L\'Ermeneutica Grondin introduzione capitoli 1 e 2 PDF

Title L\'Ermeneutica Grondin introduzione capitoli 1 e 2
Author Patrizia Lorenzi
Course Ermeneutica delle pratiche formative
Institution Università degli Studi di Verona
Pages 4
File Size 136.5 KB
File Type PDF
Total Downloads 34
Total Views 122

Summary

Riassunto: introduzione , capitoli 1 e 1...


Description

L’ERMENEUTICA Jean Grondin Introduzione Si possono distinguere tre grandi accezioni possibili dell’ermeneutica che si sono succedute nel corso della storia: 1. Nel senso classico del termine, l’ermeneutica designava l’arte di interpretare i testi (sacri hermeneutica sacra, giuridici hermeneutica juris, filologici hermeneutica profana). L’ermeneutica godeva di una funzione ausiliaria nel senso che veniva a favorire la pratica dell’interpretazione. Aveva una prospettiva sostanzialmente normativa: proponeva regole, precetti, canoni che permettevano di interpretare correttamente i testi. Questa tradizione che fa dell’ermeneutica una disciplina ausiliaria e normativa nelle scienze che praticano l’interpretazione, si è mantenuta fino a Friedrich Schleiermacher il cui progetto di un’ermeneutica universale sarà inaugurato da Wilhelm Dilthey. 2. Dilthey partendo dalla tradizione classica dell’ermeneutica, la arricchisce del compito di diventare una riflessione metodologica sulla pretesa di verità e sullo statuto scientifico delle scienze umane. Se le scienze umane vogliono diventare scienze rispettabili devono basarsi su una metodologia che spetta all’ermeneutica di mettere in chiaro. 3. Come reazione a questa intelligenza metodologica dell’ermeneutica, prende forma una filosofia universale dell’interpretazione. La sua idea fondamentale e che la comprensione e l'interpretazione non sono soltanto dei metodi che incontriamo nelle scienze umane, ma processi fondamentali che si ritrovano nel cuore della vita stessa l'interpretazione appare allora sempre più come una caratteristica essenziale della nostra presenza nel mondo. Si passa così da un’”ermeneutica dei testi” a un’”ermeneutica dell’esistenza”. Secondo Heidegger l'ermeneutica non ha a che fare soprattutto con dei testi ma con l'esistenza stessa che è già plasmata di interpretazioni che essa però può chiarire. La maggior parte dei grandi rappresentanti dell’ermeneutica contemporanea non hanno seguito le orme di Heidegger. Hanno piuttosto scelto di riprendere il dialogo con le scienze umane riprendendo la tradizione di Schleiermacher e Dilthey. Il loro intento è quello di sviluppare una migliore ermeneutica di scienze umane. Alleggerita del paradigma esclusivamente metodologico, finisce per abbandonare il terreno di una riflessione sulle scienze umane e per avanzare una pretesa universale.

1. La concezione classica dell’ermeneutica Il primo ad usare il termine ermeneutica fu il teologo di Strasburgo Sohann Conrad Dannhauer nel suo Hermeneutica sacra sive methodus exponendarum sacrarum litterarum (Ermeneutica sacra o metodo di interpretazione dei testi sacri), titolo che riassume da solo il senso classico della disciplina: l’ermeneutica sacra, intendendo il metodo per interpretare i testi sacri. Se c'è bisogno di un tale metodo, è perché il senso delle scritture non è sempre chiaro. L'interpretazione è qui il metodo che permette di accedere alla comprensione del senso all’intelligere. È importante tenere sempre presente questo legame di finalità tra l'interpretazione e la comprensione. Il termine interpretazione viene dal verbo greco hermēnéuein che ha due significati importanti: il termine designa sia il processo di elocuzione sia quello di interpretazione o di traduzione. Nei due casi si ha a che fare con la trasmissione di senso, la quale può avvenire in due direzioni: andare dal pensiero oppure risalire dal discorso al pensiero. Oggi noi parliamo di interpretazione solo per caratterizzare il secondo processo, il quale risale dal discorso al pensiero che si trova dietro.

