progetto della città è una parte fondamentale per la costruzione di welfaree idea di libertà, il quale corrisponde a una concreta ricerca di benessere. La città europea viene vista come stratificazione di storie e idee. B. Secchi inserisce, all’interno dei racconti, schede di riferimento a città, parti di esse o territori dei quali ha fatto esperienza diretta (esempi che sono stati al centro del dibattito sulla città), tra cui: - SIENA: tema del rapporto tra vecchio e nuovo (percorso durante tutto il secolo). Questa tematica rappresenta un confronto tra due diversi programmi di ricerca: la città antica (ricerca dell’individuale nel collettivo) e città moderna (ricerca del collettivo nell’individuale). La città moderna ha secondo molti una cattiva reputazione. - MILTON KEYNES: tema della New Towns in una città che ha sviluppato alti livelli di welfare individuale e collettivo. - NWMA (North Western Metropolitan Area): si è trasformata in un lungo tempo e in modo inconsapevole come una nuova forma di città (dispersa e senza un unico centro, ma che assume tuttavia la stessa importanza delle maggiori città metropolitane). Viene prefigurata come la città futura.

Tutti i racconti e gli esempi hanno lo scopo di aiutare nella comprensione dei tempi principali delle questioni urbane ma non offrono un panorama completo dei pensieri del XX secolo.

Capitolo 2 – Crescita e dissoluzione della città Uno degli avventimenti più importanti che ha portato allo sviluppo della nostra cultura è il rapido aumento demografico grazie al quale nasce un nuovo tipo di città: la Metropoli (Londra, Parigi, etc.). Il XX secolo viene descritto come un secolo dominato da due angosce: l’aspettativa di una crescita inarrestabile e la paura di una sua dissoluzione in forme di insediamento dispersive (due tematiche quasi opposte). L’architettura e l’urbanistica assumono a lungo il ruolo di discipline che assicurano i più elevati livelli di benessere e di libertà secondo due principali direzioni: - La “moralizzazione” della città antica - La costruzione di un’alternativa alla città del passato Vengono messe in luce situazioni che portavano inevitabilmente a giudizi di carattere etico: la macchina urbana era, per molti, vista come strumento di segregazione, impoverimento di ogni esperienza ed esclusione. Oltre ad essere occasione di denuncia, però, la città veniva anche considerata luogo di sperimentazione, indagine e ricerca per lo studio della società e grazie alla quale architettura, urbanistica e altre scienze sociali collaborano. La paura della crescita e dissoluzione della città distingue la conformazione di molte città del XX secolo, le quali assumono il compito di dare un ordine a ciò che viene considerato caotico e incomprensibile. Il racconto si articola in due sequenze principali: la concentrazione nelle aree urbane e la dispersione della megalopoli in territori di grandi dimensioni. La concentrazione di attività e persone in competizione per l’occupazione di uno spazio ha cambiato la fisionomia e il funzionamento della grande città. Soprattutto la parte centrale ha visto cambiamenti dal punto di vista di un maggior sfruttamento del suolo urbano adatto ad accogliere funzioni e ruoli nuovi che l’architettura ha cercato di rappresentare. Rispetto al passato la città è vista come un’imponente macchina di l’integrazione, ma anche di esclusione e segregazione. Chicago e Manhattan vengono considerate come principali icone del “secolo americano”. A seguire anche Tokyo, San Paolo, Seoul e Hong Kong rappresentano l’icona della città verticale. L’espansione della periferia viene vista come il più evidente prodotto della crescita urbana del XX secolo e che hanno prodotto quelle forme insediative che hanno cambiato la fisionomia di interi territori. I mezzi di trasporto portano sia alle espansioni periferiche che all’inquinamento all’interno delle città più densamente urbanizzate. Le infrastrutture assumono un ruolo sempre più rilevante, suggerendo per tutta la prima metà del secolo un aumento di scala durante lo studio di un progetto urbano, guardando alle infrastrutture come monumenti. Le città vengono dunque pensate in base alla viabilità (sempre più presente). La soluzione dei problemi generati dal traffico impone un radicale ridisegno della città. Concentrazione e dispersione nelle grandi periferie diventano fenomeni auto-contraddittori, uno causa dell’altro. L’instabilità e l’impossibilità di darsi un assetto duraturo diventa una delle principali caratteristiche della città del XX secolo. Crescita e concentrazione urbana hanno dato luogo ad una importante riflessione sulla città e società (contrapposta a quella dell’antico regime) nelle grandi metropoli lungo il XX secolo, generando estese ricerche con conseguente formulazione di generali metodi d’indagine e concettualizzazione del fenomeno urbano e delle sue articolazioni. Un razionale sistema di regole di utilizzo dei suoli e un razionale sistema di infrastrutture è il modo per dominare l’angoscia che si accompagna alla crescita metropolitana (alimentata anche dagli intensi flussi migratori di quel periodo). Questi trasferimenti di popolazione hanno generato nuove esigenze che portano ad importanti cambiamenti nelle relazioni tra le città, modificandone la gerarchia e i ritmi di crescita: mentre il centro della popolazione urbana si

