Riassunto \'\'Dei Delitti e delle Pene\'\', Cesare Beccaria PDF

Title Riassunto \'\'Dei Delitti e delle Pene\'\', Cesare Beccaria
Author Alessandro Marchi
Course Filosofia del diritto progredito
Institution Università degli Studi di Milano
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Riassunto dei delitti e delle pene...


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Riassunto di: “DEI DELITTI E DELLE PENE”, di CESARE BECCARIA A CHI LEGGE Cesare Beccaria apre la propria opera (apertamente rivolta ai c.d. “direttori della pubblica felicità”) inquadrando innanzitutto l'argomento della stessa: scrive espressamente che la sua sarà una riflessione sulle Leggi relative al sistema criminale, così come risultante dalle regole del Corpus Iuris, dalle tradizioni Longobarde e dalle altre norme sedimentatesi nel corso dei secoli. Segue una risposta dell'autore alle critiche ricevute in occasione della prima pubblicazione dell'opera, soprattutto ad opera di padre Ferdinando Facchinei (Note ed Osservazioni sul libro intitolato “Dei delitti e delle pene”; 1765): Beccaria qui afferma che i princìpi da cui derivano le regole umane sono tre, ossia la Rivelazione, la Legge Naturale e le Convenzioni sociali; da queste fonti derivano a loro volta tre classi di virtù e vizi: religiosa, naturale e politica. Queste tre classi sono indipendenti e non sono mai in contraddizione fra loro. La giustizia divina e naturale sono inoltre immutabili; quella umana, ossia la giustizia politica, non essendo che una relazione fra l'azione e lo stato vario della società, può variare a seconda che diventi necessaria o utile alla società quell'azione. L'opera di Beccaria riguarda essenzialmente la giustizia umana; ribadisce la sua fedeltà alla Chiesa ed al suo Sovrano.

INTRODUZIONE Secondo l'autore, le leggi sono spesso nate come strumento delle passioni di pochi, oppure sono nate da una necessità passeggera: mai sono state redatte in modo obiettivo e razionale, secondo una logica consistente nel ricercare “la massima felicità divisa nel maggior numero”. In relazione al Diritto Criminale, Beccaria si sofferma a far notare al lettore come ben pochi si siano interessati all'argomento del diritto e del processo penale. Secondo Beccaria, i giudici del suo tempo e delle epoche precedenti sono caduti spesso in atrocità, denunciate per primo dal grande Montesquieu, del quale l'autore cerca di seguire l’esempio.

1. ORIGINE DELLE PENE Le leggi sono nate quando gli uomini formarono le prime società e, stanchi di vivere sempre in guerra e nell’incertezza, cercarono di garantirsi una pace duratura rinunciando ciascuno ad un po’ della propria libertà per amore della stabilità collettiva. La somma delle porzioni di libertà cedute dai singoli costituisce la sovranità di una Nazione, ed il Sovrano è il responsabile di quelle. Ma constatando che ci sono sempre stati uomini che, oltre a voler indietro la propria porzione di libertà, hanno voluto (e vogliono) anche usurpare la parte degli altri, secondo Beccaria si sentì quindi il bisogno di prevenire questo fatto imponendo delle punizioni ai trasgressori delle regole allo scopo di difendere il bene universale. Queste punizioni son dette “sensibili motivi” in quanto si tratta di azioni che immediatamente percuotono i sensi e che di continuo devono affacciarsi alla mente dei cittadini per controbilanciare le le forti impressioni delle passioni personali, che continuamente si oppongono al bene universale.

2. DIRITTO DI PUNIRE Ogni pena deve derivare da una assoluta necessità di difendere il bene generale (altrimenti, come dice Montesquieu, sarebbe tirannica) e il Sovrano ha il diritto-dovere di punire chi minaccia la libertà altrui. Beccaria intende infatti la Giustizia come il vincolo necessario per tenere uniti gli interessi particolari (aggregatisi per sfuggire allo stato di natura) riuniti nel concetto di sovranità: ogni punizione che non derivi dalla necessità sarebbe pertanto ingiusta.

