Riassunto libro \"Roma nell\'età della Repubblica\" PDF

Title Riassunto libro \"Roma nell\'età della Repubblica\"
Author Giulia Mora
Course Civiltà del mondo antico
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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Summary

Roma dalla cacciata di Tarquinio il Superbo alla morte di Giulio Cesare. Dal sesto al primo secolo a.C., la parabola della repubblica romana da entità regionale a grande potenza proiettata verso la conquista e l'assoggettamento dell'intero bacino del Mediterraneo....


Description

ROMA NELL’ETA’ DELLA REPUBBLICA CAPITOLO PRIMO: LE ORIGINI DELLA REPUBBLICA ROMANA Nel 509 a.C. una parte della società romana, con a capo Lucio Giunio Bruto, aveva cacciato il re (diventato tiranno), fondano la repubblica romana. La storia è la ricostruzione del passato da parte dei contemporanei. Quella che leggiamo oggi è una rappresentazione del passato come essa poteva apparire accettabile ai contemporanei. Non possiamo prendere per buono solo questo tipo di ricostruzione perché acritico e tendenzioso. È innegabile che Roma avesse avuto dei re e che più tardi fosse stata introdotta la res publica (cosa pubblica) che oggi chiamiamo repubblica. Le prime tracce umane nel territorio nel quale più tardi sorse Roma sono attestate a partire dal X secolo a.C.; nella fase iniziale dell’età del ferro dei secoli IX e VIII assistiamo a fenomeni insediativi più intensi. Scavi archeologici hanno permesso di collocare nel tardo VII secolo le prime manifestazioni di un’attività edilizia nell’area del foro (aggregazione degli insediamenti sparsi sui colli di Roma). Non sappiamo molto riguardo l’organizzazione della società romana. L’invenzione dell’aratro migliorò i processi di lavorazione e incrementò la rendita del suolo e quindi il raccolto soddisfava il bisogno primario, ma consentiva anche un surplus. Roma, secondo la tradizione, era stata fondata nel 753 a.C. da Romolo che ne divenne il primo re. Non possiamo dare troppo credito a questa datazione, dato che tutto dipende da cosa intendiamo per “fondazione della città”. Il progressivo inurbamento dell’area intorno al foro e l’aggregazione dei diversi insediamenti delle colline circostanti forniscono un importante indizio che sembra rimandare piuttosto al VII secolo che all’VIII a.C.. Per quanto riguarda l’età monarchica, ad alcuni re locali sarebbero succeduti alcuni monarchi etruschi, come Tarquinio il Superbo chiamato tale perché preoccupato a consolidare la sua posizione di forza, senza curarsi dei diritti delle grandi famiglie. Negli ultimi decenni sono stati fatti ritrovamenti archeologici che possiamo datare fra la seconda metà del VI secolo e inizi del V. Roma era culturalmente e politicamente uno dei maggiori centri dell’Italia centrale; era un vastissimo territorio; i guadagni economici più rapidi erano garantiti dai bottini di guerra e dall’occupazione di nuove terre. I dati archeologici testimoniano per il VI secolo un certo sviluppo della città. Furono costruiti dei templi (tempio di Giove sul Campidoglio, connessa al re Tarquinio), il Foro Romano fu fornito di un comitium (luogo destinato ad accogliere le assemblee) e fu creato un porto fortificato presso il Tevere. La fine della monarchia, due versioni: 1. Versione Romana: Secondo la leggenda, Sesto Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo, una notte si recò nella camera della bella e virtuosa Lucrezia, moglie di Lucio Tarquinio Collatino (nobile, parente del re) e la violentò. La mattina Lucrezia raccontò al marito e ai suoi parenti l’accaduto e poi si uccise. I romani impedirono al re Tarquinio, che era occupato in una guerra nel Lazio, di tornare in città, i romani dichiararono che non avrebbero mai più tollerato che Roma fosse governata da un re. Poi stabilirono che le cariche di spicco fossero a termine e che fossero occupate secondo i principi di alternanza e rotazione. La repubblica era nata. 2. Versione moderna: una tradizione orale non è in grado di tramandare fatti e vicende oltre un periodo di cento anni senza che subentrino distorsioni. Per questo, il corso degli eventi e le figure di questo racconto non possono rivendicare autenticità. Storie di violenze e stupri sono ricorrenti e numerosi e quindi devono essere considerati prodotti di un’elaborazione letteraria. Una forma di rifiuto dell’autorità potrebbe essere scaturita dal fatto che Tarquinio fosse divenuto imprudente e avesse esagerato nel tentativo di raggiungere un ulteriore consolidamento della sua posizione. Egli fece erigere un tempio a Giove con l’intento di avvicinarsi a questa divinità (sovranità dotata di iniziativa militare che godeva di un rapporto privilegiato con gli dei). I capo-clan si coalizzarono con l’intento di cacciare il re. Secondo ciò, la repubblica è definita come l’assenza di un re. Le aspirazioni della comunità sarebbero state affidate ai capi delle singole gentes. Si assiste inoltre all’isolamento dei patrizi (la classe composta dai capi dei clan) che entrano in conflitto con i plebei, che rivendicavano una maggiore partecipazione.

