Il Fedro - Platone (Riassunto) PDF

Title Il Fedro - Platone (Riassunto)
Author Jessica Brogi
Course Storia dell'estetica
Institution Università di Pisa
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Summary

Riassunto dettagliato ma semplice del Fedro di Platone...


Description

PLATONE – FEDRO È un’opera unitaria che comprende il discorso di Eros, la retorica, la dialettica e perfino la preghiera. Il Fedro non è solo dunque un dialogo sull'Eros con un'appendice sul come fare discorsi. All'inizio Platone presenta tre discorsi: (1) uno di Lisia (errato nei contenuti e nella forma), (2) uno di Socrate che dice correttamente la cose di Lisia e perciò è errato solo nei contenuti (3) un altro di Socrate perfetto nei contenuti e nella forma. (4) A questo punto Platone presenta gli errori dei retori e le giuste regole del fare discorsi, che sono le regole della dialettica. Perciò solo il filosofo può essere vero oratore e Platone è il migliore degli scrittori. (5) Ma anche gli scritti perfetti non sono che immagini dei veri discorsi che sono quelli dell'oralità dialettica, essi contengono le cose di maggior valore non scritte nei rotoli di carta, ma nelle anime degli uomini. Nel periodo di massimo splendore e forza della città, nei cenacoli aristocratici spartani era nata una pratica che consisteva nell’amore omosessuale tra un anziano, nobile ed istruito, ed un adolescente, che era considerato un rapporto più degno e virile di quello eterosessuale, in quanto la donna era vista come un essere inferiore. Questa usanza si diffuse poi in tutta la Grecia antica, interessando anche filosofi e letterati, i quali prendevano sotto la propria protezione dei giovani di buona famiglia, istruendoli e instaurando con loro questo rapporto che in teoria costituiva una tappa educativa molto importante. Ciò nonostante, l'omosessualità tra coetanei era considerata contro natura, una perversione, e perciò condannata, infatti, appena il ragazzo compiva lo sviluppo il "maestro" doveva troncare il rapporto fisico con il proprio allievo. L’amore ai tempi di Platone era univoco, uno amava e l'altro si faceva amare.

Prologo Socrate s'imbatte, nei pressi del Pireo, nel giovane Fedro, il quale, di ritorno da un incontro con Lisia, lo informa che l'oratore ha appena pronunciato un entusiasmante discorso sull'amore. Strada facendo i due scorgono un posto tranquillo lungo le rive del fiume Ilisso e si siedono sotto un platano, in pieno meriggio, in un incantevole prato. Socrate prega Fedro di riferirgli il discorso di Lisia.

Discorso di Fedro (LISIA) E’ un'orazione a carattere "sofistico", si cercano cioè di dimostrare cose paradossali ed assurde attraverso la giustapposizione di parole: Lisia (va senz'altro notato come Platone ben riproduca lo stile Lisiano) cerca di dimostrare come sia meglio concedersi a chi non ci ama piuttosto che ad un innamorato: Lisia parte dal presupposto che l'amore sia una "follia" e che concedersi a chi ama è una stoltezza, poiché chi è innamorato, una volta svanito l’amore, non si curerà più di noi, mentre chi non è preso dalla follia dell’amore, può coltivare con noi un’amicizia duratura che può darci massimi vantaggi. Procedendo ad analizzare sia i vantaggi che gli svantaggi. SVANTAGGI di concedersi a chi ci ama: 1. Gli innamorati hanno una passione erotica che si può esaurire. 2. si attaccano all'amato e dimenticano tutto il resto, possono poi trovare un altro da amare. 3. sono fuori senno. Chi ama si trova in una condizione di scarsa lucidità mentale. 4. sono pochi (cioè c'è poca scelta per individuare chi dia i maggiori vantaggi) 5. gli innamorati menano sempre vanto della conquista.

6. la gente maligna del rapporto. 7. l'innamorato isola l'amato dagli altri ed è geloso. 8. passata la passione non è certo resti l'amicizia. VANTAGGI di concedersi a chi non ci ama: 1. chi non è innamorato si prende cura anche del futuro. 2. ci sono maggiori amicizie, i vincoli familiari. 3. ci danno i loro i favori perché siamo degni. Sono disinteressati. 4. non si comportano in maniera riprorevole. 5. si può scegliere molto. L’innamorato, sostiene, ha paura che gli altri, per esempio i ricchi con il loro denaro, o i colti con la loro intelligenza, possano portarti via da lui, e così va contro coloro che possiedono qualche altro bene. In questo modo tu sarai malvisto da quelli, e sarai solo e senza un amico; colui che non è innamorato invece non sarà geloso di altri, anzi odierà chi non voglia la tua compagnia perché sarebbe un dispetto nei tuoi confronti. Un non innamorato ti porterà più amicizie che inimicizie. Per Lisia l’amore fondato su un forte sentimento sessuale è una malattia, ed è da evitare, poiché è basato su un sentimento egoistico destinato a finire. L’amante ha un desiderio insano (epithymia), il desiderio sessuale. Chi non ama invece è padrone di sé, non cerca il piacere immediato ma il bene complessivo del ragazzo. Il rapporto sessuale ha un’importanza marginale per il non-amante, che mostra desideri misurati.

