Propedeutica Filosofia- Platone PDF

Title Propedeutica Filosofia- Platone
Author Benedetta Bruzzone
Course Propedeutica filosofica
Institution Università degli Studi di Genova
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preparazione per esame di esame propedeutica filosofica...


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PROPEDEUTICA FILOSOFIA

PLATONE L’idea di Platone è quella di progettare una RIFONDAZIONE DELLA POLITICA ALLA LUCE DEL SAPERE. Platone nasce nel 427 a.c Fu alliveo di Socrate, quando il suo maestro fu condannato a morte per Platone fu un INGIUSTIZIA IMPERDONABILE tanto che lo spinse ad una condanna generale della politica del tempo, per queste ragioni Platone vide nella filosofia la SOLA VIA CHE POTESSE CONDURRE L’UOMO SINGOLO E LA COMUNITA’ VERSO LA GIUSTIZIA. L’attività letteraria di Platone può essere suddivisa in 3 periodi: 1. PRIMO PERIODO = scritti giovanili o socratici 2. SECONDO PERIODO= scritti della maturità 3. TERZO PERIODO= scritti della vecchiaia Platone ha la concezione del FILOSOFARE con il DIALOGO ovvero UNARICERCA INESAURIBILE MAI CONCLUSA e quindi UN INFINITO SFORZO VERSO LA VERITA’ CHE L’UOMO NON POSSIEDE MAI TOTALMENTE

LA GIUSTIZIA Per Platone nessuna comunità umana può sussistere senza giustizia. La SAGGEZZA è caratteristica della classe dei governanti, poiché basta che loro siano saggi perché lo stato sia saggio. Il CORAGGIO è la virtu’ della classe dei lavoratori La TEMPERANZA Intesa come governo della ragione, basandosi su un accordo in cui l’inferiore deve essere subordinato al superiore, ed è una virtù comune a tutte le classi. La giustizia garantisce pertanto l’unità e quindi la forza dello stato. Lo stato è GIUSTO quando l’individuo attende solo al compito che gli viene dato. La giustizia non sarà,quindi, solo l’unità dello Stato e dell’individuo ma anche L’ACCORDO DELL’INDIVIDUO CON LA COMUNITA’. La FELICTA’, per Platone, risiede nella GIUSTIZIA ossia nell’adempimento del proprio compito, in vista dell’armonia e della felicità complessiva dello Stato. I FILOSOFI SONO FELICI DI PER SE e non hanno bisogno di cercare la propria realizzazione in beni materiali.

La REPUBBLICA Si presume che il dialogo sia stato composto intorno al 387, data che risale al suo rientro dal viaggio in Sicilia. Secondo l’autotestimonianza della VII lettera, il primo viaggio di Platone in Sicilia, sarebbe stato ispirato anche esso da un’idea centrale del v libro ovvero quella di aver la NECESSITA’ DI RISANARE LE CITTA’ AFFIDANDONE IL GOVERNO AI FILOSOFI O AI POTENTI CONERTITI ALLA FILOSOFIA. Per quanto riguarda la posizione della “Repubblica” all’interno della cronologia degli scritti Platonici possiamo concludere che il dialogo segua la composizione del GORGIA e preceda quella del FEDRO. Il dialogo si svolge nella ricca casa del meteco Cefalo al porto del PIREO, luogo geograficamente e socialmente contiguo ma esterno alla polis, dunque un punto di osservazione CRITICA SUI SUOI FALLIMENTI ,LE SUE DIFFICOLTA’ E LE SUE POSSIBILITA’ DI RIFONDAZIONE POITICA E MORALE. Per Socrate la visita al Pireo rappresenta dunque un momento di acquisizione di una sapienza che non viene rivelata da una Divinità ma acquisita da un duro confronto dialettico con le figure che popolano la casa di Cefalo. I personaggi che agiscono nel dialogo rappresentano uno spaccato fortemente rappresentativo della società ateniese. La giovane aristocrazia Ateniese è rappresentata dai due fratelli di Platone, Glaucone e Adimanto che a partire dal II libro diventano i principali interlocutori di Socrate.  

GLAUCONE: rappresentato nel dialogo come provvisto di una viva intelligenza critica e capace a più riprese di mettere in luce le insufficienze delle argomentazioni socratiche ADIAMANTO: gioca un ruolo di minore spicco ma le sue preoccupazioni che sembrano spesso di ordine etico e religioso svolgono anche esse uno sviluppo importante nello sviluppo teorico del II libro.

