Riassunto Dispense per l\'esame del Professor. Fassone PDF

Title Riassunto Dispense per l\'esame del Professor. Fassone
Course Storia e teoria delle forme videoludice
Institution Università degli Studi di Torino
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Riassunto delle dispense date dal professore. ...


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PARTE 1 – INTRODUZIONE ALL’ANALISI DEL VIDEOGIOCO Dal sesso al gioco, un'ossessione per il XIX Secolo? - Homo ludens, Homo ludicus di Peppino Ortoleva Gli esseri umani cominciano a giocare poco dopo essere venuti al mondo, prima di imparare a camminare, a parlare e ad acquisire coscienza di sé. Per questo l’homo ludens precede concretamente e logicamente l’homo faber. Gli schemi di base della ludicità umana sembrano tra gli aspetti meno mutevoli della specie. La vita in gioco Nel corso degli ultimi decenni l’avvento di nuove tecnologie, la riorganizzazione del tempo di vita e fattori culturali più sottili hanno apportato anche in questo alcune novità storiche e importanti: introducendo nuove tipologie di gioco, ridefinendo i confini e i rapporti tra il gioco e la realtà, toccando aspetti della vita e del sistema sociale che in precedenza con il gioco sembravano non avere rapporti. Si può parlare di una nuova ludicità: nasce l’homo ludicus» La pervasività del gioco: le pratiche ludiche

Negli ultimi venti/trenta anni si è assistito all’emergere e al diffondersi di quella che possiamo chiamare una nuova ludicità. Questa sembra toccare sia i giochi veri e propri sia tanti aspetti della vita che con il gioco a prima vista hanno poco a che fare. Prima di tutto, per quanto riguarda le pratiche ludiche sono comparsi modelli di gioco che prima non esistevano o avevano vita marginale e che hanno trasformato in parte l’idea stessa di che cosa sia gioco e che cosa non. Un esempio è il fenomeno davvero singolare dei cosiddetti casual game, che riempiono letteralmente le più diverse situazioni di tempo vuoto: per esempio Angry Birds, prodotto da una piccola azienda finlandese, è stato scaricato in oltre 500 milioni di esemplari. Un fenomeno assai più studiato e più antico è quello dei videogame e dei computer game, punto di incrocio tra linguaggio informatico, linguaggio cinematografico ed esperienza tattile. Bisogna ricordare che l’industria di video e dei computer game costituisce il settore in maggior crescita, con il 9% all’anno, dell’intera industria culturale ed è secondo per dimensioni solo al cinema. Passare parte del proprio tempo libero a giocare, senza bisogno di trovare partner o di spostarsi in luoghi specializzati, accedendo al gioco con la stessa semplicità con cui si accede a un programma televisivo o a un DVD è una nuova opzione che si è offerta negli ultimi trenta/quaranta anni a centinaia di milioni di persone. Un altro fenomeno che ha conosciuto una crescita considerevole è dato dal moltiplicarsi dei parchi a tema, il cui prototipo, punto d’incontro tra fiaba e gioco, fu dato dalla fondazione di Disneyland nel 1955: un modello rimasto quasi isolato che ha poi trovato decine di imitazioni. Al di là delle singole attrazioni, quello che conta è l’offerta di uno spazio in cui si possono passare intere giornate, ludico non solo per le attività che vi si svolgono ma per come si presenta, un metamondo il cui messaggio implicito è «questo è uno spazio altro, è uno spazio fantastico». Dice un suo biografo che quando Walt Disney ebbe l’idea del parco i suoi collaboratori cercassero di scoraggiarlo dicendo «chi vuoi che venga a vedere dove vive Topolino, tutti sanno che Topolino non esiste», sottolineando l’evidenza della diversità tra realtà e finzione. Invece, l’intuizione vincente di Disney fu che si stava sviluppando una domanda di esperienze intermedie, di vissuto che si coniugava strettamente con l’immaginazione: esperienze ludiche collettive, nelle quali molte persone contemporaneamente possono divertirsi con molte altre, e insieme giocare con le mitologie della cultura di massa.

