Francesco Petrarca PDF

Title Francesco Petrarca
Author Ludovica Tomaciello
Course Italiano anno 5
Institution Liceo (Italia)
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appunti petrarca...


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FRANCESCO PETRARCA Francesco Petrarca nacque ad Arezzo il 20 luglio 1304, figlio di ser Pietro di Parenzo detto Petracco (un notaio guelfo di parte bianca esiliato da Firenze nel 1302, in seguito agli avvenimenti politici di cui era stato vittima lo stesso Dante Alighieri) che per qualche anno visse in Toscana e poi, nel 1312, si trasferì ad Avignone dove entrò al servizio della curia papale; nel 1318 o 1319 morì la madre del poeta, Eletta Canigiani, alla quale egli dedicò un'Elegia in latino. Francesco aveva un unico fratello, Gherardo, e assunse il cognome latineggiante Petrarcha al posto di quello più corrente di Petracchi, "figlio di Petracco". Il futuro poeta trascorse quindi i suoi primi anni in Provenza e qui intraprese gli studi giuridici, frequentando l'Università di Montpellier e in seguito quella di Bologna, fino al 1326 quando la morte del padre lo obbligò a interrompere gli studi e a tornare in Francia dove passò al servizio del cardinale Colonna (1330). Quell'anno prese anche gli ordini minori che gli imponevano il celibato e gli assicuravano dei benefici economici, inoltre tale esperienza anticipa quella degli anni a venire quando Petrarca, non legato ad alcuna città in particolare e presentandosi come intellettuale "senza patria", entrerà al servizio di vari signori italiani e stranieri senza sentirsi sminuito o umiliato come era accaduto qualche anno prima all'esule Dante. Gli anni ad Avignone coincidono con un periodo giovanile spensierato e dedito a una vita mondana e brillante, da cui in seguito si allontanerà, mentre il 6 apr. 1327 egli avrebbe conosciuto Laura nella chiesa di S. Chiara, innamorandosi di lei e dedicandole poi gran parte delle liriche del Canzoniere (la data è probabilmente fittizia e frutto di una rielaborazione letteraria). Nel 1337 ebbe anche un figlio illegittimo chiamato Giovanni, frutto della relazione con una donna di cui non si sa praticamente nulla, mentre una seconda figlia (Francesca) sarebbe nata nel 1343, anch'essa nell'ambito di un rapporto semi-clandestino. A partire dal 1331 Petrarca iniziò una serie di viaggi in Europa alla riscoperta del patrimonio della classicità latina, proprio negli anni in cui con i suoi studi gettava le basi della filologia come scienza: attraversò la Francia del nord, le Fiandre e il Brabante, e scoprì a Liegi l'orazione ciceroniana Pro Archia, che non fu l'unico testo classico da lui riportato alla luce (anni dopo nella Biblioteca Capitolare di Verona scoprirà le epistole ciceroniane Ad Atticum, Ad Quintum e Ad Brutum, poi base del suo stesso epistolario latino). Nel frattempo acquistò una casa a Valchiusa, in Provenza, sulle rive del fiume Sorga dove avrebbe cantato l'amore vano per Laura, e a partire dal 1337 si ritirò spesso in questo rifugio a studiare e comporre le sue opere, latine e volgari. Nel 1340 gli giunsero vari inviti a ricevere l'incoronazione poetica (da Parigi, Roma...), testimonianza della grande fama di cui godeva in Europa, e il poeta scelse di prendere l'alloro a Roma dal Senato, non prima però di essersi sottoposto a un esame letterario a Napoli da parte di re Roberto d'Angiò (l'incoronazione avvenne l'8 apr. 1341 sul Campidoglio). Ad Avignone nel 1342 conobbe Cola di Rienzo, a capo di un'ambasceria arrivata da Roma, e si legò a lui di un'amicizia che lo portò, di lì a qualche anno, a guardare con favore e ammirazione il suo tentativo da tribuno di instaurare un governo popolare a Roma, poi fallito. Nel 1343 il fratello Gherardo si fece monaco e il fatto colpì molto Francesco, facendo nascere in lui profondi dubbi di natura morale e religiosa; è in questa fase che scrisse varie opere latine di argomento religioso e soprattutto il Secretum, in cui immagina di dialogare con S. Agostino alla presenza muta della Verità. Il 6 apr. 1348 Laura sarebbe morta di peste, fatto che acuì il suo pessimismo (anche se la data, tradizionalmente accolta, è probabilmente fittizia data la coincidenza con quella del