I due fratelli rappresentano dunque l’importantissima posizione di ‘spettatori sulla scena’ di perfetti rappresentanti di un ceto decisivo per le sorti della città. Da questo punto di vista, il compito principale del dialogo è di convincere i due fratelli e tramite loro il ceto sociale a cui ci si poteva indentificare, che la città giusta, e non quella tirranica, è il luogo più adatto per l’affermazione piena e felice delle loro migliori potenzialità intellettuali, della loro dotazione morale. Vediamo l’idea di platone di proporre un nuovo modello capace di sanare i conflitti che l’avevano lacerata e di realizzare le potenzialità che essa non aveva potuto esprimere fino in fondo. I principali traumi che influenzarono Platone nella scritta della Repubblica furono: 

Il colpo di stato oligarchico di Crizia e dei Trenta tiranni. Il regime di Crizia resse per pochi mesi fondandosi sul terrore e lo sterminio degli avversari politici e fu presto rovesciato dal partito democratico. Crizia aveva pensato di poter imporre con la forza il suo regime grazie alle armi a sua disposizione ma non solo era anche fiducioso in quella supremazia naturale che l’ideologia aristocratica rivendicava per la propria parte, insieme con il disprezzo per l’altrettanto naturale ‘debolezza’ del demos. SU PLATONE LA TRAGEDIA DI CRIZIA EBBE UN IMPATTO SCONVOLGENTE PERCHE’ ESSA LO SFIORAVA DA VICINO FACENDO PARTE DELLO STESSO AMBIENTE SOCIALE, CULTURALE E FAMIGLIARE. QUESTO



PERO’ NON COMPORTAVA UN PASSAGGIO ALLA PARTE DEMOCRATICA PERCHE’ ESTRANEO ALLA VITA DEL DEMOS PLATONE VEDEVA SANCITA LA SUA OSTILITA’ ALLA DEMOCRAZIA. Il processo e la condanna a morte di Socrate(399 a.c) segnano un ulteriore passaggio importante nell’ideologia di Platone perché fu a carico del regime democratico instauratosi dopo Crizia. LA MORTE DI SOCRATE SEGNA AGLI OCCHI DI PLATONE IL FALLIMENTO E L’INADEGUATEZZA DEL REGIME DEMOCRATICO, OPPOSTO MA SIMMETRICO ALLA VIOLENTA OLIGARCHIA CRIZIANA.

Agli occhi di Platone affiorano due problemi: 1. Possibilità di sanare il conflitto tra Polis e Filosofia. Se la filosofia non poteva piegarsi alle esigenze della città, occorreva allora costruire una città in cui la filosofia avesse il diritto di cittadinanza cioè CONFORMARE LA POLIS ALLE ESIGENZE DELLA FILOSOFIA. 2. Critica della debolezza intrinseca all’esperienza socratica. Socrate aveva parlato alla città come semplice cittadino quindi contro la città e i suoi regimi: QUESTO PER PLATONE L’AVEVA CONDANNATO AD UN TRAGICO FALLIMENTO. La crisi del rapporto tra il filosofo e la città esige che la lotta del filosofo contro l’ingiustizia della città sia condotta in forme non ingenue ne solitarie. o o o

Occorrono, secondo Platone, compagni di lavoro filosofico e politico (formazione Accademia) Occorre una teoria generale della città, un piano per la sua formazione Occorrono condizioni di forza necessarie ad avviare il processo di trasformazione vincendo l’inerzia conformistica di tutti i sistemi politici.

Alla riflessione sul conflitto fra la filosofia e la città, la giustizia la politica, Platone aveva dedicato due grandi diaoghi: il GORGIA e il FEDONE o

o

GORGIA= vibrante atto d’accusa contro la retorica in cui Platone vede uno strumento d’inganno e di corruzione della città. In questo dialogo Socrate il filosofo, il giusto, è solo contro l’intera città che prepara le condizioni per la sua sconfitta e la sua morte. L’ESITO DEL DIALOGO CONSISTE NEL VEDERE CHE NELL’ALDILA’ L’ANIMA DEL GIUSTO SARA’ PREMIATA MENTRE QUELLA DEI POTENTI USURPATORI VERRA’ PUNITA. FEDONE= dove il conflitto tra città e filosofia viene trascritto nei termini della polarità che oppone l’anima al corpo, l’eterno al tempo, il puro all’impuro. Viene raffigurata LA VITA FILOSOFICA come un esercizio ascetico di purificazione della corporietà e delle sue passioni in preparazione a quel momento culminante, la morte, nel quale l’ANIMA può liberarsi dal sepolcro corporeo e contemplare, senza più gli schemi opachi dei sensi ma con IL PURO PENSIERO ed è proprio in questo contesto che prende forma la stessa TEORIA PLATONICA DELLE IDEE.

