Madama Butterfly - Julian Budden PDF

Title Madama Butterfly - Julian Budden
Course Storia Moderna
Institution Università degli Studi di Padova
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Summary

il libro mira a dare delle informazioni relative alla composizione di Madama Butterfly di Giacomo Puccini, descrivendo la genesi del personaggio a seguito dell'adozione del dramma ideato da David Belasco....


Description

Madama Butterfly Julian Budden Un ruolo importante per l’elaborazione dei drammi pucciniani è da attribuire alla sua residenza a Torre del Lago. È in questo contesto che il compositore concepisce i suoi capolavori, a iniziare da Tosca per concludere con l’estensione di Madama Butterfly. Dopo la morte di Puccini la villa è stata trasformata in un museo, diventando così di attrazione turistica. All’inizio del Novecento Puccini fu in grado di trasferirsi insieme alla sua famiglia in questa che sarà la sua casa per i successivi 20 anni. Nel frattempo, aveva l’abitudine di assistere a importanti riprese del suo ultimo lavoro, che furono poi fortemente criticati (era Il 20 febbraio 1900 e il compositore esordì con “Tosca ” a Torino); diverso e più acclamato fu la seconda esibizione di Tosca, tenutasi a Milano con la direzione di Toscanini. L’esecuzione fu elogiata senza riserve, ma non l’opera. Puccini ebbe modo di entrare in contatto, e poi in confidenza, con il poeta Gabriele D’Annunzio a seguito delle frequenti “fughe” dal contesto familiare con una giovane donna, Corinna. Nel 1894 D’Annunzio sembra coinvolgere Puccini a una possibile collaborazione, per tramite di Carlo Clausetti, ma, anche se Puccini si era dichiarato felicissimo all’idea, il progetto naufragò per le eccessive pretese di D’Annunzio. Tra i progetti proposti da Illica,solo uno stava cominciando a prendere forma nella mente del compositore: TARTARIN DE TARASCON di Daudet, le avventure comiche di un sognatore provenzale di mezza età. Illica era d’accordo e si limitava a far rilevare i pericoli di una somiglianza troppo stringente con il FALSTAFF di Verdi. Abbozzò lo scenario di un prologo e di un primo atto e lo sottopose all’approvazione di Ricordi. L’entusiasmo di Puccini fu frenato quando la notizia del suo progetto trapelò sulla stampa. Ma Illica e Ricordi insistevano per TARTARIN, e di lì a poco l’immaginazione di Puccini si lasciò completamente prendere dalle opportunità visuali della vicenda. Tutto questo alla vigilia della partenza per Londra, dove avrebbe visto un dramma che doveva dirottare i suoi pensieri in tutt’altra direzione. L’occasione per la seconda visita in Inghilterra fu la prima di Tosca al Covent Garden, il 12 luglio 1900; il direttore era Luigi Mancinelli. Fu un “trionfo completo” come riferì Puccini. E in effetti lo era stato. George Maxwell, il rappresentante di Ricordi a NY, trattò subito per una rappresentazione alla Metropolitan Opera House che ebbe luogo l’anno successivo con lo stesso direttore e lo stesso cast. Più feconda fu la visita al Duke of York’s Theatre, dove si davano due atti unici: Miss Hobbs di Jerome K. Jerome e Madame Butterfly di David Belasco. Anni dopo quest’ultimo ricordava come, alla fine dello spettacolo, Puccini si fosse precipitato nel suo camerino e gli avesse chiesto con insistenza di poter avere i diritti per trarre un’opera dal suo dramma. Questione a cui Belasco rispose con decisa affermazione. Puccini in una lettera descrisse il dramma come “una cosa bellissima ma non per l’Italia.” Al momento si trattava di una probabilità tra tante. Per TARTARIN c’erano delle difficoltà che non si sarebbero risolte fino al 1906. Il risultato fu che Puccini tornò a Torre del Lago all’inizio di agosto come “ un operaio disoccupato”, non avendo ricevuto niente né da Illica né da Giacosa. Già nel 1897 Illica gli aveva proposto di fare un’opera su Maria Antonietta, e il compositore aveva preso in seria considerazione la proposta. Ora pensava di tornare a quel progetto, con l’unica riserva del “troppo vecchio e sfruttato colore” della Rivoluzione. Comunque, da Bruxelles scrisse a Illica, mandandogli un opuscolo che riguardava la regina francese, esortandolo a inserire, per creare un contrasto col “regal tipo”, una “rivoluzionaria” che intendeva assegnare alla voce di contralto. Al ritorno da Bologna, Puccini passò in rassegna un certo numero di soggetti che erano

