Francesco Petrarca Canzoniere Analisi PDF

Title Francesco Petrarca Canzoniere Analisi
Author Lucia Manfredi
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi del Molise
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FRANCESCO PETRARCA CANZONIERE ANALISI

1 Questo testo è legato alla decisione di Petrarca di organizzare le “ rime sparse” in un libro ,quindi è importante comprendere la sua datazione. Questo libro doveva esprimere la parabola storica del suo amore. Molti hanno pensato che il sonetto sia stato composto dopo la morte di Laura. Un certo RICO lo data nel 1349/1350. Sempre RICO ha notato come questo sonetto rispecchia i testi classici in particolare ORAZIO. Quindi probabilmente il Canzoniere deve molto ai poeti latini. Il sonetto infatti si adatta a quelli che sono i canoni classici e dei romanzi dalla CAPTATIO BENEVOLENTIE fino alla bipartizione del libro ( in vita e morte ). Lo schema del sonetto è ABBAABBACDECDE VOI CHE ASCOLTATE : è un invito ai lettori a leggere o ascoltare RIME SPARSE: composte e diffuse singolarmente, l’aggettivo SPARSE , in esso si riflette il motivo della dispersione e della instabilità proprie del Volgo contrapposte all’unità e all’autocontrollo del saggio, questo motivo pervade il finale del SECRETUM. IL SUONO…SOSPIRI: la voce, l’espressione dei quali io nutrivo il cuore al tempo della mia prima giovinezza, quando mi sviai( innamorandomi ). SVIARE= sbaglio,peccato. QUAND’ERA…SONO: chi scrive è un uomo maturo, diverso dal giovane innamorato, ma la trasformazione non è completa perché nell’uomo nuovo ci sono ancora residui dell’errore passato. PETRARCA, riprende il motivo della MUTATIO ANIMi. VARI STILI…PIANGO E RAGIONO: Petrarca parla e piange in vario modo. 6. fra le inutili speranze e l’inutile dolore, 7. se c’è qualcuno che sappia per esperienza che cos’è l’amore, 8. spero di trovare presso di lui compassione e perdono. 9. Ma ora mi accorgo chiaramente come per tutto il popolo 10. sono stato per molto tempo oggetto di dicerie, motivo per cui spesso 11. ho vergogna di me stesso dentro di me( la vergogna si applica alla sfera sentimentale ) 12. e la vergogna è il risultato del mio vaneggiare( vane speranze e vano dolore ) 13. e il pentimento e il sapere con chiarezza 14. che tutto ciò che riguarda la vita terrena è di breve durata.

Nel sonetto Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, posto in calce al Canzoniere, ma composto in anni più tardi (probabilmente verso il 1349, dopo la morte dell’amata Laura, le cui “rime in morte” costituiscono la seconda parte del Canzoniere), Petrarca si volge indietro ed opera un bilancio della propria esperienza amorosa. Infatti, rivolgendosi a chi, come lui, soffre pene d’amore, chiede comprensione e perdono perché il suo “primo giovanile errore” (v. 3), l’amore per una donna terrena (Laura) lo ha traviato e lo ha allontanato dall’amore per Dio. Si presenta, dunque, come colui che ha sbagliato in passato ed ora se ne vergogna: il sonetto, pertanto, è al contempo inizio e fine, perché è posto all’inizio, ma ripercorre criticamente l’esperienza passata del poeta. In Dante, questi sentimenti di pentimento erano legati a diversi peccati; qui, invece, l’unico peccato è stato l’amore. L’attitudine all’introspezione e all’autoanalisi è tipicamente petrarchesca, così come la dicotomia tra sacro e profano. Identificare la poesia col suono, la musicalità del verso è molto moderno, come il fatto di invitare noi che ascoltiamo, ossia leggiamo le poesie, a partecipare degli stati d’animo del poeta. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, si intrecciano due piani temporali: il presente, che è il tempo della vergogna e del pentimento, e il passato, il momento dell’errore. Petrarca sente angosciosamente il fluire inesorabile del tempo, di cui sono una conseguenza inevitabile la vanità e la precarietà di tutte le cose terrene. La struttura è bipartita: il sonetto è, infatti, diviso nettamente in due parti: le due quartine e le due terzine. Nelle quartine, vi sono rime dai suoni dolci e armoniosi e si parla del pubblico e del contenuto dell’opera. Nelle terzine, notiamo un certo incupimento di significato, sottolineato dalle rime dai suoni chiusi e aspri, e scaturito dalle sensazioni di pentimento, derisione e vergogna che il poeta sente verso l’amore da lui provato, ch’egli considera come qualcosa di vano, al pari di ogni sentimento terreno soggetto alla morte. Questa concezione viene evidenziata maggiormente dall’ultimo verso del sonetto: “che quanto piace al mondo è breve sogno” (v. 14).