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Rispetto a progetti più antichi, a cominciare dalle grandi esposizioni ottocentesche, cambia il fatto che i visitatori sono invitati più che a guardare a giocare. Parallelamente, in un campo più vicino allo sport e alle tecniche corporee, si è assistito alla diffusione massiccia di tipi di gioco che hanno ottenuto nel nostro tempo una popolarità inattesa, non per la loro innovatività tecnologica ma evidentemente per la loro sottile rispondenza a qualche aspetto della nostra cultura. È quello che è successo con il surf e con le sue più recenti varianti dallo skateboard allo snowboard. Questi comportamenti ludici letteralmente inventati hanno dato vita in pochi anni a tecniche corporee e a una propria mitologia. D’altra parte, non dobbiamo dimenticare le trasformazioni vissute negli ultimi decenni in seguito a mutamenti sia socioculturali sia tecnologici, da forme di gioco ben conosciute anche in precedenza. Il caso del gioco d’azzardo, che ha conosciuto un’impressionante crescita: solo in Italia, nel 2011, sono stati spesi complessivamente oltre 85 miliardi di euro. Se mettiamo insieme questi esempi, si disegna un processo nel quale forme di ludicità di diversa origine o estensione, «colonizzano» crescenti aree di vissuto: sottraendo un tempo vuoto alla noia o alla frustrazione, riempiendo il tempo di vacanza con i parchi a tema e con le tante attività guidate da animatori di professione, rispondendo alla solitudine attraverso incontri a distanza, anche sessuali. Le metafore ludiche e il gioco applicato

Ma l’estensione della ludicità, oltre al mondo dei giochi giocati, tocca anche un altro aspetto: il gioco metafora. Scriveva ancora Jurij Lotman, a proposito di un giocattolo radicato in molte diverse civiltà: «Per comprendere “il segreto della bambola” bisogna distinguere l’idea primaria di “bambola come giocattolo” da quella culturale secondaria di “bambola come modello”».Una simile «funzione culturale secondaria» compete oggi a un numero crescente di giochi, usati come metafora e come modello. Si va dagli orsacchiotti, alle metafore sportive in tutti gli aspetti del vivere, tra i quali il «siamo una squadra» che è oggi il motto più diffuso in molte organizzazioni, con il suo autoritarismo mascherato. Nella stessa direzione va l’uso pervasivo del termine «perdente» che sta prendendo il posto dei più antichi «disgraziato» o «fallito». Mentre queste espressioni riprendevano concrete possibilità della vita reale per tradurle in aggettivo denigratorio, «perdente» fa riferimento a un’immagine della vita come ininterrotto gioco di competizione, dove l’esito della partita diventa identità duratura del giocatore. Se le potenzialità di valenza simbolica del gioco sono così ampie, questo deriva dal fatto che la ludicità costituisce una macchina impareggiabile per fabbricare situazioni: sia nel senso di forgiare universi immaginari, sia nel senso di esplorare e riscrivere da punti di vista inattesi le esperienze reali. I giochi più diversi, e anche la ludicità in quanto tale, si prestano a essere usati come metafore potenti e discrete, e questo loro ruolo sta diventando un tratto caratterizzante della nostra epoca. Ma se la funzione espressiva del gioco-metafora ha radici antiche, più nuovo è il fenomeno per cui la ludicità si sta configurando come modello con una funzione operativa: oggetto, ma di applicazione diretta, di utilizzo per simulare situazioni, per distribuire ruoli, per incentivare forme nuove di cooperazione. Sembra logico parlare, in questo caso, di gioco applicato. Non abbiamo sempre saputo che il gioco che «serve» non è più tale? Il gioco che diventa modello dell’operatività, distributore di ruoli nella vita «vera» che cosa mantiene della libertà che di norma lo accompagna? Siamo di fronte a un segnale tra i più perentori di un fenomeno più vasto: tra la ludicità pura e la vita dove «si fa sul serio», si sta configurando un vasto spazio intermedio, uno dei segni tipici della nuova ludicità, il luogo di vita proprio dell’homo ludicus. Giochi applicati: anche solo un elenco delle applicazioni della ludicità che oggi ci circonda sarebbe insieme immenso e comunque incompleto. Dalla giocosità dei siti erotici, al settore militare. Più in generale si dovrebbe parlare della cosiddetta «gamification», che consiste nell’applicare le caratteristiche e a volte le regole di giochi collettivi e regolati a situazioni concrete. 2