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3. CONSEGUENZE 1. Le pene debbono essere fissate dai legislatori, che rappresentano l’intera società riunita da un contratto sociale; e nessun magistrato per eccesso di zelo più dare punizioni che vadano oltre la misura decretata dalla legge. 2. Ogni individuo è legato alla società, e viceversa: ne deriva che è interesse di tutti rispettare le leggi, e solo il sovrano ha il potere di emanare leggi generali impegnative per ogni consociato. Ne consegue inoltre che il sovrano che rappresenta la società non può giudicare chi ha violato le leggi, perché la società si dividerebbe tra chi è con il sovrano e chi nega la verità del sovrano (accusato), vi deve perciò essere un terzo, il magistrato, che vagli i fatti e giudichi chi abbia ragione. 3. Le pene non devono essere severe e crudeli perché renderebbero i sudditi una greggia di schiavi pavidi e ciò sarebbe un venir meno alla giustizia e al contratto sociale. 4. INTERPRETAZIONE DELLE LEGGI Quarta conseguenza: al Giudice non dev'esser concesso d'interpretare le leggi penali (“consultare lo spirito delle leggi è un argine rotto al torrente delle opinioni”), perché la libera interpretazione darebbe risultati diversi nei tempi e a seconda dei giudici. Il giudice, per Beccaria, deve solo esaminare i fatti e applicare alla lettera la legge, onde evitare che i consociati siano soggetti a tante piccole tirannie. Se la legge viene inoltre applicata in modo uniforme, il cittadino acquisisce maggiore sicurezza ed indipendenza. 5. OSCURITA’ DELLE LEGGI Le leggi devono essere scritte con chiarezza, perché solo se sono conosciute dalla moltitudine verranno rispettate ed i crimini diminuiranno. Il sacro codice delle leggi dev'essere eretto a monumento stabile del patto sociale, per resistere alla forza inevitabile del tempo e delle passioni. Segue un elogio della stampa, che, negli ultimi tre secoli, ha tratto gli uomini fuori dalla superstizione dissipando quello spirito tenebroso nel quale erano tenuti da principi e religiosi. Grazie alla scrittura ed alla diffusione dei testi è possibile far sì che leggi siano create e modificate solo in base all'interesse generale (e non privato) di tutti i cittadini nel loro complesso. 6. PROPORZIONE FRA I DELITTI E LE PENE I delitti possono essere di diversa gravità: più gravi sono quelli che vanno ad offendere direttamente la società; meno gravi sono quelli che offendono i privati singoli. Parallelamente a questa scala dev'esservi un'altra scala di pene proporzionate alla gravità dei delitti medesimi, affinchè il giudice non dia la pena relativa al crimine più grave a colui che ha commesso un delitto più leggero e viceversa, perché l’uomo poi non eviterà di commettere i reati più gravi se il prezzo da pagare è lo stesso dei meno gravi. 7. ERRORI NELLA MISURA DELLE PENE La misura dei delitti deve soltanto derivare dal danno fatto alla Nazione, e non dalle intenzioni di chi li commette, perché potrebbe capitare che da buone intenzioni derivi il maggior male per la società e viceversa; né si deve misurare la pena in base all’importanza della persona offesa perché allora uno sgarbo verso Dio sarebbe punibile più dell’uccisione di un re. Infine, non è ammissibile che nella misura dei delitti si faccia riferimento alla gravità del peccato: i rapporti fra uomini sono rapporti di uguaglianza; i rapporti uomo-Dio sono rapporti di dipendenza dal Divino. Se Dio stabilisce pene eterne per chi pecca, l'uomo non può supplire al Suo giudizio: la gravità del peccato risiede solo nel cuore di colui che ha commesso il fatto, e non può essere conosciuta dagli uomini.

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8. DIVISIONE DEI DELITTI La misura dei delitti è dunque il danno recato alla società. Sulla base di questa considerazione, Beccaria introduce una distinzione fra i vari delitti, e li differenzia in:  Delitti di lesa maestà → Sono quelli che immediatamente tentano di distruggere la società o chi la rappresenta, e sono i più dannosi (“delitti massimi”): gli altri delitti, infatti, seppur dannosi per la società intera, non hanno lo scopo precipuo di distruggerla e son per questo meno gravi;  Delitti contrari alla sicurezza di ciascun particolare → Sono quelli che danneggiano un solo cittadino privato nell’onore, nei beni o nella vita. Danneggiano la società ma non la distruggono;  Delitti derivanti da azioni contrarie alle leggi disposte per il bene pubblico→ Sono i crimini più diffusi. Secondo Beccaria, ciascun cittadino deve poter fare tutto ciò che non sia contrario alle leggi senza temer altro inconveniente che quello che può nascere dall'azione medesima (principio di legalità nel Diritto Penale, cfr. art. 25 comma 2 Cost. ). Tale principio rende gli uomini liberi e virtuosi, e non timorosi e preoccupati: dev'esser un sacro dogma per governanti e giudici, al fine di non cancellare la fiducia nella giustizia del privato cittadino.