Lucio Bruto prese dei provvedimenti che stanno alla base del sistema repubblicano: creazione di un doppio consolato preservato da abusi e soprusi, grazie alla durata dell’incarico di un anno e al reciproco controllo dei due consoli, il riconoscimento del diritto di appello dei cittadini contro il potere punitivo diretto dei magistrati che garantiva una certa protezione anche ai più deboli. CAPITOLO SECONDO: L’ASCESA DI ROMA NEL V E IV SECOLO A.C. Dopo una prima fase di espansione durante il VI secolo a.C., Roma si confrontò, nella prima metà del V secolo, con un periodo difficile, impegnata a difendersi contro diverse potenze che la minacciano dall’esterno. In parte per fare bottino, in parte per stabilirsi durevolmente. Roma e i latini vennero a trovarsi sotto la costante minaccia dei sabini a nord, degli equi ad est e dei volsci a sud. I latini si allearono e trovarono un accordo per respingere le invasioni, ciò permise ai latini di consolidarsi e di passare all’offensiva (verso la metà del V sec.). Secondo la tradizione la lega latina era stata fondata grazie al trattato: foedus Cassianum. Secondo le fonti, romani e latini stabilirono di prestarsi mutuo soccorso nel caso di un attacco nemico e di dividersi l’eventuale bottino in parti uguali (predominio di Roma). I territori conquistati, venivano utilizzati per fortificare o fondare nuovi insediamenti che in futuro sarebbero poi stati in grado di difendersi da soli. Questi insediamenti, dotati di orientamento interno e verso cui Roma e i latini inviavano propri cittadini come coloni, venivano chiamati colonie. Queste colonie vennero riconosciute come città latine, potevano quindi avvalersi di alcune opportunità di cui godevano i latini. Erano posto non lontano dal mare e avevano la funzione di difendere le coste da eventuali nemici. 406-396 a.C. prima guerra importante contro la città etrusca Veio, durata dieci anni. Veio sorgeva sulla sponda settentrionale del Tevere nell’interno, a circa 15 km da Roma. Ciò impediva ai romani l’espansione e il controllo delle vie commerciali lungo il Tevere. Roma vince con la distruzione della città etrusca. Il grande eroe di questi combattimenti fu Marco Furio Camillo, al quale vennero attribuite: amore di patria fino al sacrifico di sé, coraggio in guerra, capacità e astuzia militare, intuizione, timore degli dei, tenacia e capacità di resistenza. A partire al IV secolo Roma fu sempre più coinvolta in scontri militari che si protraevano anche per lunghi periodi, era quindi necessario un compenso per i contadini che non riuscivano a sostenere semina e raccolto. Il nuovo sistema di mantenimento dell’esercito a carico dello stato doveva essere finanziato: fu introdotto il tributum, una forma di tassa diretta basata sul censo dei cittadini. 387-386 a.C. Roma subì un’armata battuta di arresto. Gruppi bellicosi di celti provenienti dalla Gallia calarono in Italia. I romani li affrontarono nella battaglia del fiume Allia e subirono una sconfitta disastrosa: Roma fu presa e saccheggiata. Secondo una leggenda, i romani avevano ancora il controllo sul Campidoglio, e solo grazie alle oche sacre a Giunone (sposa di Giove) e al loro starnazzare, si riuscì ad impedire che i celti prendessero l’ultimo baluardo. Secondo un centone (componimento letterario) narra un’ultima battaglia, probabilmente inventata, che fu vinta grazie a Camillo di ritorno dall’esilio; i romani sarebbero riusciti ancora una volta a risolvere una situazione apparentemente senza via d’uscita. Secondo un’altra versione la liberazione di Roma avrebbe avuto tratti meno eroici. I Galli avevano attaccato il territorio romano per fare bottino, non per stabilirsi. Roma venne circondata da mura. La data della battaglia dell’Allia, 18 luglio, fu segnata sul calendario come dies alter, “giorno nero”, successivamente in tale data fu proibita qualsiasi attività pubblica. Le spedizioni militari romane proseguirono senza interruzione e con esito vittorioso. Roma diventò forte, tanto che molte città in difficoltà chiesero aiuto a Roma. Fra il 341-338 a.C. la maggior parte delle città latine si ribellarono a Roma e portarono la città sull’orlo della sconfitta. Crisi dell’alleanza romano-latina a causa dei suoi successi. Roma pose termine al federalismo centro italico, troncò le relazioni e i legami tra le altre città e sciolse i sistemi di alleanze. 326-304 guerra contro i sanniti. È stata provocata dai romani, guerra attraverso la deduzione di colonie. Queste nuove colonie ebbero lo status delle città latine, gli abitanti non erano cittadini romani, potevano

