LINGUISTICA GENERALE PDF

Title LINGUISTICA GENERALE
Course Linguistica generale
Institution Università degli Studi di Perugia
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Cap.9 – Categorie grammaticali La locuzione categoria grammaticale è una categoria dove ogni classe di opzioni grammaticali sono complementari e omogenee. Quindi, per esempio, il numero è la categoria che comprende le opzioni, nel nostro caso, singolare e plurale, queste sono complementari in quanto scegliendone una si esclude qualunque altra. Inoltre, le opzioni rientranti in una stessa categoria sono omogenee, perché provengono dalla codifica di una stessa nozione grammaticale. Categorie coperte e scoperte Le categorie grammaticali possono essere coperte e scoperte; scoperte sono quelle in cui ogni opzione si manifesta foneticamente, coperte quelle per le quali ciò non è vero. Per esempio, in italiano, la categoria di numero è normalmente scoperta ma esistono casi (come tribù, caffè, crisi) in cui ciò non vale, perché la differenza tra singolare e plurale è foneticamente nulla. Analogamente, in genere in italiano non si fa distinzione tra animato e inanimato, ma questa distinzione è scoperta, perché governa l’opposizione tra a e da nei complementi di moto: 1. Vado al cinema (cinema inanimato) 2. Vado dal dottore (dottore animato) Le categorie, singolare/plurale, animato/inanimato sono parzialmente coperte. Categorie sistematiche e isolate Le categorie possono essere sistematiche o isolate, cioè applicarsi a (quasi) tutte le forme di una certa classe o solo ad alcune. In italiano, per esempio, il caso è una categoria isolata, dato che opera solo nei pronomi personali e pronomi relativi. Nei relativi, che può operare come soggetto o soggetto, il quale solo come soggetto. Esempio -> la persona che mi ha parlato; la persona la quale mi ha parlato. Persona Prima, seconda e terza persona La persona è la risorsa mediante la quale le lingue segnalano, nel processo dell’enunciazione, i due partecipanti obbligati del processo stesso, l’emittente e il ricevente. Nel momento in cui prende la parola, l’emittente chiama sè stesso io, questo “pronome” è quindi propriamente il “nome” che «colui che in un dato momento sta parlando» usa per designare sé stesso. Tuttavia, poiché l’enunciato è indirizzato a un ricevente, l’emittente ha bisogno di un mezzo per chiamare il ricevente stesso: questo è tu che quindi è propriamente il “nome” che l’emittente usa per designare «colui che sta ricevendo l’enunciato» o «colui con cui l’emittente sta parlando». Siccome un emittente e un ricevente sono indispensabili perché si possa avere un’enunciazione, abbiamo buone ragione per credere che la prima e la seconda persona siano universali linguistici. La persona è una categoria deittica: l’emittente chiama sé stesso io fino a che tiene la parola; nel momento n cui la parola passa a un altro, è quest’ultimo a chiamare sé stesso io; nel frattempo, quello che prima era l’emittente diventa il ricevente e il suo nome diventa tu. La referenza dei pronomi personali quindi ruota secondo i turni di presa di parola. La terza persona invece, “designa” un “entità” che non è necessariamente presente e non ha neppure bisogno di essere una persona. Persona e numero La categoria di persona si incrocia in vario modo con quella di numero e di genere. Talune lingue distinguono un plurale inclusivo da uno esclusivo, il primo designa parlante + ricevente e il secondo parlante + terze persone. Queste considerazioni spiegano in parte come mai, in molte lingue, i plurali dei pronomi personali vengano adoperati nel quadro di complessi rituali di deferenza. In francese, per esempio, per rivolgersi a un interlocutore sconosciuto o trattato in modo non confidenziale, si adopera come pronome allocutivo (ossia specializzato per rivolgersi agli altri) il voi (vous). In realtà, la scelta di questo allocutivo è dovuta a una sorta di iconicità simbolica: si “finge” che l’interlocutore sia più di uno per accrescerne l’importanza. Il “noi” il cosiddetto plurale maiestatis, la “maestà” in questione consiste nel fingere che il parlante sia costituito da una molteplicità di persone in modo da aumentarne l’importanza. L’allocutivo deferente italiano lei ha una spiegazione più complessa: implica che l’interlocutore sia assente, in quanto si “finge” che la sua importanza sia tale da far si che non sia permesso rivolgerglisi direttamente.