3 La data del sonetto dipende dalla data dell’innamoramento. Il giorno viene stabilito qui durante la passione di Cristo, il 6 aprile all’ora prima. Vi sono varie tesi discordanti tra cui quella di Calcaterra 1926 secondo la quale Petrarca non fa riferimento alla ricorrenza del calendario liturgico ma ad una tradizione che fissava la morte di cristo al 6 aprile. Martinelli invece crede che la data dell’innamoramento vada fissata al 10 aprile anziché il 6 ma, inoltre pensava che la corrispondenza tra quella data e la morte di Laura sia stata inventata da Petrarca, per accentuare la portata simbolica dell’evento, questo pensiero non viene condiviso. Santagata non accetta come datazione il 1349, ma andrebbe collocata dopo il 1351.

Schema ABBAABBACDECDE. A-C-D assuonano ( aro-ato-arco),rima RICCA: “guardai-andai”(3-6) Era Venerdì Santo, giorno della morte di Gesù, durante il quale i raggi del sole si oscurarono 2. per la compassione nei confronti del loro Creatore; 3. in questo giorno io fui conquistato dall'amore, e non pensai a difendermi, 4. perché i tuoi begli occhi, Laura, mi conquistarono( i suoi occhi lo hanno legato ) 5. (Essendo un giorno di lutto e meditazione religiosa) non mi sembrava necessario difendermi 6. dalle insidie d'Amore; perciò andavo 7. fiducioso e senza timori: ragion per cui i miei lamenti 8. ebbero inizio in mezzo al dolore generale( dolore comun per la cristianità) per la Passione di Cristo. 9. Amore mi colse del tutto disarmato, 10. e trovò libero il varco per entrare nel cuore attraverso gli occhi, 11. che ora sono diventati sorgente di lacrime. 12. Perciò, a mio parere, da parte di Amore non fu corretto 13. colpire con la freccia me, che ero in quello stato inerme, 14. e non mostrare neppure l'arco ( quello di amore che non colpisce e non cattura )a te, Laura, che eri ben difesa (dalla tua virtù e castità). Era Venerdì Santo, giorno della morte di Gesù, durante il quale i raggi del sole si oscurarono per la compassione nei confronti del loro Creatore; in questo giorno io fui conquistato dall'amore, e non pensai a difendermi, perché i tuoi begli occhi, Laura, mi conquistarono. (Essendo un giorno di lutto e meditazione religiosa) non mi sembrava necessario difendermi dalle insidie d'Amore; perciò andavo fiducioso e senza timori: ragion per cui i miei lamenti ebbero inizio in mezzo al dolore generale per la Passione di Cristo. Amore mi colse del tutto disarmato, e trovò libero il varco per entrare nel cuore attraverso gli occhi, che ora sono diventati sorgente di lacrime. Perciò, a mio parere, da parte di Amore non fu corretto colpire con la freccia me, che ero in quello stato inerme, e non mostrare neppure l'arco a te, Laura, che eri ben difesa (dalla tua virtù e castità). Come si menziona altrove nel corso del libro (Rvf 211, Voglia mi sprona), il Venerdì Santo in cui l'episodio è ambientato è il 6 aprile 1327. Ma è stato facilmente accertato, ed è cosa notissima, che il 6 aprile 1327 era un lunedì e non un venerdì. Petrarca deve