2. L’emergere di un’ermeneutica più universale nel XIX secolo 1. Friedrich Schleiermacher (1768-1834) Contemporaneo dei grandi pensatori dell’idealismo tedesco, Fichte, Hegel e Schelling, ma più vicino al romanticismo di Friedrich Schlegel, Schleiermacher era nello stesso tempo un grande filologo, un teologo tra i maggiori, un filosofo e un teorico dell’ermeneutica. Come tutti i grandi teorici dell'ermeneutica Schleiermacher si ispira alla tradizione retorica. Proprio all'inizio della sua ermeneutica si legge che “ogni atto del comprendere e il rovescio di un atto del discorso e ciò perché deve giungere a coscienza quel pensiero che è stato a fondamento del discorso”. Se è vero che “ogni discorso si basa su un pensiero precedente”, allora il primo compito del comprendere sarà quello di “cercare nel pensiero la stessa cosa che l'autore ha voluto esprimere”. In tal modo “il compito è quello di comprendere il senso del discorso a partire dalla lingua”. Secondo Schleiermache, “tutto ciò che bisogna presupporre in ermeneutica è il linguaggio”. Votata al linguaggio, l'ermeneutica si divide in due grandi parti: l'interpretazione grammaticale che comprende ogni discorso a partire da una data lingua e dalla sua sintassi e l'interpretazione psicologica a volte chiamata “tecnica” che nel discorso vede l’espressione di un’anima individuale. La speranza di Schleiermacher è di sviluppare un’ermeneutica universale. “L’ermeneutica come arte del comprendere non esiste ancora in generale, ma esistono solo ermeneutiche speciali”. E se l’ermeneutica deve acquisire uno statuto universale, è in quanto arte generale del comprendere. L’accento posto sul comprendere è abbastanza nuovo dato che fino ad allora l'ermeneutica era compresa piuttosto come un’ arte dell’interpretazione che deve giungere alla comprensione. Cos'è che ci permette di dire che una comprensione è giusta? Schleiermacher distingue a questo proposito due intelligenze ben distinte dell'interpretazione:

1. una pratica più lassista che presuppone il fatto che la comprensione si produce spontaneamente. Questa pratica dell’ermeneutica “enuncia il suo fine in forma negativa, dicendo: bisogna evitare il fraintendimento”. Qui si riconosce la concezione classica dell'ermeneutica che ne faceva una scienza ausiliaria alla quale si faceva ricorso solo per interpretare dei passi ambigui. 2. Una pratica più rigorosa che partirebbe al contrario dal fatto che il fraintendimento si produce spontaneamente e che la comprensione deve essere voluta e ricercata punto per punto. La pratica flessibile dell'interpretazione si trova assimilata ad una pratica intuitiva che non obbedisce ad alcuna regola né ad alcuna arte. Schleiermacher si chiede se sia la non comprensione ad essere naturale e a dover essere combattuta in ogni momento. Afferma infatti “Il lavoro dell’ermeneutica non deve intervenire soltanto quando l'intelligenza diventa incerta ma fin dai prima inizi di ogni impresa che miri a comprendere un discorso”. Il fraintendimento è il punto di partenza ineliminabile per ogni interpretazione, giacché proprio il disorientamento che provoca nel lettore lo induce a soffermarsi sulla strutturazione interna del testo. Quello di cui ha bisogno l'ermeneutica è quindi “più metodo”. L'ermeneutica cesserà allora di svolgere una funzione ausiliaria per diventare la condizione sine qua non di ogni comprensione degna di questo nome. Per questo l'operazione fondamentale dell'ermeneutica prenderà la forma di una ricostruzione, a partire dai suoi elementi, come se ne fossi io l’autore. Per comprendere bene un discorso ed evitare il costante fraintendimento, devo poterlo ricostruire a partire dai suoi elementi come se ne fossi io l'autore. Compito dell’ermeneutica sarà così quello di “comprendere il discorso prima altrettanto bene, poi ancora meglio dell’autore” secondo una massima che Schleiermacher riprende da Kant nella sua Critica della ragion pura in cui diceva: “non c'è niente di sorprendente nel fatto che si possa comprendere Platone meglio di quanto lui stesso si sia compreso”. L'ermeneutica si impegnerà così sulla via di una spiegazione genetica: comprendere d'ora in poi vorrà dire “ricostruire la genesi di…”. L'idea viene dall’ idealismo tedesco: si comprende qualche cosa quando se ne coglie la genesi, a partire da un primo principio. Per Schleiermacher questo primo principio è la decisione germinale dello scrittore. Schleiermacher dà in tal modo una piega psicologica all'ermeneutica. Di vocazione classica, votata all’interpretazione dei testi, l’ermeneutica di Schleiermacher acquista una portata più universale. “L’ermeneutica non deve essere limitata unicamente a produzioni letterarie; infatti molto spesso mi sorprendo nel mezzo di una conversazione a compiere operazioni ermeneutiche [ … ]; la soluzione del problema, per il quale cerchiamo appunto la teoria, non dipende in alcun modo dallo stato del discorso, fissato dalla scrittura e rivolto al l'occhio, ma tale soluzione si ripresenterà invece in tutti quei casi in cui ci siano pensieri o sequenze di pensieri che dobbiamo percepire mediante le parole”. Tutto, d’ora in poi, può diventare oggetto di ermeneutica. Questa universalizzazione va al pari passo con l'allargamento dell’estraneità. Il discorso parlato non faceva parte dell'ambito dell'ermeneutica classica perché risultava immediatamente intellegibile. Solo il discorso scritto, e più in particolare quello degli autori antichi, comportava un elemento di estraneità che richiedeva una mediazione ermeneutica. Schleiermacher universalizza questa dimensione: il discorso dell'altro, anche se mi è contemporaneo, contiene sempre un momento di estraneità. Questa problematica induce Schleiermacher ad assentare la questione del circolo del tutto e delle parti: una frase deve essere compresa a partire dal suo contesto, questo deve esserlo a partire dalla totalità di un’opera, la quale deve essere compresa a partire dall'opera e dalla biografia di un autore, il quale a sua volta