stati proposti. Alla fine di marzo era giunta dall’America la notizia che M. Butterfly era a disposizione e, anche se il contratto con Belasco non sarà firmato fino a settembre, Puccini potè affidare a Illica il compito di stendere uno scenario. Belasco nacque a San Francisco nel 1853 da genitori ebrei portoghesi. Educato in un monastero cattolico, a 18 anni si unì a una troupe teatrale riuscendo in breve tempo a farsi un nome come autore, drammaturgo e impresario. La sua specialità stava nella creazione di effetti pittorici sensazionali che otteneva attraverso ingegnose variazioni delle luci di scena. L’effetto da lui preferito è usato in Madame Butterfly: un passaggio di quattordici minuti dal crepuscolo all’alba, durante il quale non si dice una parola. Puccini non conosceva l’inglese, ma uno stimolo visivo era importante per lui: la produzione naturalistica di Belasco ce n’era abbastanza per attirare il suo interesse anche soltanto attraverso gli occhi. Il dramma è basato su un racconto di John Luther Long, un avvocato di Filadelfia, apparso sul periodico “Century Magazine” nel 1897. Un ufficiale della Marina degli USA, la cui nave ha fatto scalo nel porto di Nagasaki, sposa una giovane geisha secondo la legge giapponese, poi la lascia con la promessa di ritornare “quando i pettirossi avrebbero rifatto il nido”. Ma quando ritorna, ed è in compagnia di una moglie americana, chiede di avere il figlio che è nato nel frattempo. la geisha tenta di fare hara-kiri, ma la sua domestica fascia la ferita e l’ufficiale, arrivando, trova vuota la loro casa coniugale. Il suo immediato precedente è Madame Chrysanthème di Pierre Loti, come è evidente dal titolo, dal luogo in cui si svolge la vicenda e dalla professione del protagonista maschile. L’interesse occidentale per tutto quanto c’era di orientale era cresciuto costantemente dalla metà dell’800 (esotismo = peculiarità impressionista). In quest’epoca ormai gli scritti di Lefcadio Hearn, un giapponese naturalizzato, avevano fatto diffondere la conoscenza della cultura nazionale. Ma fu Madame Chrysanthème che fissò l’immagine giapponese negli anni a venire. Si tratta di un romanzo autobiografico che Loti aveva tenuto durante il servizio come ufficiale della Marina francese. Anche lui aveva sposato una “moglie” locale per il tempo della sua permanenza nel porto, con la clausola che il matrimonio sarebbe stato sciolto dopo un mese di abbandono da parte dell’uno o dell’altra. Incantato dalla bellezza del paese e dalla singolarità dei suoi riti, non guarda di buon occhio i suoi abitanti. Per lui sono una razza di scimmie, perfino insetti, con menti impenetrabili per un occidentale. Chrysanthème stessa non è diversa: lo scrittore la paragona a una gattina, la sua conversazione assolutamente lo infastidisce. Quando torna alla loro casa per darle l’ultimo addio, si sente sollevato nel ritrovarla intenta a martellare le monete che lui ha lasciato per saggiarne l’autenticità. La vicenda di Loti è reinterpretata in modo tale da fare apparire il narratore stupido, insensibile e codardo. È significativo il fatto che Andrè Messager e i suoi librettisti abbiano ritenuto opportuno, per la loro opéra comique Madame Chrysanthème, aggiungere un epilogo in cui l’ufficiale riceve una lettera commovente dalla geisha abbandonata ed è giustamente tormentato dal rimorso. Il racconto di Long può essere visto come una risposta a quello di Loti. Diversamente da Chrisanthème, Butterfly è una creatura in carne ed ossa, ma condivide con il personaggio precedente atteggiamenti bamboleggianti, espressi con un cinguettio primitivo, reso foneticamente, che non ha nessuna relazione con l’inglese come viene pronunciato da un giapponese. Ma questa caratteristica sarà mantenuta dal dramma di Belasco, insieme a gran parte del dialogo di Long. Il dramma inizia con B. che è già stata abbandonata ed è già madre di un figlio (anzi, una figlia femmina, mentre in Long si trattava di un maschio). Da questo punto in avanti l’azione procede come nel racconto, con due differenze soltanto. Long aveva collocato l’incontro con B. e Kate nella sede del Consolato americano, Belasco fa svolgere tutta l’azione nella casa di B, e la sua eroina riesce ad attenuare i suoi propositi suicidi. Puccini all’inizio di marzo aveva ricevuto una copia e l’aveva mandata a Illica con l’indicazione di trasmettere poi le sue impressioni a Ricordi. L’editore era stato scettico su questo progetto fin dall’inizio, e Illica fece del suo meglio per fargli cambiare opinione. Perfino i personaggi secondari cominciavano a infiammare

