La vita delle prime comunità cristiane PDF

Title La vita delle prime comunità cristiane
Course Teologia III
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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La vita delle prime comunità cristiane 1. IL VOLTO DELLA PRIMA Comunità

Il Nuovo Testamento ci descrive la fede, la vita e le tensioni di numerose comunità. La prima comunità che incontriamo è costituita dal gruppo dei dodici, dalla cerchia più ampia dei discepoli, dalle pie donne, tutte persone che hanno conosciuto il Gesù terreno. A questo gruppo si aggiungono i primi convertiti. Sono tutti convertiti dal giudaesimo e parlano aramaico. Luca ha individuato le strutture portanti di questa comunità che sono tre: l’ascolto della Parola, la comunione fraterna e il culto. 1. L’ascolto della Parola à avviene attorno all’autorità degli apostoli. Anzitutto la comunità ripensa ai detti e ai fatti di Gesù, la propria esperienza pre-pasquale alla luce del fatto nuovo, alla luce della nuova capacità di comprendere. Infine la comunità si rifà alle Scritture e alla vicenda di Gesù per capire se stessa, per trovare un significato nelle proprie situazioni. 2. La comunione fraterna àsi presenta come una realtà interiore e nel contempo esteriore. È un tentativo di vivere rapporti nuovi e concreti. La radice di questo comportamento è la fede: la convinzione che Dio è padre di tutti e che Cristo è morto per tutti. 3. La comunione si vive nel momento denso del culto à la comunità sente da una parte, il legame con il popolo giudaico, ma anche comprende dall’altra, che il culto giudaico non è più sufficiente. Non mancano i problemi ( mostrare ai giudei che Gesù è veramente il Messia; come reagire di fronte alle persecuzioni..). Ma la prima vera difficoltà è un’altra: quando nella comunità entrano gli ellenisti- ebrei della diaspora che parlano greco e si diversificano nel ceppo palestinese- sorgono tensioni e contrasti fra i gruppi. È questo uno dei principali problemi della comunità cristiana di sempre: essere veramente cattolici, cioè capaci di fare comunione con gruppi diversi, mentalità diverse, razze diverse. Sorgono nuove comunità in Galilei, Samaria e nell’Asia Minore. Queste comunità non si considerano indipendenti e staccate, ma unite. È a questo punto che sorge il primo grande dibattito sul significato dell’universalità cristiana ossia sulle condizioni necessarie per appartenere alla comunione ecclesiale.

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La comunità di Corinto è composta di convertiti dal paganesimo. È ricca di doni dello Spirito e vivace. Ma non mancano rischi e tentazioni. E l’individualismo, di cui i greci sono vittima, porta la comunità a dividersi in vari gruppi e fazioni e a contrapporsi. Nella sua prima lettera ai Corinzi, Polo attira l’attenzione su tre punti: 1. Il primo punto di riferimento per la comunità cristiana non è la sapienza moderna, ma la stoltezza della croce”. La forza del cristiano è quella di annunciare il vangelo in tutta la sua paradossalità; 2. I molti doni e le differenti tendenze sono grazie allo Spirito Santo, a patto che non si utilizzino a vantaggio proprio ma accettino di sottomettersi alle esigenze comuni. Ciò che è comune viene prima di ciò che è privato; 3. Nello scontro tra la tradizione cristiana da una parte e la propria contemporaneità dall’altra, è alla tradizione apostolica che deve essere data la precedenza. Non è difficile intravedere i problemi delle comunità della fine del primo secolo: 1. L’età apostolica si è ormai allontanata e i grandi testimoni( paolo, i dodici..) sono scomparsi; questo pone in primo piano il problema della successione apostolica ; 2. Si affacciano le prime eresie, vere e proprie novità che i falsi dottori e profeti diffondono da ogni parte. Non è facile distinguere tra vero aggiornamento e falso aggiornamento; 3. Le persecuzioni si fanno più generali e minacciose. Molti si scoraggiano. Molti dubitano della validità del messaggio cristiano. Molti divengono a compromessi col mondo. La risposta a questi interrogativi viene cercata in una più approfondita lettura del patrimonio della fede tradizionale. 1. Anzitutto di fronte al venir meno delle figure apostoliche si afferma che l’autorità continua ad essere presente nei successori. Al successore dell’apostolo viene assegnato un triplice compito: vigilare sulla fedeltà alla tradizione, ordinare la vita liturgica e comunitaria, scegliere i diaconi e i presbiteri. 2. Di fronte al dilagare delle eresie viene fortemente ribadito il principio di tradizione. La fedeltà alla dottrina delle origini deve prevalere sulle speculazioni degli uomini. 3. Di fronte alla persecuzione si invita la comunità al coraggio e alla pazienza e, soprattutto, la si invita a leggere gli eventi non secondo le valutazioni del mondo, ma alla luce della morterisurrezione di Gesù. Per entrare subito nel vivo della coscienza che la chiesa primitiva

