Riassunto I Libri Proibiti. Da Gutenberg all\'Encyclopédie PDF

Title Riassunto I Libri Proibiti. Da Gutenberg all\'Encyclopédie
Author Marica Moro
Course Filologia italiana 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Pages 4
File Size 118.4 KB
File Type PDF
Total Downloads 80
Total Views 138

Summary

riassunto de il libro i libri proibiti...


Description

I LIBRI PROIBITI Da Gutenberg all’Encyclopédie - Mario Infelise Il controllo sui libri 1. Le origini della censura Tra gli inizi del XVI secolo e la fine del XVIII secolo nasce e si sviluppa in Europa un sistema di controllo sulla produzione, sulla circolazione e sull’uso del libro. Questo sistema si crea in seguito alla scoperta della stampa a caratteri mobili e al dilagare della Riforma protestante in quanto, già nel 1526 François Lambert scriveva che l’arte tipografica era stata ispirata da Dio per diffondere la Riforma e della stessa idea era Lutero. Il libro venne a questo punto visto come un pericolo che doveva essere bloccato con qualunque mezzo; fu allora che la Chiesa di Roma elaborò un apparato di controllo che influenzò la vita dell’individuo e della società. Nell’età del manoscritto i roghi e le proibizioni avevano solo un valore simbolico in quanto la riproduzione dei testi era affidata a officine scrittorie e alla buona volontà dei singoli e quel flusso limitato non poteva essere controllato ma, il libro a stampa aveva la capacità di propagarsi rapidamente arrivando anche a chi era precedentemente estraneo alla cultura. Le tirature medie aumentarono, si creò un mercato intorno al libro che divenne fonte di investimento e, alcune grandi città europee come Venezia, Lione, Parigi, Basilea, Anversa, Augusta, Colonia, divennero luoghi di confluenza di stampatori, librai e autori. I primi problemi si ebbero laddove la produzione e la circolazione libraria era più vivace. Molti vedevano nel libro un mezzo molto utile per la sua capacità di interferire nella diffusione delle idee, ma altri iniziavano a percepirne i rischi infatti,c’era chi sosteneva che, mentre un manoscritto scorretto facesse poco danno, un’intera tiratura di un migliaio di esemplari potessedanneggiare la tradizione di un testo. Nel 1472 il vescovo di Siponto Niccolò Perotti, scandalizzato dalla pessima edizione di Plinio realizzata a Roma da Sweynheym e Pannartz, auspicò una commissione di eruditi che autorizzasse preventivamente le edizioni dei classici. Sul piano politico e religioso furono in particolare le gerarchie ecclesiastiche ad attuare le prime forme di controllo. Già allora si avanzavano riserve sulle traduzioni della Bibbia in lingue volgari. In Germania, a fine ‘400 si diffuse un Avisamentum salubre quantum ad exercicium artis impressoria literarum che sosteneva un uso cauto della tipografia, prestando attenzione che le versioni volgari delle Scritture non cadessero in mano di laici senza un’adeguata preparazione in materia. Nel 1487 papa Innocenzo VIII avvertiti i primi rischi aveva affidato al Maestro del Sacro Palazzo, per Roma, e ai vescovi, nelle altre diocesi, l’obbligo di vigilare affinché non si diffondessero libri contrari alla religione e alla morale. Nel 1501 Alessandro VI con la bolla Inter multiplices diretta agli arcivescovi di Colonia, Magonza, Treviri e Magdeburgo aveva fissato i principi della censura preventiva estesi a tutta la cristianità nel 1515 da Innocenzo X con la bolla Inter sollicitudines durante il Concilio Laterano V. Furono poste così le basi di un controllo generalizzato e centralizzato a Roma dell’attività editoriale affidato al Maestro del Sacro Palazzo e ai vescovi. In seguito anche i sovrani iniziarono ad occuparsi della questione; la Spagna prima tra tutti. Dal 1502 una prammatica di Ferdinando di Aragona e di Isabella di Castiglia imponeva una licenza preventiva per i libri di nuova impressione e per le importazioni dall’estero. Venne anche istituita la figura del censore, un letterato fedele e di buona conoscenza con il compito di proibire le opere apocrife, superstiziose, condannate, vane e inutili.

