Lucano Pharsalia libro VII PDF

Title Lucano Pharsalia libro VII
Course Semiotica
Institution Università degli Studi di Palermo
Pages 12
File Size 130.5 KB
File Type PDF
Total Downloads 73
Total Views 148

Summary

Traduzione testo Pharsalia (Lucano, libro VII) dal v.1 al v.213...


Description

LUCANO BELLUM CIVILE (PHARSALIA), LIBRO VII Il Titano luttuoso, il quale la legge eterna definiva più vecchio dell’Oceano, mai condusse i cavalli contro l’etere, inverti’ il corso mentre il cielo lo rapiva, e sconfitto si volse a patire e, rapite le fatiche della luce, e attrasse le nubi, non gli alimenti alle fiamme V.5

ma non per illuminare splendente nella città di Tessaglia. Ma la notte, ultima parte di vita felice per il Grande (Pompeo), ingannò con una falsa visione, il suo sonno inquieto. Infatti a lui gli sembrò di vedere nella sede del teatro di Pompeo un’immagine innumerevole della plebe romana V.10

e che fosse elevato il proprio nome con voci liete verso le stelle e di gareggiare facendo risuonare di applausi le gradinate; quale era lo sguardo e il clamore del popolo entusiasta, come quando (cum), un tempo (olim) da giovane, nell’età del primo trionfo, dopo le genti sottomesse, le quali l’Ebro impetuoso circonda, V.15

e il fuggiasco Sertorio sollecitò qualunque arma, pacificato l’Occidente sedette ancora sul carro quale cavaliere romano ugualmente venerabile nella toga semplice e splendente, mentre il senato applaudiva: sia che alla fine delle cose propizie (la mente)

ritornasse ai tempi lieti, (=la mente) ansiosa di ciò che verrà, V.20

sia che la quiete attraverso le solite ambiguità, avendo vaticinato -le cose- contrarie (a quelle) che apparivano, portasse presagi (omina) di un grande lamento, sia che la fortuna con il divieto di rivedere per te oltre le sedi della patria ti avesse dato cosi’ Roma. Non interrompete i sogni o sentinelle degli accampamenti, nessuna tromba colpisca le (sue) orecchie. V.25

La quiete di domani, triste e crudele per l’immagine del giorno, porterà dovunque schiere funeste, dovunque guerra. Da dove porteresti, ai popoli, sogni e notte tranquilla? Oh felice, se la tua Roma vedesse te anche cosi’ (cioè in sogno). Avessero donato i celesti, o Grande (Pompeo), alla patria e a te V.30

un solo giorno, nel quale entrambi certi del fato potreste gustare (rapeo) il frutto estremo di un amore tanto grande. Tu vai, come se dovessi morire nella città ausonia, quella, conscia? Sempre su di te del voto pensato non pensò mai che rimanesse fisso un tale crimine del fato (hoc scelus fatis), V.35

perdere cosi’ anche la tomba del prediletto Grande. (Trovandosi) in un lutto misto, il giovane, e il vecchio e il fanciullo spontaneamente (iniussus) per piangere te (flesset te);

Il popolo delle donne con la chioma disciolta avrebbe lacerato il petto come al funerale di Bruto. Anche ora piangeranno, sebbene temano i dardi (tela) dell’iniquo vincitore, V.40

E sebbene Cesare in persona annunzi la tua morte, ma nel frattempo portano incensi, nel frattempo corone d’alloro tonanti. Oh sventurati, dei quali i gemiti consumarono i dolori, i quali non ti piansero insieme nel teatro pieno. Il sole aveva vinto le stelle, la folla dell’accampamento fremette con un mormorio misto, V.45

e mentre (cum) i destini travolgevano il mondo e chiese il segnale della lotta. Proprio la massima parte della folla sventurata che non avrebbe visto il giorno completo, domanda attorno alle tende del capo, e accesa da -grande- tumulto muove le ore che si affrettano della morte vicina. V.50

(La) invade un sinistro furore; ognuno desidera precipitare i destini propri e pubblici; Pompeo è chiamato, e pavido, e troppo paziente con il suocero, e indulgente con il regno del mondo, il quale voleva ottenere ogni luogo tutto insieme della popolazione e temeva la pace IURIS SUI V.55

Anche i re e i popoli orientali lamentano che si prolunghi la guerra, e che (essi) sono tenuti lontano dalla patria e dalla terra.

