Riassunto la favolosa storia delle «mille e una notte» PDF

Title Riassunto la favolosa storia delle «mille e una notte»
Course Letteratura e cultura araba ii
Institution Università degli Studi di Genova
Pages 14
File Size 359.3 KB
File Type PDF
Total Downloads 107
Total Views 139

Summary

Download Riassunto la favolosa storia delle «mille e una notte» PDF


Description

Letteratura araba II: La favolosa storia delle Mille e una Notte (Irwin) Belle infedeli Le Mille e una Notte sono state, almeno in occidente fino all’epoca moderna, oggetto di diffuse e frequenti traduzioni, tanto che verrebbe da considerarle in primo luogo un’opera della letteratura europea; nonostante tutto non esistono però traduzioni in inglese o francese sufficientemente esaustive (alcune traduzioni inglesi, ad esempio, presentano lacune in parte prodotte dall’epoca della loro stesura, in parte in base alla scelta stravagante dell’autore). Nel tradurre le Mille e una Notte e dall’arabo più generalmente varie sono le difficoltà che si incontrano: Innanzitutto l’arabo è una lingua molto difficile, non solo per la trascrizione dell’alfabeto ma anche e soprattutto perché solitamente nei manoscritti e nei testi arabi pre-moderni non vi è la traccia di punteggiatura: un periodo potrebbe terminare alla fine della riga come alla fine dell’intero libro e non vi sono virgole a segnalare l’inizio di un discorso diretto. Inoltre vi è poi il problema dell’assenza delle maiuscole che può far sì che un nome di cosa venga tradotto come un nome proprio. Vi è un largo uso dei pronomi e questo implica che spesso non è facile capire a cosa essi si riferiscano se il soggetto, il complemento oggetto o a un altro complemento del periodo. Spesso chi ricopiava i manoscritti tralasciava la puntazione, lasciando al lettore o al traduttore il compito di individuare a quale parola o gruppo di parole ci si riferisse, in base al contesto o alla logica. Altri problemi riguardano il lessico: non esiste ancora un dizionario davvero valido (come ad esempio l’Oxford English Dictionary per l’inglese) a cui i traduttori si possono affidare e l’unico testo a cui si può far fronte per l’arabo classico è un’opera incompiuta del 1863, Arabic-English Lexicon e per l’arabo moderno l’Arabisches Worterbuch del 1960. Va aggiunto che l’arabo in cui sono scritte le Notti non è un arabo standard ma un arabo-medio frutto della mescolanza di dialetti, varietà colloquiali e prestiti lessicali e sintattici dal turco e dal persiano. Va aggiunto che non vengono indicate le desinenze modali e causali in verbi e sostantivi. Il fatto che l’arabo sia una lingua così tanto ardua e complicata, rende difficile l’interpretazione e l’esplicazione delle varie coloriture del linguaggio e questo porta ad avere una grossa difficoltà nel riuscire a segnalare l’estrazione sociale o geografica dei personaggi. Gli autori arabi amano molto i giochi di parole e le allusioni, soprattutto in poesia e questo porta maggiore difficoltà al traduttore che è costretto a sacrificare delle parti. Per questo motivo alcuni tra i traduttori più famosi (Littman,Dawood) hanno eliso tutta la parte relativa alla poesia nelle Notti. Uno dei problemi principali però della traduzione delle Notti è senza dubbio la lunghezza delle Notti stesse, in cui molti racconti sono appesantiti da ripetizioni e riassunti oppure sono sgrammaticati e privi di un senso logico. Non vi è poi un testo di riferimento e sebbene alcune traduzioni siano simili, in realtà presentano delle differenze, più o meno profonde. Antoine Galland è il primo ad offrire una traduzione in lingua europea e per questo motivo è definito il “vero autore delle Notti”; il suo lavoro ha avuto un ruolo importante nella divulgazione e nella scoperta dei racconti in Occidente. Galland viaggio varie volte verso l’Oriente, soprattutto come tesoriere del re e si occupò di molte traduzioni; tra i testi più importanti va ricordata la “Bibliothèque Orientale”, un lavoro enciclopedico sull’Islam e la cultura orientale. Egli deve tuttavia la sua fama soprattutto alla traduzione de Le Mille e una Notte: entrato in possesso di un manoscritto sui viaggi di Sinbad che ebbe moltissimo successo, continuò poi nella traduzione; nel tradurre le Mille e una Notte si basò solamente su tre volumi, il che è un utopia non solo perché le Notti son estremamente lunghe e sparpagliate ma anche perché facendo un confronto con quei tre manoscritti che lui prese come riferimento e le sue traduzioni, vi sono particolari che non avrebbe potuto assolutamente inventare; o almeno non tutto. Infatti molti dei particolari, come ad esempio il metodo cerimonioso, sembrano avvicinarsi più ai modi di fare dei francesi dell’epoca che a quelli orientali e non solo: sembra infatti che Galland molti dei particolari che risultavano più scabrosi li eliminasse e che esaltasse invece quelli più raffinati, in modo da andare incontro ai gusti dei

