Il mito di Er platone PDF

Title Il mito di Er platone
Author Valentina Di Stefano
Course Filosofia
Institution Liceo (Italia)
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Appunti sul mito di Er (filosofia di Platone)...


Description

IL MITO DI ER (Repubblica)

PLATONE

Pur avendo già dimostrato che l'anima è eterna in modo razionale nel Fedone, Platone si serve di un mito, il celebre mito di Er, per sottolineare l’immortalità dell’anima. Er è un guerriero della Panfilia morto in battaglia; il suo corpo viene raccolto e portato sul rogo, prima che gli diano fuoco tuttavia egli si risveglia e racconta ciò che ha visto nell'aldilà. Ci sono dei passaggi che si aprono nella volta del cielo e che conducono nella dimensione ultraterrena. Le anime buone finivano nel Paradiso dove godevano delle più felici attenzioni, le cattive invece venivano condotte nel Purgatorio (l'Inferno invece era destinato raramente agli uomini, ma in ogni caso accoglieva i più malvagi). I giusti ricevono premi e vantaggi per 1000 anni, i malvagi invece per i medesimi anni soffrivano pene indicibili. Dopo questo periodo le anime buone e quelle cattive si reincarnavano. Esse si recano al cospetto delle 3 Moire. Cloto, la filatrice, canta il presente, Lachesi, la distributrice, il passato, e Atropo, colei che non può essere dissuasa, l’avvenire. Le anime vengono radunate da un araldo che distribuisce a caso dei numeri; e gettandoli per aria, ogni anima prende quello che le è caduto più vicino (questo sottolinea come nella nostra vita ci sia comunque una componente di casualità). Il numero serve per dare un ordine alle anime che devono scegliere in chi reincarnarsi; chiaramente chi ha il numero 1 è avvantaggiato perché ha una scelta maggiore, ma deve comunque saper scegliere bene. Dunque la componente di casualità è effimera nella scelta del futuro. Quelli che hanno numeri sfavorevoli non sono necessariamente svantaggiati perché scelgono dopo: in primo luogo le possibilità di scelta che gli restano sono sempre numerose, in secondo luogo chi è primo non sempre effettua bene la propria decisione. Er racconta che chi scelse per primo scelse la tirannide che gli aveva fatto una buona impressione. Costui, non appena si era accorto di ciò che comportava l'essere tiranno, non voleva più esserlo, ma era troppo tardi: le Moire gli danno l'incarico di tiranno e lo lanciano sulla terra, dopo averlo immerso nel fiume Lete perché dimentichi l’avvenuto (Er chiaramente non è stato immerso). Er dice che per ultima era arrivata l'anima di Ulisse e che, stanca della passata vita "movimentata", scelse la vita di un comune cittadino. Platone fa notare che di solito chi veniva dal Paradiso tendeva ad effettuare scelte sbagliate, mentre chi veniva dal Purgatorio e aveva sofferto