La Repubblica che si apre come un dialogo sulla giustizia dovrà dunque ripercorrere i percorsi di questi due dialoghi correggendoli spesso in modo anche drastico. Gli eventi della storia Greca e quelli della biografia di Platone non sono certo privi di significato e ancor meno lo è il dialogo POLITICO-CULTURALE che contrassegna vivacemente i primi decenni del IV secolo. Questa successioni di eventi fanno da sfondo non solo alla prima fase di composizione della Repubblica ma alla stessa vicenda biografica di Platone. A quanto ci riferisce Platone nella sua epistola autobiografica il progetto della Repubblica era quello di poter unire il POTERE POLITICO con la FILOSOFIA per l’instaurazione della città giusta. In

questa congiuntura vediamo una scelta anti-ateniese ma soprattutto la speranza di poter dare inizio in Sicilia ad un nuovo esperimento politico-morale capace di indicare la via del rinnovamento del mondo greco. Al ritorno da Siracusa Platone fondò ad Atene l’ACCADEMIA: non era una vera e propria ‘scuola’ ma UNA LIBERA ASSOCIAZIONE DI INTELLETTUALI CHIAMATI A DISCUTERE DI FILOSOFIA SIA NEL SUO VERSANTE TEORICO SIA IN QUELLO ETICO-POLITICO. Nella Repubblica Platone, sul versante politico si impegna ad affrontare il tema e a superare quella scissione sociale ed economica fra ricchi e poveri che costituisce il vero male della città, perché ne frantuma l’unità riproducendo costantemente al suo interno due comunità ostili tra loro. Si può dire che fino ad ora la Repubblica nasceva sotto il segno di due caratteri solo apparentemente contradditori:  

L’ANACRONISMO perché era profondamente vincolata all’orrizzonte sociale e morale della polis che era già in via di crisi L’IMMAGINAZIONE VISIONARIA capace di evocare un futuro privo di scadenze temporali e quindi in grado di esercitare il suo richiamo in ogni tempo.

Per il classicismo questo avrebbe significato rendere eterna la polis, per il pensiero della progettualità utopica avrebbe invece comportato il compito aperto di ripensarla al di là dei suoi limiti storici.

Struttura dell’opera Platone parte dal tema ETICO-POLITICO dove imposta una discussione sulla GIUSTIZIA ponendosi la domanda “che cosa vuol dire vivere nel modo giusto?” Il libro si apre con un inizio casuale con la discesa di Socrate al Pireo con Glaucone. Il dialogo si svolge nella casa di Cefalo (ricco commerciante anziano) locata nel Pireo. Quando pariamo di Pireo intendiamo un luogo esterno alla Polis dove si riesce ad osservare da lontano le vicende politiche di Atene. Il dialogo viene svolto durante la notte in cui viene celebrata la festa della Dea tracia bendis. I personaggi principali del dialogo sono SOCRATE,GLAUCONE E ADIMANTO i quali discutono tramite il dialogo il tema della giustizia. Troviamo anche una Riflessione sul tema della CONDIZIONE DELL’UOMO DOPO LA MORTE:

“Perché devi sapere, Socrate, che quando si avvicina il momento in cui uno pensa dì morire, gli sottentra una paura e un'ansietà per cose di cui prima non si preoccupava. Le storie che si raccontano sull'Ade e sulla pena che chi ha commesso ingiustizia su questa terra deve scontare laggiù, fino ad allora derise, a questo punto gli sconvolgono l'anima perché teme che siano vere;” Cefalo parla di INGIUSTIZIA mentre Socrate passa alla GIUSTIZIA “Dici benissimo Cefalo…ma questa cosa in se stessa-la giustizia- diremo cosi

semplicemente che consiste…” la domanda quindi che ci si pone è: “che cos’è la giustizia, il giusto in se stesso da cui deriva l’ingiustizia?”

