Riassunto Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé PDF

Title Riassunto Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé
Course Pedagogia generale ii
Institution Università degli Studi di Milano-Bicocca
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IL DRAMMA DEL BAMBINO DOTATO E LA RICERCA DEL VERO SE’ Di Alice Miller Nella lotta contro i disagi psichici abbiamo a disposizione, come strumento, il scoprire a livello emotivo la verità della storia della nostra infanzia. ogni vita è piena di illusioni in quanto la vita appare, a ogni individuo, insopportabile. L’individuo non può modificare il suo passato e non può cancellare i danni inflitti nell’infanzia. l’unica cosa che può fare è cambiare se stesso. L’individuo può fare questo nel momento in cui decide di osservare da più vicino le conoscenze che riguardano gli eventi passati e che sono memorizzate nel corpo stesso. La maggior parte delle persone non vuole saper nulla della propria storia e, per questo motivo, queste persone non sanno di esserne continuamente influenzate. Sono mossi da ricordi inconsci e da sentimenti e bisogni rimossi. La rimozione delle sofferenze infantili influisce sulla vita dell’individuo e determina anche i tabù della società. Alcune biografie, come quelle degli artisti, illustrano questo fenomeno: infatti leggendo le loro storie si può notare che la loro vita inizia in un determinato momento dell’adolescenza. Ci viene detto che prima di questo momento della sua vita e che quindi, nell’infanzia, aveva vissuto una vita felice, lieta, spensierata o piena di privazioni o ricca di stimoli: sembra del tutto privo di interesse sapere come quell’infanzia fossa stata in concreto. Le esperienze traumatiche dei bambini rimangono avvolte nell’oscurità e restano sconosciute anche le chiavi per comprendere tutta la vita successiva. Esistevano e esistono bambini che si possono definire più intelligenti di altri: questi bambini erano già capaci di prendersi cura dei fratellini più piccoli in un’età che va da 1 anno e mezzo a 5 anni. Dietro a questa loro predisposizione sta in agguato la depressione, il senso di vuoto che li assale appena si esaurisce la droga della curiosità, appena non sono al massimo, appena vengono abbandonati dalle loro sicurezze da superstar o quando sono colti dal sospetto di aver tradito la loro immagine ideale di se stessi. Fin dal primo colloquio queste persone fanno sapere, a chi li ascolta, di aver avuto dei genitori comprensivi e affermano che se la gente non li capisce questo dipende solo dalla loro incapacità di esprimersi in modo adeguato. Comunicano i loro primi ricordi senza un sentimento di simpatia per il bambino che un tempo erano stati: questo fatto è sorprendente visto che queste persone sono, fin da piccoli, dotate della disponibilità di immedesimarsi negli altri. Secondo Alice Miller un bisogno primario del bambino è quello di essere considerato e preso sul serio sin dall’inizio per quello che lui è in ogni momento della sua crescita. Il bambino ha quindi il diritto di crescere in un’atmosfera di considerazione e di tolleranza. Perché si abbia questo clima è necessario che anche i genitori, nella loro infanzia, siano cresciuti in un clima analogo. I genitori che non hanno avuto la possibilità di crescere in questo tipo di clima vivono in uno stato di carenza affettiva: cercheranno per tutta la vita ciò che i loro genitori non hanno potuto dare loro al momento giusto, qualcuno che si interessi a loro, che li capisca e che li prenda sul serio. A questo bisogno, il bambino risponde con la capacità di percepirlo e di darvi risposta intuitivamente, inconsciamente, di assumere la funzione che gli veniva inconsciamente data. In questo modo il bambino si assicurava l’amore dei genitori. Nella buona e nella cattiva sorte il neonato dipende dai suoi genitori. Nella primissima infanzia, per conformarsi alle aspettative di chi si prende cura di lui, il bambino deve rimuovere il bisogno di amore, attenzione, sintonia, comprensione. Deve reprimere inoltre le sue reazioni emotive ai pesanti rifiuti che riceveva da piccolo e poi in età adulta. Quelli che erano stati bambini svegli e sensibili avevano sviluppato la capacità per tenere lontani da sé i sentimenti: il bambino può viverli solo se c’è una persona che con questi sentimenti lo accetta, lo comprende e lo asseconda. Se manca questa condizione e se per viverli deve perdere l’amore della madre, non può viverli da solo ma deve rimuoverli. Nella vita quei sentimenti potranno rinascer come richiamo al passato ma non sarà più comprensibile il contesto originario. Un bambino possiamo educarlo in modo da farlo diventare come piace a noi. Dal bambino si può ottenere rispetto, aspettarsi che condivida i nostri sentimenti, di fronte a lui ci si sente più forti, quando se ne è stanchi lo si può affidare ad altri, grazie a lui è possibile sentirsi al centro dell’attenzione: gli occhi del bambino seguono ogni movimento della madre. L’adattamento ai bisogni dei genitori conduce, in molti casi, allo sviluppo della personalità , ovvero a ciò che si definisce un

