libro arte una storia naturale e civile del settis montanari PDF

Title libro arte una storia naturale e civile del settis montanari
Course Storia dell'arte moderna i
Institution Sapienza - Università di Roma
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STORIA DELL'ARTEMODERNA - DAL '400 AL '(Appunti dalle lezioni +approfondimenti dal libro"Arte. Una Storia naturale ecivile del Settis-Montanari)Storia dell'Arte Moderna Università del Salento 109 pag.Document shared on docsitySTORIA DELL’ARTE MODERNA1401 e gotico internazionale Nei primi decenni del...


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STORIA DELL'ARTE MODERNA - DAL '400 AL '700 (Appunti dalle lezioni + approfondimenti dal libro "Arte. Una Storia naturale e civile del Settis-Montanari) Storia dell'Arte Moderna Università del Salento 109 pag.

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STORIA DELL’ARTE MODERNA 1401 e gotico internazionale Nei primi decenni del Quattrocento, Firenze aveva conosciuto una straordinaria stagione artistica. Se un secolo prima Giotto aveva tagliato i ponti con la trascendente arte bizantina, formulando una pittura che voleva rendere la natura delle cose, una nuova generazione di maestri elaborava ora un inedito linguaggio che trovava ispirazione nell’arte antica, scoprendo nella prospettiva lo strumento per riprodurre scientificamente la tridimensionalità dello spazio reale sulla superficie bidimensionale di un dipinto, di un rilievo o di un affresco. Filippo Brunelleschi, Donatello e Masaccio furono i promotori di questo rinnovamento artistico e culturale cui si dà il nome di Rinascimento. La storia dell’arte comincia a Firenze con il concorso del 1401. Fu bandito un concorso molto importante dall'Arte di Calimala, (arte= corporazione, associazione di categoria. Queste corporazioni erano molto diffuse a Firenze; si dividevano in Arti maggiori, come i mercanti o commercianti di tessuti in cui la fatica fisica era minore, e in arti minori, come l'arte degli scultori, scalpellini in cui vi era un impegno fisico maggiore. I pittori non avevano una corporazione a sé stante, ma si iscrivevano nella corporazione dei medici e degli Speziali perché trattavano pigmenti naturali, mentre gli scultori, in base al materiale che utilizzavano, si iscrivevano all'arte degli scalpellini o dei legnaioli), ossia la corporazione dei mercanti, potente compagnia commerciale che sin dal Medioevo importava le materie prime come la lana grezza, chiamata così perché si trovava in una via di Firenze in cui si concentravano molte botteghe. La corporazione venerava San Giovanni Battista, ragion per cui si occupava del Battistero. Nel 1401, l'Arte di Calimala bandì questo concorso per la realizzazione della porta nord del battistero di San Giovanni che si apre con una gara tra alcuni artisti che dovevano realizzare una formella in bronzo dorato con una cornice polilobata riproducendo la scena biblica del sacrificio di Isacco: per dimostrare a Dio la propria fede, Abramo sta per sacrificare il figlio Isacco, ma un angelo lo ferma. Gli scultori dovevano cimentarsi con una tecnica complessa, quale la fusione in bronzo che prevedeva un’abilità nella rinettatura, ossia la pulizia degli elementi scuri intorno alle figure, quindi rifinire e ripulire ogni singolo elemento; e poi la doratura con oro zecchino. I partecipanti al concorso ebbero un anno di tempo per realizzare un prodotto da sottoporre ai ricchi mercanti dell'Arte di Calimala. La storia dice che il concorso fu vinto da Lorenzo Ghiberti. C’è anche da dire che Ghiberti scrisse una sua autobiografia, i Commentari, quindi con una visione parziale, disse che lui vinse il concorso e ottenne l’incarico. Un allievo di Brunelleschi, invece, Antonio Manetti, ottant’anni dopo scrisse che i due si classificarono primi (ex aequo) ma Brunelleschi, molto orgoglioso, lasciò il posto a Ghiberti. Questo artista però sembra come se fosse uscito apparentemente dal nulla nell'ottica della storia dell’arte moderna, in quanto non vi sono documenti del suo percorso formativo. Probabilmente si formò con il patrigno Bertoluccio che aveva una bottega di oreficeria, ma non si sa come si svolse il suo apprendistato. Confronto tra le due formelle