Petrarca PDF

Title Petrarca
Course Critica Letteraria e Letterature Comparate
Institution Università degli Studi di Parma
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Summary

Alcuni sonetti e canzoni dal canzoniere di petrarca...


Description

Era il giorno ch’al sol si scoloraro per la pietà del suo factore i rai, quando i’ fui preso, et non me ne guardai, ché i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro. Tempo non mi parea da far riparo 5 contra colpi d’Amor: però m’andai secur, senza sospetto; onde i miei guai nel commune dolor s’incominciaro. Trovommi Amor del tutto disarmato et aperta la via per gli occhi al core,10 che di lagrime son fatti uscio et varco: però, al mio parer, non li fu honore ferir me de saetta in quello stato, a voi armata non mostrar pur l’arco. Comprensione In questo sonetto il poeta rievoca il primo incontro con Laura, avvenuto, come dice nel sonetto CCXI, il 6 aprile del 1327, giorno della passione di Cristo. Il dolore del poeta comincia nel giorno del dolore per la morte di Cristo “onde i miei guai nel commune dolor s’incominciaro”. Il poeta utilizza il topos stilnovistico dell’amore che passa attraverso gli occhi “quando i’ fui preso, et non me ne guardai, ché i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro”, gli occhi della donna legano metaforicamente il poeta, lo fanno prigioniero. L’amore viene raffigurato secondo l’immagine classica del dio armato di freccia, ma l’immagine guerresca è attribuita anche alla donna, che è armata, il poeta invece presenta sé stesso come disarmato e ferito. All’inizio del sonetto si ripete la stessa musicalità del sonetto proemiale con le sonore S ripetute e amplificate dalle vocali A e O, a creare un attacco di grande potenza e intensità, in cui domina l’immagine dei raggi del sole nel loro scolorire, tramontare. Analisi La figura retorica principale in questo sonetto è la metafora. Il poeta viene preso, catturato dalla donna, gli occhi della donna lo legano, il poeta è prigioniero della donna. Due volte si ripete il topos stilnovistico degli occhi come passaggio d’amore. La personificazione di amore che diviene Amore permette di insistere nella metafora dell’amore come scontro armato: Amore è armato, colpisce, ferisce il poeta con le sue armi tradizionali

l’arco e le frecce “ferir me de saetta” ; al contrario della donna che è armata e non teme i colpi d’amore, il poeta è disarmato. Al verso 7 troviamo una metonimia “guai” che significa lamenti, si indica l’effetto: i lamenti, per la causa: il dolore. Completamente nascosta e dissimulata è invece l’antitesi tra i lamenti del poeta e il commune dolore, “I miei guai nel commune dolore” vv. 7-8; i termini sono disposti secondo la figura retorica del parallelismo A (miei: attributo) B (guai: nome) a (commune: attributo) b (dolore: nome), allontanati dall’enjambement, da una parte i lamenti d’amore del poeta per la donna amata, dall’altra il dolore comune dei cristiani per la passione di Cristo. E’ questo il tema nuovo della poesia d’amore petrarchesca: l’opposizione tra amore sacro e amore profano, che viene consapevolmente inserito nella tradizionale trama metaforica dell’amore guerriero e dei topoi stilnovistici.

7. CXXXIV. O cameretta che già fosti un porto a le gravi tempeste mie diürne, fonte se’ or di lagrime nocturne, che ’l dí celate per vergogna porto. 5 O letticciuol che requie eri et conforto in tanti affanni, di che dogliose urne ti bagna Amor, con quelle mani eburne, solo ver ’me crudeli a sí gran torto! Né pur il mio secreto e ’l mio riposo 10 fuggo, ma piú me stesso e ’l mio pensero, che, seguendol, talor levommi a volo; e ’l vulgo a me nemico et odïoso (chi ’l pensò mai?) per mio refugio chero: tal paura ò di ritrovarmi solo. Parafrasi O mia piccola camera che un tempo fosti rifugio alle mie angosce quotidiane ora sei il luogo dove ogni notte piango quelle lacrime che di giorno tengo nascoste per vergogna. O mio piccolo letto che eri un tempo riposo e conforto

in così grandi affanni, Amore riversa su di te vasi pieni di lacrime con le sue mani bianche come l’avorio, verso di me solo ingiustamente crudeli. E non fuggo soltanto dal mio segreto e dal mio riposo, ma piuttosto da me stesso e dal mio pensiero, che talvolta, quando lo ho seguito, mi ha innalzato in volo; e cerco come mio rifugio la folla che temo e disprezzo (chi avrebbe mai pensato che ciò potesse accadere?) tanta è la paura che ho di ritrovarmi da solo. Comprensione Il sonetto descrive lo stato di disperazione del poeta. Un tempo egli si rifugiava nella propria camera per trovarvi riposo e conforto. Ora ha paura di rimanere solo; di notte piange sconsolato nel proprio letto e di giorno ricerca la compagnia della folla sconosciuta che odia e disprezza pur di sfuggire alla propria angosciante solitudine. Al centro della poesia la personificazione di amore di cui vediamo solo le mani bianche e fredde come l’avorio che versano sul letto urne, ovvero vasi, piene delle lacrime di dolore del poeta.