la sua immaginazione. Illica propose di dividere il seguito dell’azione, dopo la partenza di Pinkerton, in tre scene e di ambientare la seconda nella sede del Consolato americano, una villa situata nella Concessione europea e arredata di conseguenza. Anzi, pensava che bastasse soltanto il racconto per fornire il materiale per il libretto, mentre Puccini insisteva perché prendesse visione anche di una copia del dramma, in cui “il signore giapponese che tenta Cio-Cio-San” è cambiato in miliardario americano debosciato. Questo cambiamento è tutto a vantaggio dell’elemento cosiddetto “europeo”. Chiaramente in questo momento Puccini, come Illica, immaginava che il dramma fosse basato su un conflitto culturale tra Est e Ovest, ma si sbagliava a proposito dello Yamadori di Belasco: anche se vive a NY, il principe è giapponese come Butterfly stessa. Nel rimpolpare le scarne tracce di Long, Illica si era appoggiato molto a Loti per l’atmosfera generale. Sir Francis Blummy Pinkerton è il narratore di Pierre Loti descritto più ampiamente, con un marchio di arroganza tutto sua. Avventuriero del sesso, porta l’America nel cuore. Il suo matrimonio con B. è soltanto una combinazione d’affari, e non c’è dubbio sul fatto che possa prendere sul serio B. come donna, meno ancora come moglie. I giapponesi di Illica sono ridicoli come quelli di Loti. La madre di B. è una mangiona incorreggibile; sua cugina è completamente incapace di controllare suo figlio, Riso, dato che l’ha avuto quando era troppo giovane. Dei due zii di Butterfly, Bonzo è un predicatore che tiene la famiglia in soggezione, Yakusidè è un ubriaco buffone, che disturba la cerimonia nuziale facendo a botte con Riso per una caramella. Per Pinkerton i festeggiamenti sono un’enorme beffa. Soltanto quando canzona gli antenati di B, Sharpless si decide a pronunciare una parola di rimprovero. Tutto questo è ragionevolmente in linea con la narrazione di Long. L’adozione da parte di B, della religione del suo amante è fatta di tutto cuore, ed è lo zio Bonzo che ordina alla famiglia di ripudiarla. Il duetto d’amore è soltanto adombrato, ma Illica era sicuro di riuscire a dargli “una poeticità maggiore quasi a quella della scena si Mimì e Rodolfo”. E non aveva alcun dubbio che nelle scene finali dell’opera di Pinkerton, anche se antipatico, sarebbe emerso come “un vero tenore, tipo eccezionale di tenore per carattere, modernità, tutto!!”. L’abbozzo fu inviato a Giacosa con il consenso del compositore ma, dato che il poeta non finì il suo lavoro prima di settembre, nel frattempo Puccini rimase inattivo per mese. Quando ebbe nelle mani il primo atto di Giacosa, Puccini si mise a comporre e cominciò assai presto a comunicare a Illica le sue idee per un intermezzo che potesse dare luogo all’utilizzazione delle trovate illuminotecniche di Belasco. Per tutto il 1902 Puccini lavorò lentamente ma regolarmente all’opera, senza rinunciare ai consueti diversivi, cacciare nei luoghi soliti e assistere alle riprese dei suoi lavori precedenti. La sua principale preoccupazione era quella di trovare musica originale giapponese come fonte per ricreare il colore locale. Qualche accenno lo poteva trovare in The Mikado di Sullivan. Illica gli suggerì di intervistare l’attrice giapponese Sada Yacco, che in aprile recitava a Milano con la sua compagnia. Il 23 aprile 1902 scriveva a Ricordi: “Io per mio conto metto pietra su pietra e mi studio di far cantare il sig. F.B. Pinkerton, più americanamente possibile.” Il 4 settembre Puccini finì l’abbozzo continuo del primo atto e stava procedendo con il secondo, quando all’improvviso si decise per un cambiamento radicale dello schema drammaturgico. La divisione originale in atti si può dedurre dalla lettera di Giacosa del 20 maggio: il secondo atto doveva contenere due scene, la prima nella casa di Butterfly, la seconda nel Consolato americano, mentre il terzo atto prevedeva di nuovo l’ambientazione nella casa. Ora Puccini disse a Illica che voleva eliminare del tutto, in modo che l’opera fosse in due atti soli, “il primo e l’altro il dramma di Belasco con tutti i suoi particolari. Illica era d’accordo, si limitava a consigliare di fare un intervallo per dare al pubblico un po’ di respiro, ma Puccini riteneva che non avesse senso abbassare e poi rialzare il sipario durante la stessa scena. Puccini poté assicurare a Ricordi che l’operazione era stata portata a compimento con piena soddisfazione di entrambi. L’unica obiezione dell’editore fu che l’opera, in questo modo, sarebbe risultata troppo breve. Non fu così con Giacosa, che ritenne che il taglio compromettesse

