Canzoniere di Francesco Petrarca (componimenti scelti) PDF

Title Canzoniere di Francesco Petrarca (componimenti scelti)
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Course Indirizzo ordinario
Institution Liceo Scientifico Statale Nicolo' Palmeri
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FRANCESCO PETRARCA, CANZONIERE, a c. di M. Santagata



1. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono

Sonetto su 5 rime a schema ABBA ABBA CDE CDE; A ed E sono legate da assonanza, ribadita da una consonanza imperfetta, e condividono la vocale tonica con B; tende a...


Description

FRANCESCO PETRARCA, CANZONIERE, a c. di M. Santagata

1. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono Sonetto su 5 rime a schema ABBA ABBA CDE CDE; A ed E sono legate da assonanza, ribadita da una consonanza imperfetta, e condividono la vocale tonica con B; tende all’equivocità la coppia “suono” : “sono” (1, 4) (una ambiguità che lambisce lo stesso “sogno” conclusivo). E’ particolarmente importante riuscire a datare questo testo perché esso si collega alla decisione petrarchesca di organizzare le “rime sparse” in un libro che disegni la parabola storica ed esemplare del suo amore. Convincono gli argomenti di Rico 1976, che ne fissa la composizione nel 1349 o, più verosimilmente, nel 1350. Ancora Rico 1988 ha mostrato come il sonetto e i due successivi (che vengono così a formare una sorta di prologo entro il prologo) riflettano temi e tonalità di testi proemiali classici, in particolare di Orazio, Epist. I 1 e Carm. IV 1, di Properzio, I, 1 e di Ovidio Am. I 1. Rico ne deduce che l’idea stessa di Canzoniere come liber molto deve a questi poeti latini e che almeno i primi tre sonetti sono stati ideati e scritti nel biennio 1349-50 congiuntamente al precisarsi del progetto di raccolta. Il sonetto si adegua per più aspetti ai canoni classici e romanzi dell’exordium: dalla captatio benevolentiae dei lettori-ascoltatori alle iniziali sul ‘genere’ dell’opera (“rime sparse”) sino al forte dualismo tra fronte e sirma che anticipa, secondo i dettami della partitio materiae, la bipartizione del libro. Goldin Folena 1995 rileva nel sonetto procedure di tipo epistolare proprie della salutatio e le mette in relazione con le formule conclusive della petitio riscontrabili nella canzone alla Vergine. Accanto a quella proemiale sussiste anche, già rilevata dai commentatori cinquecenteschi, una funzione conclusiva, “per cui tutto il Canzoniere si presenta nella prospettiva ambigua del flash back: la storia di un amore, detta come presente, ma vista come passato” (Noferi 1974). (…) L’aggettivo “sparse” sprigiona forti suggestioni ideologiche: in esso si riflette il motivo, stoico, della dispersione e della instabilità proprie del volgo contrapposte all’unità e all’autocontrollo del saggio, motivo che pervade il proposito finale del Secretum. 2. Per fare una leggiadra sua vendetta Sonetto con lo stesso schema del precedente; le rime delle quartine hanno in comune la tonica e, quelle delle terzine la a; assuonano C e D; inclusive le rime: “assalto : “alto”; ricca “offese” : “difese”; paronomastiche “difese” : “discese”, “spazio” : “strazio”. Se 1 risponde ai canoni dell’exordium, la serie 2-5 rispetta quelli dell’initium narrationis, con l’utlizzazione de loci a re (2 causa, 3 tempus) e a persona (4 patria, 5 nomen); non è necessario ipotizzare che tutti e quattro testi siano stati concepiti ab origine in vista di questa collocazione e quindi che essi siano coevi; anche la complementarità di 2 e 3 è più apparente che reale: la dinamica dell’innamoramento descritta in 2 non è armonizzabile con quella di 3: lo avevano visto bene nel Cinquecento, quando addirittura arrivarono a modificare il testo per smussare le contraddizioni. Molto numerose sono le coppie di testi collegati per opposizione: si vedano ad es., nell’ambito degli anniversari, 61 e 62. 3. Era il giorno ch’al sol si scoloraro