sposta radicalmente (Tokyo, New York, Bombay, etc.), questa sembra essersi arrestata dove ha avuto origine, ovvero nelle principali città metropolitane europee, portando di conseguenza una nuova interpretazione e nuovi atteggiamenti nei confronti del fenomeno urbano. La concentrazione nei paesi in via di sviluppo non sembra più suscitare angosce e un nuovo problema si fa strada: la dispersione della città europea e occidentale. Mai come nel XX secolo il fenomeno urbano è stato così studiato: l’urbanistica diventa oggetto di studio di materie sia scientifiche che umanistiche. Grazie alle scienze regionali (che si propongono come avanzata ricerca territoriale) avviene un diverso e più razionale ordinamento di quelle politiche che hanno come oggetto di studio la città e il territorio. Le discipline economiche prendono il sopravvento. Molti studiosi ritengono che a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 la città europea passa dalla modernità ad un periodo nuovo. Negli stessi anni, però, un gruppo di studiosi (Gregotti, Venturi, Rossi) cerca di riconcettualizzare la storia e la situazione della città occidentale. Le immagini della città in piedi (grattacieli) e la città distesa sembrano segnare un punto di passaggio nella storia urbana europea. Secondo molti studiosi l’avvento dell’automobile diventa il maggior responsabile della dispersione nell’ultima parte del secolo. Ma l’automobile è usata come “mezzo”, perché nella società già operavano tensioni che portavano gruppi sociali a preferire l’abitazione dispersa rispetto alle aree più densificate. Negli anni ’80 una gran parte della letteratura, secondo metodi differenti, cerca di illustrare i caratteri della città e dei territori statunitensi nella loro nuova situazione. È un ritorno dell’esperienza come primaria fonte di conoscenza. La descrizione, però, appare come limitante; essa cerca di classificare in modo ordinato una vasta gamma di esperienze. Pur consapevoli di non poter dare una copia esauriente, le ripetute descrizioni danno l’idea di uno spazio della dispersione non omogeneo e isotropo. Nella prima metà del secolo la società è concepita come formata da grandi aggregati, classi o ceti omogenei nell’insieme. La città è il luogo dove questi diversi gruppi si incontrano e si scontrano e dove emergono (guardando ad una scala più ridotta) le diverse esigenze che ognuno di loro ha e alle quali le politiche urbane cercano di dare risposta. La città diventa, per tutta la prima metà del XX secolo, un luogo di sperimentazione di alcuni aspetti del welfare. A fine secolo la società urbana non è più interpretabile come formata da grandi aggregati omogenei e la dispersione della città diffusa diviene concreta rappresentazione di tale situazione. Tutto ciò ha dato luogo, lungo il XX secolo, a una grande varietà di politiche e progetti per la città. La critica iniziale alla città del XIX secolo ha portato a ragionare in due diverse direzioni: l’alternativa alla grande città o la sua moralizzazione. La prima viene inaugurata da Ebenezer Howard e le sue città giardino, seguite poi dalle piccole città disperse nel territorio americano, le città-lavoro in Unione Sovietica, le New-Towns inglesi e le Villes Nouvelles francesi. Per quando riguarda, invece, la moralizzazione, l’idea viene rappresentata da Otto Bauer secondo il quale la città è una macchina che spinge verso una graduale trasformazione della società. Le caratteristiche delle città basate sul pensiero della moralizzazione sono, principalmente, l’ordinata maglia urbana (richiamo alla regolarità e gerarchie illuministe), fronti stradali continui, cura nei dettagli dell’edificio, ingressi, scale. Un vocabolario che rivisita l’intera storia della città rinascimentale: dilatazione dell’isolato e monumentalizzazione dell’abitazione sociale, considerata materiale fondamentale nella composizione della città. Pur essendo apparentemente meno innovatrice, questa direzione non è priva di aspetti conflittuali.