francesi. Il quesito che sorge ai traduttori, ossia quello tra il fare una vera traduzione ma tutto sommato non proprio bellissima ed appassionante oppure una in cui però vengono aggiunti elementi anche ex novo, è da sempre uno dei maggiori problemi, ancora tutt’oggi. Varie e diverse, belle e infedeli, sono le traduzioni di tutta una serie di traduttori che si erano accinti a tradurre i testi delle Notti, sia prendendo in considerazione Galland, sia altre traduzioni. Tra di essi vi emerge senza dubbio Edward Lane, non solo per il suo “Manners and Customs of Modern Egyptians” (redatto durante una lunga permanenza al Cairo) in cui diede esplicazione delle varie pratiche religiose e locali, degli usi e dei costumi e che fu un punto di riferimento anche per la traduzione delle Notti, ma anche per la sua opera più importante ossia “Arabic-English Lexicon”. Si può dire quindi che la sua traduzione delle Notti non è altro che un continuo esplicativo degli usi e dei costumi orientali; spesso vi erano tutta una serie di note esplicative a lato. Se da una parte egli criticava fortemente il lavoro di Galland come troppo poco aderente agli originali, anche’gli spesso e volentieri nelle sue traduzioni delle Notti utilizzava un lessico più ricercato. Inoltre Lane prese come punto di riferimento sia l’edizione stampata a Bulaq, sia quelle Calcutta I e Breslau. Nonostante questo va preso in considerazione il fatto che Lane fosse convinto che le Notti potessero diventare un testo per famiglie, per questo motivo eliminò molte delle parti più oscene, noiose o ripetitive tra cui alcune delle storie migliori così come omesse tutta la parte poetica. Vi è poi la traduzione di Payne, il quale cominciò la traduzione del Calcutta II. Pur essendo una edizione ben più accurata e completa rispetto a quella di Lane, non si può dire che possa rappresentare l’opera araba ma tradusse integralmente la parte in poesia, intendendo così di creare una vera e propria opera letteraria e non enciclopedia come ad esempio fece Lane. In conclusione, sebbene le maggiori e più importanti traduzioni le si hanno in inglese o francese, i racconti sono comunque stati tradotti in tutte le lingue del mondo e ve ne sono alcune anche molto valide. Il libro senza autori L’esistenza stessa delle Mille e una Notte era ignota all’Europa occidentale prima che Galland iniziasse a pubblicare la sua traduzione (1704) e all’inizio i racconti erano letti per puro divertimento e si studiavano per trarne il canovaccio di parodie e pastiches di fiabe. Le indagini su questioni come la fonte o le fonti delle storie iniziarono solo nei primi decenni del XIX secolo in contemporanea con lo sviluppo dell’orientalismo come disciplina accademica. Fu proprio grazie all’interessamento dell’Europa che venne stampato il primo testo arabo delle Notti, intorno al 1814, in India; il testo copriva però solamente le prime 200 Notti ed è oggi famoso con il nome di Calcutta I. Shirwanee, compilatore della raccolta, non svelò mai la fonte da cui prese spunto poiché il suo intento era quello di produrre un testo piacevole agli inglese, quindi non un testo scientifico, con il quale si potesse imparare l’arabo. La pubblicazione del testo, o meglio dei testi arabi delle Mille e una notte (v. appresso: Edizioni) complicò subito i problemi, giacché né i varî testi coincidevano in tutto fra loro, né alcuno coincideva in tutto con la versione del Galland, e questa d'altra parte presentava racconti che non si ritrovavano negli originali, sì da far sospettare sulla scrupolosità del Galland stesso. A poco a poco, scoperte in nuovi manoscritti indipendenti dalle Mille e una notte storie che nelle edizioni arabe non si ritrovavano (ad es. quella famosa di Aladino e della lampada meravigliosa), confrontando tra loro le varie edizioni e studiando la larghissima, per quanto nel complesso abbastanza recente tradizione manoscritta, si è venuti, soprattutto per merito dello Zotenberg e del Macdonald, a queste conclusioni. L'opera del Galland fu traduzione, adattata al gusto francese del suo tempo, di materiali arabi disparati, la cui prima parte è un manoscritto fornitogli di Siria, ma di origine egiziana (ora alla Bibliothèque Nationale di Parigi), con 281 notti, e che resta il più antico e tra i migliori di quanti possediamo; il resto della sua traduzione si fonda su materiali orali e scritti che il Galland ebbe da un maronita, tale ḤḤannā, condotto in Francia ai primi del Settecento dal viaggiatore P. Loucas. Le edizioni principi del testo arabo, e cioè quella di Būlāq del 1251/1835 e la cosiddetta seconda calcuttense del 1839-42 ad essa strettamente affine anche nella divisione delle notti (dalle quali derivano quasi tutte le moderne traduzioni), si fondano essenzialmente su manoscritti egiziani,

