René Girard Il capro espiatorio PDF

Title René Girard Il capro espiatorio
Course Sociologia generale
Institution Università degli Studi di Bergamo
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Riassunto esaustivo del libro...


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René Girard – il capro espiatorio 1. Guillaume De Machaut e gli ebrei

Il poeta scrive il suo jugement dou roy de Navarre verso la metà del XVI secolo. Avvengono degli eventi catastrofici in molte città e morivano molti uomini. Alcune di queste morti sono dovute alla malvagità degli ebrei e dei loro complici cristiani. La giustizia celeste ha fatto chiarezza sugli avvenimenti catastrofici avvenuti massacrando chi li ha causati. La vera causa di tutti questi massacri è la peste e Guillaume, il poeta però parla sempre di epidemia (epydemie) e non di peste. Epidemia è il nuovo capro espiatorio. Non è mai stato possibile determinare la natura e la causa della malattia. Il testo di Guillaume presenta temi più o meno credibili: le continue e numerose morti sono credibili, mentre gli avvelenamenti no (nel 1300 non vi erano sostanze capaci di produrre effetti così tanto nocivi). Sono presenti due stereotipi: il veritiero e l’ingannevole, i quali ci informano sulla natura dei testi simili a quelli di Guillaume (sulla persecuzione). 2. Gli stereotipi della persecuzione

René Girard si occupa di: persecuzioni collettive e di persecuzioni con risonanze collettive. Le prime riguardano le violenze commesse direttamente da folle omicide (esempio: massacro degli ebrei durante la peste nera); le seconde riguardano violenze incoraggiate da un’opinione pubblica sovraeccitata (esempio: caccia alle streghe). Questi tipi di persecuzione si svolgono solitamente durante un periodo di crisi, periodo in cui le istituzioni si indeboliscono e si creano folle che esercitano pressione su queste istituzioni. Questi fenomeni possono avvenire per cause esterne (epidemie, siccità) o interne (discordie politiche o conflitti religiosi). Il crollo delle istituzioni cancella le differenze gerarchiche (indifferenziazione del culturale) conferendo a qualsiasi cosa un aspetto monotono e mostruoso. Gli stereotipi della persecuzione sono tre. Il primo stereotipo della persecuzione è la crisi, è il culturale che si eclissa indifferenziandosi. Qui gli uomini si sentono impotenti. Di fronte all'eclissi del culturale gli uomini però non si interessano alle sue cause originarie. Poiché la crisi è innanzitutto crisi del sociale, esiste una forte tendenza a spiegarla attraverso cause sociali e morali. Gli individui tendono a farsi folla indifferenziata e invece di incolpare se stessi tendono a incolpare la società nel suo insieme e individui che sembrano particolarmente nocivi. I crimini che più spesso vengono commessi sono quelli che trasgrediscono i tabù più rigorosi, cioè: crimini violenti, sessuali e religiosi. I persecutori si convincono che un piccolo numero di persone (anche solo uno) può essere nocivo all’intera società. La folla cerca l’azione ma non può agire sulla causa della crisi, così cerca una causa accessibile per sfogare la sua rabbie e la sua violenza. L’opinione pubblica isterica cerca nell’individuo la causa e l’origine di tutto ciò che la ferisce. Il secondo stereotipo riguarda le accuse stereotipate, perciò non importa che le persone accusate abbiano davvero commesso il crimine, ciò che importa ed è necessario è stabilire la prova. Il terzo stereotipo riguarda l’appartenenza a determinate categorie più esposte alla persecuzione, come le minoranze etniche e religiose oppure persone affette da patologie. Quando l'opinione pubblica di un paese ha scelto le sue vittime in una certa categoria sociale, etnica o religiosa tende ad attribuire a questa le infermità e le deformità che rafforzano la polarizzazione. Questa tendenza sfocia poi in caricature razziste. C’è un rapporto stretto tra i primi due stereotipi: allo scopo di riferire alle vittime l’”indifferenziazione” della crisi le si accusa di crimini “indifferenziatori”. Non c’è cultura all’interno della quale ogni individuo non si senta “differente” dagli altri e non giudichi legittime e necessarie le differenze. In ogni individuo, società e cultura esiste una tendenza a sentirsi “più differente” rispetto agli altri. I segni di selezione vittimaria non manifestano la differenza in seno al sistema, ma fuori da esso. Le categorie vittimarie sono predisposte ai crimini indifferenziatori. Ciò che si rimprovera alle minoranze è di non differenziarsi in modo opportuno.

ciò che ossessiona i persecutori non è la differenza ma l’indifferenziazione.