primo incontro) e che cantò in varie liriche del Canzoniere, nella parte cosiddetta "In morte di Madonna Laura". Nel 1350, mentre si recava a Roma per il Giubileo, passò per Firenze dove conobbe Giovanni Boccaccio, con il quale strinse un'amicizia che si sarebbe consolidata nel tempo e avrebbe esercitato una profonda influenza sull'autore del Decameron, spingendolo a dedicarsi ad opere erudite in latino; l'anno seguente Boccaccio raggiunse Petrarca a Padova quale ambasciatore del Comune fiorentino, per restituirgli i beni confiscati anni prima al padre e offrirgli una cattedra nello Studio cittadino, che tuttavia il poeta non accettò. Nel 1353 Petrarca lasciò in modo definitivo la Provenza per rientrare in Italia, complice l'elezione papale di Innocenzo VI che non era ben disposto nei suoi confronti, e si stabilì poi a Milano dove entrò al servizio dell'arcivescovo e signore della città Giovanni Visconti, deludendo gli amici fiorentini che l'avrebbero voluto con loro al Comune. A Milano resterà otto anni, difendendo la politica viscontea e svolgendo vari prestigiosi incarichi per la Signoria, inclusa un'ambasceria presso l'imperatore Carlo IV di Boemia che lo nominò nell'occasione conte palatino, fatto poi ricordato dallo scrittore in una delle Familiares (XXI, 1); nel 1361, a causa di una nuova epidemia di peste che stava sconvolgendo l'Europa e il Nord Italia, lasciò Milano e si trasferì a Padova ospite della Repubblica di Venezia, raggiunto presto dalla figlia Francesca e dal marito di questa (l'altro figlio Giovanni era morto di peste), che gli resterà accanto sino alla fine. Nel 1370 acquistò una casa ad Arquà, sui Colli Euganei, dove visse ritirato e si dedicò al completamento del Canzoniere, nonché alla sistemazione di alcune opere in latino; le sue condizioni di salute peggioravano (nel 1370 era stato colto da una sincope) e proprio ad Arquà morì il 18 o 19 luglio 1374, venendo sepolto in quella città dove tutt'ora riposa. La notizia della sua scomparsa colpì molto l'amico Boccaccio e suscitò una profonda reazione nel mondo letterario dell'epoca, dove Petrarca aveva raggiunto una posizione di assoluto rilievo anticipando tanti aspetti dell'ormai nascente Umanesimo e lasciando un'eredità poetica che avrebbe largamente influenzato la lirica italiana per tutto il XV e XVI secolo. Petrarca è una figura di intellettuale nuova e moderna rispetto a Dante e agli scrittori del Due-Trecento, anzitutto nel rapporto col patrimonio della letteratura latina classica (egli ignora il greco, come la maggior parte degli uomini di cultura della sua età) che il poeta recupera in modo pienamente consapevole, a partire dalla raggiunta maturità linguistica: il latino di Petrarca è quello di Orazio e Virgilio, che lo scrittore conosce e usa perfettamente, e anzi considera il latino lo strumento privilegiato da adoperare nelle sue opere, come testimonia il fatto che gli unici suoi testi in volgare sono il Canzoniere e i Trionfi, mentre dalle opere latine come l'Africa si aspettava la fama letteraria. Petrarca padroneggia il latino classico in modo assai più perfetto di Dante, la cui conoscenza lacunosa della lingua antica lo portava non di rado a clamorosi fraintendimenti, e lo sente "suo" al punto da usarlo addirittura nelle annotazioni a margine delle opere volgari, oltre che nelle lettere del suo epistolario (sul punto si veda oltre). Ciò si accompagna ad una conoscenza delle opere antiche altrettanto sicura sul piano dei contenuti, finalmente compresi nel loro vero significato senza alcuna lettura allegorica in chiave cristiana come nel passato: Petrarca getta le basi della filologia come disciplina che studia e ricostruisce il testo delle opere antiche, è un instancabile "esploratore" di fondi e biblioteche di conventi dove scopre spesso libri di cui si era persa traccia, ha già un atteggiamento pre-umanistico che si ritroverà con poche varianti nei principali autori italiani (ed europei) del XV sec. Se gli autori latini classici sono per lui fonte di ispirazione e modello, anche più dei poeti

