la tipizzazione dei writ PDF

Title la tipizzazione dei writ
Course Storia del diritto medievale e moderno
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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appunti integrati con il libro sulla tipizzazione dei writ....


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PAG. 513 7. LA TIPIZZAZIONE E LA MOLTIPLICAZIONE DEI WRITS FRA 12/13 SECOLO I writs più antichi di cui abbiamo parlato, da un lato si cristallizzarono in una formula scritta costantemente riprodotta e riproducibile: divennero di uso ordinario cioè DE CURSU, economicamente accessibili, e oggetto di normale concessione a favore di chi si trovasse in una delle speciali situazioni da essi presupposte; d’altro lato fornirono però il modello stereotipo per a progressiva creazione di formule via via nuove. E a loro volta i nuovi writs si avviavano a poco a poco a divenire de cursu. Questa moltiplicazione dei writs equivaleva naturalmente ad una moltiplicazione delle diverse azioni disponibili, nel senso che le azioni rappresentavano ciascuna la situazione tipica per cui un writ era congegnato: lo sviluppo della common law non fu altro, appunto che il progressivo crescere del numero di azioni esperibili presso le tre corti di Westminster. Un esempio è dato dallo schema del PRECIPE: al writ che ingiunge allo sceriffo di ‘precipere’ ad A di restituire l’immobile a B, si affianca per esempio, il writ che ordina di precipere ad A di pagare il debito a B (writ of debt). Altro esempio sono WRITS OF ENTRY che servivano nelle varie ipotesi di recupero dell’immobile quando si allegasse un vizio non remoto nello ius possidendi del convenuto (ad esempio una sottrazione violenta del fondo verificatasi poco prima che il convenuto ne diventasse titolare). La Cancelleria di corte istituì presto un register brevium nel quale veniva depositata la formula cristallizzata di ogni writ de cursu: ciò favoriva infatti un’espansione della competenza delle corti centrali si un aumento di introito delle tasse giudiziarie. Il percorso fu lento: una indiscriminata moltiplicazione dei writs per un verso era sconsigliabile in considerazione del gioco di forza in atto con i lords; per altro verso era resa indispensabile dalla stessa artificiale rigidità del sistema processuale consolidatosi, che conferiva a ciascun writ capacità estensive pur sempre limitate. Questi due motivi e la tendenza stessa dei giudici a discostarsi il meno possibile dalle forme di procedura usuali spiegano come ancora al principio del 13 secolo i writs ammontassero a poco più di 50. Intervenne anche, a stabilizzare ancora di più lo svolgersi di tale processo di crescita, una significativa delibera del 1285; il Secondo Statuto di Westminster promulgato durante il regno di Edoardo I. questo statuto instaurava un compromesso fra giurisdizione regia e giurisdizione baronale: da un lato esso escludeva il rilascio di writs di genere assolutamente nuovo e impegnava i tribunali regi a operare entro l’ambito delle azioni disponibili; d’altro lato stabiliva che i funzionari della Cancelleria regia non lasciassero ingiustamente prive di un rimedio processuale talune situazioni per cui non esistesse un writ apposito e che tuttavia presentassero forti analogie con fattispecie ordinariamente tutelate mediante un writ esistente. In questa circostanza la Cancelleria avrebbe potuto rilasciare un writ in consimili casu estendendo, cioè ai casi analoghi la portata del writ di cui già poteva disporre. Se poi i giuristi della Cancelleria non si fossero messi d’accordo sul tipo di writ da rilasciare, avrebbero dovuto segnalare il problema nella più vicina sessione del parlamento. Il problema per l’attore stava tutto nella scelta del writ giusto. Ma chi tuttavia non si trovasse esattamente nella situazione prevista da uno dei writs esistenti, non aveva modo di adire le Corti, né poteva rischiare di compromettere l’esito della lite richiedendo un writ non perfettamente conforme alla causa petendi. Si doveva allora prospettare come corretta la