Ciò piace (a voi), oh celesti, con voi è stato proposto di mutare tutte le cose, di aggiungere ai nostri errori un crimine? Ci precipitiamo nella rovina e chiediamo che saranno nocive le armi: V.60

nel campo pompeiano sono state votate le battaglie (le cose) di Farsalo. Tullio, massimo rappresentante dell’eloquenza romana, sotto la legge e la toga (*magistratura civile) della quale il crudele Catilina temette le scure pacificazioni, riferi’ la voce di tutti, irritato per la guerra, desiderando i rostri e il foro, V.65

avendo sopportato da soldato silenzi tanto lunghi; l’eloquenza aggiunse forza a una debole causa: Oh Grande, per tutti i meriti, solo ciò ti chiede la Fortuna, che la desideri, (noi) cittadini e re dei tuoi accampamenti ti preghiamo, raccolti insieme con il mondo in preghiera, V.70

permettici di vincere il suocero. Per un tempo cosi’ lungo, Cesare sarà –causa- di guerra del genere umano? A causa di genti sottomesse in modo celere (da te), è indegno che Pompeo vinca a ragione lentamente. Dove è andato il tuo fervore o dove la fiducia nel fato? V.75

Riguardo ai celesti, oh ingrato, temi e dubiti di affidare agli dei la causa del senato? Le schiere in persona distruggeranno le tue insegne

e balzeranno: tu costretto ti vergognerai di aver vinto. Se tu sei comandante per diritto, se le guerre sono portate da noi, sia (nostro) diritto concorrere in qualunque campo noi vogliamo. V.80

Perché allontani le spade del mondo dal sangue di Cesare? I dardi vibrano le mani, ognuno a stento (vix) aspetta i segnali che ritardano: affrettati, affinchè le tue trombe non lascino te. Il senato desidera sapere, oh Grande, se deve seguirti come soldato o come corteggio. Il condottiero gemette e senti’ che c’erano V. 85

gli inganni degli dei e i fati contrari alla sua intenzione. “Se ciò piace a tutti”, disse, se il tempo richiede Pompeo come soldato e non come comandante, non ostacolerò oltre i fati. La Fortuna travolga i popoli in una sola rovina, e sia questa l’ultima luce (=del giorno) per una gran parte degli uomini. V.90

Ti testimonio, oh Roma, che Pompeo (Magnum) tuttavia ha accolto il giorno, nel quale tutte le cose periranno. La fatica (labor) della guerra poteva concludersi per te con una ferita nulla, potevo ridurre (cedere?) alla pace violata il condottiero sottomesso e prigioniero senza strage. Quale rabbia di delitti, o ciechi? V.95

Coloro che stanno per portare le guerre civili, temono che vincano

senza spargimento di sangue. Abbiamo sottratto terre (al nemico), le abbiamo ricacciate da tutto il mare, abbiamo spinto le schiere affamate (agmina ieiuna) alle rapine premature delle messi, e abbiamo fatto voto al nemico di preferire morire con spade e mescolare la morte loro alle nostre. V.100

Gran parte della guerra è compiuta, per coloro i quali, è stato fatto in modo che la recluta non temesse la battaglia; Se soltanto chiedono i segnali per gli stimoli della virtù e per il fuoco dell’ira. Proprio il timore del male, che sta per venire, inviò molti ai pericoli sommi. E’ fortissimo quello che V.105

è disposto a sopportare ciò che deve essere temuto, se si presentano da vicino, e può differirlo. E’ piacevole tramandare alla Fortuna queste situazioni tanto prospere, e consentire alla spada la decisione del mondo; preferiscono che il comandante combatta anziché vincere. Oh Fortuna, avevi concesso a me le cose romane da reggere (avevi concesso che io reggessi le cose romane): V.110

Accoglile più grandi e proteggile nella cieca battaglia. La guerra non sarà per Pompeo né crimine, né gloria. Oh Cesare, per iniqui voti tu vinci me presso i celesti: si combatte. Quanti delitti, e quanti mali porterà questa luce nei popoli! Quanti regni saranno abbattuti! V.115

L’Enipeo scorrerà come torbido con il sangue romano! Vorrei che la prima lancia della guerra funesta colpisca questo capo, se –esso- potesse precipitare senza il moto delle cose e (senza) la rovina del partito; Infatti nessuna vittoria è più lieta per il Grande. Ora (hodie), consumata questa strage, il nome di Pompeo V.120

o sarà inviso ai popoli o commiserato. Una volta vinti (avrò) ogni male, che la sorte estrema delle cose porterà, sarà propria del vincitore ogni nefandezza. Cosi’ parla e ai popoli consente le armi e allenta le briglie a coloro che sono furenti -a causa- dell’ira, e come il marinaio, vinto dal coro violento, V.125

affida ai venti il governo e, ignavo, abbandonata la tecnica, trascina il peso della nave. Gli accampamenti fremono confusi in un trepido tumulto, e pulsano gli animi feroci con battiti incerti nei propri petti. Sul viso di molti, il pallore della morte che sta per venire, e il (loro) aspetto in un destino molto simile. V.130