più recenti e completi, ma assai vicini a quello utilizzato dal Galland. Abbiamo quindi dinnanzi, come linea principale, una recensione egiziana delle Mille e una notte, base diretta delle edizioni orientali, e dovuta a una compilazione definitiva del Settecento; questa però a sua volta si rivela già assai vicina, per la parte comune, al ms. siriano del Galland, non più recente del sec. XVI, ma la cui redazione sostanziale non sarebbe più antica della fine del sec. XIV. Questo sarebbe il punto più alto, secondo il Macdonald, a cui possiamo risalire nella storia delle Mille e una notte quali oggi noi conosciamo; esse sarebbero cioè, nella loro vulgata attuale, una compilazione sorta in Egitto attorno al 1400, per opera di un anonimo, che nella cornice generale suaccennata avrebbe disposto e accomodato tutto o gran parte del materiale narrativo corrente in Egitto a quel tempo. Con ciò naturalmente non sono risolti i problemi sull'origine prima sia della novella-cornice sia del materiale contenuto. Non solo i nomi di forma persiana nella storia generale e in altre storie, e le concezioni morali, le credenze popolari, i motivi favolistici iranici e indiani tuttora rintracciabili nella raccolta, additano, almeno a parti di essa, e innanzi tutto alla novella-cornice, una ben più alta antichità, e un'origine extraislamica ed extrasemitica, ma l'espressa per quanto laconica testimonianza di scrittori arabi del sec. X d. C. (il geografo e storico al-Mas‛ūdī e l'autore del Fihrist, v.) attestano l'esistenza in quell'epoca di un'opera persiana intitolata Hazār afsāneh (mille "racconti" o "favole") tradotta dal pehlevico in arabo, e detta appunto in arabo "Mille notti" (o, secondo un'altra lettura, "Mille e una notte"; questi ultimi particolari solo in al-Mas‛ūdī). Che si tratti senz'altro della nostra raccolta è naturalmente impossibile, e difficile è anche affermare con certezza la pertinenza di una qualsiasi parte di questa (salvo la cornice) a quel libro persiano: ma che esso sia stato un'opera narrativa assai affine alla nostra, e, quel che i citati scrittori anche esplicitamente dicono, raccolta in una storia-cornice che nelle linee generali appare proprio quella in questione, è ormai indubbio. I precisi rapporti tra la perduta versione araba del sec. X dell'originale iranico del Hazār afsāneh (a sua volta con indubbie fonti indiane) e le Mille e una notte raggiungibili nel sec. XIV in Egitto restano dunque assai oscuri, e oscura quella che possiamo chiamare la preistoria dell'opera in questi secoli e nel mondo musulmano (un cenno fugacissimo all'esistenza in Egitto delle Mille e una notte sembra accertato per il sec. XII). Ciononostante alcuni critici, e soprattutto il Müller e l'Oestrup, hanno tentato una classificazione dei varî strati del materiale dall'esame interno dei racconti, giungendo a distinguere: a) un primitivo fondo ario, indoiranico, cui apparterrebbero (oltre alla novella cornice, di carattere e