possibilità della Cancelleria di allargare di stretta misura la propria competenza, fino ad accettare di esaminare il nuovo genere di pretesa avanzata dall’attore. 8. IL ‘WRIT OF TRESPASS’ E LE SUE FILIAZIONI La potenziale serrata dei writs disposta nello statuto non riuscì e fermare l’espansione di un writ in una pluralità di forme articolate: si tratta del writ of trespass. Non si può dire che la molteplicità delle forme processuali nuove germogliate sul tronco del writ of trespass si possa spiegare in virtù di quanto lo statuto di westminster stabiliva per il rilascio dei writs in consimili casu, poiché qui si tratta del differenziarsi di tipi di azione spiccatamente originali ed emersi attraverso un metodo operativo delle corti non meramente analogico. Vale ora la pena di seguire sinteticamente la linea di questo sviluppo, perché ciò permette di comprendere come tutta una varietà di nuove forme di azione si sia sostituita ai vecchi writs modellatisi sullo stampo del precipe. Il writ of trespass presentava i caratteri di un’azione penale. Esso presupponeva un materiale atto di violenza e quindi un’avvenuta violazione dell’ordine pubblico e della pace regia. Oltre a comportare l’imprigionamento del convenuto, esso mirava a far ottenere alla controparte il risarcimento dei danni. Si articolava in 3 tipi diversi, a seconda che la violenza fosse stata esercitata contro la persona dell’attore, ovvero che questi fosse stato spogliato di cose mobili o immobili. Un particolare vantaggio stava nel fatto che veniva utilizzato il jury: era quindi possibile convocare i giurati al dibattimento e formulare nel migliore dei modi la questione di fatto da sottoporre loro. L’utilizzazione estensiva di questo writ determinò lungo i secoli 14 e 15 la graduale emersione di una catena di azioni nuove, particolarmente importanti in campo contrattuale. Quindi venne stasa anche in ipotesi in cui il danno non fosse stato provocato mediante illecita turbativa e violenza. Il presupposto di questa estensione del trespass fu insomma l’idea che le circostanze del caso, allegate dall’attore, evidenziassero un danno cagionatogli dalla controparte, meritevole di essere preso in considerazione anche al di fuori di un’ipotesi di violenza e giustificassero quindi un trattamento analogo a quello del trespass. Nacque così il trespass on the case, azione una sua complessiva configurazione autonoma solo alla fine del 15 secolo. Si trattava di un’azione sussidiaria generale, esperibile per un complesso eterogeneo di casi di condotta dannosa e di illecito civile non strettamente rientranti nella categoria del trespass. Ciò che interessa notare è che cominciarono ad essere ricomprese anche varie ipotesi di danno derivato dalla non corretta condotta contrattuale della controparte. È vero che in questa prima fase di vita dell’action on the case ci si limitò a considerare il comportamento del contraente convenuto puramente sotto l’aspetto dell’illecito cagionante un danno, cioè da un punto di vista extracontrattuale. L’importanza dell’azione stava nell’intrinseca capacità di dar vita a proprie filiazioni e tali da permettere al giudice di concentrare specificatamente il proprio esame su un identificato obbligo contrattuale assunto dal convenuto inadempiente, cioè su una responsabilità per inadempimento. Ci volle pressochè un secolo per passare dalla attribuzione di rilevanza giuridica al contratto nei casi di esecuzione difettosa al riconoscimento di un valore intrinseco dell’accordo nei casi di inadempimento puro. Una ramificazione dell’action on the case fu la forma di azione che si denominò assumpsit emersa nella sfera di competenza della king’s bench. La denominazione derivava dalla formula del writ, ove, nella descrizione schematica del caso concreto, si diceva che il convenuto s’era assunto un