Persona generica In molte lingue talune forme personali sono usate per designare un interlocutore generico e impersonale: ciò vale in particolare per la seconda persona singolare e per una forma specifica della terza singolare. Se tu vai da quella parte, arrivi subito a San Pietro Tu non indica un interlocutore specifico, ma chiunque compia le operazioni indicate. Quindi si tratta di un tu generico, nel quale chiunque può identificarsi. La terza persona plurale funziona allo stesso modo: Dicono che sta per piovere La terza persona singolare in forma indefinita (si, uno, qualcuno) ha la stessa funzione: Se uno va in treno, vuole stare comodo. Riferimento personale La categoria di persona si presenta anche sotto altre forme, come quella costituita dai possessivi: in effetti la funzione di questi ultimi è indicare le relazioni tra le persone e quel che viene rappresentato dai SN. I possessivi segnalano il fatto che tra l’oggetto designato da un SN e una delle tre persona possibili esiste una relazione, non necessariamente di tipo possessivo. Esempio -> Silvia gioca con il tuo bambolotto. Il sintagma il tuo bambolotto, può coprire relazioni diverse come «il bambolotto che tu le hai regalato». Esiste un’affinità tra designazione pronominale della persona e determinazione aggettivale di essa (mediante aggettivi possessivi). In alcune lingue, questa funzione, che possiamo chiamare di riferimento personale, si manifesta in due forme distinte, pronomi e aggettivi, in altre invece rimane indifferenziata. Possesso La categoria di persona s’incrocia con quella di possesso, che riguarda la codifica della relazione tra due entità, il possessore e il posseduto, per la quale il possessore controlla il posseduto e i due sono fisicamente contigui. Le strategie per codificare la nozione di “possesso” materiale o immateriale includono le seguenti: a. Possesso come presa: X prende o detiene Y; b. Come locativo: Y si trova presso o su X c. Come compagnia: X è con Y In diverse lingue si distinguono il possesso inalienabile (relativo a una relazione che non può essere sciolta: parentela, parte del corpo ecc.) e quello alienabile. È interessante notare che le lingue che non codificano sistematicamente questa differenza possono averne una codifica parziale. In italiano, per esempio, il possesso di parti del corpo (così come di parenti) dev’essere codificato mediante un pronome personale e non con l’aggettivo possessivo: ● Si è rotta la gamba = *ha rotto la sua gamba ● Gli è nato suo figlio = *è nato suo figlio Genere Genere grammaticale e naturale Il genere è una categoria applicata per lo più ai nomi in base alla quale questi sono ripartiti nelle classi indicate coi termini maschile e femminile e, nelle lingue che lo permettono, neutro. Il genere può essere coperto o scoperto e proiettarsi in diversa misura sul pacchetto morfemico dei costituenti che formano SN: in italiano, l’articolo e l’aggettivo si accordano in genere e numero col nome con cui formano sintagma. Accanto a un maschile e a un femminile, si riconosce anche un terzo genere, il neutro, il quale è una proprietà intermedia, ravvisata specialmente in nomi relativi a entità prive di volizione autonoma, inanimate o inerti. Sistemi di genere Quanto al genere, le lingue si distribuiscono in diversi tipi. Al livello semplice troviamo le lingue del tutto prive di distinzioni di genere, come l’inglese e il cinese. Tuttavia, in inglese il genere opera in modo coperto: nelle riprese anaforiche alcune parole richiedono elementi fonici di generi diversi. Un secondo tipo è costituito dalle lingue che distinguono solo maschile e femminile. Questo caso è ben semplificato dalla famiglia romanza, dove accade spesso che il femminile si riferisca a oggetti biologicamente “femminili” e viceversa. Nelle lingue a due generi, le distinzioni di genere possono funzionare anche come una risorsa economica, perché creano distinzioni lessicali tra parole che possono essere morfologicamente imparentate (lo scalo = la scala) o del tutto indipendenti (il collo = la colla). Nell’opposizione tra maschile e femminile, il maschile opera in molte lingue come termine non-marcato, tipo: i fratelli (fratelli e sorelle). In alcune lingue la bipartizione è operata secondo un’articolazione diversa. Il terzo tipo è costituito dai sistemi in cui l’opposizione non è a due (o tre) termini ma più complessa.