funzione tipicamente indiana), molte fra le più riuscite novelle, come Il pescatore e il genio, il Cavallo magico , HḤasan di al-Basrah Ḥ , Qamar az-Zamān e la principessa Budūr , Ardashīr eHḤayāt an-nusūs, ecc.; b) un secondo gruppo di novelle, le cosiddette "novelle borghesi", gravitanti attorno alla figura del califfo Ḥārūn ar-Rashīd e alla società di Baghdād e di alBasrah Ḥ sotto gli ‛Abbāsidi, presumibile epoca della loro composizione; c) il gruppo più recente di vere e proprie novelle egiziane, or brevi or lunghe, di tipo più schiettamente popolare, superstizioso e avventuroso (è stato riaccostato al genere "picaresco"), in cui a sua volta si è voluto distinguere il sopravvivere di antichissima tradizione narrativa e folkloristica egizia, e le innovazioni di origine giudeo-egiziana; d) infine i casi, abbastanza numerosi, di vere e proprie opere narrative indipendenti, di notevole ampiezza, e di origine e carattere diverso, che sono state a un certo punto incorporate nella raccolta, nella quale bastava allungare le singole notti per rendere possibili sempre nuove inserzioni; tali il famoso romanzo cavalleresco di ‛ Omar an-Nu‛mān; il ciclo dei Viaggi di Sindbād il marinaio, interessante riflesso della floridezza commerciale e dell'attività marinara ed esploratrice arabo-musulmana nel sec. X, contaminato e deformato con prodotti di paradossografia popolare; la notissima Storia dei sette vizir , di origine indiana, e che ha una propria tradizione di redazioni e rifacimenti in varie lingue; quella della Saggia fanciulla Tawaddud, divenuta specialmente popolare in Spagna, ecc. Alcune di queste narrazioni si trovano solo in questo o quel manoscritto; ma piò spesso sono del tutto indipendenti, confermando così la loro origine estranea al nucleo primitivo dell'opera. Nonostante l'assai disparata antichità e provenienza del materiale novellistico confluito nelle Mille e una notte, quest'opera, attraverso la sua lunga benché non chiara fortuna prima della fissazione definitiva, ha assunto un aspetto abbastanza unitario che attenua la disparità iniziale. Formalmente, tale aspetto è dato dalla cornice su delineata, con la sua ripartizione in notti e dalla lingua, che nelle Mille e una notte, quale ora noi leggiamo, è semplice e piana nella sintassi, ma nel lessico tradisce un accostamento al volgare egiziano, naturalmente più accentuato nelle parti nate in ambiente egiziano stesso (sono quelle che più servono per le ricostruzioni storiche e storicoantiquarie dei luoghi e degli ambienti descritti); spiritualmente, l'unità delle Mille e una notte attuali sta nella loro islamizzazione nello spirito religioso, etico e di sapienza popolare, di livello in complesso non molto elevato, che si è diffuso su tutta l'opera, e ha impregnato anche le parti originariamente di tutt'altro spirito, come quelle dello stesso fondo ariano. Sotto questo riguardo le Mille e una notte, con l'ampio posto dato all'elemento superstizioso e

