Lo specifico del Dottor Menghi PDF

Title Lo specifico del Dottor Menghi
Course Letteratura italiana
Institution Università del Salento
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LO SPECIFICO DEL DOTTOR MENGHI Lo Specifico del Dottor Menghi è un racconto di Italo Svevo risalente al 1904. Si apre con la descrizione della scena iniziale enunciata da un narratore esterno: un’assemblea di scienziati riunitasi per la discussione di nuove scoperte. In punto di morte, il Dottor Menghi chiese al Dottor Galli di leggere la sua memoria alla comunità scientifica: non si tratta di un testo letterario ma di un verbale scientifico. Menghi raccontò la sua scoperta tramite l’esposizione degli esperimenti fatti, senza però fornire gli elementi minimi necessari alla loro riproduzione. Era cosciente di risultare inaffidabile anche a causa del precedente fiasco, l’“Alcole Menghi”, che esaltò con “precipitazione giovanile” e che fu causa di discordia con il Dottor Clementi. L’inattendibilità fu studiata perciò finta. Cercò di darsi credibilità tramite fattori emotivi: scelse i destinatari non per la capacità di riprodurre un esperimento ma per la sensibilità di riconoscere l’autenticità delle parole in assenza di prove inconfutabili. Il Dottor Menghi assunse il punto di vista del suo rivale che definì l’Alcole “una corsa pazza alla vecchiaia”, sostenne però che nonostante abbreviasse la vita, esso la intensificasse. Dalla memoria emerse che Clementi aiutò Menghi ad elaborare la teoria che rese non pubblicabile la scoperta: propose una gerarchia degli approcci cognitivi composta dalla stimolazione mentale data dalle parole, dal lavoro intellettivo volto a immaginare la teoria e dalla sperimentazione del formulato. Menghi attribuì i meriti al Dottor Clementi.

La veridicità dell’elogio è però messa in dubbio: il lettore fu Clementi e, possibilmente, fu l’autore della lode. È poi definito “medico capacissimo”, altro encomio dubbio per la seguente espressione “veh” tipica del parlato. Il Dottor Menghi giudicò implicitamente la morale degli altri scienziati considerandoli inabili a cogliere la causa della sua rinuncia alla fama: non pubblicò la scoperta sia per etica, sia per una promessa fatta alla madre. La madre, unico personaggio femminile del racconto, svolse un ruolo vitale, poiché impedì la divulgazione di quello che valutava un “nuovo flagello” come il primo siero. Sebbene il racconto fosse anteriore all’influenza freudiana sulla vita di Svevo, all’esclusiva figura femminile della madre si può ricondurre il complesso di Edipo; ciò è avvalorato anche dalla sua esaltazione a cui fa contrasto la denigrazione del padre. Benché fosse un documentario scientifico, egli compì una digressione presentando il suo quadro familiare: il padre era un uomo di scarsa moralità a causa di vizi legati alle donne, al gioco e al bere; la madre una donna intelligente, dedita alla casa, attenta agli affari, disposta ad aiutare e istruire il figlio. Tra i suoi insegnamenti vi era il dover trasformare ogni pensiero in atto, conseguenza fu la precipitazione giovanile che portò l’uomo a comunicazioni precoci ed esiti nefasti come l’Alcole Menghi, dopo cui fu necessario un sussidio da parte della madre. Altra ombra caratteriale di Menghi era il suo essere un sognatore: non compiva le azioni ma le sognava. Il secondo siero, chiamato “Annina” in onore della madre, fu sperimentato prima su un cane e poi su due conigli. Quando il cane morì a causa del siero, la donna ebbe un sentimento di dolore che esaltò l’incongruenza degli interessi tra madre e figlio.