la sua integrità d’artista. È vero che nel dramma la scena del consolato non c’era, ma quello era in un atto solo. Nella sua forma attuale, Madama Butterfly stabilisce i modelli per una parte delle future opere pucciniane: un assortimento di episodi che tendono verso una contrazione sul punto drammatico centrale, in questo caso l’abbandono e poi la morte dell’eroina. L’aver esaltato il personaggio di Sharpless nel modo descritto non sarebbe stato pertinente: non è lui il catalizzatore dell’azione, ma soltanto lo spettatore. Quanto il conflitto Est-Ovest, questo era già stato compromesso dal finale del primo atto. Un duetto d’amore richiede inevitabilmente che tutti e due i partner parlino lo stesso linguaggio musicale. Dopo un periodo difficile, Puccini riuscì a completare il famoso intermezzo della veglia notturna di Butterfly e ne era contento. Quello che rimaneva da fare non era molto, dunque il debutto poteva essere fissato per la stagione di Quaresima 1904 della Scala. In settembre Puccini partì insieme ad Elvira (poi sua moglie) per Parigi per assistere alle prove dell’Opéra Comique. La prima rappresentazione ebbe luogo il 13 ottobre, con la direzione di André Messager, davanti a un teatro stracolmo. Il 27 dicembre fu portata a compimento la stesura di Madama Butterfly. Proprio in quei giorni era scoppiata una breve lite tra Giocosa e Ricordi a proposito di alcuni versi scritti per Pinkerton al suo ritorno a Nagasaki che non erano stati musicati. Puccini, asseriva il poeta, avrebbe dovuto lasciare in questo punto più spazio al canto del tenore principale, citando a sostegno della sua tesi “Oh dolci mani” do Cavaradossi. Ricordi replicava che Pinkerton non era un amante tenero, ma un mezzo lavativo americano: è sulle spine, teme Butterfly, l’incontro con la moglie … e batte in ritirata”. Le prove iniziarono il 7 gennaio e andarono avanti in un’atmosfera di segretezza assoluta. A nessuno dei cantanti era permesso portarsi le parti a casa. alla fine del mese Puccini mandò a Ramelde una bozza stampa del libretto con le precise raccomandazioni di non mostrarla a nessuno. Quello che veramente accadde la sera del 17 febbraio è stato raccontato tante volte: un silenzio funereo durante il primo atto fino all’entrata di Butterfly quando la frase dell’aria “Mi chiamano Mimì” provocò grida di Bohème; e quando una corrente d’aria proveniente dal retropalco fece gonfiare la gonna della Storchio (Butterfly). Una totale apatia per il resto dell’opera, fischi e buuh dopo la calata del sipario. Puccini definì la serata come “un vero linciaggio” . la stampa non fu più incoraggiante. Puccini stesso non aveva dubbi che l’ostilità fosse stata organizzata in precedenza da – egli supponeva- Edoardo Sonzogno. La sua conduzione della Scala per due anni, durante i quali tutte le opere pubblicate da Ricordi erano state bandite dalla scena, aveva avuto il risultato di un deficit pauroso e la chiusura del teatro per tutto il 1898. Due anni dopo il ritardo nella produzione di Madama Butterfly a causa dell’incidente e della lenta guarigione di Puccini consentirono a Sonzogno di farsi sotto con la Siberia di Giordano. Tanto più importante, perciò, che non venisse eclissata dall’ultima proposta pucciniana che la seguiva a ruota. Che Sonzogno, conosciuto per i suoi modi di agire privi di scrupoli, si sia avvalso dei servigi della claque offrendo discretamente una ricompensa è più che plausibile. Una volta che la claque aveva dato il La alla serata, era garantito che il resto del pubblico avrebbe continuato su quel tono. Una ripresa a Roma con la direzione di Luigi Mancinelli fu cancellata immediatamente. Ma fu Tito Ricordi a scegliere il Teatro Grande di Brescia per la redenzione dell’opera. Nel frattempo, il verdetto milanese non era passato inosservato. Puccini fu particolarmente colpito da una poesia mandatagli su una cartolina dal poeta Giovanni Pascoli, che incoraggiava l’insetto ferito a spiccare di nuovo il volo. Eppure, mentre era già al lavoro con Illica per fare delle modifiche, il suo stato d’animo rimaneva diffidente, vedeva nemici dappertutto. Il 28 maggio i bresciani si dimostrarono entusiasti quanto i milanesi erano stati ostili. Eppure, il cast e il direttore erano gli stessi. Alla seconda rappresentazione era presente la regina d’Italia, cui Puccini aveva dedicato lo spartito. I cambiamenti effettuati, anche se significativi, non possono dar conto a un accoglimento così diverso. Madama Butterfly non fu più data alla Scala durante la vita di Puccini, ma in breve tempo si fece strada in tutto il mondo, a

