Petrarca - Rerum Vulgarium Fragmenta PDF

Title Petrarca - Rerum Vulgarium Fragmenta
Author Anna Cirillo
Course Letteratura Italiana
Institution Università degli Studi di Napoli L'Orientale
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Summary

Riassunto tratto dal libro "Piccola storia della letteratura italiana" di Carlo Vecce...


Description

-Francesco Petrarca RERUM VULGARIUM FRAGMENTA

I “Voi ch'ascoltate” Parafrasi 1: Voi che ascoltate in poesie staccate tra di loro il suono di quei sospiri con i quali nutrivo il cuore al tempo del primo traviamento giovanile, quando in parte ero un altro uomo rispetto a quello che sono, delle varie forme poetiche nelle quali piango e ragiono tra le vane speranze e il vano dolore, spero di trovare pietà, non solo perdono, dove ci sia qualcuno che conosca l'amore per averlo provato. Ma vedo ormai come fui per tutto il popolo motivo di riso da gran tempo, per cui spesso mi vergogno di me stesso; e il frutto del mio amore impossibile è la vergogna, il pentimento e la chiara consapevolezza che tutto quello che piace al mondo è vano. Analisi: Questo sonetto costituisce il proemio del Canzoniere: spiega quali argomenti verranno trattati, indica i personaggi presenti e le scelte linguistiche dell'autore. Probabilmente fu composto intorno al 1347, durante il secondo ordinamento delle opere della raccolta destinata al Canzoniere. Il "VOI" che troviamo all'inizio del sonetto non coincide con l'espressione "POPOL TUTTO", ma si riferisce solamente a coloro che hanno provato le emozioni e le sensazioni provocate dall'amore e che, di conseguenza, sono in grado di comprendere e apprezzare la poesia, esorta, richiama l’attenzione, ha una funzione conativa. L'autore con l'uso di questi termini sembra voglia dare spiegazioni per le scelte fatte durante la scrittura della sua opera, alla quale attribuisce scarsa importanza. "RIME SPARSE"= Petrarca vuol dire che le sue opere parlano di vari argomenti. "VARIO STILE"= le poesie sono state scritte con uno stile che rispecchia lo stato d'animo del poeta al momento della composizione. L'io narrato e l'io narrante coincidono perchè il sonetto riassume sia la sua vita passata che quella presente. Il sonetto racchiude in sè tutta la vita dell'autore, i suoi sentimenti, e le sue esperienze (compresa quella dell'amore per una donna, nonostante ciò non gli fosse permesso). L'ultimo verso del sonetto spiega che ogni cosa è destinata a finire e questo vale anche per la vita, quindi non vale la pena di trascorrerla alla ricerca di piaceri terreni. Il testo in questione è un sonetto, composto da due quartine e due terzine di versi endecasillabi: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 +1 (VOI) (CH'AS) (COL) (TA) (TE IN) (RI) (ME) (SPAR) (SE IL) (SUO) (NO) Lo schema delle rime nelle quartine è ABBA ABBA, mentre nele terzine è CDE CDE. Troviamo allitterazioni come: - la ripetizione della lettera F ["Favola fui..."] - la ripetizione della lettera M [...Me medesimo meco mio..."] - la ripetizione della lettera V ["...Vaneggiar vergogna..."] Le quartine presentano una particolare costruzione sintattica detta "chiasmo": nella prima quartina i pensieri sono scritti seguendo il rigore ordine degli elementi (soggetto, verbo, ...) mentre nella seconda troviamo la stessa costruzione speculare: per riordinare il pensiero è necessario partire dall'ultimo verso della quartina e concludere col primo. Nonostante questa struttura sia intricata, la sensazione trasmessa non è irrequieta perché tutto è stato studiato e predisposto secondo criteri ben definiti. La sintassi rispecchia il percorso dell'esame interiore. Le terzine hanno un andamento più duro e secco rispetto alle quartine: questo cambiamento indica forse che avvengono nella vita e il tono più rigido rende l'idea delle difficoltà. Nel testo troviamo una variazione dei tempi verbali, dal tempo passato (nudriva, era, fui...) al presente (sono, veggio, mi vergogno, è...).