vincenti, una eseguita da Filippo Brunelleschi, l'altra da Lorenzo Ghiberti. Entrambe le formelle si trovano attualmente nel Museo del Bargello a Firenze, poste l'una accanto all’altra. Questi bronzetti sono la testimonianza del passaggio stilistico dall’arte gotica all’arte rinascimentale, infatti Si è voluto leggere uno scarto di visione nelle due formelle: Innanzitutto, Lorenzo Ghiberti era un artista più legato alla tradizione fiorentina e meno alla modernità, quindi si attenne a una linea più tradizionale e popolarmente condivisa dalla Firenze del 1401; Brunelleschi propose nella sua opera uno slancio innovativo, in cui troviamo degli elementi di novità e di modernità. La differenza si riscontra in una carica espressiva diversa: in quella di Brunelleschi, l'azione è colta nel suo momento culminante: rappresenta un Abramo che ha preso con forza il collo del povero Isacco e sta per sferzare il colpo ma l'angelo irrompe immediatamente bloccando la mano di Abramo, mostrandogli l'ariete da sacrificare in sostituzione al figlio. Ghiberti, invece, distribuisce i personaggi attorno allo sperone roccioso che taglia in diagonale la composizione. Il sacrificio non è violento ma si compie come un rito solenne: Abramo sembra come bloccato in posa, avvolto nelle spire del manto, viene messa in risalto la torsione del corpo di Isacco mentre l’angelo sopraggiunge senza fretta, con pacatezza, quindi ha una carica espressiva meno forte rispetto a quella del Brunelleschi. Concezione dello spazio: Brunelleschi espande la sua composizione fino a riempire l’intero campo, forzando come le due figure nei lobi che fuoriescono dalla scena. Mentre in Ghiberti, come da tradizione, tutti i personaggi sono all’interno della formella disposti con ordine, allineate da sinistra verso destra su un unico piano segnalato solamente dal pavimento roccioso. In realtà nelle formelle vi sono più elementi di contatto che di distanza: entrambe appartengono alla cultura tardogotica e in entrambe i panneggi delle vesti sono svolazzanti, solcate, eleganti, con un andamento ritmico a falce di luna (in tutti e due gli Abramo, ma anche nei pastori). Nella formella di Brunelleschi vi è un riferimento all'antico nel pastore in basso a sinistra, ossia lo Spinario, una statua in bronzo conservata ai Musei Capitolini che rappresenta un ragazzo che, con le gambe accavallate, cerca di togliersi una spina dal piede. Anche Ghiberti fa riferimento all’antichità, come nella torsione del corpo di Isacco che rimanda alla statuaria classica in un un’impaginazione che rimane tardo trecentesca (le rocce rimandano a Giotto).

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Ghiberti vinse il concorso e ottenne l’incarico nel 1403 a soli venticinque anni, terminandola nel 1424. La porta Nord del Battistero di San Giovanni fu realizzata tra il 1403 e il 1424. L'arte di Calimala commissiona una porta che rispecchiasse l'opera precedente, ossia la porta trecentesca di Andrea Pisano, per cui Ghiberti si attenne a quel modello. Le porte attuali non sono originali, ma sostituite con delle copie per evitare problemi alla conservazione del manufatto, infatti oggi la Porta Nord è esposta nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, a fianco della successiva porta del Paradiso di Ghiberti. I due battenti presentano 28 formelle in bronzo dorato con cornici mistilinee, dove sono narrate venti Storie Evangeliche, ed effigiati gli Evangelisti e i Dottori della Chiesa. Presenta tra una storia e l'altra una rete di tralci di edera abitati da una fauna brulicante (cavallette, lucertole, chiocciole) e agli angoli si alternano teste di profeti e sibille tra i quali si confonde l'autoritratto dello scultore con un mazzocchio sul capo. Un particolare della porta Nord è una formella eseguita da Ghiberti che rappresenta l'Annunciazione dove l'angelo è una sottile figura di profilo e il suo comparire fa ritrarre e inarcare in maniera innaturale la figura della Vergine. L’architettura dietro di lei è un esile archetto che la inquadra simbolicamente. In alto a sinistra, l’eterno lancia la colomba come una palla. Ghiberti sviluppa un motivo assai antico: incarna il gusto che dominava Firenze per tutto il quarto del secolo, come