9. DELL’ONORE Il concetto di onore è semplice e complesso al tempo stesso, vista la moltitudine di sfumature di significato che ha. Per trovare un senso a tale concetto, Beccaria ricerca un “ comun divisore” delle varie idee di “onore” che gli uomini hanno elaborato nel tempo. L'avvicinamento degli uomini usciti dallo stato di natura ha fatto nascere un'infinita serie di azioni e bisogni vicendevoli tra gli uomini, che non sempre hanno trovato una disciplina nelle leggi: ecco allora formarsi il dispotismo dell'opinione, unico mezzo per dare una disciplina laddove la legge non era arrivata. Fondamentale diventa quindi anche l' opinione che la società ha del singolo ; ed ecco scaturire il concetto di onore: quest'onore, rileva Beccaria, è una condizione che molti uomini mettono addirittura alla propria esistenza (perdere l'onore → morte), regredendo così, nel caso concreto e singolo, allo stato naturale. Sia nelle società in cui vi è massima libertà politica sia in quelle in cui vi è massima dipendenza fra gli uomini (società di casta) spariscono le idee d'onore o si fondono con le altre: nel primo caso, infatti, la forza delle leggi rende inutile la ricerca degli altrui suffragi; nel secondo caso, invece, il dispotismo di alcuni uomini su altri uomini, annullando l'esistenza civile, li riduce ad una precaria e momentanea personalità.

10. DEI DUELLI Al concetto di onore si collega una riflessione sul duello, che diventa il modo per farsi giustizia da sé e non cadere così nel biasimo sociale e nella generale riprovazione ed infamia . Segue una riflessione storica e sociale:  Il duello non era diffuso nell’antichità romana, forse perché già i gladiatori offrivano nelle arene sangue e morte al pubblico, e nessuno voleva essere equiparato al loro basso livello (poiché erano schiavi).  I duelli sono inoltre più diffusi tra i nobili, perché essi tengono all’opinione altrui più di quanto faccia il popolo, che, oltre a non essere armato, ha anche meno interesse all'altrui opinione.

