Livio ab urbe condita traduzione letterale 1-5 PDF

Title Livio ab urbe condita traduzione letterale 1-5
Course Letteratura latina 2
Institution Università degli Studi di Napoli Federico II
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Livio ab urbe condita traduzione letterale 1-5...


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LIVIO – AD URBE CONDITA

Se(ne) io stia per fare(sim facturus) un prezzo di opere[se farò], se abbia scritto[ prescipserim = cong. Perfetto, ma dipende da sim fucturus, quindi = se scriverò per CT] le vicende del popolo Romano dall'inizio dell'Urbe, né abbastanza so, né, se sapessi, oserei(ausus sim) dire, perchè(quippe cui = come colui che = perchè) io veda [videam = congiuntivo perchè è retto da congiuntivo] la cosa è(esse) sia vecchia(veterem) e sia conosciut(volgata), finchè i nuovi scrittori credono sempre o che porteranno(allaturos esse = infinito futuro) nelle cose qualcosa più certo(aliquid certius), o che supereranno(speraturos esse) la vecchiezza rude con l'arte dello scrivere. In qualsiasi modo sarà, gioverà tuttavia che io stesso abbia pensato(cosuluisse) alla memoria delle imprese del popolo primo delle(/sulle) terre, in riferimento della frazione vigorosa (pro virili parte) (/in riferimento alla mia parte di uomo) E se in una così grande folla di scrittori la mia fama sia nell'oscurità, mi consolerei(consoler) con nobilità e con grandezza di coloro i quali offuscheranno al mio nome(meo nomine). La cosa è inoltre(praetera) anche(et) di un'immensa opera come è quella(ut est ea) che(quae) sia ricercata(repetatur) sopra il settecentesimo anno e che partita da inizi modesti sia cresciuta a tal punto che(eo ut) è afflitta(laboret) dalla sua stessa mole. E non dubito che(et haud dubito quin) le prime origini(primae origines) e le cose vicine(proxima) alle origini(originibus) stanno per offrire(sint parebitura) meno di piacere(minus voluptatis) ai più(pleri) dei lettori, rivolti(festinantibus) verso quelle nuove, nelle quali(quibus) ormai(iam) da tempo(pridem) le stesse forze(ipsae vires) del popolo prevalente(populi prevalentis) si logorano(se conficiunt): io al contrario(contra) cercherò(petam) anche questo premio della fatica(hoc premium laboris), che io mi distolga(ut me avertam) dal cospetto dei mali(a conspectu malorum), che il nostro tempo(nostra aetas) ha visto per tanti anni, almeno(antisper) certamente(certe) mentre(dum) recupero(repeto) tutte quelle cose antiche(tota illa prisca) con la mente, privo di ogni preoccupazione(expers omnis curae), la quale potrebbe(posset) disturbare tuttavia l'animo preoccupato di colui che scrive, sebbene(etsi) non distogliere dal vero. E non è nell'animo (est in animo) né di confermare, né di rifiutare quelle cose(ea) che(quae) prima della città fondata o da fondare, adorne più alle leggende dei poeti che alle incorrotte memorie(incorruptis monumentis) delle imprese sono affidate(traduntur). È dato questo perdono all'antichità che faccia(faciat) più solenni le origini col mescolare(miscendo; gerundio) l'umano col divino e se è opportuno(/occorre) permettere a qualche popolo(cui popolo) di consacrare le proprie origini e di riportar(le) agli dei come autori, la gloria della guerra è al popolo Romana tale(ea) [dat. poss: il popolo romano ha una gloria della guerra tale(ea)] che(ut) tramandando(cum ferat) soprattutto(potissimus) come suo genitore e del proprio fondatore Marte, ((tale che)) le genti umane sopportino con animo sereno anche questo(et hoc), tanto quanto(tam quam) sopportano un'autorità(imperium). Comunque(utcumque) saranno ritenute(erunt exstimata) ma non porrò quanto a me(equidem) in grande decisione(in magno discrimine) queste cose(haec) e simili a queste: ciascuno(quisque) di per sè(pro se) ardentemente(acriter) indirizzi(intendat) il cuore(animum) verso quelle cose(ad illa): quale la vita, quali i costumi siano stati(fuerint), attraverso