3. Che cos’è un mito

Ogni volta che una testimonianza riporta violenze collettive ci si chiede se essa includa anche: la descrizione di una crisi sociale e culturale (indifferenziazione generalizzata – primo stereotipo); crimini “indifferenziatori” (secondo stereotipo); se gli autori dei crimini siano in possesso di segni di selezione vittimaria. Il quarto stereotipo è la violenza stessa. Dalla presenza di più stereotipi si può dedurre la persecuzione. La loro presenza ci porta ad affermare che: le violenze sono reali; la crisi è reale; le vittime sono scelte in base ai loro segni vittimari; il senso dell’operazione è di far cadere sulle vittime la responsabilità della crisi. Gli etnologi non individuano mai lo schema persecutorio nelle società che studiano perché le società etnologiche non si abbandonano alla persecuzione; la seconda ipotesi è il fatto che si hanno documenti che non siamo in grado di decifrare. Quest’ultima è l’ipotesi più giusta, infatti lo schema persecutorio riportato è presente nelle società mitico-rituali nei loro miti. Mito di Edipo: la peste devasta Tebe (primo stereotipo); Edipo è il responsabile perché ha ucciso suo padre e sposato sua madre (parricidio e incesto - secondo stereotipo); Edipo è zoppo (terzo stereotipo). Le accuse mitologiche possono dire il falso, ma vengono utilizzate per dire il vero (peste) creando la combinazione di verosimile e inverosimile tipica dei testi storici. Tra i testi storici e quelli mitologici si possono individuare i quattro stereotipi persecutori: Primo stereotipo: nei testi storici l’indifferenziazione reale è nota, nei testi mitologici non è nota, ma è presente; secondo stereotipo: nei testi storici i persecutori attribuiscono alle loro vittime tutti i crimini, in quelli mitologici i personaggi principali sono dei trasgressori infatti attirano su di sé il castigo tipico della vittima nelle persecuzioni vittimarie; terzo stereotipo: nei testi storici sono piccole minoranze, in quelli mitologici è lo straniero collettivamente cacciato o assassinato.

In alcuni miti è più difficile comprendere i quattro stereotipi perché sono trasfigurati. Questa trasfigurazione è propriamente mostruosa. Bisogno pensare al mostruoso partendo dall’indifferenziazione, cioè da un processo che non intacca il reale, ma la percezione. Il passaggio al mostruoso si colloca nel prolungamento degli stereotipi persecutori: quello della crisi in quanto differenziata, quello della vittima in quanto colpevole di crimini indifferenziatori, quello dei segni di selezione vittimaria in quanto deformità. A un certo punto mostruosità fisica e morale si uniscono. La deformità fisica deve corrispondere ad un aspetto reale di qualche vittima, a un’infermità reale (es: Edipo che è zoppo). La mostruosità morale porta a compimento la tendenza di tutti i persecutori a proiettare i mostri che essi stessi creano dalla crisi, dalla sciagura pubblica o privata, su una persona infelice in cui una sua caratteristica suggerisce un’affinità con il mostruoso. Nelle persecuzioni storiche i colpevoli restano sufficientemente distinti dai loro crimini perché non ci si possa ingannare sulla natura del meccanismo. Nel mito il colpevole è talmente identico alla sua colpa che è impossibile dissociarlo dal crimine. una dimensione essenziale nei miti, ma quasi assente nelle persecuzioni storiche è la dimensione sacra. Per capire cosa sia il sacro bisogna partire da ciò che René Girard chiama “lo stereotipo d’accusa” ovvero la colpevolezza e la responsabilità illusoria delle vittime, perciò chi accusa crede davvero a ciò che sta accusando (es: Guillaume con gli ebrei). Queste illusioni sono di natura sociale, cioè condivise da un gran numero di persone. Le vittime sono i capri espiatori: esso designa simultaneamente l’innocenza della vittima, la polarizzazione collettiva contro di essa e la finalità collettiva di questa polarizzazione. I persecutori si chiudono nella logica della rappresentazione persecutoria e non possono uscirne. Affinché i persecutori siano animati dalla stessa fede la vittima deve polarizzare su di sé tutti i sospetti e la comunità deve sentirsi libera dai mali.