Sonetto su 5 rime a schema ABBA ABBA CDE DCE; mentre A ed E assuonano e condividono la tonica con B, A e D consuonano, con estensione della r interna a E; la forte incidenza della rotata è accentuata dalle ripetizioni in prossimità della rima nella serie iniziale: scoloRaRo, Rai, guaRdai; ricca la rima “guardai” : “andai”. La datazione del sonetto dipende da quale soluzione viene data al problema del giorno dell’innamoramento. L’evento è fissato, qui e in 62, senza ulteriori precisazioni, nel giorno della passione di Cristo. Il sonetto 211 specifica essersi trattato del 6 aprile 1327, esattamente all’ora prima. Laura muore all’ora prima del 6 aprile 1348 (336); la coincidenza fra i due avvenimenti è sottolineata in Triumphus Mortis I 133-34 e nella nota obituaria del Virgilio Ambrosiano. Ora, il 6 aprile del 1327 non era venerdì santo, che quell’anno ricorse il 10 aprile. Ne è nata, a partire dalla metà del Cinquecento, una secolare discussione. Pastore Stocchi 1981, infine, obiettando, fra l’altro, che non si vede per quali motivi P. avrebbe falsificato i dati della nota obituaria, suggerisce che egli, dopo l’evento fatale del ’48, abbia o fatta propria la tradizione della data fissa della crocifissione o trasformato il lunedì del primo incontro nel più simbolico venerdì di passione. Per questo sonetto, sicuramente posteriore alla morte di Laura, non accetterei però la datazione al 1349: se è vero, infatti, che la nota obituaria è posteriore al rientro in Provenza nel 1351, la composizione di 3 va collocata dopo l’estate del ’51 (forse, tenendo conto che in quell’anno il venerdì santo cadeva proprio il 6 aprile, nella primavera del 1352). Del resto, il sonetto sembra concepito espressamente in funzione dell’esordio del libro, con un occhio a quello che precede (lo fanno credere alcuni sviluppi tematici e, soprattutto, una sottile conessione sintattico-lessicale: “ERA la mia virtute al cor ristretta / per far … / QUANDO … / Però, 2; “ERA il giorno ch’ al sol si scoloraro / per la pietà…. / QUANDO … / però…”, 3). 4. Quando io movo i sospiri a chiamar voi Sonetto su 4 rime a schema ABBA ABBA CDC CDC; A e B condividono la tonica o; derivata la rima “degna” : “disdegna”. Elogio del nome dell’amata condotto innestando una sorta di doppio acrostico (di cui la parola tematica “reverenza” sembra indicare l’immediato precedente in Par. VII 13-14: “Ma quella reverenza che s’indonna / di tutto me, pur per Be e per ice) una complessa interpretatio nominis, figura tipica dei panegirici e delle agiografie, applicata a ogni sillaba. Le lettere non sono evidenziate sull’autografo, il che rende difficoltoso ricostruire il nome disperso nelle terzine: siccome dalle quartine si ricava la regola che siano in gioco solo le sillabe iniziali di parola (LAU-RE-TA), non è possibile pensare alla ripetizione dello stesso nome, e d’altra parte sembra incongrua la forma francese LAURE. Utilizzando invece la A di “Apollo”, otteniamo la forma latina LAUREA, che renderebbe ragione anche della duplicazione del nome prima celebrato nel suo aspetto anagraficoreferenziale. La presenza del mito dafneo non è indizio sufficiente di composizione giovanile: anzi, il fatto che il simbolo dafneo sia pienamente dispiegato anche sul versante poetico potrebbe suggerire una datazione molto più bassa. Un termine ante quem potrebbe essere costituito dal passo del De vita… Petracchi in cui Boccaccio nomina più volte Lauretta; si potrebbe pensare che nel De vita, abbozzato nel ’41-42 e ultimato nel ’47-48, Boccaccio avesse presente proprio questo sonetto. 5. Movesi il vecchierel canuto et bianco

