Maria di francia prologo PDF

Title Maria di francia prologo
Course Filologia Romanza
Institution Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale
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Maria di francia prologo...


Description

Sia il Roman de Troie e il Roman de Brut pongono il problema della verità storica, quindi si possono situare più nella storia che per il romanzo. Trattiamo di Marie de France sia per capire meglio l’annotazione di Wace riguardo le storie dei cavalieri della tavola sia per cominciare a ragionare sulla matrice di alcune delle storie per quanto riguarda la tradizione bretone, cioè i cavalieri della tavola rotonda, che confluiscono nella tradizione romanzesca del XII e XIII secolo sia in prosa che in versi. Il romanzo si distanzia dalla narrazione storica sicuramente perché ha una centratura sulla tematica amorosa che è molto più strutturata di quella che troviamo ad esempio nel romanzo di Troia o forse anche in quello di Enea, che forse tra tutti è quello che più indulge rispetto al tema amoroso. Il romanzo si distacca per questo elemento ma soprattutto perché va ad approfondire le storie dei singoli personaggi della storia e soprattutto di personaggi subalterni all’interno del quadro geografico, non narra le storie dei re e delle regine ma la narrazione storica, la storia è un processo di racconto che inevitabilmente segue delle gesta di chi muove le leve della storia. è naturale che le persone comuni muovano le leve di meno rispetto ai re, rispetto ai condottieri, baroni per ovvie ragioni. L’elemento politico ovviamente è l’elemento prevalente all’interno del discorso storiografico. Il romanzo punta su un ceto subalterno, anche se non il ceto infimo che non potrebbe essere il protagonista di un genere tragico perché il genere tragico narra solo le gesta dei ceti dominanti, è subalterno fino a un certo punto, ma non si parla nemmeno del ceto egemone perché la cavalleria non lo è. Il cavaliere è un nobile senza feudo, figlio di una famiglia nobile, che non avendo la terra mette le anime al servizio di chi ce le ha cioè per i figli primogeniti dei baroni e dei re che sono destinati ad ereditare il regno oppure il feudo. Questo elemento è molto importante perché ci proietta in un’ottica di protagonismo del romanzo. Il romanzo si situa nella storia e perciò enfatizza le gesta. Il tema sociologico relativo alla cavalleria medievale, questa categoria fortemente idealizzante che troviamo nel romanzo collegata alla sfera matrimoniale che è la dimensione che emancipa il cavaliere dalla minorità, non possedendo la terra lo trasforma in un giovane provente. Benoit de Saint-Maure e Wace usano delle fonti che in qualche misura vengono impegnate nella narrazione in qualche misura e la stessa cosa vale per gli altri grandi romanzi di matrice storica degli anni ’60 – ’70. I romanzi storici, che rappresentano la preistoria di questo genere, hanno una fonte alle spalle, per le storie dei cavalieri, che sostanziano la narrazione romanzesca, dove se la vanno a cercare i romanzieri le loro fonti? (romanzi che parlano di storie di cavalieri: Lancelot, Perceval, Eryc e Enide) Se si cercassero le compilazioni di tipo storiografico di epoca antecedente a Chretien de Troyes non si trovano delle varie e proprie fonti alle quale Chretien de Troyes e i