organizzare autonomamente la propria comunità, mentre erano equiparati ai romani relativamente al diritto privato. Ai sanniti non piaceva che i romani soffocassero la loro libertà d’azione. I sanniti si opposero. Nel 321 l’esercito romano cadde in un’imboscata e fu bloccato. Dal 311, gli scontri si fecero ancora più problematici perché anche gli etruschi e gli umbri si cominciarono ad opporsi. Nel 304 i sanniti, esausti, fecero pace con Roma. La pace durò poco, già nel 298 a.C. ci fu una nuova azione offensiva contro Roma. I sanniti si unirono agli etruschi e agli umbri e alcuni gruppi di celti. Vittoria dei romani nel 295 della battaglia di Sentino in Umbria consentendo di imporsi nel settentrione. 290 ufficialmente chiusa la terza guerra sannita. Solo Taranto riuscì a mantenere la propria autonomia. Roma aumentò il proprio territorio, costrinse numerosi popoli ad accettare un rapporto di mutua assistenza, si assiste ad un incremento della potenza militare romana. CAPITOLO TERZO: LA FORMAZIONE DELLA REPUBBLICA ATTRAVERSO IL CONFLITTO DEGLI ORDINI Nel momento in cui i capi delle varie gentes cacciarono da Roma Tarquinio il Superbo, non pensavano di dare vita a quella nuova fase di ostilità chiamata “conflitto degli ordini” ma tornare ai “bei tempi andati”. Se si accetta questa ricostruzione dello scenario che fa da sfondo alla cacciata del re, siamo costretti a negare validità alle nostre fonti riguardo la riorganizzazione dello stato. Lucio Bruto e i suoi alleati avrebbero introdotto una magistratura suprema di tipo collegiale, il consolato, a cui sarebbe passata la totalità dei poteri regali. Contro questa ricostruzione vi è il fatto che una reazione dei nobili locali contro un re ormai divenuto troppo forte avrebbe dovuto essere mirata proprio ad indebolire il potere centrale: altrimenti il loro sarebbe stato un successo assolutamente vano. Per le diverse discrepanze nei documenti si ipotizza che il consolato collegiale non sia stato introdotto subito all’inizio della repubblica. Le ipotesi spaziano da una carica di tipo individuale con competenze limitate ad una magistratura collegiale composta da tre persone, strutturata forse secondo un ordine gerarchico. Ma soprattutto, l’ampio potere di comando dei consoli è cresciuto solo col passare del tempo (non fu ereditato dai re all’inizio dell’età repubblicana). Questi risultati ci dicono che la lista dei consoli, non è attendibile. Era importante sapere che gli anni venivano chiamati con il nome dei magistrati. Si può ora presumere che il consolato collegiale si sia imposto a tutti gli effetti nel 367-366 a.C. e che a partire da questa data la sequenza sia attendibile. Coloro che si erano ribellati al re istituirono magistrature dai contorni poco netti, e chi le rivestiva esercitava il comando in guerra. Le famiglie di spicco si passavano di anno in anno le cariche. Le questioni che riguardavano la collettività venivano discusse e votate nel senato (che inizialmente doveva essere composto dai capi delle gentes e dai loro discendenti). In casi di emergenza si faceva ricorso