Numero È una categoria che nella sua forma più semplice, si manifesta nell’opposizione morfologica tra plurale e singolare. Il singolare indica ciò che è uno, mentre il plurale ciò che è più di uno. Come indicatore di quantità cardinale, il numero si collega ai quantificatori, che si distinguono in più categorie: indefiniti (qualche, alcuni) definiti (numerali, ei altri sintagmi appositi: un paio di, una decida di); tuttavia, in associazione con i quantificatori, l’indicazione di quantità cardinale del numero grammaticale è spesso paradossale. Con qualche, per esempio, il singolare non indica più di uno, ma una quantità superiore, ho comprato qualche penna. Il numero è una categoria mescolata e complessa, nella quale la pura e semplice finzione di quantificazione cardinale s’intreccia con aspetti di natura semantica e logica. I sistemi attestati sono tre: 1. Alcune lingue distinguono singolare e plurale, è il caso più frequente; 2. Diverse lingue hanno anche il duale, speciale forma di valore strettamente quantitativo, riferita a oggetti che si presentano in coppia, come gli occhi, le braccia; 3. Poche lingue, infine, hanno un triale (entità che si presentano a tre) o un paucale (una caratterizzazione morfologica che significa qualche, equivalente per significato a un quantificatore indefinito); Aspetti semantici e logici Per dare un’idea della discrepanza tra morfologia e semantica, basti pensare che in turco il singolare (che ha morfo zero) non indica la quantità “uno”, ma è numericamente neutrale. Per questo i nomi, quando sono accompagnati da un numerale che indica la numerosità, sono al singolare. In italiano, il singolare e il plurale servono a esprimere una complessa gamma di possibilità, come, singolare: il cavallo è un animale resistente (il singolare determinato serve ad indicare un’intera classe d’individui, quindi designa una pluralità) mentre al plurale: i cavalli sono arrivati primi (il plurale indica una pluralità di individui).

Definitezza Una delle più interessanti risorse delle lingue sta nel fatto che si può far riferimento a entità con diverso grado di precisione; il parlante può muoversi tra due estremi: da una parte, il nome proprio, che identifica in modo univoco l’entità a cui si fa riferimento; dall’altra il pronome indefinito, che serve solo a “occupare un posto” nell’enunciato, senza specificare nulla. Su questa base è possibile riconosce n’importante categoria grammaticale della definitezza, che opera soprattutto sui nominali. Il definito si riferisce a un individuo identificato o identificabile; l’indefinito a un individuo non specificabile, menzionato solo in maniera gerarchica -> esempio, è venuto un ragazzo. A seconda delle lingue la definitezza può essere espressa in tre modi: 1. Sintagmaticamente, tramite un SN costituito dal nome in questione e da una risorsa specializzata per esprimere definitezza o indefinitezza, come gli articoli o gli aggettivi dimostrativi; 2. Morfologicamente, grazie alla combinazione di un morfo dedicato alla radice nominale; 3. Attribuendo a una parola concomitante (per esempio un aggettivo che modifica il nome) una forma definita; Caso Casi cardinali Il caso è una categoria tipica dei nominali, la sua illustrazione più evidente è offerta dalle flessioni nominali del latino. I casi servono a una varietà di funzioni, la più evidente consiste nel marcare alcune funzioni grammaticali dei nominali dell’enunciato. Da questo punto di vista, per esempio, il nominativo è il caso che segnala il soggetto. I sistemi di caso, nel loro nucleo, possono limitarsi ad avere un’opposizione tra nominativo e accusativo, che sono quindi una sorta di casi cardinali. Sistemi di caso Dal punto di vista dei sistemi di caso, le lingue si dividono in due tipi: il primo è quello delle lingue nominativoaccusative, in cui si oppongono nominativo e accusativo, e nominativo è il caso del soggetto quale che sia il tipo di verbo (transitivo o intransitivo); il secondo è quello delle lingue ergativo-assolutive (dette anche ergative), in cui il caso del soggetto cambia a seconda he il verbo sia transitivo o no. Nelle lingue ergative, invece, il soggetto si manifesta con due casi diversi, uno di questi (il cosiddetto assolutivo) segnala il soggetto del verbo intransitivo e l’oggetto del verbo transitivo; il soggetto del verbo transitivo, invece, prende un altro caso detto ergativo. Le lingue ergative trattano allo stesso modo il soggetto del verbo intransitivo e l’oggetto del verbo transitivo. Quel