soprannaturale, cui fa riscontro, in plastica se pur talora volgare vivacità, quello della furberia e accortezza umana, con qualche concessione anche all'elemento osceno (del resto puramente incidentale), col tono fatalistico spesso eloquentemente ribadito, sono un prezioso specchio della vita spirituale e intellettuale degli strati popolari della società musulmana medievale, specie d'Egitto; e non sarà inutile avvertire che questo stesso carattere popolare di contenuto e di lingua le ha fatte disprezzare dalla classe dei letterati arabi, come genere di trattenimenti per il volgo. Il valore artistico, pur notevole in alcune parti, è insomma assai inferiore a quello culturale della famosissima raccolta. Essa, si può dire, in Occidente ha goduto, dalla sua introduzione ai nostri giorni, di fortuna forse superiore a quella avuta nell'Oriente stesso; a partire dai rifacimenti e imitazioni dell'epoca romantica (si pensi alle novelle di G. Ḥauff) sino alla persistente fortuna dell'opera, attraverso le più deteriorate ritraduzioni e raffazzonature, negl'infimi strati della letteratura popolare. Con curiosa ma spiegabile deformazione, l'immagine esterna, unilaterale e spesso stilizzata che dell'Oriente ci offrono le novelle delle Mille e una notte (talora addirittura d'un mondo fantastico, volutamente del tutto diverso da quello reale del narratore) è quella attraverso cui l'Occidente stesso ha più conosciuto e talvolta conosce tuttora il mondo orientale musulmano. Oceani di racconti È difficile trovare nelle Notti anche un solo racconto che non abbia precursori, derivazioni e versioni analoghe. I racconti si evolvono in altri racconti e replicano, rielaborano, invertono, riducono, legano e commentano la loro stessa struttura in un continuo gioco di metamorfosi e quindi non è però possibile stabilire quali e se ci siano delle “prime versioni” a cui far riferimento. Vi sono però varie raccolte che sono in qualche modo legate alle Notti: Innanzitutto bisogna partire dalle storie di ambientazione indiana, scritte in pali e in particolare alla raccolta di favole, racconti, romanzi, massime e leggende sulla vita di Buddha, dal nome “Jakata”. In essa vi sono vari racconti che ritroviamo, anche solo se in alcuni elementi, anche nelle Notti, come ad esempio il visir che racconta la storia alla figlia Shahrazad, con l’illusione che la faccia desistere dall’offrirsi in moglie a Shahriyar o un uomo che conosce il linguaggio degli animali e dai loro discorsi viene messo in guardia. Nell’episodio cornice di un’opera redatta in sanscrito (Panchatantra), in cui si parla di amicizie che nascono e finiscono, di guerra e di pace, di beni conquistati e perduti e anche di azioni sconsiderate. Questo ciclo di storie fu molto popolare, tanto che nel VII secolo venne tradotto in arabo con il titolo “Kalila wa dimna” (dal nome dei due visir sciacalli). Le storie dell’opera sopraindicata vennero poi inglobate in un’opera ancora più voluminosa, in cui vi ritroviamo anche “le venticinque storie di un vampiro” (Vetala) che Burton tradusse in inglese. La raccolta dei “Settanta racconti del pappagallo”, in cui un pappagallo narra una serie di racconti per distogliere una donna dalle sue intenzioni adultere, venne tradotto poi dal sanscrito in persiano col titolo di “Tutinameh”. Nel corso del XIX secolo l’ossessione dei circoli accademici e della cultura occidentale diventò quella di ricercare esclusivamente in India le origini delle Mille e una Notte poiché dapprima, intorno al X secolo, le storie erano tramandate principalmente oralmente e solo successivamente vennero trasmesse dall’India all’Europa in forma scritta, attraverso le stesure intermedia in arabo e persiano. Inoltre si pensava anche che altre stesure indiane arrivano in occidente direttamente dal Tibet tra il XIII e il XIV secolo; quindi in sostanza sembrava che le storie seguissero la direzione da Oriente a Occidente. Inoltre si tentò di dimostrare che anche la storia cornice delle Notti aveva un’origine indiana e non persiana come molti pensavano; questo soprattutto in base a tre elementi: Un re disilluso sull’onestà della consorte; Una donna sulla cui fedeltà vigila un essere soprannaturale e che riesce però ad eludere la sorveglianza per unirsi ad altri uomini; La narrazione dei racconti per procrastinare un evento funesto. Se pensiamo però, invece, al classico topos dell’uomo tramutato in animale, non solo lo ritroviamo in India ma anche in Cina, in Egitto o nelle Metamorfosi di Ovidio (quindi in Occidente): questo ci fa pensare che non è detto che ci sia un’unica fonte come quella indiana. Il collegamento tra la letteratura occidentale latina e greca e le Notti è forte: a partire dai chiari rimandi all’Odissea, a Plauto in cui racconta la storia di due amanti che abitano in case adiacenti e che riescono ad incontrarsi praticando un varco nel muro divisorio, la quale è molto simile alla storia di Qamar al-Zaman e la moglie del gioielliere. Si arrivò dunque a pensare che sia per la commedia latina che per quella araba si potesse risalire ad un comune antenato greco, anche se non si esclude la possibilità che un autore arabo possa aver lavorato su una version...


Similar Free PDFs