Il dottore la tranquillizzò affermando che la morte era stata prevista: non voleva ammettere l’errore o voleva placare il turbato animo della madre. Ciò portò a considerare l’Annina un “veleno di una potenza incomparabile”. Altra cavia fu un coniglio, a cui il siero fu somministrato in piccole dosi per alcuni giorni, dal cui corpo il dottore prelevò il sangue, considerato il siero ultimato, che iniettò in un secondo coniglio. Il Dottor Menghi osservò gli effetti sulla “povera bestiola”, così chiamata dalla madre aspettandosi la morte, che pareva “sepolta nel suo corpo”: non mangiava per ore, non reagiva con vitalità ma non morì. La gioia della madre fece da contraltare allo sconforto del figlio. Dove lo avrebbero portato gli esperimenti sugli animali? Voleva mutare la funzione vitale, non solo il fisico. Pensò di testare una dose maggiore di Annina su di sé e, con la solita impazienza, immaginò gli effetti prima di subirli. Li annotò su un foglio; l’autenticità dei suoi appunti è dubbia: descrisse i veri effetti o quelli sognati poco prima? Una parola mormorata dal dottore espresse l’esito del test: “Colasso”. Il termine medico non riusciva però ad esplicare appieno le sensazioni che provava: nuova critica mossa alla scienza. Svevo impostò problematicamente il dibattito tra arte e scienza, centrale tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900: si riteneva l’arte subordinata alla scienza che le imponeva modelli comportamentali. Letterati come Pirandello e Leopardi esaltarono l’arte in quanto, contrariamente alla scienza che annichiliva i sentimenti, essa li esternava ed era la chiave di interpretazione della realtà.

Le previsioni del dottore si avverarono e ne fu euforico: gli effetti non erano solo scientificamente previsti ma anche emotivamente voluti. Il Dottor Menghi fu colpito da una violenta crisi che si tramutò poi in una calma che gli impedì, tra le altre cose, di scrivere. Agiva solo se lo voleva. Il dubbio è se gli appunti venissero presi nello stesso tempo o in seguito all’esperimento, in quanto è ambiguo il fatto che terminò di scrivere nell’istante esatto in cui Clementi entrò nella sua stanza: lo fece entrare appena finì la stesura pur avendolo sentito bussare o non lo sentì e fu un sincronismo? Tormentato dall’idea di dover misurare i sensi, mantenne sempre il suo lavoro sul piano mentale. L’Annina aumentò l’intensità della sua percezione delle cose, importante sia per la scienza per cui basilare è l’osservazione attenta dei fenomeni, sia per l’arte con cui si rende “parlante” la realtà. Mediante un intenso sguardo Menghi trasformò l’oggetto osservato, trascurandone la reale utilità, in una fonte di emozione estetica: agì come un contemplatore. L’Annina fu un alibi per non essersi curato delle critiche condizioni di salute della madre, sulla quale sperimentò il siero non perché fosse addolorato ma perché sperava di aver successo. Realizzò di essere decaduto moralmente e perciò di essere un “delinquente”. La madre acconsentì al volere del figlio: lo considerava un genio e si offrì come sacrificio per il progresso umano o lo credeva pazzo e, tristemente, non riusciva ad opporvisi? Il dottore recuperò i sentimenti che l’Annina aveva velato e temette una crisi che avrebbe fatto scoppiare il cuore della madre

o un rallentamento che non avrebbe fatto rimarginare la sua ferita. Scrisse, creandosi un nuovo alibi, per attenuare la sua coscienza. La madre che si sottrasse all’affetto del figlio avendo perduto i sentimenti a causa del siero, rimanda al padre di Zeno nella “Coscienza di Zeno” il cui ultimo gesto fu uno schiaffo. Menghi, privato dell’estremo segno d’affetto dalla persona a lui più cara, soffrì; prima, sotto l’effetto dell’Annina, simulava afflizione. “M’hai sepolta viva” disse la madre conscia di stare per morire e di essere stata un sacrificio vano. Enunciò un testamento spirituale, che il dottore disse prima di ricordare letteralmente e poi di aver interpretato, in cui chiedeva al figlio di giurare che non avrebbe mai più testato il suo siero su alcuna creatura. Così fece, distrusse l’Annina. Terminata la memoria, il Dottor Clementi schernì Menghi definendolo un pazzo che inventò il nulla; probabilmente si appropriò della sua scoperta in attesa di pubblicarla a suo nome dopo la morte dei testimoni della lettura. L’ipotesi è che fu Clementi a scoprire l’equilibrio farmacologico perfetto tra l’Alcole e l’Annina senza però divulgarlo. Tesi a favore è che quando Menghi era in vita, egli era già anziano: avrebbe dovuto essere morto, ma era ancora scaltro come un giovane. Fu l’Annina a renderlo egoista e non più buono tanto da condividere la sua scoperta?...


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