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11. DELLA TRANQUILLITA’ ALTRUI Tra i delitti del terzo genere (v. supra) vi sono quelli che turbano la pubblica tranquillità e la quiete dei cittadini come strepiti e bagordi nelle pubbliche vie destinate ai commerci ed al passeggio; o come arringhe e sermoni che eccitano le facili passioni degli animi curiosi; ecc... . Costituiscono certamente misure di prevenzione contro tali delitti l'illuminazione notturna, la distribuzione delle guardie cittadine, le arringhe destinate a sostenere gli interessi pubblici e privati nelle adunanze della Nazione (= nei Parlamenti). Questi crimini formano inoltre un ramo principale della vigilanza del magistrato (cioè la c.d. “Police”, in francese), ma per reprimerli occorrono necessariamente leggi chiare: il magistrato non può reprimere i crimini arbitrariamente; inoltre ogni cittadino deve saper ciò che la legge gli permette di fare e ciò che gli proibisce. Leggi inefficaci aumentano l’arbitrio del giudice e limitano la libertà del cittadino. Al termine del capitolo, Beccaria si propone di sciogliere i vari nodi relativi alla scelta delle pene, alla pena di morte, alla tortura, al fine delle leggi penali, alla prevenzione dei delitti, alla necessità di adattare le pene alle epoche. 12. FINE DELLE PENE Il fine delle pene deve essere quello di convincere il reo a non ricommettere il crimine e dissuadere gli altri da compiere le stesse azioni illecite; perciò le pene non dovranno far soffrire il reo oltre il necessario (il crimine commesso non è comunque più rimediabile; necessità di proporzionalità della pena), e dovranno servire da esempio durevole ed efficace per gli altri uomini. 13. DEI TESTIMONI Ogni buona legislazione deve prevedere disposizioni esatte circa le prove e la credibilità dei testimoni di un reato per giudicare bene. Tutti gli uomini che abbiano capacità di giudizio possono essere testimoni: ma la misura per capire la credibilità d'un testimone sta solo nell'analizzare l'interesse che questi ha a dire o meno il vero (Beccaria critica, in una nota a margine, il criterio in voga all'epoca: la credibilità di un teste è tanto maggiore quanto più atroce è il delitto per il quale si rende testimonianza). La credibilità di un teste diminuisce, infatti, con la parentela, l'amicizia o l’interesse al caso; perciò bisogna controllare che i testimoni non abbiano legami/interessi di sorta, ed occorre che siano più d'uno per smentirsi o provarsi a vicenda. Saranno più fedeli poi le testimonianze che si basano sul racconto delle azioni, piuttosto che quelle che si riferiscono a delitti verbali (es. calunnia), perché le parole non rimangono che nella memoria per lo più infedele e spesso sedotta degli ascoltanti. 14. INDIZI E FORME DI GIUDIZI Gli indizi di reato, per essere fondamentali nel provare la certezza di un fatto, debbono essere preferibilmente indipendenti gli uni agli altri, di modo che l'inesattezza di una prova non influisca sull'altra. Più prove indipendenti vi sono, maggiore è la probabilità del fatto: non si può parlare di “certezza” del fatto in senso assoluto, ma solo di certezza in senso morale; ciò è tuttavia accettato da tutti gli uomini per una consuetudine nata dalla necessità di agire. La certezza che si richiede per accertare la reità di un uomo sospettato è dunque quella che determina ogni uomo nelle operazioni più importanti della vita. Le prove possono essere di due tipi:  Prove Perfette → Escludono con certezza che l'imputato sia innocente. Ai fini della condanna, ne basta anche una sola. 

Prove Imperfette → Non escludono che l'imputato sia innocente. Ai fini della condanna, occorreranno tante prove imperfette fino a creare un'unica prova perfetta. Se l'imputato non si discolpa a dovere da una prova imperfetta, essa diviene perfetta.