Nella maggior parte dei miti la conclusione fa vedere un ritorno dell’ordine che era stato compromesso nella crisi. Il legame tra la vittima colpevole e il finale violento e liberatorio si spiega come il meccanismo del capro

espiatorio. L’ordine assente o compromesso dal capro espiatorio si ristabilisce grazie a chi lo ha turbato all’inizio. Solo nei miti la vittima causa crisi e disordini, ma ristabilisce anche l’ordine. Il capro espiatorio è il responsabile di tutto, sia della malattia, sia della guarigione: non guariscono la malattia in sé, ma la crisi che ne deriva. Finché le cause esterne (es: malattie o siccità) continuano ad agire il capro espiatorio non avrà efficacia. Appena queste cause cessano di agire, il primo capro espiatorio venuto metterà la parola fine alla crisi grazie alla proiezione di ogni misfatto sulla vittima. Il meccanismo del capro espiatorio produce il sacro. 4. Violenza e magia

Per spiegare il sacro, René Girard, ha confrontato le rappresentazioni persecutorie che lo contengono con quelle che non l contengono. Il capro espiatorio non appare più come soltanto come il ricettacolo passivo di forze malvagie, ma come un manipolatore onnipotente del quale la mitologia ci costringe a postulare il miraggio sanzionato dall’unanimità sociale. Dire che il capro espiatorio sia l’unica causa del flagello è come dire che il flagello diventi direttamente la sua cosa e che lui ne dispone come vuole per punire o ricompensare a seconda che si provochi la sua ostilità o il suo favore. Tutti gli aspetti della mitologia sono presenti nelle persecuzioni medioevali in una forma meno estrema, cioè il mostruoso. La confusione tra l’animale e l’umano costituisce la più importante modalità del mostruoso mitologico; questa confusione si può trovare nelle vittime medioevali, ad esempio alle streghe è spesso attribuito una somiglianza con l’animale che le appartiene. Mito fondatore degli Indiani Dogrib: una donna dopo aver avuto un rapporto con un cane mette al mondo sei cuccioli, dopo essere stata scacciata dalla sua tribù è costretta a cercarsi da sola il cibo. Un giorno scopre che i suoi cuccioli sono bambini e che ogni volta che lei lascia la casa, loro si tolgono le pelli di animali. Dopo aver scoperto questa realtà, la madre, finge di andar via e dopo che i figli si sono tolti le loro pelli lei le sottrae costringendoli a conservare la loro identità umana. In questo mito sono presenti tutti e quattro gli stereotipi della persecuzione. La crisi (indifferenziazione generalizzata) è una cosa unica tra l’uomo e il cane sia nella madre, sia nei bambini. Il segno vittimario è la femminilità e il crimine stereotipato è la bestialità. La donna è responsabile della crisi perché mette al mondo una comunità mostruosa. Il mito confessa in modo nascosto la verità. Non c’è differenza tra la criminale e la comunità, è la comunità che la scaccia e l’accusa. La donna cane diventa una dea che punisce la bestialità, gli incesti e tutte le regole che una comunità ritiene fondamentali. La causa apparente del disordine diventa la causa apparente dell’ordine. Nei miti ci sono due momenti e gli interpreti non riescono a distinguerli. Il primo momento corrisponde all’imputazione di un capro espiatorio non ancora sacro su cui si concentrano tutte le virtù malefiche; il secondo momento è quello della sacralità positiva determinata dalla riconciliazione della comunità. L’etnologia ha ravvisato in ciò che chiama “pensiero magico” una spiegazione sovrannaturale e di tipo causale. Al pensiero magico si ricorre per costruire un sistema di accusa, infatti, è sempre l’altro che agisce in modo sovrannaturale per causare male al suo vicino. Il pensiero magico cerca una causa significativa sul piano dei rapporti sociali, perciò una vittima (il capro espiatorio). Levi-Strauss definisce i riti e le credenze magiche come espressioni di un atto di fede in una scienza che deve ancora nascere. Evans-Pritchard dimostra che non c’è differenza tra le rappresentazioni e i comportamenti magici nella stregoneria e nella mitologia. La vittima che diventa divinità e ristabilisce l’ordine rende i miti confrontabili con le persecuzioni storiche. Il