dunque aver modificato l'elemento biografico, come spesso faceva in tutte le sue opere, per conferire alle date e ai numeri significati soggiacenti. Far coincidere la data dell'innamoramento con l'anniversario della morte di Gesù, infatti, oltre a rappresentare come un presagio negativo sul destino dell'amore per Laura, iscrive cronologicamente questo amore fra due giorni di lutto, appunto il 6 aprile 1327, giorno della Passione di Cristo, e il 6 aprile 1348, che sarà il giorno della morte di Laura stessa. Al tormento amoroso del poeta, così, fa da sfondo il dolore corale della comunità dei credenti, ma si tratta piuttosto di uno sfondo "contrastivo": in contrapposizione al significato sacro della sofferenza collettiva, il poeta vive infatti una propria profana, e perciò colpevole, sofferenza privata; questa frattura contrassegna decisamente la storia d'amore con un marchio peccaminoso e comincia già a definire il dissidio inconciliabile fra passione per Laura e amore per Dio di cui il poeta soffrirà per tutto il corso della vicenda raccontata dal libro. L'innamoramento è descritto nella poesia per mezzo di immagini di guerra e di prigionia: gli occhi incatenano l'io, Amore sferra colpi con i suoi tradizionali attributi – l'arco e le frecce –, l'io è disarmato. Ma è sleale questa guerra condotta da Amore, che attacca l'avversario sprovveduto e inerme e lascia indenne Laura. Dalla rimeria precedente, stilnovista ma non solo, deriva il concetto dell'amore che arriva al cuore per il tramite degli occhi («li occhi in prima generan l'amore / e lo core li dà nutricamento», Giacomo da Lentini; «Voi che per li occhi mi passaste il core», Cavalcanti) e non manca persino una clausola dantesca, dal canto di Paolo e Francesca (senza sospetto; «soli eravamo e senza alcun sospetto», Inf. V, 129).

22 Probabilmente datata intorno al 1345 periodo del soggiorno a Verona ma forse la data è posteriore. Forte influsso delle ALBE profane provenzali, suggerisce la situazione dell’incontro notturno degli amanti, con le invocazioni che il giorno non ritorni. Sestina con congedo A=SOTTERRA(TERRA),B=SOLE,C=GIORNO,D=STELLE,E=SELVA,F=ALBA Non ci sono rime all’interno ma parole-rime che si ripetono a fine verso. vv. 1 – 6] Per tutti gli esseri viventi che abitano la terra, con l’eccezione dei pochi che sono animali notturni (lett.: che non sopportano la luce del sole) il tempo delle fatiche corrisponde alla durata del giorno; ma quando il cielo accende le sue stelle, qualcuno torna a casa (l’uomo, l’animale domestico), qualcun altro si rintana nei boschi (la fiera), in modo da godere del riposo almeno sino all’arrivo dell’alba.

Le parole-rime scandiscono l’opposizione tra luce e ombra ,sole e stelle, giorno e tenebre e alba e tramonto. 7-12] Quanto a me, a partire dall’istante in cui l’alba comincia ad erodere l’ombra intorno alla terra, svegliando gli animali selvatici nei boschi, non smetto di sospirare per tutta la durata della giornata (finché risplende il sole); e anche dopo, quando vedo brillare le stelle, continuo a piangere e desidero l’arrivo del giorno. L’ET segna un opposizione con la stanza precendente. [vv. 13 – 18] Quando la sera scaccia il luminoso giorno, e le tenebre, giungendo nella nostra porzione di globo (le nostre tenebre), portano l’alba dall’altro capo del mondo, io contemplo, dolente, le stelle crudeli che mi hanno fatto nascere uomo (facto di sensibil terra: che mi hanno plasmato di materia sensibile, ossia che mi hanno fatto nascere creatura sensibile alla passione amorosa). E maledico il giorno in cui per la prima volta ho visto il sole (il giorno della nascita), quel sole che con la sua luce rivela il mio aspetto selvatico(un huom nudrito in selva : mi fa apparire un uomo allevato nei boschi. E’ l’aspetto determinato dalla solitudine causata dall’amore). [vv. 19 – 24] Non credo abbia mai pascolato in una selva, né di notte, né di giorno, una fiera tanto crudele quanto lo è costei (Laura) che io piango sia nelle ore di luce, che nelle ore di buio (a l’ombra e al sole); e non mi fa smettere di piangere il sopraggiungere dell’ora del sonno, né l’arrivo dell’alba, poiché, benché io sia un corpo mortale, il mio irremovibile desiderio discende dalle stelle (ossia la mia sofferenza d’amore è un destino imposto dagli influssi celesti). vv. 25 – 30] (Se solo) prima di ritornare tra voi, oh stelle lucenti, (ossia prima di morire e tornare in Paradiso) o prima di precipitare nella selva amorosa (il riferimento è alla virgiliana selva dei mirti, ove dimorano le anime di coloro che furono vittime di un amore infelice), lasciando sulla terra il corpo che diverrà polvere, io potessi scorgere in lei quella pietà che in un giorno solo mi potrebbe ripagare delle pene di molti anni, e farmi felice dal tramonto del sole fino all’arrivo dell’alba (per una notte d’amore: è la situazione tipica delle albe provenzali). [vv. 31 – 36] (Se solo) io potessi stare con lei a partire dall’ora del tramonto, veduti da nessuno fuorché dalle stelle, solo per una notte, e potesse l’alba non giungere mai; e potesse ella non trasformarsi in lauro per sottrarsi alle mie braccia, come nel giorno in cui Apollo la inseguiva quaggiù sulla terra (il riferimento è al mito di Dafne che, per sfuggire ad Apollo, si trasformò in lauro; l’identificazione Dafne-Laura è consueta nel Canzoniere