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La perfezione o meno delle prove è data da una certezza morale, non definibile a parole: la Legge, per Beccaria, dovrebbe quindi istituire, accanto al giudice principale, degli “assessori” estratti a sorte, affinchè sia assicurato il giudizio delle prove “per sentimento” comune e non “per opinione” del singolo giudice. Naturalmente, ove vi siano chiare leggi, il giudice dovrà solo accertare un fatto; e per giudicare le prove di un delitto non occorrerà la scienza o la capacità di trovare rei, poichè le prove devono essere giudicate con semplice buon senso. Gli imputati, inoltre, devono essere giudicati da loro pari, perché un superiore mal giudica un soggetto che considera inferiore. In caso di parità sociale, invece, la commissione giudicatrice dev'essere metà a favore dell'imputato e metà per l’altra parte; l'imputato, in più, dovrebbe poter far escludere dalla commissione tutti coloro che gli son sospetti: così, in caso di dichiarata colpevolezza, sembrerà che si sia condannato da solo. Infine, per Beccaria, i giudizi e le prove devono essere pubblici, affinchè l'opinione costituisca un freno alla forza ed alle passioni (ad es. vedi i processi degli antichi Romani). 15. ACCUSE SEGRETE Le accuse segrete sono delle forme di “disordine”, presenti in molti Paesi a causa della debolezza delle leggi. Esse rendono gli uomini falsi, in quanto chiunque può vedere in un nemico personale un delatore: gli uomini mascherano quindi i propri sentimenti, immersi in un mare di opinioni, preoccupati ed incerti. Da una situazione simile non possono certo nascere validi soldati a difesa della Patria, così come validi magistrati a difesa della giustizia. Chi, infatti, può difendersi dalla calunnia quando essa è armata dal più forte scudo della tirannia, ossia il segreto? Beccaria riprende quindi il pensiero di Montesquieu: nelle Repubbliche, ove la tutela del pubblico bene è interesse di tutti, l'accusa sarà pubblica; nelle Monarchie, invece, l'accusa sarà più probabilmente affidata a commissari che, in nome pubblico, accuseranno i trasgressori. In ogni caso, per Beccaria, al calunniatore dovrebbe esser data la stessa pena che toccherebbe all'accusato. 16. DELLA TORTURA La tortura dell'imputato durante la formazione del processo è una crudeltà: scrive Beccaria che un uomo non può chiamarsi “reo” prima della sentenza del giudice, né la società può togliergli la pubblica protezione, se non quando sia deciso che egli abbia violati i patti coi quali gli fu accordata (presunzione d'innocenza, cfr. art. 27 comma 2 Cost.). Un uomo colpevole va punito solo in base alla legge; un uomo la cui colpevolezza non è accertata, non può esser punito prima della sentenza. La tortura, inoltre, imposta come criterio di colpevolezza la semplice resistenza fisica dell'imputato, e ciò non è ammissibile. Quali sono i fini con cui solitamente si giustifica la tortura?  Rimediare ad un male già fatto (logica retributiva) → La tortura non può rimediare il danno arrecato. Sarebbe più sensato, invece, assicurare al reo una pena certa.  Purgare l'infamia → Può il dolore (pena fisica) purgare l'infamia (colpa morale)? Certamente no. Anzi, essere torturati non fa che aumentare l'infamia del malcapitato nell'opinione pubblica: purgare l'infamia con l'infamia è un controsenso.  Punire chi si contraddice durante il processo → Beccaria rileva che gli uomini spesso si contraddicono comunemente in tempi tranquilli, figurarsi in momenti di agitazione e turbamento come può essere un processo penale! Beccaria non ravvisa alcuna differenza sostanziale (ma solo formale) fra la pratica della tortura e quella ad es. dell'ordalia (es. giudizio divino): entrambe sono illogiche, poiché affidano l'esito del processo (volto a ricercare la verità) al caso o ad altri fattori come la forza fisica. Constatazioni di questo tipo, dice Beccaria, erano già state fatte dai Romani, che avevano tolto la tortura per i cittadini (non per gli schiavi); così come, più recentemente, erano state operate in Inghilterra (tortura abolita nel 1215 con la Magna Charta e, quindi, col Bill of Rights nel 1689), in 5

Svezia (solo per i c.d. “delitti comuni”, dal 1734; non per i delitti politici), ed in Prussia (ad opera di Federico II il Grande nel 1740). In altri Paesi la tortura è ammessa solo tre volte; in altri ancora, parte della dottrina la lascia all'arbitrio del giudice. La tortura è un male assoluto: mentre l'innocente è sempre svantaggiato dalla tortura (o perché subisce una pena indebita, o perché, stremato, confessa il falso), il reo, invece può avere paradossalmente una via di fuga se riesce a resistere ai tormenti. 17. DEL FISCO Un tempo quasi tutte le pene erano pecuniarie e il giudice era per lo più un “avvocato del fisco” , perciò mirava più che altro a trovare il modo di arricchire il fisco, che non il modo di arrivare alla verità: v'era un interesse a veder disattesi i princìpi di legge. Sulla base di questa impostazione, quasi tutte le procedure criminali d'Europa si svilupparono a creare un “processo offensivo”: il giudice diviene nemico dell'imputato; non cerca la verità del fatto, ma cerca nel prigioniero il delitto, e lo insidia in tutti i modi fino a strappargli una confessione. Il vero processo, per Beccaria, è il “processo informativo”, dove la ricerca del fatto e delle prove è operata in modo terzo ed imparziale, garantendo i diritti dell'imputato. 18. DEI GIURAMENTI La Legge che preveda il giuramento obbliga all'imputato di esser cattivo cristiano o di essere martire. Perché costringere gli uomini con il giuramento a venir meno alla legge divina, oltre che alla legge civile? Di fronte al pericolo di essere condannato, infatti, ogni uomo è pronto a giurare il falso per salvarsi. Inutilità dei giuramenti. 19. PRONTEZZA DELLA PENA Quanto più la pena sarà pronta e vicina (in termini cronologici) al delitto, tanto più sarà giusta ed utile.  Giusta → Perché risparmia all'imputato gli inutili tormenti dell'incertezza, che aumentano col vigore dell'immaginazione e col sentimento della propria debolezza. Il processo deve quin...


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