ritorno all ordine e alla pace è attribuito alla stessa causa dei disordini precedenti alla vittima stessa. Per questo motivo la vittima diventa sacra. L’episodio persecutorio diventa un vero e proprio punto di partenza religioso e culturale. Il fenomeno servirà: come modello per la mitologia che lo ricorda nella sua qualità di

epifania religiosa; come modello per il rituale che si sforza di riprodurlo in virtù del principio che bisogna sempre rifare ciò che la vittima, in quanto creatura benefica, ha fatto o ha subito; come contro-modello per i divieti in virtù del principio che non bisogna fare ciò che ha fatto questa stessa vittima, in quanto creatura malefica. 5. Teotihuacan

I miti più difficile sono quelli dell’autosacrificio perché essi negano la pertinenza alla mitologia dell’assassinio collettivo. Mito americano dell’autosacrificio: creazione del sole e della luna secondo gli Aztechi. Gli dei si riunirono nel Teotihuacan per stabilire chi dovesse illuminare il mondo, si propose un Dio per questo compito. Ne cercarono un altro e lo scelsero. I due prescelti iniziarono una penitenza di 4 giorni. A mezzanotte tutti gli dei si disposero attorno al focolare, poi arrivarono i due prescelti che si misero intorno al focolare e gli dei dissero al primo dio (Tecuciztecatl) che si propose di illuminare il mondo di buttarsi dentro il focolare, egli tentò quattro volte, ma non si buttò mai. Il secondo dio (Nanauatzin) si gettò subito nel fuoco, avendo visto ciò, anche il primo dio vi si precipitò. Così, il secondo dio diventò il sole, mentre il primo la luna. Il vento, poi, uccise tutti gli dei, i quali diventarono gli astri. Il mito pone l’accento sull’aspetto libero e volontario delle decisioni. Il secondo dio è costretto a buttarsi ne fuoco, il primo dio no, egli è volontario. Gli dei muoiono per acconsentire la vita del mondo. Il secondo dio è definito buboso, cioè lebbroso, perciò la scelta degli dei di optare per lui come sacrificio non è una scelta casuale, bensì si fa riferimento al suo aspetto che si differenzia dagli altri proprio perché “buboso”. Questa è una selezione vittimaria, perciò non si può parlare di autosacrificio, ma di crimine collettivo dal momento in cui sono stati gli dei a sceglierlo. Questo dio, inoltre, ha la funzione di capro espiatorio. Per gli Aztechi il dio del sole è anche il dio della peste. La peste e il sole hanno in comune il fuoco: i bubosos, nonché le persone con la peste, venivano bruciati perché il fuoco è sempre stato visto come simbolo di purificazione. Il dio compie i suoi misfatti e dà la benedizione tramite lo stesso strumento: raggi che portano sia luce, sia peste. Il primo dio, invece, è un vigliacco perché per 4 giorni si rifiuta di gettarsi nel fuoco. Alla fine del medioevo ritroviamo gli stessi temi nella devozione a San Sebastiano. I temi formano un sistema di rappresentazione e di organizzazione che danno un effetto di capro espiatorio. Si crede che San Sebastiano protegga dalla peste perché è trafitto da frecce ed esse rappresentano i raggi di sole e la peste (spesso le epidemie sono rappresentate come una pioggia di frecce che cade sulla gente). Il santo è il capro espiatorio perché è appestato ma è anche protettore. È sacralizzato nel duplice senso di maledetto e benedetto. Nel mito degli Aztechi si hanno tre stereotipi su quattro: una crisi (indifferenziazione del giorno e della notte), diverse specie di colpe, una selezione vittimaria e due morti violente che producono la decisione differenziatrice. Manca lo stereotipo dell’assassinio collettivo perché entrambe le morti sono volontarie, anche se si mischia un elemento di costrizione alla libera volontà delle due vittime. Per mostrare l’assassinio collettivo bisogna far caso al gruppo di dei, alla loro disposizione attorno al fuoco (due file), al fatto che abbiano scelto il secondo dio. Se il primo dio non si fosse buttato dopo aver visto il secondo lanciarsi tra le fiamme del fuoco, lo avrebbero costretto gli altri dei a lanciarvisi dentro. Grazie al mito degli Aztechi capiamo che senza vittime non ci sarebbe vita, o meglio, sarebbe sommersa dall’oscurità. Gli uomini che vivono in società sono dominati dall’imitazione, dal mimetismo. Nel mito ciò si vede quando il primo dio segue il secondo nel fuoco. È lo spirito di rivalità mimetica, la volontà di superare tutti gli altri che spinge il primo dio (futuro dio-luna) a dichiararsi volontario. Egli pretende di essere un modello per gli altri senza avere egli stesso dei modelli. Questa è una hybris cioè una forma di desiderio mimetico così