suoi continuatori possano aver fatto capo. Non hanno fatto la stessa operazioni di Benoit de Saint – Maure o Wace. L’invenzione, nel medioevo, è una categoria molto importante e quella della creatività è quasi un concetto retorico perciò si parla di invenzione (si parla di inventio anche nella retorica, come una categoria quasi fondamentale dell’espressione, sia forense, ma per ogni forma di espressione). L’inventio è lo strumento nelle mani di chi compone orazioni di qualsiasi natura e per andare a cercare nei luoghi della memoria gli argomenti. La creatività nel medioevo segue i dettagli dell’inventio, cioè significa andare a cercare nei luoghi della memoria gli argumeta. Della Inventio ne ha parlato Cicerone, Quintiliano, loro tirano giù tutta una serie di meccanismi grazie ai quali si può andare ad elaborare un argomento. Naturalmente la matrice di questa procedura è una matrice forense, tutta questa retorica arriva nel medioevo tramite Cicerone, che a sua volta la prende da Aristotele che traduce in latino e la consegna alla prosperità, Quintiliano poi opera una revisione molto importante di questa tradizione e molto di ciò arriva nel Medioevo. In ogni caso comunque non è un’operazione che si fa dal nulla, non ci si inventa una storia mai esistita. L’esegesi medievale è un altro aspetto molto importante, bisogna tener presente che la Bibbia non va letto solo come testo storico ma anche come testo figurale, come la presentazione di alcuni personaggi che sono figura di determinate qualità, può essere letta come testo morale da un punto di vista delle costumanze, delle abitudini, del comportamento corretto che il cristiano deve mantenere e può essere letto anche in senso anagogico in relazione alle grandi verità rivelata dalla fede. Questi sono i tre sensi spirituali che servono ad interpretare la scrittura, oltre al senso letterario. Tutto il discorso sulla retorica e i vari sensi interpretativa della scrittura serve ad avere un’infarinatura per capire come lavora un intellettuale medievale e soprattutto a mettere su un concetto importante cioè che nel mondo medievale nulla si crea e nulla si distrugge, nel senso che la creatività è una prerogativa di Dio, l’umano non può fare altro che trovare ciò che è nascosto ed è invisibile. Lo dice anche Benoit de Saint-Maure nel Roman de Troie, che chi sa deve rendere noto agli altri perché se se lo tiene per sé, sta mettendo in repentaglio le conquiste culturali dell’umanità perché le generazioni successive devono cominciare da capo a cercare queste vicende che invece possono essere tramandate. Queste vicende e conoscenze però devono essere cercate da qualche parte. Le storie quindi si vanno a cercare nei testi di chi ne ha parlato prima e si rendono a beneficio di chi non sa leggere il latino, o di chi in quella forma non vuole leggerle o di chi vuole una versione più accurata.

La tradizione del medioevo richiede un tipo di operazione che ha a che fare con il desiderio di rendere nota la verità e di trasmetterla perché così facendo si fa un gesto di grande generosità nei confronti delle prossime generazioni e si evita che vadano perdute. Il problema della tradizione romanzesca è che nessuna di queste storie la troviamo in forme precedente e quindi ci si chiede dove le cerchino. Il problema che si viene a creare con i cavalieri della tavola rotonda è che non abbiamo fonti che si possono chiamare in causa per spiegare in che modo gli autori abbiano in qualche modo elaborato delle storie non completamente originali, sembrerebbe che queste storie siano originali, forse le hanno inventate loro in particolare Chretien de Troyes ma anche tutti quelli che seguono il suo esempio e il suo modello, cioè che non ci sia stata una letteratura latina che ci ha offerto queste storie. Anche se Chretien de Troyes, in un passo, sostiene che ha trovato la storia che racconta in un libro che è conservato presso la biblioteca della cattedrale di Beauvais ma questo libro non si trova (gran parte dei manoscritti medievali sono andati perduti). Ma un famoso studioso americano ha sostenuto, in un suo articolo, che se si stesse appresso a tutte le formule introduttive alle quali gli autori dei romanzi medievali fanno riferimento si dovrebbe immaginare che è andata perduta veramente un sacco di roba, continua dicendo che forse i romanzieri si inventano queste storie chiamando fonti che non sono mai esistite per evitare di far credere al pubblico che stanno scrivendo storie che non hanno nessuna aderenza con la realtà. Cosa che avrebbe avuto un’accoglienza negativa, nel senso che la fiction è una categoria che nel medioevo sprofonda oltre l’inutilità. Il fondamento di verità è fondamentale per far si che le storie che vengono narrate siano recepite come qualcosa che sia interessante ascoltare perché il romanzo è un genere letterario pensato per essere messo per iscritto, non è un genere orale, non è un costrutto orale che viene veicolato tramite la memoria è proprio un costrutto pensato per essere messo per iscritto fin dalle origini pensato per una lettura pubblica, modalità standard per la pubblicazione di un testo nel Medioevo. Il prologo del lais de Marie di France ci mette in condizione di ragionare su una delle potenziali fonti sulle quali le storie dei cavalieri della tavola rotonda possono essere tratte perché è vero che non è sopravvissuta nemmeno una riga che ci racconti analiticamente le storie, ma è pur vero che alcune di queste storie possono avere una loro matrice tradizionale. La matrice tradizionale, è un concetto importante, è quella matrice che ha a che fare con le tradizioni orali, cioè testi che non vengono veicolati dalla scrittura ma vengono veicolati dal racconto orale, hanno una loro forma di stabilità legata alla memoria. La metrica è importante anche per la recezione di un testo, un testo in metrica lo capiamo meglio di un testo in prosa, mentre un testo metrico tende a stare più nella memoria per un tempo