Nei versi 5-6 possiamo individuare un chiasmo tra le parole PIANGO-RAGIONE e SPERANZADOLORE. Sono fortemente contrapposte, ma la loro posizione nel testo permette di ricostruire il verso collegato ogni parola con quella sottostante: PIANGO va abbinata a DOLORE, mentre RAGIONO va abbinata a SPERANZA. Petrarca, durante una Messa tenutasi in periodo di Pasqua (probabilmente il 6 aprile del 1326) incontra e si innamora di una donna: Laura. Questo amore nasce e cresce attraverso sguardi e poesie che l'autore dedica a lei. Per tale motivo possiamo definire l'amore tra i due esclusivamente platonico. Riguardo a questa donna non conosciamo nulla, se non l'aspetto fisico: è alta, bionda, occhi azzurri, tutti elementi che suggeriscono l'idea di una donna fortemente stereotipata, evidenziando probabilmente quali caratteristiche dovesse avere la donna ideale a quei tempi. Analizzando il suo nome (LAURA), si può però attribuire a questa figura femminile un significato differente: la si può infatti associare alla laurea tanto desiderata da Petrarca. questo non è l'unico significato: si può fare riferimento ai testi delle metamorfosi di Ovidio, molto conosciute all'epoca. Per concludere si può notare che, come ha fatto Dante Alighieri con Beatrice, Petrarca identifica in Laura l'oggetto a cui tanto aspira per tutta la vita e continua a descriverla nel corso degli anni senza però evidenziare alterazioni fisiche e mantenendo alto il suo valore. Abbiamo due Petrarca, quello poeta e quello protagonista (come Dante nella Commedia).

XC “Erano i capei d’oro Parafrasi: I suoi capelli biondi erano mossi al vento il quale li avvolgeva in mille dolci riccioli, e la luce ammaliante dei suoi occhi belli, che ora è diminuita (a causa del tempo che passa), splendeva in modo straordinario; e mi sembrava, non so se fosse realtà o illusione, che il suo viso si atteggiasse a pietà: io che ero pronto all'amore, c'è da meravigliarsi se m'innamorai subito? Il suo portamento non era cosa mortale, ma aspetto d'angelo, e le parole suonavano diversamente da voce umana; uno spirito celeste, un vivo sole fu quel che vidi, e anche se ora non fosse tale, una ferita non si rimargina tendendo di meno l'arco. Analisi: La poesia si incentra sull’amore che Petrarca nutre per Laura. Questo amore è terreno quindi la bellezza della donna svanirà; non è un amore platonico come quello che Dante nutriva per Beatrice. Questo provocherà in lui dei ripensamenti e dei conflitti interni. Utilizzando l’omofonia (Laura, l’aura) all’inizio del poema lo scrittore vuole evocare la sua donna, ricordandola, ma non la chiama mai per nome, cioè non pronuncia il suo nome esplicitamente nella poesia. Petrarca, nelle prime due strofe, assume uno stile di scrittura innovativo ,infatti è uno dei primi ad effettuare alcune modifiche allo schema poetico del Dolce Stil Novo. In queste due quartine emerge la collocazione di Laura nella natura: la immaginiamo avvolta nel vento. Ultima delle sue innovazioni è la soggettività del poeta; infatti lui descrive ciò che la visione di Laura provoca in lui. Nelle due terzine riappare il semplice e schematico tema del Dolce Stil Novo. La donna viene infatti descritta come un angelo e qualcosa di soprannaturale, qualcosa di paragonabile ad una dea. Considerando il sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare” di Dante possiamo individuare molte differenze. Pur essendo tutti e due i sonetti riferiti al Dolce Stil Novo quello di Dante rispecchia a pieno le caratteristiche di questa corrente, mentre Petrarca scrive in maniera più personale attuando diverse innovazioni (sopra analizzate). Mentre Dante esprime tutte le caratteristiche di questa corrente letteraria: la donna-angelo, amore-virtù ed il cuore nobile; descrivendo anche particolari situazioni come il saluto della donna al resto della gente; Petrarca ne effettua una descrizione personale e soggettiva senza richiamare tutte le caratteristiche sopra elencate, ma considerando Laura qualcosa di sovrannaturale. L’amore che Dante prova per Beatrice è ben diverso da quello