sceglieva bene. Infatti chi aveva vissuto per 1000 anni di beatitudine si era scordato di che cosa fosse la sofferenza. Pare quindi un circolo vizioso, ma in realtà Platone dice che il motivo per cui si sceglie una vita buona o una cattiva può derivare da doti naturali: ci sono infatti persone portate a comportarsi bene per inclinazione naturale: vi è anche chi ha conoscenze basate sulla doxa (l'opinione) e che può cogliere alte realtà, ma solo casualmente, senza riuscire a fornire motivazioni: costoro, che conducono una vita buona per caso, non radicata nella coscienza, si smontano facilmente nel Paradiso quando godono e finiranno per scegliere male. Chi ha invece raggiunto il bene in sè, la superidea del bene, non cadrà mai nel male. Socrate a Glaucone:"È così, Glaucone, che ci fu conservato questo racconto senza andare perduto, racconto che può salvarci, se gli diamo fede; e allora traverseremo felicemente il fiume Lete e non ci macchieremo l’anima. Ma se voi darete retta a me, convinti che la nostra anima è immortale e capace di soffrire tutti i mali come di godere tutti i beni, noi seguiremo sempre la via che conduce in alto, e praticheremo in ogni modo la giustizia insieme con la saggezza. Così noi saremo amici a noi stessi e agli dei, saremo felici tanto su questa terra quanto in quel viaggio di mille anni che abbiamo descritto" Lachesi alle anime:” anime, che vivete solo un giorno (ephémeroi) comincia per voi un altro periodo di generazione mortale, portatrice di morte (thanotephòron). Non vi otterrà in sorte un dàimon, ma sarete voi a scegliere il dàimon. E chi viene sorteggiato per primo scelga per primo una vita, cui sarà necessariamente congiunto. La virtù (areté) è senza padrone (adéspoton) e ciascuno ne avrà di più o di meno a seconda che la onori o la spregi. La responsabilità è di chi sceglie; il dio (theos) non è responsabile” Il fatto che questi paradigmi siano dei modelli offerti da Lachesi, la Moira che canta il passato, non incide sulla libertà di scelta. Dopo la scelta, le anime si presentano a Lachesi, dalla quale ciascuna ottiene il dàimon che si è preso, perché gli sia custode e adempia quello che ha scelto. Questo guida l’anima da Cloto, a confermare sotto il giro del fuso il suo destino, e poi da Atropo a renderlo inalterabile, e quindi, dal trono di Ananke, verso la pianura del Lete, afosa e senza alberi.

La physis (natura) di una creatura non è qualcosa di dato in anticipo e una volta per tutte, ma quel che si può osservare dopo averla messa alla prova. E il tempo della prova – racconta Er – dura indefinitamente. Il dàimon è la creatura divina che presiede al destino di ciascuno. Nel racconto di Er, il dàimon non capita in sorte, ma è oggetto di una scelta. La libertà di scelta rende la virtù “senza padrone”, a differenza di quanto avveniva nella morale tradizionale, ove questa era appannaggio di una figura sociale ben determinata, l’àristos, o comunque di un gruppo estremamente ristretto. La scelta, e dunque la libertà, è qualcosa di indipendente dalla nostra immagine corporea e sociale: sono offerti alla scelta paradigmi di vita di tutti i tipi, di uomini, donne e perfino animali. La metempsicosi, in Platone, è un elemento assieme liberatorio e responsabilizzante. Scegliere, nella prospettiva platonica, significa prendere possesso criticamente del proprio passato per migliorare il presente. La morte era tradizionalmente un compimento, che dava garanzia di fissità e definitività all’esistenza umana. Per questo si pensava che l’eudaimonìa fosse qualcosa di certo solo una volta terminata felicemente l’esistenza mortale. Nel racconto di Er, invece, la morte è un elemento di indeterminazione , che mette in dubbio la fissità delle immagini sociali del mondo dei vivi. Per la tradizione solo la morte poteva dirci chi era veramente padrone dell’eccellenza e aveva (avuto) un felice rapporto col mondo. Socrate sottolinea che il problema capitale è la questione dello scegliere, piuttosto che quella dell’identità e del tipo di soddisfazioni a essa connesse. La nostra eudaimonìa esiste non tanto perché un buon dàimon presieda al nostro destino, quanto perché noi stessi abbiamo scelto un buon dàimon. Elemento essenziale dell’eudaimonìa, dunque, non è più il dàimon, ma il carattere della nostra scelta. Non ci può essere eudaimonìa senza autonomia. Se lo scegliere è essenziale, la felicità non può essere ridotta a un

modello, in base al quale coltivare le persone. Anche per questo, i paradigmi di vita offerti in opzione sono numerosi e differenti fra loro. Il ritorno di Er dal regno dei morti è un’immagine forte dello spirito che ispira la metafisica di Platone: la realtà esiste solo nella misura in cui è viva e in tensione verso il meglio. Noi esistiamo in maniera piena solo se sappiamo fare le nostre scelte – se sappiamo, cioè, valorosamente morire e consapevolmente rinascere, senza dimenticare nulla, come nel racconto straordinario che mette fine alla Repubblica. Possiamo essere veramente virtuosi se riusciamo a trascendere la nostra identità, per ricordare le condizioni sovraindividuali della scelta....


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