quali uomini e attraverso quali arti, in pace e in guerra(domi militiaeque), l'impero sia nato e sia stato accresciuto(sit partum ed auctum); poi a poco a poco(paulatim) venendo meno la disciplina(labente disciplina) col cuore(/attenzione) si osservi(sequatur animo) come(velut) in un primo momento(primo) i costumi rilassati, poi come(ut) sempre più(magis magis) siano decaduti, allora abbiano incominciato ad andare precipitosi, finchè(donec) si è giunti a questi tempi, nei quali non possiamo sopportare né i nostri vizi né i rimedi. Ciò è quella cosa particolarmente(pracipue) salubre e fruttifera nella conoscenza delle cose, che tu capisca(te intueri) che i documenti di ogni esempio(omnis exempli) sono depositati(posita esse) in una tradizione illustre(in inlustri monumento); quindi(inde) prendi(capias; congiuntivo esortativo) per te e per il tuo stato quello da imitare(imitere), quindi ((prendi)) il cattivo nell'inizio e il cattivo nell'esito, ciò

evita(vites; congiuntivo esortativo). Del resto o l'amore dell'impresa intrapresa mi inganna(fallit me), o mai nessuno stato(unquam nulla res publica) ci fu, né maggiore, né più religioso, né più ricco di buoni esempi, nella quale nazione tanto tardive(tam seae) l'avarizia e la dissolutezza siano penetrate(immigraverint; intransitivo), né dove l'honore(honos) della povertà e della parsimonia sia stato(fuerit) tanto grande e così a lungo. A tal punto(adeo) quanto meno di ricchezze, tanto meno c'era di cupidità: da poco tempo(nuper) le ricchezze hanno introdotto(invexere; indic. perf. 3pp) l'avarizia e abbondanti piaceri, ((hanno introdotto)) il desiderio di far perire(pereundi) e di perdere ogni cosa(perdendi omnia) attraverso il lusso e la sfrenatezza(libidinem). Ma le lamentele, che non saranno(fururae, participip futuro) gradite neppure(quidem) allorquando(tum...cum) saranno forse necessarie, certamente(certe) stiano lontane(absint) dall'inizio di imbastire(ordiendae) una così grande impresa(rei): piuttosto(potius) incominceremmo(inciperemus) più lieti(libentius) con buoni auguri(cum bonis omnibus), e voti e preghiere degli dei e delle dee, se l'abitudine fosse anche a noi, come i poeti (si mos esset quoque nobis, ut poetis), affinchè ((gli dei)) dessero(darent) prosperi successi alle così grandi opere esordite. LIVIO – AD URBE CONDITA 1 Venuta di Enea in Italia; sua alleanza con Latino. Fondazione di Lavinio e nascita di Ascanio. Già prima di tutto è noto abbastanza che caduta Troia, verso i restanti Troiani furono inferociti; (ma verso) su due – Enea e Antènore – e per antico diritto di accoglienza e perché erano stati sempre fautori e della restituzione di Elena, gli Anchei rinunciarono (a) tutti i diritti di guerra; in seguito a vari eventi, Antenore con una moltitudine (gran seguito) di Eneti – che a causa di una ribellione cacciati dalla Paflagonia e perduto il (loro) re Pilemene a Troia, cercavano dimore e un re – pervenne all'interna insenatura del mare Adriatico; ed espulsi gli Euganei, che abitano tra il mare e le Alpi, gli Eneti e i Troiani ouccuparono quelle terre. E quel luogo su cui sbarcarono dapprima è chiamato Troia, e di là il territorio ha nome di Troia: tutta la popolazione è chiamata Veneta. Enea, profugo dalla patria a causa della stessa rovina ma condotto verso i maggiori inizi di eventi dal fato, dapprima in Macedonia giunse, di là passato in Sicilia ricercante una sede, dalla Sicilia con la flotta si fermò nel territorio (di) Laurente. Sbarcati qui i Troiani, ai quali a causa dell'immenso quasi errare (/viaggio), nulla, eccetto armi e navi, era rimasto (rimase), rubarono dalle campagne il bottino, il re latino e gli Aborigeni, che allora tenevano quei territori, ad allontanare la violenza degli stranieri (advenarum), armati accorsero dalle città e dalle campagne. Da ciò è duplice la leggenda. Alcuni tramandano che Latino – vinto in battaglia – formasse la pace con Enea e