sufficientemente da consentire un’elaborazione da parte di chi ascolta che sia più elaborata di quella che non è l’elaborazione di un testo in prosa. Questo personaggio di Maria di Francia è stato l’oggetto di plurime identificazioni, ma è stata sostanzialmente identificata con tutte le Marie di Francia ma non solo di Francia, tutta una serie di identificazioni di vario tipo ma l’identificazione più strumentale è quella che ci proietta in una dimensione storico letteraria. La proposta ad identificare Marie di France con Marie di Champagne ci proietta ad identificarla all’interno di un gioco dinastico, Eleonora Duchessa d’Aquitania moglie di Luigi VII di Francia, sposa in seconde nozze Enrico II d’Inghilterra, ciò rappresenta una forma clamorosa di isotopia nella storia medievale che fa si che il re d’Inghilterra di stirpe normanna sia anche suddito del re di Francia per i possedimenti della moglie. Eleonora d’Aquitania possedeva più della metà della Francia, perché la zona dell’Aquitania è quasi tutta la Francia meridionale e parte della Francia centro-settentrionale e il famoso Poitiers della quale è originario il nonno Guglielmo d’Aquitania nonché duca d’Aquitania. L’elemento in cui Maria sarebbe la figlia di Luigi VII ed Eleonora d’Aquitania è interessante perché saremmo di fronte alla figura di Maria de Champagne che rappresenta una delle poche figure storiche che possiamo associare al personaggio di Chretien de Troyes perché lui le dedica il prologo del Chevalier de la Charrette dicendo che la storia intera è stata da lui redatta sotto suggerimento di Eleonora che gli ha suggerito quale doveva essere il senso di quest’opera. Se l’autrice di quest’idea fosse Maria de Champagne, la cosa sarebbe molto interessante perché molte delle cose ci proietterebbero in una dinamica che ci consentirebbe di riflettere direttamente sulla produzione di Chretien de Troyes e anche sulla sua attività e proprio sul fatto che Chretien de Troyes proprio nella corte di Champagne comincia a scrivere le storie dei cavalieri della tavola rotonda sistemerebbe dal punto di vista storiografico tutta una serie di questioni che sono invece molto complesse nel momento in cui accediamo a un’altra identità di questo personaggio. Il personaggio di Maria di Francia è stato identificato anche con tutta un’altra serie di persone storiche. Maria di Francia è famosa soprattutto per i suoi racconti brevi sia nel caso di “Lais” che nel caso de “Fable”, una versione in francese secondo un’organizzazione congruente delle favole degli animali di Fedro. La cosa non è particolarmente strano perché il testo di Fedro rientra nei canoni grammaticali fin dall’epoca carolingia perché la tradizione grammaticale carolingia tende a durare nel tempo quindi alcuni testi che nel medioevo erano fondamentali per l’apprendimento del latino si usa ancora oggi. Siccome i testi classici che vengono canonizzati in epoca carolingia sono dei modelli grammaticali. Il fatto che Maria di Francia traduca questo testo in francese rientra nel grande progetto di traduzione di opere latine in volgare che d’altra parte accomuna Maria a personaggi come Benoit de Saint-Maure.