della tradizione volgare che pure conosce e riprende all'occasione, grande importanza hanno anche gli scrittori latini cristiani, a cominciare da S. Agostino le cui Confessioni gli vengono donate e fatte conoscere da Dionigi di Borgo S. Sepolcro e tale opera lo influenzerà al punto che il santo di Ippona diventerà l'interlocutore nel dialogo del Secretum, che tratta temi morali in una forma letteraria che riprende quella dei dialoghi ciceroniani (anche questo è un aspetto che tornerà negli autori dell'Umanesimo). Il nuovo e più consapevole rapporto con la classicità si traduce in un grande eclettismo e in una varietà di interessi che produce opere latine molto diverse per genere e tematiche, dall'epica al dialogo di argomento morale, dalla riflessione su temi religiosi alle lettere private e pubbliche, sino agli interventi di "censura" contro la corruzione ecclesiastica della Curia papale. La novità rappresentata da Petrarca riguarda anche la sua visione della vita e il mutato atteggiamento riguardo le questioni religiose, poiché se Dante era il poeta delle certezze e della fede incrollabile, l'autore del Canzoniere è invece il poeta del dubbio e dei tormenti interiori: tutta la vita dello scrittore è segnata da lacerazioni interiori che si possono riassumere nel contrasto tra una visione del mondo di tipo laico e modellata sugli esempi della classicità (già anticipatrice dell'Umanesimo) e il richiamo ai valori della religione e della fede, due poli che lui avverte come antitetici e tra i quali non sa scegliere, cosa che gli provoca crisi e dolorosi ripensamenti. Da un lato, quindi, vi sono la fama terrena, la gloria poetica, l'amore per Laura che è sentito come vano e inconsistente (anche perché non corrisposto), dall'altro c'è il desiderio di servire Dio e di ricercare i beni spirituali che sono gli unici veri e autentici della vita dell'uomo, anche se il poeta non sa imboccare con decisione né l'una né l'altra strada e ciò gli procura continuamente sofferenza, specie nella consapevolezza che sta sbagliando e tuttavia non sa resistere al richiamo delle lusinghe del mondo. Questo contrasto emerge con particolare evidenza dopo la monacazione del fratello Gherardo, che Francesco vede come un modello e che vorrebbe imitare, ma del quale sente di non avere la forza né la costanza (come esprime in alcune lettere; ► TESTO: L'ascensione del monte Ventoso), inoltre è evidente che egli ammira e sente come esemplare la vita di alcuni grandi uomini dell'antica Roma, anche se tale modello di comportamento è decisamente laico e per certi aspetti opposto a quello religioso offerto dai santi e degli scrittori cristiani che pure conosce e apprezza, per cui molte sue opere tentano una difficile mediazione tra questi due atteggiamenti quasi inconciliabili. Spesso questa sua lacerazione si esprime proprio nelle liriche dedicate all'amore per Laura, una donna terrena e umana che non ha più nulla della donna-angelo dello Stilnovo e non è mediatrice tra umano e divino, per la quale Petrarca nutre una passione tutta mondana e non più idealizzata (che oltretutto lo fa soffrire in quanto non corrisposta), ma nonostante si renda conto di ciò e cerchi di contrastare i suoi sentimenti non vi riesce e il Canzoniere è soprattutto la storia di questo suo travaglio interiore, di questa lotta con la sua coscienza che non lo distoglie dal suo amore neppure dopo che Laura è morta di peste. Tale lotta incessante e fallimentare con se stesso è espressa anche nella sua opera latina più interessante e innovativa, il Secretum in cui S. Agostino gli rimprovera le sue debolezze e lo richiama ai veri valori della vita, senza tuttavia smuovere più di tanto Francesco che si rende conto di sbagliare, ma come detto non può fare a meno di perseguire i suoi desideri e, soprattutto, non sa condannare sino in fondo l'amore peccaminoso per la sua donna. Petrarca è diverso da Dante anche per la sua condizione di intellettuale apolide e "sradicato" da un contesto sociale e cittadino che senta come la sua patria, dal momento che nasce ad Arezzo da un esule fiorentino cacciato per motivi politici ma si trasferisce presto in Provenza, dove avviene la sua