poi vincoli di parentela. Alcuni, quando si collocassero gli eserciti schierati (acies), e prima che suonassero gli squilli, Latino avanzasse tra i suoi primi e il capo degli stranieri invitasse per un convegno; poi venuto a conoscienza (percontatum) chi i mortali fossero, da dove o meglio (aut) per quale motivo fossero partiti dalla padria o che cosa ricercanti nelle campagne Laurentine. (avessero lasciato la patria provenuti) Dal momento che ebbe sentito che gli uomini (la massa di gente = multitudinem) erano troiani, che il comandante Enera, figlio di Anchise e Venere, arsa la patria e pofughi dalla città natale (domo), cercavano una sede e un luogo alla città che è da fondarsi (/da fondare), meravigliato per la nobiltà della gente e dell'eroe (viri) e per l'animo preparato sia alla guerra sia alla pace, offerta la destra (mano) sancì un patto (fidem) di futura amicizia. Poi stipulata un'alleanza tra i capi, tra gli eserciti fattao il saluto. Enea presso Latino fu in alloggio; in quel luogo (ibi) presso i dei penati Latino aggiunse un'alleanza domestica al pubblica (un'alleanza domestica a quella ufficiale) con la figlia offerta in matrimonio ad Enea. Questo fatto senz'altro (utique) confermò nei Troiani la speranza infine (tandem) di terminare (finiendi) il vagare (erroris) in una stabile e sicura sede. Fondano una città, Enea la chiama Lavinio dal nome della moglie. In breve tempo dal nuovo matrimonio fu anche nuova progenie maschile (figlio maschio), al quale i genitori diedero il nome di Ascanio deos penates = Penati, dèi tutelari della famiglia e dello Stato, venerati all'interno delle mura domestiche consto = essere noto, essere generalmente noto, essere evidente

LIVIO – AD URBE CONDITA 2 Guerra dei troiani e degli Aborigeni contro Turno, re dei Rotuli e Mezenzio suo alleato. Morte di Enea. In seguito Aborigeni e Troani si sono recati insieme in guerra. Turno, re dei Rotuli, al quale fu promessa Lavini prima dell'arrivo di Enea, soffrendo malvolentieri (aegre) anteposto lo straniero a sé allo stesso tempo aveva mosso guerra a Enea e a Latino. Nessuno dei due eserciti uscì lieto da quella lotta: vinti i Rotuli; i vincitori Aborigeni e Troiani persero il comandante Latino. Turno e i Rotuli, diffidanto nel potere (loro), si rifugiarono verso la fiorente potenza etrusca e del loro re Mezenzio, il quale dominando (/avendo il comando) nella allora opulenta città di Cere, già poi dall'inizio per niente lieto della fondazione (/a cauda della nascita) della nuova città e allora più che sufficiente abrebbe vigilato sui confini essendo stato pensato (ratus) che il crecere dell'impresa troiana ?????????????????????? = allora pensava che il crescere della potenza troiana fosse una minaccia eccessiva per la sicurezza dei popoli vicini, ...per niente malvolentieri congiunse le armi alleate (/proprie) con i Rotuli. Enea di fronte una minaccia (terrirem) di così grande guerra affinchè si conciliassero a sé gli animi degli Aborigeni, né soltanto sotto lo stesso governo (/autorità), ma anche tutti fossero con (lo stesso) nome, Latini entrambi i popoli chiamò; ne poi gli Aborigeni furono inferiori (cessere) ai Troiani nella devozione e nella fedeltà verso il re Enea. Fiducioso (fretus = aggettivo), dell'avvicinandosi nei siffatti animi dei due popoli nei giorni sempre più, Enea, sebbene l'Etruria aveva così tante risorse che già non solo le terre ma anche il mare per tutta la lunghezza dell'Italia dalle Alpi fino allo stretto di Sicilia colmasse con la fama del suo nome, benchè potesse respingere con le mura (della città) la battaglia, condusse le truppe nel campo da battaglia (aciem). Quindi il combattimento a favore (secundum) dei Latini, inoltre fu l'ultima delle imprese mortali di Enea. È lascito, sopra il fiume Numico, in qualunque modo egli sia chiamato è diritto e volontà divina: lo chiamano Giove indigene. LIVIO – AD URBE CONDITA 3 Ascanio