Per esempio, nella vita delle organizzazioni, dove i giochi, che si rivelano spesso molto adatti alla formazione, a quelli informatizzati, permettono di provare i ruoli prima di assumerli, o di sperimentare l’attuazione di diversi progetti prima di farlo nella realtà. Ma si parla di gamification anche nella ricerca scientifica. È il caso di uno studio sulla configurazione tridimensionale delle proteine lanciato dalla University of Washington; visto che per disegnare le possibili forme delle proteine il software dimostrava una produttività limitata, è stato chiesto a chi volesse, via web, di offrire proposte; gli scienziati che hanno lanciato il progetto hanno fornito ai giocatori le regole e le soluzioni considerate più brillanti sono state «premiate» con messaggi di congratulazioni, con tanto di stelle e fuochi di artificio coloratissimi. Nell’insieme, insomma, la ludicità da un lato sta entrando sempre di più anche in aree del vivere dove fino a qualche anno fa la sua comparsa sarebbe sembrata irriverente, o comunque fuori luogo; dall’altro dà vita al crescente fiorire di un vero e proprio paradigma giocoso che viene assunto sia per organizzare sia per pensare i più diversi aspetti dell’esistenza. L’espansione pluridirezionale della ludicità è confermata anche da altri fenomeni. Prima di tutto, pratiche ludiche che erano rimaste a lungo riservate a specifiche categorie, come i maschi adolescenti nel caso dei videogame, si stanno generalizzando sia in termini di età sia in termini di sesso. Se la tendenza continua, si dovrebbe arrivare presto a una partecipazione paritaria tra i due sessi. Inoltre, si assiste all’affermazione di forme di gioco in spazi/tempi da cui erano in precedenza escluse, con fenomeni che potremmo chiamare «di sconfinamento». La cosa è tanto più significativa in quanto, come chiarito da Gregory Bateson a Roger Caillois, questo sembra contraddire una delle caratteristiche più proprie della giocosità umana, quella del collocarsi dentro una cornice che la separa da ciò che è definibile come vero, serio, concreto: «il gioco è essenzialmente un’attività separata, tenuta accuratamente isolata dal resto dell’esistenza [...], il campo del gioco è un universo riservato, chiuso, protetto: uno spazio puro». Il formarsi di uno spazio intermedio tra ludico e reale viene a vanificare proprio questa chiusura, generando un continuo andirivieni tra l’universo giocoso e quello serio. Tali e tante sono le transizioni da situazioni dichiaratamente ludiche a situazioni più serie che sembra delinearsi una sorta di area intermedia tra ludicità propriamente detta e vita reale. È una novità che fa pensare anche perché la separatezza del gioco serve a tutelare gli umani dai potenziali distruttivi che molti impulsi ludici portano con sé, e la caduta della separatezza comporta quasi inevitabilmente la degenerazione del gioco. È in quella direzione che andiamo? O forse la caduta della separatezza si accompagna, al contrario, a una generalizzazione di un atteggiamento distaccato? Si dirà che molti giochi sono in realtà messe in scene di una guerra, e quindi che non ci si dovrebbe stupire; ma il punto è esattamente questo, che la messa in scena che stava ad allontanare la guerra, oggi serve a praticarla a distanza. Il gioco oggi: un puzzle

L’estensione della ludicità non va letta in termini quantitativi, ma in termini qualitativi: segnala una diversa presenza sociale e culturale del gioco, una caduta di barriere un tempo insuperabili, l’emersione di forme di gioco nuove e la ricodificazione di forme più antiche, il prestarsi del gioco a una varietà di usi metaforici. Ha scritto Emile Benveniste «le forme del gioco sono così varie che non vi è nessuno dei nostri comportamenti, delle nostre parole e dei nostri pensieri che non vi appartenga in qualche misura». Per ricostruirle, per montarle insieme come in una sorta di puzzle, dobbiamo incrociare diversi elementi provenienti da molte fonti, inclusa l’osservazione diretta, le fonti giornalistiche indispensabili per fenomeni di così stretta attualità e alcuni elementi tratti dalla vasta, ma essa stessa frammentaria, letteratura sul gioco delle scienze umane novecentesche. 3