Falso Sé. L’individuo sviluppa un atteggiamento in cui si limita ad apparire come ci si aspetta che debba essere, e si identifica con i sentimenti che mostra. Il suo Vero Sé visto che non può formarsi e neanche svilupparsi, non può essere vissuto. Questi pazienti lamentano, di conseguenza, un senso di vuoto e di assurdo. Dalla difficoltà di vivere e manifestare i propri sentimenti autentici deriva la permanenza del legame i genitori hanno trovato nel Falso Sé del bambino la conferma che cercavano, un sostituto alla sicurezza che a loro mancava, e il bambino, che non ha potuto costruirsi una propria sicurezza, dipenderà in modo inconscio dai genitori. Le ferite non i guariscono grazie a illusioni. Uno dei cardini della terapia è che il paziente comprenda che l’amore che si era conquistato nella fase del Falso Sé non riguardava l’individuo che era in realtà: l’ammirazione per la sua bellezza e per le prestazioni erano tributate a queste e non al bambino reale. Dietro la buona prestazione si riaffaccia nella terapia il bambino che si chiede come sarebbe andata nel caso in cui lui, nella sua infanzia, non si fosse comportato in modo da compiacere ai genitori. Non appena l’adulto è in grado di prendere sul serio i propri sentimenti, incomincia a rendersi conto di come avesse trattato i suoi sentimenti e i suoi bisogni, e si avvede che quella era stata la sua unica possibilità di sopravvivenza. A poco a poco si rende conto che quando prova dei sentimenti, come quello di commozione o di tristezza, cerca di distrarsi. In molte situazioni continua a vivere a partire da altri, si interroga su quali sentimenti dovrebbe provare: nel complesso però si sente più libero. Una volta avviato il processo naturale della terapia non si arresta più: il paziente incomincia ad esprimersi, ma in base alle esperienze infantili non può credere che ciò sia possibile senza incorrere nel rischio di perdere la vita. A partire dall’esperienza passata teme di essere rifiutato, respinto e punito se si difende, e combatte per i propri diritti, per arrivare a provare un senso di liberazione per aver saputo tollerare il rischio e acquisire autonomia. La sensibilità per i propri moti affettivi si è risvegliata. Non è facile scoprire i veri motivi della rabbia, poiché essa si dirige contro chi ci vuole essere d’aiuto. Il metterci a confronto con la realtà ci aiuta ad abbattere le illusioni che ci hanno impedito di guardare nel nostro passato e d acquisire maggiore chiarezza. Quanto più siamo in grado di ammettere e di vivere i sentimenti della prima infanzia, tanto più ci sentiamo forti e coerenti. Un adulto può vivere i propri sentimenti solo se da bambino ha avuto genitori amorevoli e dediti a lui. A coloro che hanno subito maltrattamenti nell’infanzia questo è mancato. La sensibilità del terapeuta rimandano al suo essere usato dai genitori che soffrivano di carenze affettive. In teoria esiste anche la possibilità che un bambino sia cresciuto con genitori che non avevano bisogno di abusarne, che cioè ne abbiano visto e compreso la vera natura. Questo bambino avrebbe poi sviluppato un sano sentimento di autostima. In questo caso è quasi impossibile che il bambino diventi analista, che sviluppi una sensibilità per gli altri nella stessa misura dei bambini che sono stati usati e che possa arrivare a comprendere che cosa significhi avere tradito il proprio sé. Non è del tutto poco verificabile che l’analista trasferisca sui pazienti la situazione inconscia della sua infanzia. Un paziente dotato di antenne non tarderà a sentirsi e a comportarsi in modo autonomo non appena si accorgerà che al terapeuta importa di avere pazienti autonomi con un comportamento sicuro. I terapeuti e i genitori devono imparare a essere in grado di vivere e di chiarire i propri sentimenti infantili per non avere più bisogno di manipolare i pazienti. Solo l’esperienza dolorosa della verità e la sua accettazione possono liberare dalla speranza di trovare ancora dei genitori empatici che ci capiscano. Se ciò non avviene, soprattutto per quanto riguarda l’ambito famigliare, c’è il rischio che i genitori riflettano la loro tragedia nell’infanzia nel rapporto con i figli. Ogni persona ha dentro di sé un cantuccio in cui si trova l’apparato scenico del dramma della sua infanzia. Gli unici che con certezza avranno accesso al deposito saranno i figli. Ogni bambino ha il bisogno di essere guardato, capito, preso sul serio e rispettato dalla propria madre. Deve poter disporre di quest’ultima nelle prime settimane e nei primi mesi di vita, usarla, rispecchiarsi in lei. Infatti, affinché una madre possa dare al proprio bambino ciò di cui egli ha bisogno per il resto della vita, è indispensabile che non venga separato dal suo neonato. Il legame tra madre e figlio consiste in un contatto di pelle, fornisce il senso di essere una cosa sola che idealmente dovrebbe esistere sin dal concepimento e crescere insieme al bambino. Esso da al bambino il senso di protezione e la sicurezza necessari perché egli