E’ noto a tutti (Palam est) che è arrivato il giorno che fisserà/stabilirà nel tempo la sorte negli eventi umani, e che sia da cercare cosa ne sarà di Roma in quella battaglia. Ciascuno ignora i propri pericoli, attonito per un timore più grande. Chi temerebbe per se stesso, vedendo le coste inondate dal mare, chi il mare (le acque?) sulla sommità dei monti V.135

e l’etere precipitato con il sole sulle terre, e la fine che imperversa di tutte le cose? Non si ha il tempo di sopportare per sé altro timore: si teme per la città e per il Grande. Né ebbero fiducia nelle spade, se la punta aspra non si infiamma sulle rocce; allora ciascuna lancia viene eretta su un sasso, V.140

tendono con nervi migliori gli archi, ci fu cura a riempire le faretre con frecce scelte. Il cavaliere rafforza gli sproni e stringe le briglie dei morsi. Se è lecito paragonare le fatiche degli uomini a –quelle- dei celesti, non diversamente, sollevando Flegra (penisola di Pallene) i rabbiosi giganti, V.145

la spada di Marte si arroventò sulle incudini siciliane, e arrossi’ di nuovo tra le fiamme il tridente Nettuno, e Pean ricostrui’ i dardi, essendo stato abbattuto Pitone, Pallade sparse sull’Egida i capelli delle Gorgoni, il Ciclope rinnovò per Giove i fulmini di Pallene. V.150

Tuttavia, la Fortuna non si astenne dal rivelare attraverso vari segni le sventure in procinto di giungere. Infatti, mentre si stavano dirigendo verso i campi tessalici, tutto l’etere si oppose a coloro che venivano (e le folgori frantumarono le nubi davanti agli occhi degli uomini), e riversò (su di essi) fiaccole rivolte e colonne con un immenso fuoco, V.155

e tifoni avidi di acque miste a travi, e chiuse gli occhi con una folgore scagliata contro; strappò le creste dagli elmi, fuse le spade bagnò le impugnature, e liquefece i dardi eretti, il ferro nocivo fumò per lo zolfo dell’etere. V.160

Le insegne furono coperte da uno sciame innumerevole; e sollevate a fatica dal suolo, a causa del peso maggiore bagnarono il capo asciutto all’alfiere, inondandolo il pianto e le insegne pubbliche e romane fino alla Tessaglia. Il toro offerto ai celesti fuggi’ dall’altare rovesciato, V. 165

E si gettò a testa in giù nei campi d’Emazia, e non fu trovata alcuna vittima per i sacrifici funesti. Ma tu, o Cesare, quali divinità tra quelle scellerate e quali Eumenidi hai invocato benevolmente? Quali numi del regno stigio, (quale) empietà infernale, e furie immerse nella notte, V.170

sacrificasti tanto crudelmente da portare empie guerre? Ormai è incerto se essi abbiano creduto o grazie ai prodigi degli dei O a causa del timore eccessivo: a molti sembrò che il Pindo si scontrasse con l’Olimpo e che l’Emo (monte della Tessaglia) fosse sprofondato nelle valli sommerse,

che emettesse da Farsalo notturne grida di guerra, V.175

e che il sangue scorresse rapido attraverso –la palude- Bebeide, presso l’Ossa (monte); ammirano volti coperti con tenebre vicendevolmente, il giorno impallidire e la notte incombere sugli elmi, e i padri defunti e le ombre di un consanguineo adiacente, volteggiare davanti ai propri occhi. Ma, unico conforto V. 180

per le menti, era questo, il fatto che la folla partecipe dell’empio voto, la quale sperava le gole dei padri, la quale i petti dei fratelli gioisce dei prodigi e dei turbamenti dell’animo, e pensa che i deliri improvvisi siano un presagio dei crimini. Quale meraviglia, che i popoli, i quali la luce estrema attendeva V.185

trepidassero di un timore frenetico, se all’uomo è data una mente premonitrice dei mali? Il Romano, che risiede straniero nella Tiria Cadice, o beve l’armenio Arasse, in qualunque giorno, e in qualunque costellazione del mondo, si angoscia e ignora le cause, e accusa l’animo dolente, V.190

inconsapevole di ciò che perde nei campi di Emazia. (Se è vera la fiducia in coloro che ricordano), un augure che siede sul colle Euganeo, dove l’Apono sgorga fumoso dalle terre,

e l’onda del Timavo di Antenore si disperde, disse: “Giunge il sommo giorno, si affrontano le cose supreme, V.195

si scontrano le empie armi di Pompeo e Cesare”; sia che i presagi indicarono i tuoni e i dardi di Giove, sia che percepi’ l’etere completamente, e i poli fermarsi davanti al cielo discorde, sia che un nume affranto nel cielo gli indicò la battaglia nell’oscuro pallore del sole. V.200

Certamente la natura condusse il giorno tessalico, diverso da tutti gli altri i quali porta a termine; se la mente degli uomini, insieme a un augure esperto, avesse notato i segni nuovi del cielo, Farsalo avrebbe potuto essere vista da tutto il mondo. Oh sommi degli uomini, dei quali la Fortuna V.205

Ha concesso segni, attraverso il mondo, dei quali ogni cielo ha accolto i destini! Quando si leggerà delle guerre presso le genti future e i popoli dei nipoti, o giungano queste nei secoli soltanto per la propria fama, oppure la cura per la mia fatica possa giovare in qualcosa ai grandi nomi, V.210

e susciteranno speranze e timori e voti destinati a perdersi, e tutti li leggeranno attoniti come destini che stanno per giungere, non trascorsi, e ancora parteggeranno per te, oh Magno. V.213...


Similar Free PDFs