Matrici e tendenze della nuova ludicità Cominciamo con il cercare quali, tra le tendenze proprie della nostra società, ci aiutano a spiegare non solo in generale l’accresciuta presenza del gioco nella nostra cultura ma anche alcune delle novità che si stanno introducendo nei giochi giocati come nelle metafore ludiche più largamente diffuse. A che giochi giochiamo

Una prima indicazione data da Roger Caillois è la quadripartizione dei grandi modelli di gioco dove indica due modelli di giochi strutturati: agon, la competizione che è tipica di tutti i giochi a carattere sportivo oltre che di molti giochi competitivi di bambini e adulti; e alea, l’azzardo che comporta la possibilità di vincere e il rischio di perdere affidati almeno in parte alla sorte. Alea e agon sono contrassegnati entrambi dalla presenza di regole esplicite e di cui si deve poter controllare rigorosamente l’applicazione, perché la parità delle condizioni tra i giocatori è essenziale al loro senso e allo stesso piacere che danno. Ci sono altri tipi di gioco in cui è meno facile individuare regole rigide ed esplicite. Questo non significa che siano sregolati: il fatto stesso di «fabbricare situazioni» porta con sé i vincoli che tali situazioni implicano. In proposito Vygotskij dice che mentre i giochi propri dei bambini più grandi e degli adulti sono contraddistinti da regole manifeste e da situazioni immaginarie nascoste e non esplicitate, in quelli dei più piccoli le regole sono implicite, ma manifeste sono le situazioni immaginarie. Caillois individua due tipi di gioco con regole non esplicite: uno è ilinx, il gioco di vertigine, dove chi gioca mette a rischio il proprio equilibrio e la posizione eretta, traendo piacere dal riuscirci nonostante le sfide; in seconda istanza sembra mirare almeno temporaneamente a perdersi, per poi ritrovarsi; l’altro è mimicry, l’imitazione/travestimento. È alla mimicry che appartiene quella vastissima categoria chiamata «simulazione». La tesi del grande intellettuale francese è che, se non c’è società che non conosca tutti e quattro i modelli, i primi due tipi di gioco sono stati caratteristici della ludicità adulta moderna, sia pure con equilibri diversi in diverse; nello stesso periodo la vertigine e l’imitazione/travestimento sono stati trattati piuttosto come divertimenti propri dei bambini, non realmente degni delle persone adulte. Ma proprio perché nessuna civiltà può fare a meno di nessuno dei modelli di gioco, anche la vertigine e il mascheramento trovano il modo di rivivere in espressioni rituali che danno spazio al mascheramento, all’abbandono o a forme di ludicità istituzionale, come lo spazio di vertigine che permette agli adulti di «fare i bambini»: il luna park. Segni importanti ci dicono che si sta verificando un cambiamento storico consistente, paragonabile a quello che accompagnò l’insediarsi del mondo industrializzato. Allora, le forme di gioco più anarchiche vennero marginalizzate, rese inaccettabili per gli adulti e relegate nella magmaticità del gioco infantile. Negli ultimi decenni, sembrano ritrovare spazio anche tra adolescenti e adulti. Si è già osservato che la diffusione del surf e dei giochi che ne derivano evidenzia, soprattutto tra gli adolescenti, una nuova tendenza ai giochi che sfidano le vertigini e che richiedono specifiche tecniche del corpo mirate al mantenere l’equilibrio in situazioni di crescente difficoltà. Nella stessa direzione vanno, e a maggior ragione, forme più radicali di gioco di vertigine, spesso definite con termine eloquente «estreme»: il bungee jumping, il rafting, i tuffi da grandi altezze. I giochi di vertigine, che costituiscono prima di tutto un mettersi alla prova e che nascono con l’assunzione stessa di quella posizione eretta che è una delle chiavi del nostro essere umani, si prolungano in un rischio grande o piccolo ma organizzato, il quale spesso assume anche caratteristiche competitive. E si rivolgono proprio agli adolescenti, fascia di età che più sembra avvertire il bisogno di quelle che l’antropologo Victor Turner 40 chiama «esperienze liminari», legate cioè al modello antichissimo dei riti di passaggio. Per quanto riguarda un diverso tipo di gioco, le forme di 4