In Italia fu significativo il caso di Venezia. Nel 1491 Niccolò Franco, nunzio pontificio, stabilì che le opere di contenuto religioso e dottrinale ottenessero un’autorizzazione dall’ordinario diocesano e aveva condannato al rogo la Monarchia sive de protestate imperatori set papae di Antonio Roselli e le tesi di Pico della Mirandola. Tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500 la Repubblica non si preoccupò molto della produzione intellettuale ma preferì dal 1486 attivare una serie di dispositivi funzionali a un’attività economica in frenetico sviluppo come: il disciplinamento del privilegio di stampa che costituiva una garanzia per colui che investiva nel libro ma non un controllo sui contenuti; il decreto del 1516 invece, aveva lo scopo di salvaguardare i livelli qualitativi della produzione imponendo che i libri di umanità fossero corretti da un revisore con competenze letterarie. Nel 1517 il Senato riorganizzò il sistema di concessione dei privilegi; le opere di carattere religioso erano approvate preventivamente dall’autorità ecclesiastica, mentre le attività pubbliche ne prendevano semplicemente atto, per questo, nel 1518 Bernardino Stagnino potè ristampare senza problemi l’Appellatio ad Concilium di Lutero. Con le bolle di Leone X Exsurge Domine del 15 giugno 1520 e Decet Romanum pontificem del 3 gennaio 1521 Lutero venne scomunicato e i suoi scritti condannati al rogo ma tra 1517 e 1530 le sue opere furono diffuse in oltre trecentomila copie. Tra il 1517 e gli anni ’40 Chiesa e Stato si mossero separatamente senza coordinarsi e non riuscirono a controllare l’offensiva della stampa pericolosa; in buona parte d’Europa si succedettero provvedimenti censori senza sosta ma contemporaneamente si sviluppò un sistema di distribuzione clandestino teso a soddisfare la richiesta di libri relativi alla Riforma. Si produssero edizioni camuffate in cui il vero nome dell’autore veniva celato, l’importazione era molto più facile e a Lione, Ginevra e Basilea erano molto attivi i fuoriusciti italiani che approfittavano dell’inefficienza dei controlli doganali. Nel corso degli anni ’40, fallito il tentativo di riconciliazione con i protestanti, papa Paolo III istituì l’Inquisizione romana con la bolla Licet ab initio del 21 luglio 1542, un tribunale fortemente centralizzato dotato di propri rappresentanti in ogni diocesi. Anche se a una giurisdizione universale non si arrivò mai, da quel momento in poi l’azione repressiva contro l’eresia assunse un vigore senza precedenti. 1. Tra Chiesa e Stato Con la bolla Inter sollicitudines del 1515 e con le regole allegate agli indici dei libri proibiti si cercava di sottoporre l’intera produzione libraria europea ad un controllo centralizzato che avesse nelle autorità religiose il proprio perno. L’imprimatur ovvero l’autorizzazione ecclesiastica alla stampa che doveva figurare in evidenza nelle prime pagine di ogni libro, era l’unico mezzo che consentisse la pubblicazione e la circolazione di un’opera. Iniziarono ad esserci discussioni riguardo a chi avesse titolo ad autorizzare e su cosa si dovesse proibire perché i principi avevano intuito che avere ingerenza nel controllo delle idee poteva contribuire a rafforzare assolutisticamente i loro domini. All’imprimatur si contrapponeva una licenza di stampa rilasciata dal principe con una formula sul frontespizio: “avec le privilège du roi”, “superiorum permissu”, “con licenza de’superiori”. Il processo di costituzione di censure di Stato travalicò i limiti del secolo XVI. A fine ‘500 si erano costituite ovunque strutture burocratiche per vigilare sulla stampa in nome dello Stato. In Italia la situazione fu più confusa per la frammentazione politica (il Ducato di Milano, i regni di Napoli, Sicilia e Sardegna erano sotto la sovranità spagnola, ma il Ducato di Milano e il regno di Napoli restarono nell’ambito dell’Inquisizione romana) e la presenza della Sede Apostolica. A Milano le prime disposizioni sulla stampa furono prese da Francesco Sforza nel 1523. Nel 1543 il governatore spagnolo proibì di stampare senza licenza e nel 1564 furono pubblicati i decreti