fonda Alba Longa. I re Albani. Nubitore e Amulio. Non ancora maturo per il comano, Ascanio era il figlio di Enea; tuttavia quell'autorità rimase intatta a lui fino alla pubertà. Per tutto questo tempo (tantisper) sotto la reggenza muliebre – tanto forte era l'indole in Lavinia – lo Stato latino e il regno avito e paterno rimasero per il fanciullo. Per niente discuterò – chi infatti una cosa tanto antica affermerebbe con sicurezza? - che sia stato questo qui (hicine) o uno maggiore di questo dalla madre Creusa nato con Ilio incolume e da lì compagno della fuga paterna, il quale medesimo Iulio la Gente Iulia proclama capostipite del suo nome. Questo Ascanio, dovunque e da qualunque madre nato – è evidente senza dubbio generato da Enea – con la popolazione straripante e prospera di Lavinio, lasciò alla madre oppure alla matrigna la città già fiorente per quanto (ut) allora erano le cose, e opulenta, egli stesse fondò un'altra nuova sotto il monte Albano, che dalla posizione della città sul dorso è chiamata Albalonga. [porrectae= genitivo part.perf.: distesa] Tra Lavinia e la fondata colonia Alba Longa passarono circa 30 anni. Tuttavia così tanto erano cresciute le risorse, soprattutto per la vittoria sugli Etruschi, che certamente (quidem) né dopo la morte di Enea né dopo durante la reggenza muliere e (durante) gli inizi del regno del fanciullo, che non abbiano osato muovere guerra o Mezenzio e gli Etruschi o nessun'altro popolo vicino. Così la pace si era conclusa in modo che il confine tra Etruschi e Latini fosse il fiume Albula, che ora chiamano Tevere. Silvio poi regna, figlio di Acanio, per qualche caso (/causalità) nato tra le selve; egli crea Enea Silvio; egli poi Latino Silvio. Da lui create alquante colonie; chiamate “dei Prischi Latini” (//i Prischi chiamati Latini); Poi il cognome di Silvi rimase a tutti quelli che regnarono ad Alba. Da Latino Alba nato; da Alba Ati; da Ati Capi; da Capi Capeto, da Capeto Tiberino, il quale nella traversata dell'Albula, affondato nell'acqua (annegato), diede al fiume il nome famoso ai posteri. Quindi Agrippa, figlio di Tiberino, dopo Agrippa regnò Romolo Silvio, ereditato il potere dal padre. Colpito egli da un fulmine, il regno passò di mano in mano (per manus) ad Aventino. Egli sepolto in quel colle che ora è parte dell'Urbe Romana, fece il nome del colle. Poi regnò Proca. Egli generò Numitore e Amulio; a Numitore, che era il più grande della stirpe, lascia in eredità ( legat) l'antico regno della gente Silvia. Tuttavia potè più la violenza che la volontà del padre o il

respetto dell'età: scacciato il fratello, Amulio regnò. Aggiunse scelleratezza alla scelleratezza: uccise la stirpe maschile del fratello, alla figlia del fratello, Rea Silvia, la nominò Vestale con il fine specioso di onorarla, con la perpetua verginità tolse la speranza di prole. LIVIO – AB URBE CONDITA 4 Nascita di Romolo e Remo; leggenda della lupa; l'adolescenza dei gemelli. Ma era dovuta, come credo, ai fati l'origine di una così grande città e l'inizio (principium) di un impero che fu il più grande dopo la potenza degli dei. La vestale, stuprata con la forza, diede alla luce (edidisset) con il parto dei gemelli, o pensando (ratus) così o perchè un dio autore (/era) rendeva più onesta la colpa, proclama Marte padre dell'illegittima prole. Ma né gli dei né gli uomini salvano o lei stessa o la prole dalla crudeltà regia: la sacerdotessa messa in ceppi (vincta) è consegnata in carcere, comanda (sogg= il re) di abbandonare (/che sono abbandonati) i bambini nell'acqua fluente (/nel fiume). Per un qualche caso divinamente il Tevere straripato sopra la riva con un tranquillo stagno ne era possibile accedere in qualche luogo (usquam) al corso del fiume (cursum) di giusto; dava ai trasportatori la speranza che i bambini potessero essere sommersi per quanto è possibile ( quamvis) dalla placida acqua. Così adempiuti (/sicuri di aver