travestimento/imitazione, possiamo ricordare la riscoperta di riti di tipo carnevalesco che per due secoli erano stati sostanzialmente riservati ai soli bambini e il rinnovato piacere del mascherarsi di persona o anche per mezzo della rete. Altrettanto interessante è un altro fenomeno che riguarda in particolare il consumo di spettacolo. Con il fenomeno del «cult» è nata una forma nuova e tipicamente ludica di godimento estetico. Chi si fa portatore di un cult non è più semplice spettatore, si identifica con ciò che ama e condivide. Per usare una formula che mi sembra efficace, mentre in passato l’apprezzamento di un film, di un’opera musicale o altro portava a dire agli amici «guarda questo, è bello», l’estetica del cult propone un «guarda questo, è mio», e tendenzialmente «guarda questo, sono io», con l’idea di allargare ulteriormente a «guardiamolo insieme, ci possiamo riconoscere tutti». Lo spettatore/ascoltatore «indossa» simbolicamente l’oggetto amato, ne fa per così dire un’identità e un ruolo all’interno di un ininterrotto gioco di ruolo, se non una vera e propria maschera. Uno dei momenti simbolici del manifestarsi di questo nuovo gusto è in effetti quello che ha visto uno spettacolo cinematografico diventare Carnevale, facendo cadere la barriera che separava gli spettatori nella loro normalità dagli attori nei loro costumi: il Rocky Horror Picture Show nella California degli anni ’70, dove un pubblico travestito come i personaggi del film «dialogava» direttamente con le figure sullo schermo, anticipandone le battute o pronunciandone di proprie. La scelta del film non era casuale: la ludicizzazione dello spettacolo si incontrava con l’esaltazione di una sessualità teatralizzata, in particolare del transgender, segnalando uno dei momenti di incrocio tra il percorso della sessualizzazione novecentesca e una pratica giocosa che sembrava apprestarsi ad assumersene in parte il ruolo. Adolescenti e adulti non solo non rifiutano le forme di ludicità in precedenza considerate tipicamente infantili, ma le fanno proprie: è una tendenza che, emersa tra i trenta e i cinquanta fa, sembra confermare che la nuova ludicità porta con sé anche un cambiamento delle gerarchie tradizionali tra le forme di gioco. Ma una domanda resta in sospeso: perché? quali sono le cause di questo mutamento? La risposta più plausibile è che nella fase precedente della ludicità, quella dominante il periodo industrializzato, la divisione tra la dimensione del lavoro e quello del gioco, tra l’homo economicus e l’homo ludens richiedesse, almeno per quanto riguarda gli adulti, una definizione rigorosa del comportamento ludico, la sua collocazione in uno spazio/tempo definito, riconoscibile sempre come tale, per esorcizzare per quanto possibile la componente anarchica che la ludicità porta con sé. Il confinamento all’infanzia delle forme di gioco meno regolate è servito per secoli a spaccare la ludicità umana per così dire in due, invitando tra l’altro proprio i gruppi sociali che potevano essere portatori degli aspetti più anarchici della ludicità, a cominciare dagli adolescenti, a prendere le distanze dai giochi meno regolati, a trattarli come parte di una fase della vita da considerare superata. Come la caduta della rigida divisione dello spazio/tempo tra lavoro e gioco è insieme una premessa essenziale della nuova ludicità e una conseguenza del suo imporsi, così lo è la caduta della divisione altrettanto rigida tra giochi accettabili per gli adulti e altri solo infantili. Giocare con le macchine

Non dobbiamo dimenticare che un altro aspetto della nuova ludicità sta nel fatto che non coinvolge semplicemente gli esseri umani. La nostra non è una società fatta solo di persone, ma è fatta di esseri umani e di macchine, tra le quali una crescente popolazione di macchine «pensanti». La nuova ludicità è anche un modo di adattarsi a questo ambiente e alle sue sfi...


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