si può vedere nelle pitture di Gentile da Fabriano e Lorenzo Monaco. LORENZO MONACO a quest’ultimo si deve un’altra Annunciazione affiancata da Santi. Lorenzo Monaco, era un pittore tardogotica fiorentino, realizzò tra il 1410-1415 un trittico che presenta una struttura molto simile all’Annunciazione di Ghiberti. Nell’opera, Lorenzo Monaco espone la sua carpenteria lignea con fondo oro, con figure eteree, prive di corporeità e accuratamente panneggiate. Il tutto evidenzia tutte le caratteristiche del Gotico internazionale in cui ancora si muove Ghiberti. Un'altra opera di Lorenzo Monaco è la grande pala con la raffigurazione dell'Adorazione dei Magi che si colloca tra il 1420-22, conservata agli Uffizi. La tavola è inglobata in questi archetti con al di sopra dei lobi in cui sono dipinte figure dei profeti. Ma la scena principale racconta l’arte da sogno del gotico internazionale e di colori giustapposti e di armonie; nell'opera vi è un’ostentazione moderata della ricchezza. Figure svettanti e poco materiali esposti in un paesaggio trecentesco (Giotto e pittori senesi). I panneggi sono delle linee ondulate, privi di consistenza materica. GENTILE DA FABRIANO Un'altra opera di questa tradizione è l’Adorazione dei Magi del 1423 di Gentile da Fabriano commissionata da Palla Strozzi, ricco banchiere e un umanista attento alla cultura classica. È una grande pala d'altare conservata agli Uffizi e una delle poche opere firmata e datata. Possiamo ammirare quest’arte da sogno, in cui i principi si accalcano in primo piano ostentando le vesti dei colori e delle decorazioni quasi a rilievo. Il re mago più anziano si inginocchia baciando il piede del bambino e il bambino compie un gesto affettuoso di poggiare la mano sul capo del mago che espone una veste fittamente decorata. L’altro mago si sta inginocchiando togliendosi la corona con un tripudio di decorazioni damascate sulla veste. Particolare del servitore che sistema gli speroni al mago in piedi e più giovane. È un mondo visionario e fiabesco. Non c'è un’organizzazione spaziale, con questa cascata di personaggi che scivolano in primo piano, quindi vi è un’assenza di tridimensionalità. FACCIATA DEL DUOMO DI FIRENZE Nel 1408 l'opera di Santa Maria del fiore commissionò tre sculture di Evangelisti destinate nelle nicchie della facciata del duomo fiorentino affidando il San Giovanni a Donatello, il San Luca a Nanni di Banco e il San Marco a Niccolò Lamberti. Il progetto era di dare vita a una competizione fra i tre maestri e affidare al migliore il mancante San Matteo, che invece fu affidato successivamente a un quarto scultore, Bernardo Ciuffagni. Nel 1415 le quattro figure furono collocate nella facciata e vi rimasero fino allo smantellamento di questa; adesso si trovano nel Museo dell’opera del Duomo, dove un recente allestimento ha ricostruito il perduto prospetto. L’accostamento tra i Quattro Evangelisti palesa due differenti mondi artistici: Lamberti e Ciuffagni guardano ancora al Gotico internazionale, come si nota dai panni eleganti e delle acconciature, mentre il San Giovanni donatelliano manifesta nella fierezza del volto e nella solidità strutturale della figura un lessico nuovo, condiviso anche dal San Luca di Nanni di Banco, che sembra un filosofo antico. Se confrontiamo queste sculture: Bernardo Ciuffagni, sculture della vecchia guardia tardogotica come si può notare dal panneggio frastagliato ma delicato, propone un evangelista declinandolo secondo i costumi del tempo. Nanni di Banco è uno scultore che esegue il San Luca come una figura impotente che recuperare il senso di nobiltà e fierezza con un riferimento alla statuaria antica. Il panneggio avvolgente evidenzia la corporeità dell’uomo in uno spazio, ossia dietro questi panneggi c’è un corpo che pulsa, quindi non è soltanto una figura sacra ma è un uomo. Il gesto di quotidianità del braccio che porta la mano destra sulla gamba è un gesto umano e vero. La bellezza del volto dalla capigliatura e barba rigogliosa. La stessa corporeità e costanza fisica l'ha ritroviamo in Donatello nel suo San Giovanni Evangelista. Donatello, come gli altri scultori, uomini veri, guardavano alla statuaria antica ma si ispiravano agli uomini contemporanei e veri.