tridentini la cui applicazione fu curata da Carlo Borromeo. Una grida del 1586 dispone che non si pubblichino libri senza revisione e licenza del governo. A Napoli era l’autorità ecclesiastica ad avere il controllo dell’attività editoriale nonostante i viceré e il Consiglio Collaterale reiterassero disposizioni contro chi stampava senza l’autorizzazione regia. Negli Stati fuori dall’influenza spagnola il peso delle proibizioni romane fu molto grave. Per tutto il XVII secolo nel ducato sabaudo, nel granducato di Toscana e negli Stati Estensi fu difficile imporre un sistema di controllo diverso da quello ecclesiastico. A Venezia invece, l’obbligo della licenza di stampa fu stabilito dal Consiglio dei Dieci con il decreto del 29 gennaio 1527; quest’ultimo avrebbe rilasciato la licenza ai libri da stampare e a quelli importati dall’estero dopo averli affidati in lettura a due revisori. La prescrizione fu più severamente stabilita nel 1542 e rimase sempre di spettanza laica; nel 1562 si stabilì definitivamente che il Consiglio dei Dieci avrebbe autorizzato la stampa solo dopo che i Riformatori dello Studio di Padova avessero rilasciato una licenza, conseguenza del parere positivo di tre lettori, uno ecclesiastico delegato dall’inquisitore del Sant’Uffizio, un lettore pubblico nominato dalla Repubblica e un segretario ducale. Ciascuno di questi doveva sottoscrivere una fedeche nel libro non vi fossero motivi di carattere religioso, politico o morale. Culture al bando 1. Gli indici dei libri proibiti Nel corso del XVI secolo la produzione editoriale aumentò con ritmi esponenziali grazie anche all’abbondanza di carta. Nel 1545 Conrad Gesner pubblicò la Biblioteca universalis, imponente repertorio del libro latino, greco ed ebraico destinato agli uomini di studio costituente il monumento alla libertà della ricerca scientifica rinascimentale. Si rese necessaria una sistemazione bibliografica ma fu impresa difficile per la quantità di scritti e perché librai e tipografi avevano appreso come rendere difficile l’identificazione dei materiali scottanti con scritti anonimi privi di note tipografiche e falsi frontespizi. Gli indici dei libri proibiti nacquero in questo contesto per consentire agli stessi censori di operare con maggior sicurezza. In varie città europee già dagli anni ’40, ancor prima dei celebri indici romani del 1559 e 1564, si erano predisposti elenchi dei titoli da proibire. Un esempio erano i sei indici parigini redatti dal 1544 al 1556 dalla facoltà teologica della Sorbona, con i quali erano state bandite 528 opere. Tra 1546 e 1558 i teologi dell’Università di Lovanio su ordine di Carlo V e di Filippo II, pubblicarono tre cataloghi con centinaia di proibizioni che, oltre alle opere consuete dei riformatori, Bibbia e Nuovo Testamento, vietavano anche gli opuscoli di piccolo formato in fiammingo che diffondevano la Riforma nelle classi popolari. Nel 1558 fu pubblicato un elenco di libri consentiti nelle scuole. In Italia il primo indice appare a Venezia nel 1549 in base ad un accordo tra Inquisizione, nunzio apostolico e Savi all’eresia (magistratura incaricata dalla Repubblica di vigilare sull’operato del Sant’Uffizio). Il catalogo conteneva 150 divieti, 50 dei quali colpivano la produzione di un solo autore; tuttavia non venne mai promulgato avendo provocato la reazione dei librai e del Senato veneziano. Nel 1559 venne pubblicato il primo indice romano, l’unico predisposto dall’Inquisizione romana e il più severo della storia, l’indice paolino promulgato da papa Paolo IV. Questo indice mise da parte i vescovi cui era riservata l’azione censoria e affidò la sua applicazione alla struttura inquisitoriale e appose l’obbligo ai fedeli di consegnare i libri proibiti direttamente al Sant’Uffizio.

La struttura dell’indice rimase immutata sino a metà del XVII secolo: le proibizioni erano ordinate alfabeticamente e ripartite in tre gruppi. Nel primo c’erano gli autori non cattolici dei quali era proibita l’intera opera, nel secondo gruppo figuravano 126 titoli relativi a 117 autori e 332 titoli anonimi. Al termine dell’elenco c’erano poi due liste aggiuntive, una di 45 Bibbie e Nuovi Testamenti vietati e una di 61 tipografi la cui produzione era posta al bando. Nella terza classe, sotto la voce di libri omnes c’erano proibizioni relative a intere categorie di libri: erano vietati tutti i libri che non riportavano il nome dell’autore, dello stampatore, la data e il luogo di edizione sui frontespizi, quelli usciti senza il permesso, le opere di carattere astrologico e di magia. La lettura delle Bibbie e dei Nuovi Testamenti in volgare era consentita solo a coloro che avevano la licenza del Sant’Uffizio ed era assolutamente vietata alle donne e a chi non conosceva il latino....


Similar Free PDFs