Per il “Lais” il discorso è più complesso e problematico: che cosa sia il “Lais” è estremamente difficile dirlo, anche l’etimo della parola è discusso e non è chiaro, perché non si sa da dove venga questa parola né cosa si vuole dire, perché si possono identificare sia dei testi musicati sia testi che non lo sono in un metro che può variare, quindi non abbiamo una codifica strutturale de “Lais” nei termini in cui possiamo codificare il romanzo medievale che fondamentalmente, tranne per il romanzo di Alexandr, si scrive in coppie di ottosillabi. Il “Lais” ha prerogativa di essere un genere narrativo breve che ha la forma del testo musicato. Maria elabora una raccolta di racconti e una volta raccolti scrive anche un prologo che li introduce, questa è una delle più antiche collezioni di storie brevi in volgare, è una cosa molto significativa perché di nuovo con questo testo siamo negli anni ’70 del XII secolo, nell’epoca di gestazione del genere romanzesco, epoca nella quale anche altri generi cominciano a produrre per una serie di prodotti significati proprio come i racconti di Maria. Nel suo Prologo l’autrice ci dice una cosa che somiglia molto a quella che ci dice Benoit de Saint-Maure nel suo prologo del Roman de Troie, anche se lo fa in maniera più interessante perché chiama in causa Salomone. Questo testo come quello di Wace è scritto in francese normanno ed è un francese normanno insulare, è il francese che i francesi esportano dopo la conquista nel 1066 e qui si apre un problema: ci si chiede perché Maria de Champagne scrive in normanno insulare. Il problema del normanno è stata la massima eccezione rispetto al problema dell’identificazione di Maria de Champagne con Maria di Francia. Non si comprende per quale ragione Maria de Champagne avrebbe dovuto scrivere in normanno. Il libro è dedicato al re Enrico II d’Inghilterra, anche questo è stato identificato come un possibile problema nell’identificazione tra Maria de France con Maria de Champagne. Ki Deus ad doné escïence

Colui al quale Dio ha donato la scienza

E de parler bon' eloquence

E la buona eloquenza (di parlare)*

Ne s'en deit taisir ne celer,

Non deve nascondere il sapere né tacerlo,

Ainz se deit volunters mustrer

piuttosto deve dimostrarlo di buon cuore

v.1 “Ki” nel francese continentale avremmo trovato “qu” mentre qui troviamo una “k”, uso frequente del normanno. Ulteriore problema è la grafia del dittongo che originariamente era “ou”, che poi dittonga “eu” ma che qui troviamo con u, in francese una parola come “mustrer” la si pronuncerebbe con una u con intacco palatale perché è caratteristico del francese

frangiano e anche del dialetto delle zone limitrofe, la “u” quando la troviamo scritta così è fondamentalmente una “u” piena, la “u” vocalica velare e non palatalizzata in nessuna forma, tratto tipico della grafia insulare del normanno. L’argomento introduttivo di questo prologo è interessante perché è sostanzialmente analogo a quello che ci presenta Benoit de Saint-Maure nel prologo del Roman de Troie. v.2: fa riferimento alla retorica, all’abilità di comunicare; v.3: “Non deve nascondere il sapere né tacerlo”: dittologia sinonimica. Quant uns granz biens est mult Fin quando una cosa ricca è molto ascoltata, oïz, fiorisce, Dunc a primes est il fluriz, e quando è lodata da molti, E quant loëz est de plusurs, fiorisce in una maniera più generalizzata. Dunc ad espandues ses flurs.