Primo discorso di Socrate Per Socrate il discorso di Lisia è avvincente ma sbagliato sotto due punti di vista: Uno CONCETTUALE e uno STRUTTURALE. Lisia nel suo discorso ha una visione distorta dell’amore; chi è preda dell’amore invece, non è inferiore a chi non lo è. Ma c’è altro che non convince Socrate, ovvero la struttura del discorso: sembra quasi che Lisia ripeta le stesse cose due o tre volte, come se facesse fatica nel tenere un discorso lungo su un tema unico. Lisia presenta come premessa quella che dovrebbe essere invece la conclusione, il suo è come un nuotare a ritroso. L'errore più evidente di Lisia stato quello di non dare una definizione dell'oggetto del discorso, cioè l'amore: a ciò provvede Socrate, che, rimanendo nel solco della concezione negativa che ha Lisia dell'amore, lo definisce col suo primo discorso. Dopo essere stato convinto da Fedro a pronunciare il suo discorso, Socrate inizia, con l ’intento di formulare meglio il discorso già fatto da Lisia. Userà gli stessi argomenti, ecco perché per tutto il discorso avrà il capo coperto per l’imbarazzo, perché è vergognoso per lui offendere in questo modo Eros. Come metodo Socrate non nuota a ritroso, ma parte dal principio, non dalle conclusioni, pone delle premesse per giungere alle conclusioni. Per fare un discorso corretto bisogna prima di tutto conoscere l'essenza dell'oggetto, qui l'essenza di Eros. Quando il desiderio irrazionale, trascinato al piacere della bellezza, prevale sulla rettitudine, allora prende il nome di eros (amore). Il Protagonista è un giovane fanciullo che ha attorno tanti innamorati. Uno tra questi innamorati convince il giovane del fatto che non l’amava, ma in realtà ne era affezionato non meno degli altri. Costui cercava di

convincerlo che bisognava concedersi a uno che non ama piuttosto che a un innamorato, e inizia a persuadere. Per arrivare al discorso di Eros e per definirlo, Socrate definisce la natura umana guidata da due principi: da un alto c’è l’epithymia, il desiderio che mira al piacere. Se esso domina si cade nella tracotanza, nella hybris. Dall’altro lato c’è la doxa, l’opinione, che ci porta all’ottimo attraverso la ragione, e se domina ci porta alla temperanza, la sophrosyne. Poi prosegue elencando i vantaggi e gli svantaggi, quali danni l’amante reca all’amato e quali danni ci sono alla fine del rapporto. A differenza di Lisia, che elenca gli svantaggi della relazione finita, Socrate sostiene che l’amante sia dannoso proprio durante la relazione. Ad ogni modo, Socrate divide gli svantaggi in quattro gruppi: • Danni alla persona che accetta l’innamorato: l’amante non può sopportare facilmente che il suo amato valga più di lui o gli sia pari e sempre cerca si foggiarselo inferiore a sé e più debole. Ecco che diviene geloso, impedisce all’amato di frequentare compagnie utili, attraverso le quali potrebbe divenire un vero uomo così per ciò che concerne l’intelligenza dell’amato, l’uomo innamorato non è in alcun modo utile né come guida, né come amico. • Danni ai suoi beni: Colui che ama è geloso di tutto quanto possa essere di ostacolo al possesso di chi è oggetto del suo amore (famigliari, amici, ricchezze (queste in quanto l’amante penserà che se l’amato è ricco non sia facile conquistarlo), moglie, figli) • Differenza di età, costrizione assillante e fastidiosa contribuiscono a rendere difficile il rapporto fra amante e amato. • Il mutamento di vita dell'innamorato quando non è più dominato da Eros, in lui torna il senno, diventa diverso, fugge e il giovane lo deve continuamente rincorrere. Quando cessa di amare l’amante mostrerà la sua infedeltà per tutto il tempo a venire. Il discorso è ora ripetuto a metà, manca la parte che riguarda i beni che si ottengono andando con il non innamorato, ma Socrate non lo vuole fare, i risultati sarebbero intollerabili, qui non si può più fare dell'ironia.