possa aver fiducia nella madre; alla madre trasmette una sicurezza istintiva, che l’aiuta a comprendere i segnali del bambino e a darvi risposta. L’individuo grandioso viene ammirato ovunque, e ha bisogno di questa ammirazione, non può vivere senza di essa. È lui stesso ad ammirarsi per la propria bellezza, intelligenza e genialità. Se qualcosa di tutto ciò gli viene a mancare è la catastrofe e finirà preda di una grave depressione. In genere, si considera un fatto naturale che cadano in depressione persone ammalate o anziane. Esistono persone molto dotate che soffrono di gravi depressioni perché si è liberi della depressioni quando l’autostima si radica nell’autenticità dei propri sentimenti. L’individuo grandioso non è mai realmente libero perché dipende continuamente dall’ammirazione degli altri e perché quell’ammirazione si fonda su qualità, funzioni e prestazioni che all’improvviso possono scomparire. La depressione può essere intesa come un segnale diretto alla perdita del Sé che consiste nel negare le proprie reazioni emotive e le proprie sensazioni. Questa negazione ha avuto inizio nell’infanzia per paura di perdere l’amore. Ci sono bambini ai quali non è stato permesso neppure di vivre liberamente le prime sensazioni e addirittura la fame: alcune madri raccontano con fierezza che il loro neonato ha imparato a reprimere la fame e ad attendere il momento del pasto. Esiste l’amore e l’istinto materno. Li possiamo osservare negli animali purchè non siano stati oggetto di maltrattamenti da parte degli umani. Anche le donne sono dotate di una programmazione istintiva che li rende in grado di amare i propri figli. Molte volte però sono i bambini che devono soddisfare le esigenze dei genitori. Non c’è nessuno che non abbia fatto personale esperienza dell’umore depresso, tenuto conto che esso può esprimersi anche in disturbi psicosomatici. Esso si manifesta nell’individuo nel momento in cui, per esempio, si reprime un sentimento intenso indesiderato. Se il bisogno del paziente di fare le sue scoperte viene rispettato, può accadere che una situazione del passato di cui non ci si era mai ricordati venga vissuta per la prima volta e che venga percepita in tutta la sua tragicità, e che alla fine se ne elabori il lutto ovvero la capacità di rinunciare all’illusione di avere avuto un’infanzia felice. Qualora un individuo riesca a percepire di avere vissuto la sua infanzia nei panni del Falso Sé, scoprirà il bisogno di vivere il suo Vero Sé e di non doversi più guadagnare l’amore. Liberarsi dalla disperazione significa ritrovare la vitalità, ossia la libertà di riuscire a vivere i sentimenti che affiorano spontaneamente. Sia il soggetto grandioso che quello depresso negano completamente la realtà della loro infanzia in quanto vivono entrambi come se si potesse recuperare la disponibilità dei genitori. Nessuno dei due riesce ad accettare la verità, ad ammettere che nel proprio passato non c’era amore, e che questo dato di fatto non potrà essere mutato con tutta la buona volontà del mondo. Il mito di Narciso: illustra il dramma della perdita del Sé. Narciso che si rispecchia nell’acqua è innamorato del suo viso. La ninfa Eco è innamorata della sua bellezza. I suoi richiami ingannano Narciso, così come lo inganna la sua immagine riflessa, in cui vede solo la parte perfetta, splendida di sé. Narciso vuole essere quello bello, e rinnega il suo vero sé. Narciso vuole congiungersi alla sua bella immagine. Ciò porta alla rinuncia a esprimere se stessi, alla morte e alla metamorfosi nel fiore. Non sono solo i sentimenti piacevoli a farci sentire vivi ma, spesso, sono quelli scomodi che preferiremmo evitare. Narciso è innamorato della sua immagine idealizzata. L’entusiasmo per il suo farlo sé impedisce l’amore per l’altro, l’amore per l’unico individuo a lui famigliare: se stesso. Non c’è bambino che non abbia sperimentato come ci si prendeva gioco della sua paura. Il bambino si sente disprezzato e umiliato per non aver saputo distinguere ciò che è pericoloso e ciò che non lo è, e alla prima occasione trasmetterà quei sentimenti a un bambino più piccolo di lui. Il senso di forza che l’adulto attinge dalla debolezza del bambino si nutre della possibilità di manipolare tale paura. Il disprezzo per il più piccolo e per il più debole costituisce la migliore protezione contro l’emergere dei sentimenti di impotenza. Con tutta