10. CCCLXV. I’ vo piangendo i miei passati tempi i quai posi in amar cosa mortale, senza levarmi a volo, abbiend’io l’ale, per dar forse di me non bassi exempi. 5Tu che vedi i miei mali indegni et empi, Re del cielo invisibile immortale, soccorri a l’alma disvïata et frale, e ’l suo defecto di tua gratia adempi: sí che, s’io vissi in guerra et in tempesta, 10mora in pace et in porto; et se la stanza fu vana, almen sia la partita honesta. A quel poco di viver che m’avanza et al morir, degni esser Tua man presta: Tu sai ben che ’n altrui non ò speranza. Parafrasi

Il sonetto “I’ vo piangendo i miei passati tempi” è il penultimo componimento del Canzoniere. Il poeta si rivolge a Dio “Re del cielo invisibile immortale” e confessando i suoi peccati si professa pentito e chiede aiuto. Io piango il mio passato speso ad amare una donna , senza elevarmi, come sarei stato in grado di fare, per dare prova più alta di me. Tu che vedi i miei peccati indegni ed empi, Re del cielo invisibile e immortale, vieni in aiuto della mia anima persa e fragile, e riempi della tua grazia la mia mancanza . così che se io vissi con affanno e angoscia muoia in pace e se la mia vita è trascorsa invano, almeno la mia morte sia buona. Degnati di venire in mio aiuto nel poco tempo che mi rimane da vivere e nel momento della morte, Tu sai bene che non ho speranza in nessun altro.

. LXI. CCXCII. Benedetto sia ’l giorno, e ’l mese, e l’anno, e la stagione, e ’l tempo, e l’ora, e ’l punto, e ’l bel paese, e ’l loco ov’io fui giunto da’ duo begli occhi che legato m’hanno; 5e benedetto il primo dolce affanno ch’i’ebbi ad esser con Amor congiunto, e l’arco, e le saette ond’i’ fui punto, e le piaghe che ’nfin al cor mi vanno. Benedette le voci tante ch’io 10chiamando il nome de mia donna ho sparte, e i sospiri, e le lagrime, e ’l desio; e benedette sian tutte le carte ov’io fama l’acquisto, e ’l pensier mio, ch’è sol di lei, sì ch’altra non v’ha parte. 6. LXII.

Padre del ciel, dopo i perduti giorni, dopo le notti vaneggiando spese, con quel fero desio ch’al cor s’accese, mirando gli atti per mio mal sì adorni, 5piacciati omai col Tuo lume ch’io torni ad altra vita et a più belle imprese, sì ch’avendo le reti indarno tese, il mio duro adversario se ne scorni. Or volge, Signor mio, l’undecimo anno 10ch’i’ fui sommesso al dispietato giogo che sopra i più soggetti è più feroce. ’’Miserere’’ del mio non degno affanno; reduci i pensier’ vaghi a miglior luogo; ramenta lor come oggi fusti in croce. Comprensione Due sonetti consecutivi dedicati all’anniversario del primo incontro del poeta con Laura. Nel primo il poeta affida all’anafora e al polisindeto l’espressione parossistica della propria felicità. Tutto ciò che di bene si può dire dell’amore del poeta si può e si deve dire: “Benedetto sia ‘l giorno, e ‘l mese , et l’anno ….” Nel secondo il poeta rivolge una dolente preghiera al Padreterno perché possa cambiare vita e così sconfiggere il crudele nemico, che ha teso le sue reti per catturarlo. Il motivo dell’animo oscillante (“animum labantem” animo che scivola via dice Petrarca nel Secretum), scisso tra volere e non volere, o meglio prigioniero dell’amore di ciò che si vorrebbe odiare è centrale nel Canzoniere. Questo motivo trova una esplicita esposizione in una famosa lettera scritta da Petrarca al suo amico Dionigi di Borgo San Sepolcro. “Ciò che ero solito amare, non amo più; mento: lo amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo , ma con più vergogna, con più tristezza; finalmente ho detto la verità. E’ proprio così: ma ciò che amerei non amare, ciò che vorrei odiare; amo tuttavia, ma controvoglia, nel pianto, nella sofferenza, in me faccio triste esperienza di quel verso di un famosissimo poeta “Ti odierò se posso; se no, ti amerò contro voglia”.