che Petrarca prova per Laura. Il primo infatti nutre un amore platonico e atemporale, infatti Alighieri cristallizza la bellezza di Beatrice che non sfiorirà mai, questo forse anche perché muore giovane; invece Petrarca descrive la sua donna in tutte le sue caratteristiche terrene, quindi la bellezza sfiorirà e questo lo capiamo anche da come ce ne parla. Inoltre per quest'ultimo il sentimento provato provocherà anche conflitti interni e ripensamenti, cosa che a Dante non succederà.

CCXXXIX “Là ver' l' aurora”

Parafrasi:

Analisi:

CXCIX “O bella man” Parafrasi: Non soltanto quella bella, nuda mano, che con mio grave danno si riveste (del guanto), ma anche l’altra mano e quindi le braccia di Laura sono pronte e preste a stringere il (mio) cuore timido e umile. Amore tende mille lacci e nessuno invano fra le leggiadre e mirabili fattezze oneste che adornano la nobile angelica figura (di Laura) a tal punto che né lo stile, né l’ingegno umano sono in grado di raggiungerla. Gli occhi sereni, le ciglia lucenti come stelle, la bella bocca angelica, piena di perle (i denti), di rose (le labbra) e di dolci parole. Che fanno tremare di meraviglia chi le ode, e la fronte e le chiome, che a vederle superano in lucentezza il sole anche nei mezzogiorni estivi. Analisi: I sonetti Non pur quell’una bella ignuda mano, O bella man che mi destringi ‘l core e Mia ventura ei Amor m’avean sì adorno, formano un piccolo ciclo detto “del guanto”. Petrarca narra come la visione di un guanto abbandonato di Laura, susciti nel suo animo intense emozioni. Laura dunque, si riveste del guanto che si era tolta.

CCCXXIII “Standomi sola”

Parafrasi:

Analisi: Questa è stata chiamata la «canzone delle visioni»: il poeta immagina di avere avuto «un giorno» (precisazione temporale volutamente molto vaga, tanto più significativa se pensiamo ad altre composizioni in cui, come abbiamo visto, il tempo acquistava una dimensione precisa, quasi concreta) alcune visioni, stando «alla fenestra» (precisazione spaziale anche questa volutamente vaga: è una finestra reale, nella vita di un umanista che ama interrompere gli studi per contemplare la natura, come in tanti quadri di san Gerolamo nel suo studio? o è la «finestra dell'anima», una finestra interiore che guarda in dentro, nel grande libro interiore delle immaginazioni fantastiche? o è semplicemente una cornice, un riquadro figurativo che serve a ritagliare le successive «visioni»?). Sono, in ogni caso, sei visioni, tutte trascrizioni fantastiche e figurate di un unico motivo: Laura è passata repentinamente e tragicamente dalla vita alla morte, «nulla quaggiù diletta e dura». Le sei visioni, tutte di natura chiaramente allegorica (Strumenti) sono: 1. una fera viene addentata e uccisa da due cani da caccia; 2. una nave preziosa viene travolta e distrutta da un'improvvisa tempesta; 3. un arboscello di lauro viene schiantato da un fulmine; 4. in un bosco una fonte viene inghiottita da una voragine; 5. una fenice si lascia morire; 6. una bella Donna avvolta in una nebbia oscura viene punta al tallone da un serpentello e muore. La struttura metrica e sintattica della canzone è caratterizzata da una costante ricerca di rapporti