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LA CHIESA DI ORSANMICHELE Contemporaneamente a tutta questa fase di rinnovamento che parte dal 1408, un altro cantiere fu la chiesa di Orsanmichele a Firenze. Lo strano nome fa riferimento all'orto del monastero di San Michele, che si trovava a metà strada tra il Duomo e il Palazzo della Signoria. Successivamente, fu costruita la chiesa di una confraternita. Sulle pareti esterne di questa chiesa, le Arti fiorentine vollero far collocare le statue dei rispettivi santi patroni collocandoli in quattordici nicchie. Ovviamente, tutte le statue attuali sono copie, mentre quelle originali sono conservate al museo dell'opera e al museo del Bargello. Lorenzo Ghiberti, San Giovanni Battista, 1412-1416, bronzo. La corporazione di Calimala si rivolse ancora una volta a Ghiberti per eseguire l'immagine bronzea di San Giovanni Battista tra il 1412-1416, traducendo in grandi dimensioni il linguaggio delle formelle della Porta Nord: l’inarcatura del santo si accompagna al panneggio fitto e molto falcato, è un santo languido, felpato con occhi scintillanti d'argento, lontano dell’iconografia tradizionale del santo. Ghiberti sentiva che l'aria intorno a sé stava cambiando, ma propose ugualmente la sua sfida nella tradizione, facendosi appoggiare dalle Arti più potenti e facoltose della città, ossia l'arte del Cambio (cioè i banchieri) e l'Arte di Calimala, che potevano permettersi il costoso bronzo, mentre gli altri richiesero il marmo. Donatello, San Marco, 1413, marmo Donatello realizza il San Marco nel 1413 per l’arte dei Linaioli e dei Rigattieri. È una scultura espressiva e rude, lancia uno sguardo corrucciante verso l'osservatore mentre attraversa la via. C’è una flessione della gamba, mentre l'altra diventa il perno, di ispirazione della statuaria antica. Nanni di banco, I quattro santi coronati, 1409 e il 1417, marmo Nella nicchia della chiesa di Orsanmichele ritroviamo il gruppo de I quattro santi coronati, un’opera eseguita tra il 1409 e il 1417 da Nanni di Banco per l'Arte dei Maestri della Pietra e del Legname, in cui egli stesso apparteneva. La corporazione venerava come patroni Santi quattro Coronati (quattro scalpellini cristiani che avevano subito il martirio al tempo di Diocleziano perché si rifiutarono di scolpire divinità pagane). L’impostazione delle statue deriva dai ritratti imperiali romani, come si può vedere dagli abiti e dai gesti solenni dei santi. Nanni di Banco immagina una conversazione silenziosa tra il quartetto di santi disposti a semicerchio, a seguire lo spazio cilindrico della nicchia. Donatello, San Giorgio, 1417, marmo. Donatello per l'Orsanmichele realizza il San Giorgio nel 1417, attualmente conservato al museo del Bargello, eseguito per il tabernacolo dall’Arte degli Spadai e dei Corazzai. Giorgio, era stato un guerriero e per questo i fabbricanti di armi lo avevano scelto come patrono. Il giovane santo, è mostrato vestito con un’armatura, parzialmente coperta da un corto mantello, ostenta avanti a sé il grande scudo. E’ una rappresentazione di grande stabilità e fermezza: la figura è ben piantata su gambe robuste, il petto ampio è mosso da una leggera torsione che ne accentua le dimensione e sottolinea il coraggio del guerriero; il volto è fermo, fiero e contemporaneamente disteso e sereno, con uno sguardo che domina lo spazio circostante. Giorgio è colto nell’atto di guardare verso la sinistra, con uno scatto della testa; il gesto, sottolineato anche dai tendini del collo e dalle sopracciglia aggrottate, indica che il giovane vede il nemico avvicinarsi e si prepara ad affrontarlo. A dimostrare come in questa fase di transizione convivessero linguaggi diversi, Donatello inserì una scultura tanto moderna in un tabernacolo con un coronamento ancora gotico. Apparentemente non si discosta da analoghe realizzazioni di quegli anni, ma qui appare per la prima volta lo studio attento, e non convenzionale, della figura umana intesa sia come anatomia, sia come ricerca di una espressione psicologica. Inoltre, questa statua contiene anche una pretella che racconta