Secondo discorso di Socrate Si tratta di una palinodia, ovvero una ritrattazione di quanto detto in precedenza, per aver calunniato Eros. Per rispetto di lui e per timore, adesso Socrate “lava l’amaro delle cose udite con un dolce discorso”. È senza dubbio vero che chi ama si trova in uno stato di follia/mania e che chi non ama è invece assennato. Ciò premesso, non è affatto vero quello che ne deduce Lisia. L'amore è follia, ma una divina follia (manìa), ed è, come tutte le forme di divina follia, un dono divino. Come tale non può che essere un bene: nasce dalla stessa radice da cui nascono l'arte e la profezia, altre forme di follia divina. Per poter dimostrare quanto detto, bisogna prima aver chiara la natura dell'anima umana. Ogni corpo il cui movimento sia provocato dall’esterno, è inanimato, ma ogni corpo che riceve il movimento dall’interno è animato; dato che si muove da sé e null’altro lo sospinge. Ma se ciò che si muove non può essere che anima, ne consegue che l’anima è immortale e che può essere paragonata ad una biga alata trainata da due cavalli e guidata da un auriga. (metafora dell’anima) La biga è così composta: un cavallo bianco, di nobile temperamento, è sensibile al richiamo dell'auriga; l'altro, nero, è rozzo e ribelle, e per di più completamente sordo. [Il primo cavallo rappresenta la

componente volitiva; il secondo cavallo rappresenta la componente appetitiva, l'auriga rappresenta l'elemento razionale.] L'insegnamento del mito della biga alata è duplice: da un lato le passioni devono essere guidate dalla ragione (è l'auriga che decide dove deve andare il carro, non i cavalli) dall'altro le passioni non possono essere eliminate (senza i cavalli il carro si ferma) L'anima, prima di unirsi ad un corpo, vive in un mondo iperuranio, dove contempla le pure forme [le cosiddette Idee]. Le anime si nutrono della visione di questo mondo, di ciò che è bello e buono, di ciò che è nella pianura della verità. Il Cielo è diviso in dodici schiere di dei e demoni, con a capo un dio e dietro a seguire tutte le anime; queste schiere compiono un giro completo della volta celeste per arrivare alla sommità e contemplare il mondo dell’Iperuranio, il mondo della Verità. I cavalli degli dèi sono tutti buoni, mentre quelli degli uomini sono uno nobile e l’altro no. Ora, l’anima tende ad andare verso l’alto, nella comunità degli dèi partecipa al divino che è bellezza, sapienza, bontà e altre virtù affini. Ma l’ascesa è faticosa perché il cavallo nero fa peso, e qui inizia la grande fatica e prova suprema dell’anima, fino a quando non perde le ali e precipita e si appiglia a qualcosa di solido; è così che nasce l’essere vivente. Una volta incarnatasi, cioè contaminatasi con la materia, è costretta a successive reincarnazioni dopo la morte del corpo, con diversi destini a seconda del grado di avvicinamento al mondo delle Idee raggiunto in vita. Chi ha visto la Verità, ma non riesce a contemplarla cade in uomini di differente natura, dal filosofo al tiranno. Dopo diecimila anni le anima tornano nei cieli (è il tempo necessario perché si formino le ali). Chi però ha vissuto da filosofo torna nei cieli dopo tre cicli (tremila anni). Vi sono però anime pessime che passano dagli uomini agli animali e vi è anche il caso di un'anima che non ha mai visto la verità e non potrà mai diventare uomo. Durante la fase alata le anime contemplano il mondo delle idee e attingono in varia misura la vera scienza; dopo la caduta, esse si incarnano per periodi determinati, a seconda dei livelli di contemplazione raggiunti, in vari tipi di uomini o di animali. Il fine dell’anima non può che essere dunque quello di recuperare la sua precedente forma di esistenza, superiore a quella incarnata. Nella sua vita terrena essa trova occasione di tornare a contatto con le realtà contemplate in precedenza mediante la vista della bellezza, l’unica che colpisce tutti gli uomini e li spinge verso qualcosa di superiore. Ed è in questo processo conoscitivo che l’eros, passione sempre rivolta al bello, acquista un ruolo fondamentale come elemento propulsivo. Infatti, l’anima comincia a metter su le ali: quando sta mettendo le ali patisce, come quando ai bambini spuntano i denti, ed essa palpita e prova tormento. Ciò che chiamiamo conoscenza in realtà è un riconoscimento di quello che già abbiamo visto prima di nascere: la conoscenza è reminiscenza, anàmnesi. Anche l'amore è reminiscenza: precisamente reminiscenza dell'idea della Bellezza. La bellezza è l'unica idea cogliibile attraverso i sensi, si tratta di un privilegio, è l'intelligibile nel sensibile nella forma più evidente. Decisiva a questo proposito è la presenza dell’amato: con la sua bellezza egli provoca nell’amante volgare appetiti sessuali, ma nell’amante nobile, accanto al desiderio fisico, fa rinascere il desiderio della bellezza eterna. Il processo erotico non si arresta a questo rapporto unilaterale, poiché anche l'amato si accorgerà prima o poi che l'innamorato coglie in lui la bellezza meglio di chiunque altro, ed a poco a poco finirà per desiderarne ardentemente la compagnia. L'amante, dal canto suo, si comporterà con rispetto e addirittura con venerazione, avendo riconosciuto nell'amato la componente divina del Bello.