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aveva di sé si può partire da alcune osservazioni intorno al vocabolo “ecclesia”. Si possono ridurre a tre i significati fondamentali: a. L’assemblea cristiana in atto, riunita per la liturgia, l’ascolto della parola e la celebrazione eucaristica b. I cristiani che vivono in un determinato luogo c. La comunità di tutti i cristiani, in qualunque luogo essi vivono Accanto a questa stratificazione è possibile sottolineare una linea di sviluppare: 1. La comunità primitiva di Gerusalemme usa il termine ecclesia per manifestare la propria coscienza di essere il “nuovo Israele” erede delle promesse 2. Ecclesia finisce col designare la comunità residente qui o là. Qui il riferimento al luogo è molto importante. 3. Nella teologia di Luca e più ancora nelle epistole della cattività, il termine acquista un significato universale. Anzi nelle lettere della cattività il significato di ecclesia non si esaurisce nella chiesa totale empirica, storica-terrestre; assume dimensioni che sorpassano la terra e la storia. L’idea di popolo di Dio- erede di Israele, sottratto alle differenze razziali e radunato da tutte le nazioni- è sempre sullo sfondo dei testi e preme fortemente sollecitandoli verso l’universalità. La natura della chiesa fu certo percepita partendo dalla chiesa locale: è lì che avvenne l’incontro con la realtà nuova, è lì che si prese coscienza della novità di Cristo. Il rapporto che lega la chiesa locale all’unico popolo di Dio è un rapporto di comunione, che mutua la sua originalità dalla natura della Chiesa . il rapporto che corre tra l’universale e il particolare è più profondo del rapporto che corre tra le parti e il tutto. Questo spiega come il termine ecclesia sia usato nell’uno e nell’altro senso, e come in diversi passi i due significati sia sovrapposti. La conclusione della teologia è che la Chiesa non è la semplice somma delle chiese locali. Così la chiesa è locale non tanto perché gli uomini operano e vivono in luogo, ma perché la Chiesa deve farsi visibile, tangibile, corporea. La comunità è presente in un luogo ma non si identifica con il luogo. Si è già accennato al fatto che la comunità di Gerusalemme ha incontrato la tentazione della omogeneità che è sempre il segno della comunità mondana. L’eterogeneità è essenziale alla comunità di Cristo che vuole essere segno di universalità, di mondo nuovo, di raduno di tutti in Cristo. Per esempio il discorso di Paolo nella lettera ai Galati non può essere applicato ai due settori del

