Obbedienza ALL\' Obbedienza 7 PDF

Title Obbedienza ALL\' Obbedienza 7
Author Irene Decarlo
Course Scienze dell'educazione
Institution Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Pages 3
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Summary

riassunti divisi in capitoli di tutti gli argomenti svolti a lezione...


Description

OBBEDIENZA ALL’AUTORITA’ Milgram 1963: si sono reclutati maschi di New Haven, non studenti, tra i 20 e i 50 anni per una ricerca su memoria e apprendimento. Si pagavano 4 dollari per un esperimento di un’ora. All’esperimento erano presenti il ricercatore, il partecipante e un collaboratore dello sperimentatore. L’esperimento doveva apparentemente studiare gli effetti delle punizioni sull’apprendimento. Si assegnavano in modo apparentemente casuale il suolo di insegnante (partecipante) e di allievo (al collaboratore). L’allievo veniva condotto in una stanza separata, si sedeva, veniva legato in mood da non potersi muovere, gli si appiccicavano elettrodi ai polsi. L’apparecchiatura dell’insegnante consisteva in un pannello con 30 interruttori che partivano da 15 volt fino a 450 volt. Il compito dell’insegnante era leggere una serie di coppie di parole associate all’allievo e l’allievo doveva indovinare la prima parola dell’accoppiata. In caso di errore dell’allievo , l’insegnante doveva somministrare scosse di intensità gradualmente progressive. LE SCOSSE ERANO SIMULATE! Se l’insegnante esitava, il ricercatore che stava accanto all’allievo diventava più autoritario. Le esortazioni erano progressive e costituivano l’operazionalizzazione dell’influenza autoritaria. Dalla stanza dell’allievo si sentivano le urla strazianti ad ogni scarica di volt. Il ricercatore tuttavia esortava l’insegnante a proseguire con l’esperimento. Gli insegnanti (partecipanti) durante l’esperimento mostravano chiari segni di malessere, angoscia, tensione, e protestavano contro lo stesso esperimento. Incredibilmente, il 65% dei partecipanti abbassava la leva dei 450 volt! Un elemento fondamentale per determinare l’obbedienza all’autorità era la distanza dalla vittima(1): maggiore era la vicinanza tra insegnante e vittima, minore era l’intensità delle scosse elettriche. Vi erano 4 varianti:  Distanza: allievo né visibile né udibile  Reazione vocale: si sentono solo i lamenti dell’allievo  Vicinanza: insegnante e allievo si trovano nella stessa stanza  Contatto fisico: insegnante somministrava le scosse spingendo il braccio dell’allievo su una piastra di metallo.

L’obbedienza all’autorità decresce in funzione della distanza dell’insegnante dall’allievo. Importante è anche la distanza dall’autorità(2): se l’insegnante riceveva ordini via telefono, l’obbedienza scendeva al 20%. Importante non era la sostanza dell’ordine, ma da chi veniva l’ordine(3). Vi era minore obbedienza quando l’autorità ricopriva il ruolo del semplice sperimentatore. Un ulteriore fattore che determina obbedienza all’autorità è la salienza delle conseguenze della disobbedienza (4): sanzioni legali, punizioni, scoraggiavano la disobbedienza. Un ruolo nel determinare obbedienza è svolto dalla responsabilità personale (5): più si pensa che la responsabilità sia propria, minore è l’obbedienza.  L’obbedienza all’autorità comporta una differenza di status  L’obbedienza all’autorità richiede di svolgere un’azione che la fonte può non compiere  È più facile ammettere di aver obbedito a un’autorità che essersi conformati a una maggioranza. A volte l’autorità si spinge troppo oltre! La REATTANZA è il fenomeno per cui le persone resistono ai tentativi della fonte e cercano di ristabilire la propria libertà. RESPONSABILITA’ E COMPORTAMENTO NEI GRUPPI Un soggetto “individuato” agisce in modo razionale e coerente ed è in grado di controllare le proprie azioni. Una persona “deindividuata” agisce sulla base di pulsioni e istinti e si abbandona alle azioni più cruente. 1.Esperimento studenti universitari imprigionati (Palo Alto, California) 2.Esperimento della prigione di Stanford (esperimento condotto e ideato da Zimbardo). 24 maschi che ricevevano un compenso giornaliero di 15 dollari. Metà sono stati assegnati al ruolo di guardie, l’altra metà al ruolo di carcerati. Per l’esperimento si sono scelti 24 maschi maturi e stabili mentalmente e fisicamente, meno inclini a comportamenti antisociali. Le persone scelte erano studenti normali di Stanford. 10 detenuti e 11 guardie. Durata dell’esperimento: 2 settimane all’interno della prigione nei ruoli rispettivi.

Per quelli assegnati a fare i detenut si diceva che i diritti di privacy sarebbero stati violati ad eccezione degli abusi fisici. Ai detenuti si diceva di farsi trovare pronti una certa mattina d’estate in casa. Alle guardie si davano dei compiti amministrativi come scrivere rapporti, turni di guardia ecc.. si diceva loro esplicitamente di non usare punizioni fisiche nei confronti dei detenuti e si lasciava loro credere che l’esperimento riguardava più che altro il comportamento dei prigionieri. Ai due gruppi venivano somministrate uniformi per aumentare la sensazione di anonimità. I detenuti avevano una catena legata alla caviglia e potevano chiamarsi solo per numero di identificazione. Presto le guardie usarono il loro potere arbitrario con più forza, con il tempo la crudeltà aumentò in maniera esponenziale da parte delle guardie. Le guardie usarono dei toni molto offensivi. Una delle punizioni usate era di far fare delle flessioni, spesso accompagnate da guardie o detenuti costretti a sedersi su quelli che le stavano facendo. E tutto questo ... DAL PRIMO GIORNO! L’esperimento venne interrotto prima della conclusione, dopo solo 6 giorni. 5 detenuti furono rilasciati prima perché in stato di depressione e prostrazione, con crisi di ansia e rabbia. Annunciata la fine dell’esperimento i detenuti furono contenti e le guardie scocciate. I detenuti erano diventati individui rassegnati, passivi, apatici. Le guardie erano diventate persone psicopatiche....


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