Sonetto su 5 rime a schema ABBA ABBA CDE CDE; B e C condividono a vocale tonica i. L’ipotesi che il sonetto sia stato scritto durante il primo soggiorno a Roma nel 1337 è stata più volte messa in dubbio: in primo luogo, è attestato l’uso di “venire” con il significato di “pervenire, giungere” e inoltre, il poeta poteva “porre il punto di vista ideale in quello che, nonostante la cattività avignonese, era più che mai per lui il centro della cristianità. Resta possibile, invece, pur senza sottovalutare l’effetto in tal senso indotto dal precedente sonetto, che si tratti di un testo di lontananza. Anche il fitto reticolo lessicale che si stende su due sonetti potrebbe generare l’illusione che il viaggio del “vecchierel” adombri un evento biografico analogo a quello soggiacente a 15. Il paragone con il vecchio pellegrino proietta sulla vicenda amorosa la stessa tensione ‘figurale’ (ricerca di una imago dietro alla quale si spera di scoprire la res, la realtà autentica propria della peregrinatio sacra, ma con un procedimento tipico del Petrarca degli anni Trenta, e sfruttando forse il precedente fornito da Cavalcanti in Una giovane donna, il motivo del pellegrinaggio viene innestato su quello profano della fedeltà nonostante le apparenze, con effetti di acuta collusione tra le due sfere. 6. A qualunque animale alberga in terra Sestina con congedo di schema (A) E (C) D (F) B: sull’esempio di Arnaut e di Dante la retrogradatio non si estende al congedo (la successione delle parole-rima ripeterà l’ordine della prima stanza solo nelle ultime cinque sestine a partire da 142): più che su quello danielino, che accoppia i rimanti in clausola a ciascun verso, il congedo di Petrarca si struttura su quello di Dante, che dispone i rimanti, oltre che in fine di verso, anche alla fine del primo emistichio, con la sola eccezione dell’ultimo verso nel quale è riproposta la coppia di tipo arnaldiano. Le parole rima delle sestine petrarchesche sono sempre, come del resto quelle dei due predecessori, bisillabe: fa qui eccezione, nel congedo, “sotterra” (derivata da “terra”); ma è eccezione autorizzata da Arnault e direttamente ispirata da Dante, che chiude la sestina con “sott’erba”. La composizione di questa sestina è assegnata, su basi puramente indiziarie, al periodo avignonese; se però riconosciamo fondato il riscontro tra il v. 32 e Catullo, VII 7-8, e diamo credito alla ricostruzione di Billanovich 1988, secondo il quale Petrarca conobbe le poesie di Catullo a Verona nell’estate del 1345, siamo costretti ad ammettere almeno una revisione in data posteriore a quel soggiorno veronese. Si aggiunga che lo scatto sensuale dei vv. 31-36, entro i quali cade il possibile riscontro con Catullo, ritornerà in forme molto vicine nella sestina 237, per la quale è stata ipotizzata una datazione intorno alla primavera del 1346. In ogni caso, ritocchi o parziali rifacimenti in anni più recenti non stupiscono, se si tiene conto del fato che l’adiacente canzone 23 è ancora in fase di revisione nei primi anni Cinquanta. La prima delle nove sestine della raccolta rende omaggio nel v. 24 ad Arnaut Daniel, inventore del metro, senza dimenticare colui che lo aveva acclamato in terra italiana, il Dante di Al poco giorno (cf. v. 8 e la ripresa in rima della parola emblematica “giorno”). Accanto ai due modelli canonici, un forte influsso esercita il genere delle “albe” profane provenzali: non solo essa fornisce uno dei rimanti, ma suggerisce anche la situazione (qui solo desiderata) dell’incontro degli amanti, con le conseguenti invocazioni a che il giorno non ritorni. Dal punto di vista tematico, la sestina mostra numerose analogie con la canzone 50 e con la sestina 237. La connessione con il