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cristianesimo del tempo, il settore giudaico e il settore greco, quasi un invito ad accettarsi e a credersi ambedue nell’unico popolo di Dio. Il discorso di Paolo deve applicarsi anche alle singole comunità locali, fatte insieme di giudei e greci, situazione concreta che si presentava quasi dovunque. Altrove Paolo esemplifica altri due tipi di eterogeneità: i deboli della fede e i maturi della fede e le diversità tra i carismi. Per essere Chiesa non basta evangelizzare: occorre anche vivere la fraternità tra i credenti. Differenze tra le comunità giudaiche e le comunità venute dal paganesimo à Le comunità giudaiche sottolineavano maggiormente la continuità con Israele e quindi l’istituzione: le comunità greche sottolineavano in maggior misura la novità del cristianesimo e la libera presenza dello Spirito. La scelta del libro degli Atti si giustifica ampiamente: il libro degli Atti è l’unico nel N. T. che si è dato lo scopo diretto di descrivere la storia dei primi anni cristiani. Inoltre il cristiano è colto nel suo irrinunciabile rapporto con la memoria di Gesù. E sempre accompagnato dalla presenza dello Spirito santo che guida, sollecita, opera il discernimento. Il cristiano degli Atti è costantemente posto di fronte a esigenze di discernimento. Inoltre, il cristiano degli atti non è mai visto come un isolato, ma sempre inserito in una vicenda comunitaria e precisamente in una comunità che si muove lungo due direttrici: l’unità e l’universalità. I cristiani vengono designati con un ventaglio di termini, che costituiscono un primo valido approccio alla loro identità. Il termine più caratteristico è cristiani; molto frequente è discepoli, un vocabolo già usato nell’ambiente ma che nel NT assume sfumature proprie ed originali; altre designazioni frequenti sono fedeli, coloro che hanno creduto. Da ciò possiamo dedurne che l’esperienza cristiana si esprime all’interno di due coordinate: il riferimento a Gesù Cristo e il riferimento alla comunità, la fede e alla carità; il riconoscimento della signoria di Gesù e il riconoscimento di una parentela tra noi. Oltre alla lettura dei nomi, vi è lo studio di alcune figure rappresentative. Luca condensa la sua storia intorno a figure tipiche, che svolgono nel suo racconto il ruolo di personaggi particolarmente rappresentativi dell’esperienza cristiana . La prima di queste figure è la comunità di Gerusalemme; la seconda è quella di Stefano, definito uomo di buona reputazione e pieno di fede e Spirito Santo; un’altra figura, la più importante all’interno del libro, è Paolo, a proposito del quale è particolarmente significativo il racconto della conversione/vocazione narrato da Luca. Sono ricostruibili all’interno del libro degli Atti almeno tre situazioni:

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- Il cristiano di fronte ai poveri - Il cristiano di fronte al mondo religioso giudaico e pagano - Il cristiano di fronte alla persecuzione 2. la fede e l’annuncio

Lo sviluppo è avvenuto in questi termini: -all’inizio esiste un nucleo comune di partenza; è costituito dal comune patrimonio dei ricorsi e dalle prime comuni esperienze ecclesiali - in seguito moltiplicandosi e diffondendosi le comunità, la tradizione comune si articola e si ramifica diversamente, sotto la spinta di esigenze interne ed esterne. Ma anche in questo momento rimane l’aggancio al patrimonio comune delle origini, espresso per lo più in formule fisse. Queste formule costituiscono dei veri punti di riferimento della fede e della predicazione: esprimono la fede costante e comune. - infine le comunità sentono il bisogno di fissare in un certo senso per intero il nucleo della fede, e così, nasce ad esempio il simbolo degli apostoli. Queste formule presenti nel NT offrono un panorama abbastanza ampio. Sono fondamentalmente di due tipi: formule che sintetizzano l’annuncio e formule che sintetizzano l’annuncio e formule che sintetizzano la risposta dell’annuncio. L’intuizione portante dell’intero NT , che diverse comunità in un modo o nell’altro riprendono è che in Cristo si è svelata la verità di Dio, la verità dell’uomo e il senso della storia. Gesù di Nazareth è la trascrizione storica, umana, di Dio. Tutta la vita di Gesù è una trasparenza di Dio, ma questa trasparenza ha raggiunto la sua pienezza sulla Croce. È senza dubbio l’evangelista Giovanni che ha colto con più lucidità questo aspetto: la Croce non è soltanto un gesto di salvezza, ma un gesto di rivelazione. La rivelazione di Dio passa attraverso le sue precise modalità storiche. Il dio di Gesù non il dio del dualismo ma dall’assunzione della realtà umana e della solidarietà con la storia. Non abbandona il mondo a se stesso ma invita a farlo. Se si vuole conoscere chi è Dio, chi è Di per noi e nel contempo, come cercarlo e dove trovarlo occorre guardare a Gesù di Nazareth e alla sua storia. Allora si comprende che Dio ha il volto dell’Alleanza. L’uomo scorge in Cristo una realtà di grazia che gratuitamente si dona. La sua epifania ha i tratti della donazione, del servizio e della solidarietà. Annuncio e istruzione avvengono nei luoghi più disparati, là dove l’uomo concretamente vive: i luoghi dove si raduna l’ecclesia, il tempio, la sinagoga, le case, la piazza, l’incontro fortuito. Ancora