Cefalo sostiene che se nella vita hai commesso ingiustizia dopo la morte andrai incontro a pene e punizioni Quindi socrate esplicita la convinzione di Cefalo : il suo timore di aver commesso ingiustizia presuppone una visione ben precisa ma implicita della GIUSTIZIA. Socrate conduce il Dialogo ma non dice che cosa sia il Giusto secondo lui. Piu volte ripete di non voler sapere e di voler imparare dagli altri attraverso il dialogo. In questo caso vediamo l’ironia Socratica “il filosofo è colui che sa di non sapere” A questo punto del dialogo viene chiesto a socrate di prendere posizione sul tema: “rispondi tu

stesso e di cosa sostieni sia il giusto” Dicendo questo Socrate invita a parlare il suo interlocutore Trasimaco:

“io affermo che il giusto non è altro se non l’utile del più forte” Vediamo come tutte le leggi riflettono gli interessi di chi detiene il potere. Quando si parla di GIUSTO parliamo dell’utile legittimato di chi di volta in volta detiene il potere, e quindi ciò che deve essere sancito come giusto/ingiusto non deve affatto essere inteso come giusto in se stesso ma dipende da chi lo impone con la forza. Vediamo dunque lo spostamento dal piano ETICO al tema POLITICO La giustizia dovrebbe dipendere dalla forma di governo e dai governanti che dominano nella polis. E quindi la domanda che ci si pone è: “Esiste la giustizia nella polis oppure domina l’Ingiustizia?” Vediamo quindi due forme di giustizia: 1. GIUSTIZIA come conformità ad una norma esterna o legge 2. GIUSTIZIA come eccellenza di comportamenti come una forma interna di armonia che rende il soggetto individuale felice .

Vediamo una conclusione provvisoria sul tema della giusta ne libro IV dove si dice che la città giusta è quella in cui vige una ARMONIA/EQUILIBRIO tra le componenti che la costituiscono inteso come equilibrio del corpo sociale proprio come deve avvenire nell’anima. Quindi la giustizia si realizza quando ciascun individuo o ciascun gruppo sociale svolge la propria funzione. LIBRO V Configurazione della polis giusta: come deve essere questa armonia? Occorre cambiare le forme esistenti di convivenza che sono per lo più conflittuali. Come? Occorre ribaltare e rivoluzionare le forme di governo esistenti. OCCORRE UN CAMBIAMENTO. Per far si che il cambiamento avvenga occorre eliminare tutte quelle condizioni che generano: 1. Conflitto/violenza 2. Desiderio di sopraffazione di un individuo sugli altri o di un gruppo sociale sugli altri Tre tappe per far si che questo si realizzi: 1. Parità di funzioni tra uomo e donna nei ruoli di potere

2. Abolizioni della famiglia al fine di dare alla polis un’organizzazione omogenea con la trasformazione radicale dei rapporti parentali: la comunanza dei figli 3. Il governo della polis giusta deve essere affidato ai filosofi E quindi la domanda è: “chi sono i filosofi?” Vediamo la differenza tra: FILODOSSI= coloro che sono “amici” dell’opinione FILOSOFI= Coloro che sono amanti della conoscenza e del sapere Platone intende una conoscenza delle idee che sono enti intellegibili autonomi e stabili (dottrina delle idee) L’OPINIONE è più oscura della conoscenza/scienza ma più chiara dell’ignoranza. Colui che segue l’opinione è il FILODOSSO IL VERO FILOSOFO NON SEGUE L’OPINIONE.

Che cos’è quindi la Repubblica? È innanzi tutto ed essenzialmente un testo politico, in cui Platone espone la sua concezione della società. Si tratta di un programma politico positivo. Nella scrittura della Repubblica Platone si attendeva che l’ascoltatore/lettore si indentificasse con qualcuno dei personaggi della ‘società del dialogo’. Gli effetti che questo poteva comportare: o o o

i personaggi rappresentano una generazione da poco scomparsa comportava un passo indietro nel tempo e quindi una presa di coscienza degli errori commessi in precedenza l’indentificazione dovrebbe concludersi con l’accettazione delle critiche dei personaggi del dialogo il fatto che lo spettatore sia convocato sulla scena del dialogo significa che esso sia reso ancora una volta disponibile alla persuasione dell’autore.

L’oggetto della narrazione è costituito da una società e dalla sua cultura che vengono richiamate sulla scena per essere interrogate, ripensate e superate. Si tratta di dare ai personaggi una piena autonomia culturale e teorica poiché ognuno di essi rappresenta una posizione ben precisa all’interno della della società. La REPUBBLICA è dunque l’insieme delle tesi che vi vengono proposte, confutate e affermate dalle costruzioni teoriche alle risposte date da Socrate o altri personaggi, alle domande poste.