paralleli e simmetrie. Se si analizza la struttura metrica della stanza (Strumenti), si osserva che nella fronte viene di solito presentata la visione, inquadrata dalla finestra, descritta come scena ferma e amena, in un'atmosfera di pace e bellezza; alla volta corrisponde l'improvviso turbamento, una vera e propria «svolta» (es. «poi repente tempesta...»), con la quale coincide un salto sintattico, un salto nei tempi verbali, un'improvvisa accelerazione del ritmo (data anche dal verso breve); nella sirima viene presentata la scena iniziale rovesciata, che diventa occasione per la meditazione filosofica. - La struttura narrativa della canzone si presenta con una serie di medaglioni o trionfi, o scene successive. Quel che è interessante è che ciascuna scena si presenta senza nessuna profondità prospettica; le scene si succedono senza stacchi l'una all'altra, anzi a un certo punto si combinano e quasi si sovrappongono, entrano una dentro l'altra (come avviene con il boschetto della terza strofa che diviene lo sfondo delle visioni successive). - Il soggetto che dice io ha un rapporto molto particolare con le visioni. Dapprima è in uno stato di distacco dalla realtà visiva o auditiva, è come sospeso, in uno stato di uniforme dolore, subisce le visioni, le contempla («mira fiso»), viene catturato da esse. Quando poi le visioni si fissano su un unico sfondo paesistico, allora entra anche lui dentro di esse, «si asside» accanto al sasso o alla fontana, in una posizione un po' in disparte, ma dolorosamente partecipe.

CLIX “In qual parte del ciel”

Parafrasi: In quale luogo del cielo, in quale idea divina si trovava il modello (exempio) da cui la Natura ha tratto (tolse) il viso bello e dolce (di Laura) e nel quale (viso) ha voluto mostrare sulla terra quanto si può lassù (in cielo). Quale ninfa delle sorgenti, quale dea dei boschi (selve) sciolse al vento capelli così biondi? Quando un cuore accolse in sé così tante virtù morali? Sebbene la somma (della bellezza fisica e spirituale di Laura) sia la causa delle sofferenze che mi condurranno alla morte. Chi non vide mai gli occhi di Laura e come lei soavemente li volge, inutilmente cerca (indarno mira) sulla terra la bellezza divina; Chi non conosce la dolcezza dei suoi sospiri, della sua voce e del suo sorriso, non sa come l’amore può salvare e uccidere. Analisi: Petrarca conobbe realmente Laura, ma nei versi quest’esperienza è trasfigurata in un mito che esprime l’aspirazione del poeta a una felicità terrena irraggiungibile: Laura è descritta come una ninfa delle sorgenti e una dea delle selve che scioglie al vento i capelli dorati ed è immersa in un alone di luce e di indeterminatezza. Essa appare come una creatura sovrumana, piena di virtù anche se motivo di sofferenza per il poeta: la figura femminile non ha implicazioni religiose ma introduce agli effetti contrastanti che Amore provoca nell’animo del poeta. Secondo la concezione del filosofo greco Platone (adattata poi al pensiero cristiano medioevale), la realtà terrena è una copia approssimativa e parziale del mondo delle idee, cioè di una realtà trascendente e sovrasensibile, perfetta e immutabile. Petrarca, seguendo il motivo della lode dell’amata, celebra la Natura, cioè Dio, che ha voluto mostrare, in questa creatura soave e splendente di giovinezza eppure terrena, una copia dello splendore celeste. La personificazione di Amore, la metafora delle chiome d’oro, l’indeterminatezza dello stile sono costanti della poesia di Petrarca, che ricompone nell’armonia della forma le proprie sofferenze interiori. Qui egli evita termini realistici, privilegia una sintassi per coordinazione e crea un’accurata simmetria: nelle due quartine si succedono tre interrogative dirette che esprimono la contemplazione; nelle terzine le antitesi• e le corrispondenze sintattiche sottolineano il tormento d’amore...


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