cominciare da Buenos Aires in luglio, dove fu diretta da Toscanini. Ma le revisioni di Puccini non erano ancora terminate. Una terza edizione con ulteriori tagli è basata sulla prima di Londra, che ebbe luogo il 10 luglio 1905.

Madama Butterfly presenta un’azione che si evolve costantemente, con l’attenzione sempre concentrata sulla protagonista fino dal suo primo apparire e anche durante i pochi momenti in cui non è presente in scena. Non ci sono salti che devono essere colmati dall’immaginazione dello spettatore. I tre anni che intercorrono tra il primo e il secondo atto non interrompono assolutamente la continuità psicologica dell’eroina, mentre procede dalla felicità passando per la speranza incrollabile fino alla disillusione e la morte. Questo consente a Puccini di sviluppare le sue idee su un piano più ampio di quanto aveva potuto fare prima, e allo stesso tempo di privilegiare la sua tecnica di istituire libere associazioni per quanto riguarda i motivi. Gli elementi musicali giapponesi aggiungono un colore nuovo alla tavolozza pucciniana. Si deve notare comunque che le melodie originali giapponesi passano rigorosamente attraverso orecchie occidentali e che le loro potenzialità espressive vengono utilizzate proprio in questo modo. La scena iniziale è ambientata in una casa giapponese con un terrazzo e un giardino con vista sul porto di Nagasaki. Goro, il sensale di matrimoni, sta spiegando e mostrando a Pinkerton tutti i dettagli della casa. Per comunicare il senso di trambusto, Puccini, ricorre alla fuga, un’esposizione a quattro parti basata su un soggetto la cui figurazione iniziale (8.1) ricorrerà lungo tutto l’atto, spesso associata al Giappone. Rifacendosi alla concezione “dispregiativa” di Loti, Pinkerton vede e si comporta con disprezzo divertito. Dal tessuto contrappuntistico si stacca un motivo complementare di danza, sottolineato dalle percussioni e concluso alla fine con una serie di salti discendenti su una settima non risolta. La presentazione che fa Goro dei tre servitori (Suzuki e due uomini) fornisce il solito elemento complementare pucciniano scorrevole, con il ritmo ternario più lento legato al materiale precedente dal disegno nervoso in semicrome del flauto. L’allusione alla festa di nozze, che è attesa da un momento all’altro, introduce una melodia periodica che serve qui a dare un consolidamento formale a un flusso di idee eterogenee. Dato che si tratta di un tema da commedia buffa, c’era solo uno strumento che poteva enunciarlo: il fagotto. L’orchestra preannuncia l’arrivo di Sharpless che con fatica sta salendo sulla collina su un normale ritmo di marcia. La sua e un’entrata non enfatica, dato che il motivo a lui associato si pre...


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