certo obbligo ma, non avendolo adempiuto o adempiuto male, aveva cagionato un danno all’attore. Come è chiaro siam qui di fronte ad un’azione per danni (contrattuale e non più delittuale) che sanziona in via generale l’inadempimento: il presupposto è che il danno sia direttamente derivato all’attore per colpa contrattuale del convenuto. L’assumpsit era volta solo ad ottenere il risarcimento del danno, mentre le rimaneva completamente estranea la possibilità dell’esecuzione forzata in forma specifica. Ecco perché ancora oggi la common law non conosce che il risarcimento del danno come sanzione per l’inadempimento contrattuale, mentre per ottenere il decreto di esecuzione forzata occorre avviare la procedura dell’equity. D’altra parte l’assumpsit, anche se mirava a riparare un danno causato da chi non aveva rispettato le regole dell’affidamento, si basava pur sempre sul principio che ogni pregiudizio ingiusto dev’essere risarcito, ma non su quello che esige la protezione della buona fede in se stessa. Da ciò è conseguito che dall’ambito dell’azione di assumpsit sono rimasti fuori i contratti a titolo gratuito. L’assumpsit veniva a sanare una vistosa deficienza della common law. Fino al 1602 essa era esperibile unicamente da chi potesse far risultare che il convenuto si era assunto espressamente l’impiego di eseguire l’obbligazione, altrimenti si doveva agire nei confronti del responsabile mediante la vecchia azione per debito (debt) con tutti gli svantaggi connessi. Non si ammetteva la concessione dell’assumpsit sulle basi di un impiego implicito del convenuto. Il fatto è che il king’s bench (competente nei processi di assumpsit ma non di debt) aveva interesse a sostenere tale opinione in quanto la completa sostituibilità dell’assumpsit al debt lo avrebbe reso completamente padrone del campo. Prevalse infine la tesi del king’s bench. Nel 1602 fu stabilito in una sentenza che ogni contratto esecutivo implica per sé un assumpsit, perché quando uno si accorda per pagare denaro o per consegnare qualcosa, perciò stesso egli assume di pagare e di consegnare. Con l’accoglimento della presunzione di promessa l’azione di assumpsit potè così gradualmente estendersi a tutte le ipotesi di avvenuta esecuzione di un servizio o di avvenuta consegna di merci. Dal trespass on the case si sviluppò l’azione di trover destinata a sostituirsi a quella di detinue. Lo schema originario era questo: l’attore citava il convenuto che aveva trovato una cosa mobile da lui perduta e che, convertitala in uso proprio e a proprio vantaggio, rifiutava di restituirla. L’importanza del trover consisteva nel fatto che esso potè essere esperito come rimedio contro lo spossessamento mobiliare nei confronti del terzo qualunque: ciò che importava era la conversion, che veniva trattata come illecito civile. L’azione di trover mirava al risarcimento dei danni e non alla restituzione della cosa: in parallelo con l’assumpsit, che dal canto suo non assicurava l’esecuzione in forma specifica. 9. I CARATTERI DI FONDO DELLA ‘COMMON LAW’ E DELLA SUA ELABORAZIONE. Dal 14 secolo in avanti si può dire che l’intero impianto di base della common law sia ormai delineato. Questo antico patrimonio di schemi processuali è stato poi in parte riammodernato e in parte mutato appunto con le riforme del 19 secolo, che hanno soppresso la pluralità delle forme di azione istituendo una forma unica ed elastica di writ. Ma la impostazione mentale del giudice inglese e il quadro stesso delle categorie, degli istituti, delle singole regole è rimasto quello tradizionale.