deve essere compreso a partire dalla sua epoca storica, epoca che non può essere compresa se non a partire dalla storia nel suo complesso. 2. Wilhelm Dilthey (1833-1911) Ermeneutica riceverà un senso più metodologico in Dilthey. Qui per metodologia intendiamo una riflessione sui metodi che sono costitutivi di ogni tipo di scienza. Il problema di una giustificazione metodologica delle scienze umane è diventato pressante a seguito dello sviluppo prodigioso che hanno conosciuto le scienze esatte nella seconda metà del 19º secolo. Se si tratta proprio di Scienze anche le scienze umane devono poggiare su dei metodi che ne possano fondare il rigore. Dilthey propone di fondare le scienze dello spirito su categorie che siano loro proprie (logica), su una teoria della conoscenza (epistemologia) e su una teoria del metodo specifico. Per fondare la specificità metodologica delle scienze umane, Dilthey si ispira alla distinzione dello storico Droysen tra spiegare e comprendere. Mentre le scienze pure cercano di spiegare i fenomeni a partire da ipotesi e da leggi generali, le scienze umane vogliono comprendere una individualità storica a partire dalle sue manifestazioni esteriori. La metodologia delle scienze umane sarà così una metodologia della comprensione. L'obiettivo dell'interpretazione è comprendere le individualità a partire dai suoi segni esteriori: “Chiamiamo comprensione il processo mediante il quale conosciamo un interiore per mezzo di segni percepiti dai nostri sensi all'esterno”. Questo interiore che bisogna comprendere corrisponde al sentimento vissuto dell'autore, sentimento che non è accessibile direttamente, ma unicamente attraverso i suoi segni esteriori. Il processo della comprensione consiste nel “ricreare” in se stessi il sentimento vissuto dall'autore partendo dalle sue espressioni. La triade del vissuto, dell’espressione e della comprensione appare allora costitutiva dell'ermeneutica delle scienze umane. Nell'ultima opera di Dilthey appare l’idea che la comprensione e l'interpretazione non sono soltanto dei metodi propri delle scienze umane, ma traducono una ricerca di senso e di espressione ancora più originaria della vita stessa. Con questo pensiero, egli metterà l'ermeneutica di fronte a nuovi compiti....


Similar Free PDFs