adempiuto) al comando del re, nella più vicina pozza, dove ora è il fico Ruminale – che risultavano chiamare Romulare - esposero i neonati. Allora in quei luoghi c'erano smisurate solitudini. Resiste la fama che, dopo che la debole acqua avesse lasciato la fluttuante pozza in secco, nella quale erano abbandonati i bambini, una lupa assetata (/avente sete) dai monti che sono tutt'intorno ( circa), cambiò il percoso verso il puerile vagito; essa a tal punto mite offrì ai bambini le modeste mammelle che il guardiano del gregge reale trovò (lei) leccante con i lingua i bambini – si racconta fosse Fastulo il nome – da lui dati alla moglie Larenzia da educare presso le stalle. Ci sono quelli che pensano che Larenzia era stata chiamata lupa tra i pastori essendo stato prostituito il corpo; da lì l'origine (locum) fissata alla leggenda e al miracolo. Così generati e così educati, dapprima crebbe l'età, non pigri (segnes) nelle stalle o verso il gregge, erravano a cacciare per i boschi. Quindi con assunta forza nel corpo e nell'spirito, già non soltanto bestie assalivano(subsistere?) ma verso ladroni carichi con preda compirono attacchi (impetus facere), e divisero i bottini con i pastori, con questa comitiva (grege), crescente di giorno in giorno (in dies), praticavano le occupazioni dei giovani e gli svaghi. ratus = agg. Part. Perf. ma significa decisa/credendo/pensando LIVIO – AB URBE CONDITA 5 Ora in quel tempo raccontano (ferunt) ci fosse qeusta festa lupercale sul Monte Palatino, e da Pallanteo – città arcadica – il monte ebbe il nome Pallanzio, e poi Palatino. Lì Evandro, il quale, da quella stirpe di Arcadi, già da molte epoche indietro avesse occupato i luoghi, avesse istituito (instituisse) la festa solenne (sollemne), portata (allatum) dall'Arcadia in cui giovani nudi venerando Pan Liceo corressero con giochi e dissolutezza, che i Romani poi chiamarono Inuo. (Tramandano che; ferunt sottointeso) i ladroni per la rabbia del bottino perduto abbiano attaccato (insidiatos esse) i dediti a questa festa solenne, essendo stata conosciuta la festa; che essi abbiano catturato(cepisse) Remo, essendosi difeso Romolo con la forza, che abbiano condotto(tradidisse) prigioniero a re Amulio, per giunta accusandolo. Soprattutto Imputavano a crimine, che un attacco fosse fatto da loro nei campi di Nubitore. Lì loro, messo insieme un gruppo di giovani, prendessero(agere) in maniera ostile le prede. Così Remo fu consegnato per pena di Nubitore. [comp. di fine] Già dall'inizio, Faustolo aveva avuto speranze che stirpe regia fosse educata presso se; infatti egli sapeva che gli infanti erano stati esposti(expositos esse) per ordine del re e il tempo che egli avesse allevato loro(/li aveva allevati; per consecutio temporum), era congruente(congruere) con quello stesso ((tempo)); ma non aveva voluto che fosse scoperta(aperiri) la cosa prematura se non o per occasione o per necessità. La necessità venne prima tra le due (prior): così, vinto dal timore, confessò a Romolo il fatto. La memoria dei nipoti aveva toccato l'animo casualmente(forte) anche(et) a Numitore, avendo in custodia Remo e avendo sentito che erano fratelli gemelli, col comparare sia l'età sia la stessa indole per niente servile; e col indagare giunse a ciò(eodem) che non lontano fosse che riconoscesse Remo in

verità(quin). E con l'indagare su lui giunse così non lontano dal riconoscere chi Remo fosse (//riconoscesse). (/mancò poco che non riconoscesse chi Remo fosse). Così da ogni dove intrigo era tramato al re. Romolo, non con un drappello(globo) di giovani – infatti non era pari per mezzo della forza aperta – ma comandati altri pastori (iussis aliis pastoribus) per un'altra strada, in un tempo stabilito di venire verso la reggia, fece un attacco verso il re. E dalla casa di Numitore, con un'altra banda, Remo (lo) sostiene. Così fa a pezzi il re....


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