La costruzione di vari programmi di edilizia sociale tra le due guerre dà luogo, in Europa, anche ad esperienze più radicali. Dalla ricerca di un ordine spaziale che rappresenti in modo più chiaro la modernità e il nuovo ordine sociale vengono compiute tre operazioni fondamentali: l’isolato viene aperto fino a dissolversi in un insieme di oggetti tra loro separati, si elimina la “strada corridoio”, si modificano in modo sostanziale i rapporti tra spazio coperto (edifici) e spazio libero. Questi tre punti sono riconosciuti come i maggiori responsabili della modifica dell’immagine della città. La città si articola in parti delle quali divengono riconoscibili la funzione e il ruolo in base alla loro estetica; in questo modo si organizza meglio l’esperienza spaziale della città. Concentrazione e dispersione si oppongono fortemente tra di loro. Continuità e discontinuità sembrano inseguirsi lungo tutto il secolo dando origine a nuove tematiche. Il secolo appare, comunque, dominato più da una ricerca di continuità. Si cerca di costruire una continuità a livello più generale dell’intera città (grande scala) mentre si cerca la discontinuità ad una scala più ravvicinata e nel dettaglio, divenendo quest’ultima la linea maggiormente seguita dalle città europee nel secondo dopoguerra. La ricostruzione viene attuata con lo scopo di “riempire” il vuoto lasciato dalla guerra, agendo come un potente stimolo. “Ricostruire com’era e dov’era” è il motto di molte giustificazioni di rifacimenti di città, mentre nel secondo dopoguerra la ricostruzione di parti distrutte diventa anche un’occasione per ripensare criticamente alla storia che ha preceduto, riconfigurando la città europea. Nella seconda metà degli anni ’50 la riflessione sulla città del passato diventa ricostruzione critica, costruzione della città dentro la città, rivisitazione dei modi compositivi e dei materiali urbani del passato, recupero della trama viaria e dell’isolato precedente il conflitto (ricostruzione di Berlino). Molti progetti degli anni ’20 per la ricostruzione della città di Mosca apparivano non in grado di rispondere ad alcuni problemi nei confronti della città. Erano contro la ricostruzione della città antica e del mantenimento della maglia infrastrutturale esistente. Anche i principi insediativi e i tipi edilizi a cui fecero ricorso erano criticabili: a quelli antichi veniva contrapposto il superblocco come matrice della trasformazione urbana socialista. Lo spazio interno risultava comune rendendo possibile l’idea di vita collettivizzata. Tali considerazioni, definite come “grande ritirata”, portano a politiche urbanistiche nel segno della continuità col passato (seppur rivisitato). Nella seconda metà del XX secolo la ricerca di continuità è sempre più fortemente contrastata da due fenomeni: la dispersione e la frammentazione dello spazio urbano.