LA GIUSTIZIA, LA CITTA’ E L’ANIMA Il tema della giustizia costituisce un nodo concettuale di importanza decisiva per rispondere alla domanda etico-politica su come si debba condurre la vita,tanto individuale quanto collettiva nel modo migliore. Come primo testimone delle opinioni diffuse circa la giustizia incontriamo Cefalo. Cefalo è convinto che una felice sorte nell’aldilà sia garantita dall’aver vissuto una vita giusta. Alla domanda di Socrate di chiarire in che cosa consista la vita giusta, Cefalo risponde-giusto è rendere ciò che è dovuto. Allo stesso modo Ippia aveva risposto alla domanda “che cosa intendi per bello” indicando esempi di cose belle.

Non si può rispondere alla domanda che “CHE COSA E’ ‘F’ ” dicendo che X,Y o Z sono (f) perché nessuna di esse sono norme universali per l’attribuzione di F a singoli casi o esempi. Per queste ragioni la massima di Cefalo non è universalizzabile: non costituisce un criterio estensibile a ogni azione giusta, e neppure il suo contenuto può essere considerato giusto in ogni cisrcostanza e sotto ogni aspetto. A questo punto del dialogo Polemarco diventa l’erede del discorso, egli compie una mossa di generalizzazione dell’opinione di Cefalo sostenendo che giusto è “dare a ciascuno ciò che gli è dovuto”. Questa massima non è più interpretata nel contesto di una morale degli affari, ma di una morale COMPETITIVA E AGNOSTICA, secondo la quale in ogni campo della vita giovare degli amici e far danno ai nemici. Questa opinione ha due punti di forza: un maggior livello di GENERALIZZAZIONE e l’ESTENSIBILITA’ AL CAMPO POLITICO. Ma nonostante questo anche l’opinione di Polemarco risulta FALLACE. Per comprendere la confutazione di Socrate è necessario rifarsi ai termini originari di AGATHON (BUONO) e KAKON (CATTIVO). Prima di assumere il valore morale che per noi è intitivo questi termini significavano ‘ben fatto, perciò utile, vantaggioso’ e rispettivamente ‘diffettoso,inutile,nocivo’. Socrate dice appunto, “nessuno fa o desidera il male volontariamente”, ma solo perché inìgnora in che cosa consista il bene. L’errore morale è dunque un problema di conoscenza: nessuno, nel nostro linguaggio, desidererebbe acquistare una cattiva invece che una buona automobile, se avesse le conoscenze necessarie per distinguere fra la prima e la seconda. Secondo un’ulteriore precisazione socratica, AMICI SARANNO I ‘BUONI’ NEMICI I ‘CATTIVI’. Giustizia è in se stesso un concetto di ordine collaborativo a essa non può quindi venire attribuita una valenza di tipo competitivo e conflittuale. La massima di ‘nuocere ai nemici’ non deve essere perciò universalizzata come norma di giustizia perché sembra contraddire la finalità innerente ad ogni condotta giusta: di migliorare, quindi rendere buoni, quindi amici, quindi ancora capace di collaborare a condotte reciprocamente vantaggiose e non nocive. Trasimaco sostiene che la giustizia si L’UTILE DEL PIU’ FORTE. Argomenta la sua affermazione dicendo che ‘giusto’ è ciò che risulta conforme alla norma sanzionata dalla legge, ma la legge è imposta da chi detiene il potere. Scopo ultimo di ogni legge è la conservazione del potere di chi la emana: se dunque la norma di giustizia dipende dalla legge e se la legge dipende dal potere ne viene che quella norma rappresenta l’interesse di chi detiene il potere. La condotta giusta da parte dei sudditi è dunque finalizzata all’interesse dei più forti cioè alla conservazione del potere di chi lo detiene. FORZA E POTERE: non è la norma di giustizia a leggittimare il potere, ma è viceversa la sua forza a emanare quella norma in funzione della propria conservazione. Socrate invita Trasimaco a trasformare la sua prima tesi in una seconda che sembra la conseguenza necessaria in base ad una logica popolare. SE LA GIUSTIZIA RIGUARDA I SUDDITI, INQUANTO NORMA IMPOSTA DALLA LEGGE, L’INGIUSTIZIA SARA’ ALLORA PROPRIA DEI ‘FORTI’ E POTENTI. Mentre la prima tesi riguardava ogni forma di potere questa seconda delinea dunque la forma di un potere tirranico estraneo ad ogni norma di legge e inteso all’oppressione e allo sfruttamento dei più deboli, i sudditi. “la giustizia è un bene altrui ma un danno proprio” Tre tentativi di confutazione da parte di Socrate:

1. la prima obiezione è ispirata al modello delle tecniche e delle professioni 2. l...


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