Neanche nel caso in cui l'amante e l'amato si lascino sopraffare dai sensi l'amore può essere definito un male: certo l'anima non metterà le ali, ma l'amore le infonderà almeno il desiderio di averle - se non in questa, in un'altra vita. Al contrario, chi non ha mai provato il vero amore resterà legato alla materia, ignorando ciò che la trascende. Terzo discorso di Socrate A questo punto Fedro è costretto a riconoscere che Socrate ha parlato molto meglio di Lisia, il che offre lo spunto a Socrate per intavolare un altro discorso: cosa vuol dire "parlare bene" o "parlare male"? È qui che Socrate narra il mito delle cicale, Le cicale erano in origine uomini che alla nascita delle Muse (cioè poesia e musica) morirono perché non facevano altro che cantare, dimenticandosi di mangiare. Da loro nacquero le cicale, ministre delle Muse. Suppergiù la stessa fine che rischiano di fare ora lui e Fedro, che a forza di parlare si stanno dimenticando di tutto il resto. Presupposto per poter parlare bene è conoscere la verità su ciò che si dice: solo a questi patti si può parlare di una arte del parlare. Socrate sostiene che per essere un buon oratore bisogna prima essere un buon filosofo, per conoscere la verità. In realtà, a ben guardare, la retorica fa tanto più effetto quanto più l'argomento su cui si esercita è incerto ed opinabile: non a caso Lisia, nel suo discorso, si è ben guardato dal dare una definizione dell'amore. Socrate dimostra questa tesi analizzando separatamente il discorso di Lisia ed i suoi due discorsi. Socrate fa notare che il tipo di ragionamento da lui seguito nel secondo discorso non è retorico, bensì dialettico, ed espone qui per la prima volta i due princìpi basilari del metodo dialettico: unificare e dividere, ovvero sintesi e analisi; esse consentono di cogliere "l'unità che è nel molteplice, poi analizzare l’idea dividendola in altre idee", e questo rappresenta l'unico modo corretto per interpretare il reale. Poiché la funzione del discorso è in un certo senso quella di guidare l’anima, preliminare alla retorica è la conoscenza della stessa e quante specie di anime ci sono, in modo da sapere che tipo di discorso fare a seconda del suo uditore, solo allora egli è giunto alla completa perfezione dell’arte. Ma alla retorica non è affatto necessaria la conoscenza della verità, essendo più che sufficiente la conoscenza del verosimile. Ragionamento ben storto, obietta Socrate: "verosimile" vuol dire "simile al vero": e come può chi non conosce il vero sapere che cosa è simile ad esso? Si passa quindi a discutere sull’opportunità o inopportunità di scrivere, e Socrate racconta a Fedro il mito di Theuth: inEgitto dimorava uno dei vecchi dei del paese, Theuth, inventore dei numeri, del calcolo, della geometria e dell’astronomia e delle lettere dell’alfabeto. Il re, gli faceva molte domande sull’utilità di ogni arte e gli diceva poi cosa approvava e cosa disapprovava di ogni arte. Arrivarono dunque all’alfabeto e il re criticò il lavoro di Theuth dicendo che quello che lui aveva inventato non serviva per esercitare la memoria ma, al contrario, avrebbe portato a gente che non allenava più la memoria ponendo la sua fiducia sui testi scritti, avrebbe portato a gente che sa parta per opinioni di cui è imbottita, e non per sapienza. La scrittura serve a rinfrescare una conoscenza che si possiede già, non a formarla. La vera conoscenza si ottiene mediante il processo dialettico, che per sua natura è dinamico e pertanto rifugge dalla staticità della parola scritta. IL DISCORSO ORALE è MOBILE, COSI’ COME è MOBILE L’ANIMA....


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