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più varie e numerose sono le forme letterarie che il servizio della parola utilizzava: formule liturgiche, professioni di fede, inni. La funzione dell’annuncio è testimoniata dovunque nel NT: 1. la funzione dell’annuncio tende a presentare il centro del messaggio a chi ancora non è giunto alla fede : lo scopo è di portare la fede e convertire. Il contenuto è quello missionario. Ma troviamo l’annuncio anche nella forma più evoluta del vero e proprio discorso. 2. L’annuncio suppone che negli ascoltatori ci sia un bisogno di salvezza, un’attesa. E c’è fretta, l ‘annuncio si muove in un clima d’urgenza 3. Non sarebbe difficile intravedere le forme dell’annuncio in altri testi, e sarebbe interessante notare che l’annuncio si avvale di tutte le forme e di tutte le occasioni possibili per esempio la discussione, la conversazione occasionale, il racconto. Dovunque si svolgesse l’annuncio e in qualunque forma la sua funzionalità rimarrebbe l’essenzialità del mister di Gesù e insieme la netta percezione del suo significato salvifico per noi e del radicale cambiamento di mentalità che esso esige; la fedeltà al dato tradizionale e insieme una grande capacità di adattarsi al tempo e alle situazioni; la fiducia nell’annuncio e insieme l’accettazione della debolezza. La catechesi è l’insegnamento sistematico dedotto dall’annuncio: si rivolge a una comunità credente che intende approfondire il messaggio e dedurne le conseguenze per la vita. Dal punto di vita del contenuto si muove su due direttrici: l’una più morale e l’altra più teologica. L’istruzione risale allo stesso Gesù. Allo scopo egli si è servito molto di parabole nelle quali prevale l’illustrazione del Regno. Il passaggio dall’annuncio all’istruzione fu mosso e guidato da tre esigenze: il dinamismo della fede; la lettura delle scritture e la contemporaneità. La paraclesis ( esortazione) è un termine dal significato complesso e molteplice: esortare, pregare, consolare, incoraggiare. Da notare che questi molteplici significati non sono il più delle volte uno accanto all’altro, ma si compenetrano, sono simultaneamente presenti. L’esortazione non fa leva sulle autorità di chi esorta, ma si muove in un clima di affetto, di partecipazione. L’esortazione non è un comando, ma è l’incoraggiamento e consolazione. Non è l’annuncio che porta argomenti, non ha lo scopo di istruire: piuttosto ha lo scopo di incoraggiare, richiamare, invitare. Come osserva Schlier, l’esortazione cristiana trova la sua giustificazione nel fatto che ci troviamo in un tempo di decisione, nel kairos. Il tempo è arrivato e