sonetto precedente è affidata a una figura di antitesi tra il “v’ama” di 21, 14 e il “ch’anno in odio” di 22, 2. 7. Giovene donna sotto un verde lauro Sestina con congedo di schema (A) B (D) E (C) F. Solo “s’arriva” infrange, sull’esempio danielino, la regola del bisillabismo delle parole rima; da rilevare anche il gioco di omofono “L’auro” / “lauro”. E’ questo il primo testo esplicitamente di anniversario della raccolta. La sestina è riferita al 6 aprile del 1334, ma il fatto di per sé non comporta che anche la composizione risalga a quei giorni. Sulla decisione di iniziare proprio dal settimo anno la serie delle notazioni cronologiche che scandiscono il tempo del servizio amoroso può avere influito l’esempio biblico della servitù sostenuta da Giacobbe per amore di Rachele. Nell’ordinamento definitivo la sestina occupa un numero che corrisponde a quello degli anni di Petrarca a quella data. Alla canzone 29 la legano, oltre al comune clima anraldiano-petroso, parecchi richiami tematici e precisi legami lessicali, sia per capfinidad (“donna” alla fine di 29 e all’inizio di 30), sia per analogia incipitaria. 8. Solo et pensoso i più deserti campi Sonetto con lo stesso schema del precedente; le rime delle quartine hanno in comune la vocale finale, condividono la tonica in a, B e D la tonica in e; D, inoltre, consuona parzialmente con A, che, a sua volta, è legata a B da una stretta parentela fonica; paronomastica la rima “stampi” : “scampi”, con “scampi” etimologicamente collegata a “campi”. Composto in data anteriore al 16 novembre 1337, prende spunto dal Bellerofonte omerico, conosciuto attraverso la traduzione di Cicerone. Si osservi che il motivo della solitudine per amore, che è potuto apparire una sorta di prefigurazione romantica, illustra in realtà, così come farà anche il sonetto successivo, uno degli effetti del “furor amoris”: il “tristis … amor solitudinis, atque hominum fuga” (duramente condannati da Agostino nella stessa pagina del Secretum in cui cita il passo omerico e, più avanti, in un discorso che coinvolge anche il rapporto solitudine-letteratura). 9. Non al suo amante più Diana piacque Madrigale di schema ABA BCB CC, nel quale non è difficile riconoscere l’applicazione del principio che genera la terzina incatenata; inclusiva la rima “piacque” : “acque”, paronomastica “cruda” : “chiuda”. La composizione del primo madrigale della raccolta viene tradizionalmente collocata, in virtù del numero d’ordine, durante gli anni avignonesi, ma il dato non è acquisito. Indubbi sono i rapporti tematici e formali con le raffigurazioni di bagnanti contenute in 23, 147-55 e 126 e il madrigale potrebbe essere anteriore alla canzone 23; inoltre, sembrerebbe testimoniare uno stato redazionale anteriore nel quale l’espressione “a l’aura” non aveva la marcata funzione di senhal assunta dopo che il testo fu inserito nella raccolta e che la “pastorella” ebbe assunto, con il passaggio da “vago capel” a “vago e biondo capel”, i connotati dell’amata; questa, poi, è l’unica attestazione tra i primi testi del gioco di parole “Laura” – “l’aura”; assai più argomentata e convincente è tuttavia l’ipotesi di Petrobelli

che il madrigale sia frutto di una occasione “cortese” e sia da mettere in relazione ai contatti di Petrarca con Jacopo da Bologna, che ne fu intonatore: tali contatti possono essere intervenuti o nell’ambito della corte milanese; o, più probabilmente, di quella veronese degli Scaligeri tra il marzo del 1348 e il settembre del 1352. Se la datazione intorno alla metà del secolo toglie a P. un possibile primato nell’uso di questa forma metrica, resta tuttavia che, allo stato attuale degli studi, 52 contende a La bella stella dell’amico di P. Lancillotto Anguissola il titolo di primo madrigale d’autore della nostra tradizione e che l’operazione petrarchesca di inserire componimento di tale metro in una raccolta di rime non solo non ha precedenti, ma neppure imitatori prima del Sacchetti. 10. Spirto gentil, che quelle membra reggi Canzone di 7 stanze di 14 versi, uno solo dei quali settenario, a schema ABCBAC CDEEDdFF, più congedo di 8 versi di schema ABCCBbDD. L’imponente bibliografia intorno a questa canzone è incentrata sulla vessata questione del destinatario. La candidatura più prestigiosa e che più a lungo ha tenuto il campo è quella di Cola di Rienzo (il che daterebbe la composizione al 1347, anno del tribunato di Cola), ma essa urta contro ostacoli insuperabili. Ai vv. 66-67 la canzone rivela di essere un testo che interviene con una esplicita e radicale posizione di parte, filo-colonnese, nelle lotte intestine tra le grandi famiglie romane: difficile, se non impossibile, che P. pensasse di affidare proprio a Cola, avversato dai Colonna, il ruolo di sostenitore della famiglia dei protettori. In quegli stessi vv. il destinatario è invitato a intervenire con la forza contro le famiglie ostili ai Colonna, tra le quali gli Orsini: ciò basta per escludere le candidature, proposte da alcuni, di Stefano Colonna il Vecchio o di Stefano il Giovane, senatori rispettivamente nel ’39 e nel ’42: entrambi, infatti, avevano come compagno nella carica proprio un Orsini. La dichiarazione di non aver mai conosciuto di persona il destinatario contenuta nel v. 102 spiazza ulteriormente sia la candidatura di Cola, sia quelle dei Colonnesi, essendo questi personaggi ben noti a P. prima degli eventi a cui la canzone farebbe riferimento. Il v. 75, infine, lascia intendere che il “cavaliere” in questione “chiamato” da Roma, non dovesse essere romano: altro elemento preclusivo nei confronti dei nomi fatti sopra e di quelli di membri della romana famiglia. Il nome che appare più probabile è quello di Bosone di Gubbio, nominato senatore delegato da Benedetto XII, in compagnia del conterraneo Iacopo di Cante Gabrielli, il 15 ottobre 1337, ed entrato effettivamente in carica il 21 gennaio 1338. L’identificazione nasce, sì, per esclusione, ma è anche confortata dalla testimonianza di alcuni manoscritti. Il nome di Cola, tuttavia, non può essere espunto completamente da un discorso sulla canzone. Di essa, infatti, P. si ricorderà negli scritti dedicati al Tribuno circa un decennio dopo, in modo particolare in BC V e nella celebre hortatoria; e anche Cola cercherà di sfruttare questo testo a scopi propagandistici, sia nelle lettere, sia, a quanto pare, nelle istruzioni date ai suoi collaboratori. 11. Benedetto sia ‘l giorno, e ‘l mese, et l’anno Sonetto su 4 rime a schema ABBA ABBA CDC DCD; numerose le rime tecniche, dalle equivoche “anno” e “punto”, alla derivata “giunto” : “congiunto” e alla ricca paretimologica “sparte” : “parte”. Il sonetto ripropone in forma distesa uno dei moduli più diffusi nella poesia romanza, non solo dotta: quello, di origine biblica, delle benedizioni (a cui si connette, per opposizione,