prima formazione, mentre negli anni successivi viaggerà e si sposterà tra Avignone, Montpellier, Bologna, Roma, senza contare i frequenti viaggi in Europa alla ricerca di libri e codici, e facendo tappa in Valchiusa che per lui sarà un "porto" e un rifugio dove studiare e scrivere, non certo un luogo che senta "suo" più degli altri in cui ha variamente soggiornato. Questa sua condizione di uomo "senza patria" è la vera novità della figura di intellettuale rappresentata da Petrarca e spiega in gran parte perché non abbia problemi a porsi al servizio di signori potenti, in qualità di diplomatico e ambasciatore nonché segretario redattore di lettere e documenti, attività svolta anche da Dante dopo l'esilio che tuttavia la sentiva come un'umiliazione e una diminuzione della sua condizione di funzionario del Comune, aspetto del tutto sconosciuto all'autore del Canzoniere. Petrarca può quindi lavorare per il cardinale Colonna e prendere gli ordini minori per motivi economici, fatto che lo accomuna a Boccaccio e che è un segno della novità dei tempi, ma in seguito si accende di entusiasmo per il tentativo di Cola di Rienzo di instaurare un governo repubblicano a Roma e lo sostiene, fatto che accentua la sua rottura con i protettori papali; pochi anni dopo si pone al servizio dei Visconti di Milano e ne difende con passione la politica egemonica e dominatrice, che andava in senso affatto opposto alle istanze "popolari" del tribuno romano, fatto che suscita le comprensibili rimostranze e le critiche degli amici fiorentini che l'avrebbero voluto al Comune. L'atteggiamento di Petrarca non è tanto dovuto a ragioni di calcolo politico e di convenienza personale, per quanto motivi di questo genere non possono essere totalmente esclusi, ma soprattutto alle mutate condizioni politiche che lo scrittore comprende assai meglio di Dante e gli fanno abbandonare qualunque visione anacronistica legata alla restaurazione imperiale, mentre la sua attività di poeta al servizio dei potenti anticipa già un tratto distintivo della letteratura dell'età umanistica e rinascimentale, ovvero la centralità della corte e il mecenatismo dei signori, anche se Petrarca conserva ancora una certa indipendenza che nel secolo successivo andrà assottigliandosi e porterà nel Cinquecento all'assimilazione dello scrittore nella burocrazia del signore/sovrano. Ciò spiega anche la netta prevalenza degli interessi letterari e poetici su quelli politici, dal momento che Petrarca non ha certo la passione di Dante né dedica un grande spazio della sua opera alla denuncia dei mali del mondo, se si eccettuano i testi in cui attacca la corruzione della Curia papale (piuttosto marginali nell'insieme della sua opera), mentre non sono rare le liriche celebrative dei suoi illustri protettori che prefigurano già il carattere encomiastico che avrà tanta letteratura di corte del XV-XVI secolo. È la più interessante fra le opere latine e anche quella che esprime maggiormente l'ansia interiore e la lacerazione dell'autore, incapace di scegliere tra gli allettamenti del mondo (incluso l'amore per Laura) e la dedizione a una vita di elevazione spirituale: composto tra 1342-1343 e in seguito più volte rielaborato, si tratta propriamente di un dialogo tra Francesco e S. Agostino alla presenza muta della Verità, che nella finzione è colei che invita il santo a intervenire in soccorso dell'autore smarrito nel peccato, con un vago riferimento alla struttura allegorica della Commedia di Dante; il titolo completo è De secreto conflictu curarum mearum e l'opera è divisa in tre libri, che corrispondono alle tre giornate in cui si immagina che avvenga il dialogo. L'opera riflette gli interessi classici e pre-umanisti di Petrarca, in quanto la struttura riprende quella di molti dialoghi di Cicerone (soprattutto il Laelius de amicitia, più volte citato nell'opera) e il libro è fitto di richiami alla cultura antica, anche se ovviamente una delle fonti sono le Confessioni di S. Agostino che Petrarca molto amava e da cui ha tratto la scelta del suo interlocutore. Infatti Agostino svolge