che il soggetto dell’intransitivo e l’oggetto del transitivo hanno in comune è un minor grado di agentività o di controllo, ossia il fatto di poter influire meno sullo sviluppo dell’evento; all’inverso, il soggetto dei verbi transitivi ha un grado più elevato di agentività. Casi “locali” In una varietà di lingue spicca un fenomeno in cui si manifesta una speciale forma della funzione di “intelaiare” l’enunciato sul contesto: alcuni cai (chiamati casi locali) hanno la speciale funzione di segnalare la localizzazione spaziale, più o meno nel senso indicato dalle tradizionali denominazioni di alcuni “complementi” (moto a luogo, stato in luogo). Tuttavia, le lingue sono spesso in grado di indicare con mezzi grammaticali anche la direzione del movimento in relazione al luogo in questione. A partire dal luogo in cui il parlante si trova nel momento dell’enunciazione, si costruisce uno spazio che viene strutturato secondo alcune dimensioni essenziali. Tempo Il tempo è codificato dai verbi, la linguistica moderna ha aggiunto due importanti precisazioni: (a) non solo il verbo ma anche altre classi di parole designano il tempo; (b) il verbo non esprime solo il tempo: svariate forme verbali, hanno, accanto a queste capacità, anche quella di indicare la qualità dell’evento o svolgono altre funzioni in sintagmi verbali complessi. Punto dell’enunciazione e punto dell’evento Gli enunciati permettono di localizzare in una gamma di punti del tempo gli eventi su cui vertono; la localizzazione si misura a partire dal momento in cui l’emittente produce l’enunciato: ciò che ha avuto luogo prima di quel momento è passato, ciò che avrà luogo dopo quel momento è futuro, ciò che ha luogo in quello stesso momento è presente. L’organizzazione temporale delle lingue chiama quindi in causa due livelli: (a) il punto dell’enunciazione nel quale l’emittente apre bocca per produrre il proprio enunciato; (b) il punto dell’evento nel quale l’evento di cui si parla viene localizzato. Con questi due punti di riferimento possiamo costruire un sistema “ideale” di tempo, costituito da: (a) una forma verbale che serve per indicare che il punto dell’enunciazione e quello dell’evento coincidono (presente); (b) una forma verbale che indica che l’evento è situato prima del punto dell’enunciazione (passato); (c) un’ultima forma che segnala che l’evento è situato dopo (futuro). Alcune generalizzazioni possono essere proposte: ❖ L’opposizione fondamentale sembra non essere tanto presente – passato - futuro quanto passato - non-passato. Infatti se si registra una forma specializzata per indicare il passato, la forma restante, il non – passato, serve spesso per indicare sia il presente sia il futuro. Del resto non sono poche le lingue prive di una forma dedicata per il futuro, che viene indicato mediante forme perifrastiche. ❖ Il presente è spesso adoperato per dare all’enunciato il valore di asserzione permanente (o senza tempo); il presente non è possibile alle modificazioni prodotte dalla subordinazione: gli antichi sapevano che l’acqua bolle (non *bolliva) a cento gradi. ❖ È possibile localizzare gli eventi a distanze diverse (nel passato e nel futuro) dal punto dell’enunciazione, indicando più o meno precisamente il grado di distanza tra i due punti. In italiano, un abbozzo di questo fenomeno è osservabile nella distinzione tra passato prossimo e passato remoto. Aspetto Nozione L’aspetto è una categoria operante sui verbi, in alcune lingue in forma coperta e asistematica, in altre in forma scoperta e sistematica. 