il motivo della maledizione). L’utilizzazione del modulo è però innovativa e originale, sia nei confronti della tradizione, sia delle numerose occorrenze interne (13, 105, 53-54, ecc.): infatti, sebbene la benedizione (o la maledizione) delle coordinate spazio-temporali relative al primo incontro con l’amata sia diffusa nella prassi lirica, l’enumerazione di accidenti cronologici e topografici contenuta nei primi 3 versi, enumerazione che definisce “la formula assoluta, per dir così, categoriale, della data benedetta”, crea qui, o restaura, “l’accezione fondamentale di augurio astrologico” insita in quel procedimento. Gli accidenti elencati nella prima quartina “rappresentano le informazioni orarie e topografiche ritenute necessarie per compilare il tema dell’oroscopo”, privilegiando il momento della revolutio, contrassegnata dalla dominanza del Sole al momento della prima apparizione di Laura nell’ora mattutina del 6 aprile 1327. Questa interpretazione avvalora l’ipotesi che il sonetto si riferisca a un anniversario, restano incerti però gli estremi cronologici. Un termine post quem sufficientemente solido per la composizione del testo mi sembra costituito dai contatti che sussistono con il passo delle benedizioni del Filostrato. Nell’ordinamento in serie P. gioca ovviamente sulla contrapposizione con il sonetto precedente (chiuso in un improperium) e con quello successivo (di condanna dell’esperienza celebrata da 61) e per di più collega i tre testi con la ripresa della rima “anno/i” : “affanno/i”. 12. Padre del ciel, dopo i perduti giorni Sonetto su 5 rime a schema ABBA ABBA CDE CDE; rima ricca “feroce” : “croce”, inclusiva “anno” : “affanno”. La datazione del sonetto non sembrerebbe rivelare alcun problema: i vv. 9-10 si riferiscono esplicitamente all’anniversario del 1338. Siccome però nomina apertamente il giorno della morte di Cristo, il testo è coinvolto nella complessa questione della data dell’innamoramento. Al fondamentale rapporto di opposizione con 61, coinvolgente il “conflitto trasgressivo fra la sacralità del tempo astrale e la sacralità del tempo liturgico” (Pastore Stocchi), si aggiungono puntuali riprese linguistiche: “Benedetto sia ‘l giorno” (61, 1), “perduti giorni” (62, 1); “dolce affanno” (61, 5), “non degno affanno” (62, 12). 13. Erano i capei d’oro a l’aura sparsi Sonetto con lo stesso sche dell’88 e dell’89; le rime A,C, E hanno la stessa tonica a (suono duplicato in E); consuonano C e D. La serie “sparsi” : “farsi” include “arsi”; ricca “mortale” : “tale”. Il sonetto non è databile, si va dal 1334 sino al 1342; l’ultima data è legata a un aneddoto, diffuso nel Cinquecento, secondo il quale P. si rivolgerebbe a un illustre personaggio (Roberto d’Angiò) rimasto deluso dalla vista di Laura; la credibilità di simili racconti è pressoché nulla. Una datazione negli anni Quaranta potrebbe, invece, sostenersi sul fatto che le immagini dell’”andare” sovrann...


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