la parte del "confessore" e rimprovera a Francesco la sua debolezza e i peccati di cui si macchia, specie la mancanza di volontà che gli impedisce di abbandonare i beni terreni per dedicarsi al servizio di Dio (questo nel primo libro); nel secondo libro viene messo l'accento sull'accidia dell'autore, ovvero la sua sfiducia e inerzia morale che ostacolano il suo cammino sulla strada del bene; nel terzo libro, infine, viene posto sotto accusa l'amore peccaminoso di Francesco per Laura, vista come donna terrena che con la sua bellezza distoglie l'autore dalla ricerca della virtù, mentre l'amore dell'uomo per lei è condannato in quanto rivolto alla sua bellezza fisica e non. Nel dialogo è interessante l'atteggiamento di Petrarca, che inizialmente cerca sempre di controbattere alle accuse di Agostino con argomenti via via meno convincenti e infine, incalzato dal suo interlocutore, è costretto ad ammettere a malincuore le proprie colpe, mentre il libro non ha una vera conclusione e rimane "aperto", poiché Francesco riconosce tutte le sue mancanze ma confessa di non essere in grado di rinunciare ai mortalia negotia, ovvero alla ricerca della fama mondana e, soprattutto, all'amore per la propria donna. In questo dissidio tra "cielo" e "terra", tra le lusinghe diaboliche del mondo e la ricerca della vera felicità c'è tutto Petrarca, che si mostra quale poeta del dubbio e dell'irresolutezza (in contrasto con le granitiche certezze e l'incrollabile fede di Dante, che apparteneva a un'altra epoca) e anticipa almeno in parte i caratteri del successivo periodo dell'Umanesimo, specie quella visione laica della vita che in lui è ancora turbata da remore di tipo morale e che nel XV sec. diventerà il centro del discorso culturale, con un atteggiamento più sereno e meno preda di ansie di tipo religioso. L’AFRICA Tra la vasta produzione latina di Petrarca doveva avere un posto particolare l' Africa, un poema epico in 12 libri di esametri latini chiaramente ispirato all'Eneide e incentrato sulla seconda guerra punica, cui l'autore si dedicò a partire dal 1338-39 e che rielaborò a più riprese, senza tuttavia portarlo a compimento: l'opera, da cui il poeta si aspettava la fama letteraria, doveva trattare soprattutto la spedizione di Scipione in Africa e la vittoria su Annibale a Zama, prendendo spunto dal Somnium Scipionis di Cicerone e celebrando le virtù e l'eroismo dei personaggi dell'antica Roma in una chiave anche politica (con l'esaltazione della forma di governo repubblicana, negli anni precedenti il tentativo di Cola di Rienzo a Roma). La materia epica era tuttavia estranea all'ispirazione di Petrarca e il poema risulta un'imitazione libresca dei modelli classici, con pochi momenti lirici (tra cui ad es. la morte del fratello minore di Annibale, Magone), mentre l'ambizioso progetto rimase incompiuto e l'autore scrisse solo i primi nove libri del poema, di cui il IV e il IX neppure completi. Più interessanti i trattati ascetici, le opere in prosa in cui Petrarca affronta il tema delle vanità terrene e della loro condanna in chiave religiosa o in una prospettiva laicamente classica, come nel De vita solitaria (composto in due libri a partire dal 1346) in cui si esalta l'otium letterario degli uomini dell'antichità e il carattere positivo della vita ritirata, che può portare al distacco dalle passioni mondane (► TESTO: Elogio dell'uomo solitario), o come nel De otio religioso (1347-1357, dedicato al fratello Gherardo) che celebra invece la serenità del raccoglimento monastico di chi ha scelto di servire Dio nel chiostro; di ispirazione analoga sono anche i 153 dialoghi raccolti nel De remediis utriusque fortunae, che spiegano come l'uomo saggio possa difendersi dai pericoli insiti nella buona e nella cattiva sorte. Di tema simile ma di carattere polemico sono invece i quattro libelli intitolati Invectivae contra medicum quendam (1352-55), rivolti contro un medico

della corte avignonese che si era espresso con disprezzo verso il poeta e al quale Petrarca risponde facendo l'apologia dell'uomo di cultura disinteressato, che non scrive opere a fini di lucro (l'atteggiamen...


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