La speculazione del secondo dopoguerra ha avuto conseguenze ancora più durature sulla costituzione fisica della città. Famiglie e fabbriche vengono attratte dalla campagna e respinte dalla città, dando luogo al fenomeno della dispersione. A partire degli anni ’60 cominciano a crearsi quei vuoti lasciati dalle aree industriali abbandonate. Ciò che era stato lentamente accumulato durante quasi due secoli di crescita e sviluppo in parti della città diventa privo di una funzione e ruolo con conseguenze su livelli occupazionali, sviluppo demografico e geografia sociale, funzionale e simbolica della città. La crisi della città industriale sembra segnare la fine della città moderna. Limitare la crescita urbana non è più il principale scopo degli urbanisti, bensì il pensiero è più focalizzato sul ruolo dell’architettura di rappresentare il possibile diverso ruolo ricercato da quelle città che sono state al centro della rivoluzione industriale. Esposizioni ed eventi offrono l’occasione di interventi puntuali con il compito di rinnovare l’immagine, il ruolo e il funzionamento della città. L’aeroporto diventa una delle icone della società e città della fine del XX secolo. Le nuove attrezzature diventano simbolo e ridistribuiscono lo spazio urbano attraverso nuovi flussi, implicite visioni e strategie nuove per la città. La città assume grandi dimensioni che portano a modificare l’atteggiamento nei suoi confronti e nei confronti delle politiche per affrontarne i problemi, insieme alle discipline che se ne occupano. La costruzione del progetto urbanistico e delle politiche urbane cambia in modo radicale incontrando le resistenze legislative e regolamenti precedenti insieme alle difficoltà nel confrontarsi con la discontinuità, il frammento e la dispersione. In questo clima viene posta sempre più attenzione al progetto urbano: l’idea si fonda su interventi puntuali, limitati e discreti in luoghi strategici che modifichino la funzione, il ruolo e l’immagine della città o di parti di essa. Un problema, però, è quello della sua “legittimità”. Sono poche le città che, nell’ultimo decennio, abbiano pensato a questi interventi puntuali ragionando sul “dove-come-perché”; in generale è prevalsa la pressione da parte dell’interesse pubblico per l’ansiosa ricerca di un’immagine che riuscisse a comunicare il nuovo ruolo assunto dalla città. Questi atteggiamenti tendono ad annullare ogni identità e differenza e l’immagine della città aspira a diventare globale. In questo periodo trova fortuna il concetto di “città normale”, che assume come caratteri costitutivi fondamentali una maglia stradale completamente connessa, identificata con una griglia ortogonale, e l’isolato (con possibili numerose variazioni che si possono articolare adattandosi a diverse situazioni di contesto). Davanti alla dispersione urbanistica e al frammento, architettura e urbanistica non sembrano più trovare un pertinente programma di ricerca comune. Il territorio appare come un enorme palinsesto. Si ha a che fare con la drammatica separazione dei tempi degli individui e della società (sempre più accelerati) in contrasto con i ritmi più lenti degli oggetti (ricerca di durabilità durante la costruzione di opere). Nel periodo tra le due guerre (anni ’20) architetti, urbanisti ed economisti vedevano nella dissoluzione della città la possibilità di costruire una nuova forma urbana e sociale in contrasto con il passato. Negli anni ’50 vengono riprese queste idee da Adriano Olivetti, una figura della borghesia laica e illuminata italiana. Operando ad Ivrea, città piena di fabbriche, Olivetti propone insediamenti di piccole dimensioni nei quali la città possa vivere uno spirito comunitario e che, nello stesso momento, permetta anche una certa qualità dello spazio del lavoro e abitato. In quegli anni, però, il sistema economico italiano era proteso verso l’utilizzazione di forza lavoro nelle maggiori aree industriali e urbane. Solo verso la fine del secolo nasce una maggior attenzione per i problemi ambientali. La dispersione porta a concepire la porosità ...


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