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l’uomo deve approfittare. È qui che trova posto l’esortazione cristiana, l’invito pressante ad approfittare di questo tempo. In altro modo potremmo dire che l’esortazione presuppone una chiamata, è un invito pressante ad accoglierla e a rimanervi coerente. L’esortazione non solo trova la sua collocazione nel tempo della misericordia divina. C’è di più: in essa risuona per ciascuno di noi la voce misericordiosa di Dio. La parola di Dio, in tutte le sue forme e in tutte le sue funzioni, deve essere presentata con autorità, deve cioè apparire reale, provata e convincente. Tutto questo cioè rientra nella funzione di testimonianza, che accompagna tutte le altre funzioni della parola. C’è la testimonianza interiore e la testimonianza del ministro della parola. Ed è la seconda che ci interessa. Il discepolo non è solo un annunciatore del regno , ma deve anche essere la prova, l’illustrazione, che il Regno è arrivato e che il suo messaggio è possibile e liberante. I testi evangelici ci parlano di un annuncio accompagnato dai miracoli. La testimonianza coinvolge il testimone profondamente, ma non è mai un parlare di sé. È sempre e solo un parlare di Cristo: è ciò che Cristo ha compiuto in lui che al testimone interessa e vuole far conoscere. In proposito è assai illuminante il racconto/testimonianza della vocazione di Paolo. L’apostolo la racconta in più occasioni: egli è convinto che ciò che a lui è accaduto è tipo di ciò che Dio è pronto a fare verso tutti. Infine la parola testimonianza si riferisce all’ambito giudiziario e al contesto conflittuale e giudiziario. La funzione di testimonianza avviene sempre in un modo o nell’altro, all’interno di un conflitto tra il Cristo da una parte e il mondo da un’altra. La testimonianza esige una disponibilità al più completo dono di sé. Nel discorso della Pentecoste, Pietro afferma che si è compiuta la parola del profeta Gioele : cioè lo spirito santo che scende sui profeti. Stando a questo testo la profezia , appare un fatto normale , costitutivo del popolo di Dio. La funzione profetica è molto complessa. Per comprendere la natura del profetismo neotestamentario dobbiamo ricorrere ai grandi profeti di Israele. È a essi che Pietro pensa parlando agli abitanti di Gerusalemme. I profeti sono i grandi maestri di Israele. I profeti sono uomini di fede. Non solo hanno predicato la fede, ma l’hanno vissuta. Bisogna indicare due atteggiamenti tipici del loro modo di vivere la fede. Essi accettano di condurre un’esistenza segno, di verificare in se stessi e di esemplificare per primi il messaggio che annunciano. Per far questo il poeta accetta l’isolamento e la solitudine, accetta di vivere

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l’esperienza del popolo di Dio perseguitato, sofferente, messo alla prova. Inoltre il profeta vive quel tipo di fede che consiste nel credere alla validità della propria missione nonostante le ripetute esperienze di fallimento. Il profeta non perde mai la speranza. Il profeta non è colui che anticipa il futuro ma è colui che sa leggere nella trama degli eventi il disegno di Dio, colui che sa cogliere i segni dei tempi e da interpretare il senso religioso dei fatti. Vi è una terza caratteristica: egli è attento a recuperare il messaggio religioso in tutta la sua purezza originaria. Il discorso del profeta è sempre monotono: non fa che richiamare la storia di Gesù e la sua anima più profonda , cioè la logica dell’amore, a servizio della solidarietà e della fedeltà a Dio e agli uomini. Lo spirito parla non solo attraverso la Chiesa, ma anche alla sua Chiesa: per questo il profeta non è solo critico nei confronti del mondo, ma anche nei confronti della sua comunità. La comunità credente è una comunità che ricorda, invoca e racconta. Tutta la bibbia è un racconto. Alle volte il racconto è anonimo, comunitario; alle volte è riferito a dei personaggi precisi. Tutta la Scrittura ci indica che oggetto del raccontare è la salvezza di Dio. Nel nuovo testamento viene raccontata la morte/resurrezione di Gesù, come fatto e come esperienza. Il grande compito della comunità di ieri e di oggi è di annunciare agli uomini la salvezza. Non si può comprendere il concetto biblico e cristiano di salvezza se non si tiene presente l’esperienza dell’Esodo. Israele ha costantemente meditato que...


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