Il diritto inglese è fondamentalmente costituito dal binomio common law/equity. E l’equity è il ramo che si è sviluppato come complementare e integrativo della common law presso la corte di cancelleria: prima in collegamento e successivamente in concorrenza con i 3 tribunali di westminster. Il grande periodo dell’equity è il 16 secolo, cioè un’eta ormai successiva a quella in cui si è compiuta la maggiore crescita della common law. La common law, quale diritto elaborato dalle tre corti di westminster, è essenzialmente un diritto di azioni, un diritto di formazione giudiziale e costruito di precedente in precedente. Si potrebbe dire che la common law è uno stock di azioni. In essa tutto è processo o è in funzione del contenzioso e tale da giustificare il parallelo con il sistema romano delle legis actiones, nella cui logica ho un diritto chi ha un’azione. La common law non poteva che svilupparsi nel modo che conosciamo, ovvero caso per caso. Si pensi per esempio alla vicenda del trespass: azione penale che, in difetto di altri strumenti, a poco a poco i giudici piegano a funzionare come rimedio contro il debitore inadempiente, utilizzando per l’inadempimento lo schema riservato alla condotta delittuosa. Viene in luco anche un altro dato di fondo: a common law si è sostanziata in una gamma di tecniche processuali prima ancora che in un complesso di principi generali a questi precostituiti. La common law mostra degli handicaps soprattutto in una società di welfare-state che esige proprio quella incisività e rapidità delle riforme che la common law non è in grado di assicurare. Nel mondo inglese non opera la nostra summo divisio fra diritto pubblico e diritto privato, mentre di fondamentale importanza la partizione fra common law ed equity. Vi è un altro quesito a cui rispondere: da dove venivano ai giudici delle tre corti i principi e e regole cui ispirarono alle origini le loro pronunce? Si dice che questi principi e queste regole erano di common law e l’espressione common law allude ad un diritto comune a tutta l’Inghilterra. Ma la common law non era in se stessa un diritto comune: non si basava su una consuetudine generale del paese. Essa DIVENNE comune. E fu resa tale con l’affermarsi delle tre corti centrali su tutto il complesso di quelle locali, in quanto esse la amministravano come legge del re e dell’intero regno. Il primo nucleo della common law fu un amalgama di usi anglosassoni e di consuetudini feudali normanne, con l’inserimento di alcune forme tratte dalla tradizione romano-canonica. Tutto ciò però venne come unificato, miscelato e riplasmato nella prassi giudiziale adottata dalle tre corti. E anche le tre corti che amministravano la giustizia del re operavano secondo la concezione che il giudice (il re) non può mutare le antiche consuetudini: sicchè le loro pronunce costituivano, almeno ufficialmente, il riconoscimento, la dichiarazione delle consuetudines anglicanae. E tuttavia il fatto che le decisioni di questi tribunali obbedissero a un disegno centralizzatore e fossero direttamente munite della autorità regia permise la graduale creazione di un diritto nuovo: da un lato provocò infatti la unificazione in amalgama delle consuetudini di diverso ceppo e d’altro lato permise che il prodotto di quest’opera di fusione si sviluppasse giurisprudenzialmente attraverso una catena di sentenze autoritative, fino a perdere completamente ogni legame con le basi consuetudinarie di partenza. L’emersione della common law come diritto di comune applicazione in Inghilterra non fu dunque determinata dall’imposizione al paese delle consuetudini dei vincitori, ma dalla prassi uniforme dei loro tre tribunali centrali generalizzatasi attraverso la concessione ordinaria dei writs.

La common law nacque in realtà attraverso l’originale sviluppo giurisprudenziale che i giudici della monarchia normanna impressero al diritto proprio e quello indigeno. E questo sviluppo si realizzò sulle basi dell’assunto formale che ogni sentenza era soltanto l’atto enunciativo di una preesistente consuetudine. Fra i giudici si sarebbe poi a poco a poco affermata la tradizione secondo cui le loro decisioni e la catena ininterrotta di quelle dei predecessori non erano atro che enunciazioni di regole reperite in una consuetudine generale del regno. Ma questa consuetudine su cui la common law si sarebbe basata era in realtà pura invenzione: la sua evocazione serviva ancora una volta a far apparire l’opera decisionale del giudice di common law come la mera attestazione di una norma consuetudinaria preesistente. Ciò che vi fu nella common law di veramente tramandato è quella che i suoi giudici chiamano reason, vale a dire il tradizionale complesso dei criteri di logica giuridica con cui vengono risolti i casi. Si consolidò così la convinzione-finzione che il diritto acquista evidenza formale solo attraverso le sentenze: solo nella sentenza esso è formulato. E’ importante riconoscere fin da ora questa forma mentis secondo cui la decisione giudiziale è un mezzo di ricerca e di dichiarazione del diritto. Come si vede tutti i meccanismi di sviluppo della common law sono, agli inizi del 13 secolo, già presenti: la finzione che il giudice non crei, ma SCOPRA il diritto; l’idea connessa che per giudicare un caso occorra riferirsi alle precedenti decisioni in materia, perché lì la regola del caso è già formulata e conoscibile....


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