1. Giovanni dorme 2. Giovanni di addormenta Nel primo, dorme indica un processo già instaurato e dotato di una certa durata, nel secondo si addormenta indica invece, l’inizio di quel processo. Che tra i due verbi ci sia una differenza, è dimostrato dal fatto che essi reagiscono in modo diverso a un test di specificazione temporale; aggiungendo alla frase: Giovanni dorme per tre ore. Mentre nella frase: Ho trovato il libro, ho trovato indica un evento puntuale (privo di durata) che costituisce la conclusione di un processo. La differenza tra addormentarsi e dormire, è una differenza di aspetto, questo termine indica il modo in cui l’evento indicato dal verbo è “descritto” dal verbo stesso. Ciascuno dei verbi citati codifica fasi diverse del processo indicato dal verbo: addormentarsi sottolinea la fase “iniziale” del processo (è dunque un verbo incoativo), dormire ne sottolinea il processo già instaurato (verbo durativo).

Scala dell’aspetto Degli aspetti verbali può essere costruita una scala “ideale”, che permette di derivarli in base a un’unica formula. Poniamo che ogni evento possa essere rappresentato come costituito da tre fasi, un inizio (I), uno sviluppo (S) e un termine (T). su ogni fase dell’evento possono essere compiute alcune operazioni: ⮚ Co-occorrenza di I, S, T: l’evento viene presentato nella sua globalità, senza esclusione di alcuna delle sue fasi; ⮚ Cancellazione o neutralizzazione: la fase interessata è ridotta a zero, cioè cancellata, possiamo quindi avere una cancellazione di I, S o T o anche di più di una fase; ⮚ Focalizzazione: si enfatizzano una o più fasi; ⮚ Iterazione: una o più fasi vengono ripetute, in questo caso, l’evento è presentato come costituito da una serie di momenti uguali in stretta successione temporale. Come si è accennato, la dimensione aspettuale è spesso amalgamata con quella del tempo e del modo, un fenomeno indicato di solito come TAM (tempo, aspetto, modo). Alcune forme temporali, oltre che localizzare gli eventi nel tempo, codificano uno specifico aspetto. In italiano, per esempio, l’imperfetto rende imperfettive, durative o iterative le voci lessicali (1), mentre il passato remoto rende puntuale l’evento (2): 1. Facevamo il bagno ogni giorno (più volte nel periodo indicato); 2. Giocavamo all’aperto e improvvisamente si mise a piovere; Evidenzialità L’evidenzialità è una categoria che indica se il contenuto proposizionale di un enunciato risale a un’esperienza diretta del parlante oppure a fonti indirette. Questa categoria è presente in troppe lingue per essere priva di una ragione profonda nell’origine del linguaggio. Una possibile spiegazione sta nella preoccupazione di “salvare la faccia” da parte del parlante: tutte le volte che può, il parlante separa le informazioni che possiede per esperienza diretta da quelle che ha ottenuto indirettamente, perché qualcuno le ha riferite o le ha raggiunte per congettura. In tal modo si protegge dal rischio di essere accusato di dire cose non vere e di esporre la propria responsabilità e la propria faccia.

Modalità e modo Modalità Negli enunciati si esprime una gamma di atteggiamenti del parlante nei confronti di quel che dice o degli eventi di cui sta parlando, arriva il treno asserisce la verità di un evento, che può essere provato vero o falso, mentre la fortuna ti assista, esprime un augurio del parlante nei confronti di qualcuno e non può essere sottoposto a giudizio di verità. Le manifestazioni linguistiche dell’atteggiamento del parlante verso quel che dice o gli eventi a cui si riferisce si raccolgono nella categoria della modalità, che opera in varie forme (grammaticalizzate e lessicalizzate). Per ridurre l’analisi del modo alle sue componenti elementari, la distinzione f...


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