v. 37 – 39] Ma prima accadrà che io sia morto e sepolto nella secca selva e che le stelle brillino in pieno giorno, piuttosto che il sole porti un’alba tanto dolce (doppio adynaton). Interessante è la parola SOLE che cambia, il sole naturale delle prime due strofe muta nel sole Donna, cosi la maledizione del giorno della nascita allude anche alla maledizione rivolta all’amore, maledizione del giorno in cui la Donna Sole si impresse nella sua mente e che lo ha intrappolato nel FERMO DESIR, che è per lui un tormento.

34 Secondo RAFTI il componimento è stato composto prima del novembre 1337,sono illazioni le ipotesi di chi lo colloca nel 1333, 1342, c’è anche qualcuno che lo lega al periodo della convalescenza di Laura ma questa ipotesi non è supportata. Tuttavia il testo fa riferimento al periodo biografico di Laura sicuramente la malattia, essendoci Apollo che deve disperdere il mal tempo che minaccia il lauro. Schema ABBAABBACDECDE, rime ( desio,oblio,io,rio),(onde,bionde,asconde,fronde) vv. 1 – 4] Oh Apollo, se ancora dura il bel desiderio che ti infiammava presso i flutti di Tessaglia (ossia lungo le rive del fiume Peneo, padre della ninfa Dafne, tutta la perifrasi vuole dire dunque: “se ancora dura l’amore per Dafne”) Apollo è il dio della medicina, è il sole è l’amante di Luara. Il mal tempo è nemico del Lauro che predilige i luoghi caldi , e se, con il passare degli anni, non hai già dimenticato le bionde chiome: si riferisce all’ombra dei frondi. (il biondo è un attributo consueto di Laura: le figure di Laura e di Dafne dunque si sovrappongono, motivando l’invocazione ad Apollo): v. 5 – 8] difendi ora dal gelo che rende pigri e dal maltempo aspro e spiacevole, che dura per tutto il tempo che tu tieni nascosto il suo viso, (Petrarca immagina che il maltempo subentri quando Apollo, dio del Sole, nasconde il suo volto) l’onorata e sacra fronda (ossia il lauro), dal quale prima tu e poi io fummo catturati (dall’identificazione Laura-Dafne discende l’identificazione Laura-lauro: il maltempo che minaccia il lauro e che Petrarca chiede ad Apollo, dio del Sole, di disperdere, simboleggia il morbo della donna; del resto Apollo è anche dio della medicina); [vv. 9 – 11] E in forza del desiderio amoroso che ti sostenne nei tempi bui (Petrarca si riferisce al periodo in cui Apollo fu esiliato dall’Olimpo e costretto fra i pastori della Tessaglia), rischiara l’aria da queste nebbie, vv. 12 – 14] in modo tale che poi vedremo la nostra donna, con meraviglia di entrambi, sedere sull’erba e farsi ombra con le sue stesse braccia (lo scambio tra “braccia” e “rami” si spiega alla luce della completa sovrapposizione fra la donna –

Laura/Dafne – e la pianta – il lauro – ). Richiamo a Dafne e Apollo , avviene la metamorfosi della donna in albero.