esasperata da pretendersi al di là di ogni mimetismo, da non voler altro modello se non se stesso. Il dio-luna è troppo mimetico. Dopo aver rivendicato il primo posto si trova senza modelli. Il dio-sole funge da modello per chi non ne ha (dio-luna), egli non ha cercato di mettersi in luce, al contrario

del futuro dio-luna che si è proposto come sacrificio. Gli dei riuniti, mimeticamente unificati, governano tutta la scena. 6. Asi, cureti e titani

Secondo esempio di mito senza una scena visibile di assassinio collettivo: mitologia scandinava. Baldr è il dio migliore di tutti, è incapace di violenza. I sogni lo avvertono di una minaccia di morte ed egli decide di confidare questa cosa ai suoi compagni, gli Asi. Gli Asi decidono di chiedere protezione da ogni pericolo per Baldr; sua madre, Frigg, fa giurare a tutti (esseri animati e inanimati) di non fargli del male. Cos Baldr iniziò a divertirsi con gli Asi in un gioco stupefacente: gli scagliano colpi di pistola gli vibrano colpi di spada e niente riesce a ferirlo. Loki (un demone scandinavo) non partecipa al gioco, però cerca di disturbarlo. Il demone va da Frigg e le chiede se ci sia un’eccezione che possa causare del male a Baldr; Lok viene a sapere che un germoglio di vischio è l’unico essere a cui la madre aveva chiesto di prestare giuramento. Il demone si impossessa di questo germoglio e tornato nel luogo in cui si svolge il linciaggio su Baldr lo consegna a Hodhr (fratello cieco di Baldr). Loki guida la mano del fratello cieco verso Baldr il quale muore assassinato da un germoglio. Il gioco (definito stupefacente) sembra truccato anche se in realtà rappresenta l’assassinio collettivo. Hodhr potrebbe sembrare l’assassinio di Baldr, ma in realtà è Loki perché prende la sua mano per colpire il fratello. Questo finale, cancella ogni aspetto di un assassinio collettivo. Per l’autore ciò che noi oggi abbiamo non è la versione primaria del mito, ma è una versione rivisitata dalla gente che non tollerava più quell’immagine di assassinio collettivo che faceva di tutti gli dei degli autentici criminali. In qualsiasi assassinio collettivo non tutti i partecipanti sono ugualmente colpevoli, infatti colui che ha inferto il colpo fatale ha la responsabilità maggiore. In questo mito si cancella l’assassinio collettivo.

Terzo esempio: mito sulla nascita di Zeus. Il dio Crono sta divorando tutti i suoi figli, non trova Zeus perché la madre, Rea, lo ha nascosto dai Cureti i quali lo nascondono e per farlo si mettono in cerchio attorno a Zeus il quale ha paura e strilla sempre più forte, così i Cureti fanno sempre più rumore con le loro armi per coprire le urla del bambino. Così facendo, però, aumenta la paura di Zeus. I Cureti appaiono più minacciosi che protettivi. Se la scena di Zeus e con i Cureti intorno a lui fosse un dipinto penseremmo ad un assassinio collettivo. Per eliminare il significato violento dalla scena, i miti conferiscono un ruolo di “protettori”. Nel mito scandinavo l’assassinio collettivo non reale ha l...


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