la storia in cui il San Giorgio libera la principessa uccidendo il drago. È il più antico esperimento di prospettiva giunto fino a noi, attraverso l’uso della tecnica dello “stiacciato", ovvero un rilievo oltremodo basso, con effetti simili al disegno. Lo scultore infrange la barriera fisica dello sfondo grazie alla prospettiva, che ci permette di creare su un piano bidimensionale una realtà tridimensionale attraverso l’illusione prospettica, ossia attraverso la possibilità di vedere il degradare degli oggetti e delle forme in un punto di fuga. Lo scultore ha collocato il gruppo del cavaliere che uccise l'animale al centro di una composizione tridimensionale, delimitata a sinistra dall’antro roccioso in cui il drago aveva la tana e a destra da un palazzo segnato da un loggiato con archi a tutto sesto, di fronte al quale compare la principessa. L’invenzione della prospettiva Si assegna a Brunelleschi l’invenzione della cosiddetta prospettiva centrale o lineare, intesa come una tecnica per rappresentare razionalmente gli oggetti nello spazio, così da ottenere l'effetto della terza dimensione in una superficie bidimensionale, e farli apparire come l’osservatore li vede nella realtà da un determinato punto di vista, rendendo la sensazione della profondità, dei volumi e delle distanze. Brunelleschi utilizzò un rigoroso

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metodo matematico, che prevede di individuare sulla superficie un “punto di fuga", corrispondente al centro dell’orizzonte verso il quale guarda l’occhio dell’osservatore, e fare convergere in direzione di esso una serie di linee, per creare una gabbia spaziale dentro la quale collocare gli oggetti, secondo le loro relazioni proporzionali: ai nostri occhi, ciò che è vicino appare più grande e ciò che è lontano più piccolo. La cupola di Santa Maria del Fiore Il duomo di Santa Maria del fiore, la cui struttura fu edificata da Arnolfo di Cambio, rimase incompiuto in quanto, al di sopra del tamburo ottagonale, mancava la cupola. Le motivazioni erano rivolgimenti sociali, come la peste che aveva colpito Firenze nel 1348 (peste nera), la quale creò una depressione economica. Nell'ambito della fase di rinnovamento della città di Firenze, si decide di avviare la costruzione della cupola, ma costituiva un problema sul piano architettonico. Risultava difficile trovare un progetto che si adattasse all’innalzamento di una struttura così imponente senza sistemi costruttivi. Erano stati vanificati molti progetti presentati da vari architetti fino al 1418, dove la corporazione dell'Opera del duomo decise di bandire un concorso, al quale partecipare molti architetti tra cui Lorenzo Ghiberti, che intanto stava lavorando alla porta nord del Battistero, ma soprattutto Filippo Brunelleschi, il quale si era allontanato dal cantiere del Battistero e aveva cominciato ad elaborare un progetto fattibile per la chiusura del tamburo ottagonale del duomo. Il concorso fu vinto proprio da Brunelleschi e i lavori cominciarono il 7 agosto del 1420. Per questo cantiere, Brunelleschi riunì un numero notevole di maestranze, infatti fu uno dei cantieri più importanti e più produttivi del tempo, tanto che la città si rilanciò sul piano economico. Riguardo questo cantiere esiste una documentazione d'archivio conservata nel museo dell'Opera del Duomo che parla dettagliatamente dell’avvio dei lavori. La storia comincia il 7 agosto del 1420 con una colazione a base di pane, melone e vino, un vino annacquato perché le maestranze non dovevano ubriacarsi per stare in sicurezza sulle impalcature. Brunelleschi, a seguito dell'abbandono del cantiere dei battenti della porta nord del Battistero, compì un viaggio a Roma, che gli permise di studiare le vestigia dell’antichità romana, in modo particolare il Pantheon. Molto spesso si mettono in relazione la struttura del Pantheon con la cupola del duomo fiorentino, ma quest’ultima rispecchia solo in parte la struttura del Pantheon che è una calotta semisferica, mentre la cupola è formata da otto costoloni ogivali...


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