35 Composto prima del 1337,prende spunto dal Bellerofonte omerico. Il motivo della solitudine per amore,illustra in realtà uno degli effetti del Furor amoris Il noto sonetto Canzoniere XXXV è un componimento a cinque rime che presenta uno schema metrico dei più frequenti nel Canzoniere, cioè ABBA ABBA, quindi a rime incrociate, nelle quartine, e CDE CDE, a rime replicate, nelle terzine, anch’esso molto presente nel libro. Dodici delle quattordici parole rima, fra cui si notano quella derivativa fra campi e scampi (vv. 1 e 5) e l’altra paronomastica fra stampi e scampi (vv. 4 e 5), si spartiscono in sei casi la tonica in à, in altri sei la tonica in é, confermando una ditonia che Lonardi ha rintracciato nei primi 50 sonetti della raccolta petrarchesca. Gruppi fonici fondamentali, grazie all’associarsi delle nasali n e m, sono AM da un lato, EM/EN dall’altro, che oltre ad affacciarsi nelle rime, si riverberano anche in posizione interna, come mostra già la prima quartina. Si confermi poi, a confermare questa struttura binaria, l’aggiunta, ai suddetti gruppi fonici, dell’occlusiva labiale sorda p, sia nelle quartine che nelle terzine, e dell’occlusiva dentale sorda t solo nelle quartine, da cui da un lato AMP/ EMP, dall’altro ENT. Il primo gruppo, in particolare, sarebbe responsabile, secondo Mengaldo, di un regolare inceppamento della catena fonica, riflesso per così dire semantico del tema enunciato al v. 2, quel lento incedere per solitarie vie, espresso a livello sintagmatico dalla presenza di coppie aggettivali, da quella già in limine, rinsaldata dall’assonanza e dalla iterazione della sillaba so (SOlo et penSOSO), a quella, correlata a chiasmo, che conclude il primo distico (tardi et lenti), all’ultima del v. 12, dislocata in epifrasi e invertita, come vedremo, rispetto all’ordine di Dante, Inferno I, 5 (“esta selva selvaggia e aspra…”). Per non citare l’ultimo verso che, mentre replica in chiusura quel principio sia nella forma (omeottoto) che semanticamente (il reciproco ragionare dell’io e di Amore), ribalta anche – seppur in apparenza – la solitudine dichiarata dall’aggettivo di apertura. Nella stessa direzione del rallentamento, poi, vanno, nota ancora Mengaldo, forme perifrastiche quali “vo mesurando” (v. 2), “venga … ragionando” (vv. 13-4), “d’allegrezza spenti” (v. 7), “gli occhi porto” (v. 3), l’inserimento con iperbato di “per fuggire” (v. 3), nonché il lungo periodo dei vv. 5-11. Ma a confermare la binarietà è anche, scrive Hugo Friedrich, il respiro sintattico scandito, nelle quartine, secondo la misura del distico, laddove si espande a tutta la stanza nelle terzine, formando, con le due ultime strofe, una coppia di elementi distinti,

ma omologhi, come già la metrica ci suggeriva. Si noti, inoltre, che il componimento è poi diviso, dal “Ma” divaricatore del v. 12, in due parti asimmetriche. Per tornare ai gruppi fonetici dominanti, Petrarca li ricaverebbe, secondo Lonardi, da una fonte latina, sempre citata dai commentatori, a partire da Vellutello. Si tratta dell’episodio omerico di Bellerofonte, letto dal poeta in traduzione latina nelle Tuscolane, di Cicerone, III, 26, 23: qui miser in cAMpis merens errabat aliENis ipse suum cor edENs, hominum vestigia vitANs in cui la struttura a chiasmo formata da campis–vitans da un lato, alienis– edens dall’altro, sarebbe replicata con uguale figura, seppure invertita, in pensoso– lenti e campi–mesurando del sonetto petrarchesco: Solo et pENsoso i piú deserti cAMpi vo mesurANdo a passi tardi et lENti (1) Ma veniamo al commento testuale e all’individuazione delle possibili fonti. deserti (v. 1): è aggettivo molto usato da Dante nei primi due canti della Commedia: “piaggia diserta” (Inf., I, 29) (piagge è al v. 9 del sonetto) e I, 64: “gran diserto”; “diserta piaggia” torna in Inf., 2, 62. campi (v. 1): in rima con scampo e m’avampo è al son. 221. Bettarini cita i deserta loca di un’elegia di Properzio, ma la parola si riattacca meglio ai campis del passo bellerofonteo delle Tuscolane, peraltro anch’esso citato. mesurando (v. 2): Santagata cita, per la metafora, Lucano e avalla la lettura di Keller per cui Saturno, divinità sotto il cui influsso sarebbero i malinconici, presiede alla misurazione dei campi (donde il compasso, la bilancia e altro materiale nella Melancolia I di Dürer). a passi tardi et lenti (v. 2): più che i riferimenti citati da Santagata, vedrei meglio, per l’uso della stessa preposizione, Dante, Inf., 6, 101: “a passi lenti”. Per il binomio lento e tardo entrambi i commenti citano Petrarca, Triumphus Pudicitiae, v. 40. occhi intenti (3): si cfr. Dante, Inf., 8, 66: “perch’io avante l’occhio intento sbarro”.

vestigio (4): inteso come orma anche in Secretum, I, 3, 2: “paucissimorum signatum vestigiis iter” e in Canzoniere, CLXII, 4: “et del bel piede alcun vestigio serbe”. Per arena si vedano i rif...


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