In questi versi abbiamo una metafora naturalistica per dire che se una cosa che sai che è molto importante la dici agli altri fai in modo che la sua fioritura sia più generalizzata possibile e fondamentalmente non rimanga un seme che non germoglia. Questi primi versi, i primi otto per l’esattezza, del prologo sono un tipico caso di argomento introduttivo, il classico topos introduttivo, costruzione tipica di un argomento attraverso anche l’uso dello strumento metaforico, argomento che si va a cercare nella memoria di chi sa ben parlare perché ha imparato a farlo o meglio perché Dio gli ha dato questa abilità .Custume fu as anciëns,

Fu abitudine degli antichi,

ceo testimoine Preciëns,

come testimonia Prisciano,

es livres ke jadis feseient

che nei libri che facevano a quei tempi

assez oscurement diseient

parlavano in maniera molto oscura li facevano apposta oscuri

pur ceus ki a venir esteient

e per i posteri

e ki apendre les deveient,

e chi dovrà apprendere,

k’i peüssent gloser la lettre

così i posteri potessero glossare

e de lur sen le surplus mettre.

e aggiungere al significato qualcosa di più (il surplus) basato sul loro sapere, sulla loro saggezza. I filosofi lo sapevano,

Li philesophe le saveient,

loro stessi lo capivano,

par eus meïsmes entendeient,

che più sarebbe passato il tempo,

cum plus trespassereit li tens,

più i testi sarebbero diventati sofisticati,

plus serreient sutil de sens

e più sapevano come sopravvivere

e plus se savreient garder

al tempo che deve passare.

de ceo k’i ert a trespasser.

V.22

v. 9 – 21 in questi versi presenta il SECONDO ARGOMENTO: questo argomento dice una cosa molto interessante, vagamente sfuggente nella sua applicabilità nei testi che Marie de France ci propone perché non è molto chiaro in che senso pone il problema, forse in nessun senso. v.9 “abitudine degli antichi”: fa riferimento ai letterati dell’antichità, quindi anche lei chiama in causa un’autorità Prisciano, un grande grammatico dell’antichità, uno di quegli autori sulla base del quale si continua a imparare il latino attraverso tutto il Medioevo. Dice che i libri che facevano a quei tempi erano dei libri che andavano interpretati in maniera molto abile perché in realtà sono di difficile comprensione intenzionalmente per non farli capire a chi sarebbe venuto dopo di loro. v.11 livres: concetto di libro è molto importante perché fa riferimento a una cultura alta libraria e lo conferma il riferimento a Prisciano. v.15 gloser la lettre : concetto fondamentale che rimanda ad attività sofisticate di intellettuali di un certo livello perché si sta parlando dell’interpretazione, il senso storico, figurale, morale e quello anagogico, quello storico o letterale è quello meno oscuro, gli altri tre sono quelli spirituali e riguardano appunto la parte più “oscura”. Quello figurale e quando alcuni personaggi possono essere figura di determinati concetti, un esempio è la Beatrice di Dante è simbolo di beatitudine, ecc, ecc. il senso morale fa riferimento ad aspetti che hanno a che fare con i comportamenti corretti, comportamenti che possono condurre per esempio alla beatitudine o alla dannazione e il quarto senso è quello anagogico, cioè cosa può significare un determinato argomento in funzione delle verità rivelate della fede, le verità che hanno a che fare con la storia del mondo, con tutti gli elementi che fanno parte della religione cristiana. Questi quattro sensi sono quelli a cui fa riferimento Maria quando usa questa espressione “gloser la lettre” che significa glossare il testo, ma per glossarlo (attività

caratteristica della tradizione scolastica ovvero quella di glossare i libri degli antichi), ovvero per interpretarlo bisogna tener presente i sensi interpretativi di significato. Ci ha anche spiegato che lei li ha letti questi libri, come per esempio quello di Prisciano che probabilmente aveva le glosse e forse tanti altri classici, tra cui sicuramente Fedro dal quale è stata anche traduttrice. Maria di Francia ci sta dicendo che lei ha studiato e si sta presentando come un’intellettuale e inoltre che gli antichi scrivevano oscuro apposta così mettevano alla prova i posteri ma soprattutto lasciavano spazio di interpretare i loro testi e di aggiungerci un po' della loro saggezza e sapienza. Secondo lei i testi classici sono stati pen...


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