la buona volontà, non ci si può liberare dai modelli che abbiamo appreso in tenera età dai nostri genitori: ci si può liberare solo nel momento in cui sentiamo e percepiamo quanto quel modello ci ha fatto soffrire. In molte società le bambine subiscono ulteriori discriminazioni in quanto femmine. Ma poiché come donne eserciteranno un potere sul neonato e sul lattante, faranno ricadere sul loro bambino il disprezzo che hanno subito. L’uomo adulto idealizzerà sua madre perché nessuno accetta facilmente l’idea di non essere stato amato: disprezzerà altre donne vendicandosi di lei su di loro. Il disprezzo è l’arma del debole, una protezione contro certi sentimenti che alludo alla nostra storia passata. All’origine di ogni disprezzo o discriminazione c’è il potere che l’adulto esercita sul bambino e questo potere viene, nelle situazioni possibili, tollerato dalla società. Ogni bambino cerca teneri contatti e si sente felice quando li ottiene; si sente insicuro quando in lui vengono risvegliati sentimenti che non si sarebbero presentati in quello stadio di sviluppo. Questa insicurezza viene rafforzata dal fatto che le sue attività autoerotiche sono poi punite da parole di rimprovero o da occhiate di disprezzo da parte dei genitori. Per evitare di esercitare sul bambino violenza e discriminazione inconscia occorre acquistare coscienza dentro di noi. Se alla base dello sviluppo affettivo di un individuo poniamo il modo in cui i suoi genitori hanno vissuto le manifestazioni dei suoi bisogni e delle sue sensazioni bisogna ammettere che proprio li si pongono le basi delle tragedie future. Se una madre non riesce ad adempiere alla funzione di specchio, ne a rallegrarsi del semplice fatto che suo figlio esiste si verifica la prima selezioni: il bene viene separato dal male, il brutto dal bello, il vero dal falso, e questa selezione viene interiorizzata dal bambino. Un simile lattante dovrà fare esperienza del fatto che in lui c’è qualcosa che la madre non può utilizzare. Spesso ci si aspetta dal bambino che riesca a controllare, il più in fretta possibile, le sue funzioni corporali. Il compito del bambino, però, non è certo quello di soddisfare i bisogni dei genitori. Nel neonato la madre vede la parte non vissuta del proprio Sé e al tempo stesso vedrà il fratellino disinibito a cui aveva fatto così presto da mamma e che solo adesso non potrà fare a meno di invidiare e di odiare nel suo bambino: educa il suo bambino a forza di occhiate. Una madre non può rispettare il suo bambino finché non si accorge di come, per esempio, lo umilia con le sue osservazioni ironiche, che in realtà servono solo a coprire la sua insicurezza. Ma non può accorgersi di quanto il suo bambino si senta umiliato, disprezzato e svalutato accanto a lei. È molto difficile descrivere il rapporto che una persona ha avuto con il disprezzo patito da bambino. Solo facendo riferimento alla vita concreta è possibile mostrare in che modo una persona abbia vissuto il male concreto della sua infanzia come male in sé. Al bambino i genitori appaiono privi di desideri pulsionali perché hanno mezzi e possibilità di nascondere la loro attività sessuale, mentre il bambino deve sottostare al loro controllo. Ogni bambino si raffigura il male in maniera concreta. La strada per liberarsene sarà lunga. Da adulto avrà la possibilità di scoprirne le cause e di liberarsi da questa presenza nascosta. Fa parte delle contraddizioni più comuni il fatto che i genitori assumano, nei confronti del bambino, un atteggiamento poco benevolo e di rivalità, ma al tempo stesso lo spronino a fornire prestazioni più alte e s’inorgogliscono dei suoi successi. Lo scopo della terapia è raggiunto quando il paziente ha riconquistato la sua vitalità, grazie all’elaborazione sul piano emotivo della sua storia infantile. Chi è in grado di prendere sul serio i propri sentimenti, non potrà prendersi gioco di quelli altrui, quale che sia la loro natura. Vivere intensamente le emozioni è un’esperienza liberante in quanto apre gli occhi di fronte ai fatti reali, libera dalle illusioni, restituisce ricordi rimossi e fa scomparire i sintomi. L’odio ingiustificato, spostato su innocenti, è inesauribile. È disorientante perché maschera i fatti reali e rende impossibile percepirli. È distruttivo perché deriva da una storia rimossa di distruzione; avvelena l’anima, divora la memoria mentale, uccide la capacità di intuito e di immedesimazione e la ragione....


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