Gli occhi di ch’io parlai sí caldamente, et le braccia et le mani et i piedi e ’l viso,

che m’avean sí da me stesso diviso, et fatto singular da l’altra gente; 5le crespe chiome d’òr puro lucente e ’l lampeggiar de l’angelico riso, che solean fare in terra un paradiso, poca polvere son, che nulla sente. Et io pur vivo, onde mi doglio et sdegno, 10rimaso senza ’l lume ch’amai tanto, in gran fortuna e ’n disarmato legno. Or sia qui fine al mio amoroso canto: secca è la vena de l’usato ingegno, et la cetera mia rivolta in pianto. Parafrasi Gli occhi di cui ho parlato con tanta passione, le braccia, le mani, i piedi e lo sguardo, che mi avevano scisso in due me stessi e reso diverso dagli altri; i capelli biondi come l’oro lucente e il candore del sorriso angelico, che facevano della terra un paradiso, ora sono solo un po’ di polvere, che non sente più nulla. E io invece continuo a vivere, cosa che mi fa soffrire e sdegnare, sono rimasto senza la donna che ho tanto amato, come su una nave senza più vele in mezzo a una grande tempesta. Il mio canto pieno di amore termini qui: l’ispirazione, che per lungo tempo ha alimentato il mio ingegno, si è inaridita, la mia poesia canta solo il dolore di cui piange.

134. Pace non trovo e non ho da far guerra

Pace non trovo, et non ò da far guerra; e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio; et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra; et nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio.

5Tal

m’à in pregion, che non m’apre né serra, né per suo mi riten né scioglie il laccio; et non m’ancide Amore, et non mi sferra; né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio.

Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido; bramo di perir, et cheggio aita; et ò in odio me stesso, et amo altrui.

10et

Pascomi di dolor, piangendo rido; egualmente mi spiace morte et vita: in questo stato son, donna, per voi. È, questo, il sonetto dell'antitesi portata alle sue estreme conseguenze formali. Il procedimento era già presente in altri testi della raccolta, tuttavia qui assume una valenza di costruzione del sonetto stesso e rappresenta il terribile dissidio interiore che l'autore vive. Il dolore e l'incapacità di trovare una soluzione al proprio stato sono ricondotte in modo esplicito, nell'ultimo verso, alla colpa della donna, che con il suo amore impedisce un proseguimento sereno dell'esistenza.

Levommi il mio penser in parte ov'era

Levommi il mio penser Levommi il mio penser in parte ov’era quella ch’io cerco, et non ritrovo in terra: ivi, fra lor che ’l terzo cerchio serra, la rividi piú bella et meno altera. 5 Per man mi prese, et disse: – In questa spera sarai anchor meco, se ’l desir non erra: i’ so’ colei che ti die’ tanta guerra, et compie’ mia giornata inanzi sera. Mio ben non cape in intelletto humano: 10 te solo aspetto, et quel che tanto amasti e là giuso è rimaso, il mio bel velo. Deh perché tacque, et allargò la mano? Ch’al suon de’ detti sí pietosi et casti poco mancò ch’io non rimasi in cielo. TEMI : l’amore persistente del poeta per Laura anche dopo la sua morte ; il sogno di ricongiungersi con lei in cielo. In questo sonetto con rime secondo lo schema ABBA ABBA e CDE CDE il poeta immagina di salire al terzo cielo, cielo di Venere, dove si trova Laura. Lì la rivede più bella di quando era viva, ma non più orgogliosa come allora. La donna lo prende per mano e gli parla: un giorno il poeta sarà con lei in quel cielo, lei lo sta aspettando. “Oh perché tacque e gli lasciò

la mano?”: le parole pietose e caste di Laura erano tali da far credere al poeta di poter rimanere in cielo con lei. Prima strofa : il poeta si spinge in estasi fino agli spiriti beati del paradiso. Seconda strofa : Vi è un giudizio non positivo sulla passata esperienza amorosa.Infatti Laura ha fatto soffrire il poeta. Terza strofa :il poeta parla del corpo come semplice velo che nasconde l’anima e le sue bellezze. Quarta strofa : il poeta vorrebbe prolungare l’estasi della visione. PARAFRASI Il mio pensiero mi elevò fino al luogo dove ora è Laura, colei che ancora cerco ma mai più troverò in terra; qui, fra coloro che hanno eterna dimora nel terzo cielo del paradiso, ebbi modo di rivederla più bella e meno superba. Mi prese per mano e mi disse: "In questo cerchio sarai un giorno assieme a me, se non m'inganna il desiderio: io son colei che ti ha fatto tanto soffrire e che concluse la sua esistenza prima di raggiungere la vecchiaia. La mia beatitudine non può essere compresa dall'intelletto umano: aspetto solo te, e ciò che tu tanto amasti e la è rimasto, il mio bel corpo." E allora perché rimase in silenzio e protese la mano? Che a causa del suono delle sue parole così pietose e piene di purezza, poco mancò che io non rimasi in cielo [morissi]. In questo sonetto ci avviciniamo a una rappresentazione più dantesca della donna, collocata in Paradiso come figura di congiunzione con il cielo. Laura è qui benevola verso il poeta, innamorata di lui e pronta ad accoglierlo: l'atmosfera sembra quasi quella di un sogno, certamente di una visione in cui il dissidio e il penare del soggetto sono messi da parte, quasi dimenticati. Tuttavia, la somiglianza con Beatrice è solo apparente: non c'è più in Petrarca una dimensione teologica, Laura è del tutto umana anche in Paradiso, allunga la mano per afferrare il suo amato senza curarsi della sua salvezza personale o di spiegargli la struttura dell'aldilà....


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