ad una magistratura eccezionale, la dittatura. Nelle situazioni di crisi il dittatore era investito di tutti i poteri. A Roma con il termine “plebe”si identificò quell’insieme di cittadini che non erano patrizi. Inizialmente oltre ai patrizi a cui appartenevano i capi delle gentes e i loro congiunti, c’erano i loro clienti, cioè quelle persone meno abbienti che erano legate ai patrizi in un rapporto di dipendenza e infine i plebei che non erano al seguito dei patrizi. Patrizi e clienti, rapporto di dipendenza, il cliente doveva svolgere diversi servizi sotto forma di lavoro e sostegno alle imprese e alle operazioni del suo patrono, mentre questo assicurava ai suoi clienti una certa protezione giuridica e aveva l’obbligo di garantire loro assistenza. Il principale mezzo dei plebei era il fatto che essi stessi erano imprescindibili per il funzionamento dello stato. Importante la funzione militare dei plebei. I plebei non erano un gruppo omogeneo: plebei che possedevano una discreta ricchezza e a cui interessava l’equiparazione con i patrizi, plebei che pativano la miseria che disponevano dei mezzi necessari per vivere. I plebei si sentivano trascurati, la loro costante presenza a Roma e nel foro, dovevano assicurarsi che le richieste della plebe non fossero trascurate e che un plebeo non si vedesse messo sotto accusa da un patrizio. I plebei appoggiavano i propri rappresentanti con una promessa solenne, si obbligarono a procedere con la forza contro chiunque si fosse avvicinato troppo ad un tribuno e se necessario ad ucciderlo. Il compito dei tribuni era quello di soccorrere i plebei oppressi e in difficoltà. Col tempo acquisirono il diritto di intervenire di persona nelle assemblee popolari e nel senato. Essi godevano del diritto di veto. I tribuni della plebe dovevano assistere gli altri plebei nei conflitti con i magistrati, soprattutto nei casi che riguardavano l’arruolamento, un trattamento troppo duro sul campo, una distribuzione ingiusta del bottino e in caso di crisi economica dovevano applicare misure sociali necessarie per superare la difficoltà. Inoltre

erano in lotta per la parificazione dei plebei. I plebei continuarono a prestare il servizio militare, anche se le acquisizioni territoriali e i bottini finivano nelle mani dei comandanti (patrizi). Intorno al 450 a.C. c’era la necessità di fissare per iscritto norme del diritto e di pubblicare le leggi, affinché fossero accessibili. Leggi delle 12 tavole, considerate una conquista dei semplici cittadini, ottenute con grande fatica. Doveva passare ancora parecchio tempo prima di giungere ad un compromesso fra classi, il passo decisivo fu fatto nel 367-366 a.C. (leges Liciniae-Sextiae=i plebei possono accedere a tutte le magistrature) quando i tribuni Gaio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano presentarono una legge, con la rassegnata approvazione dei patrizi e la fecero votare al popolo. Secondo tale norma anche i plebei potevano accedere alla magistratura suprema. È grazie ad una legge nel 300 a.C. del console plebeo Marco Valerio Corvo, che il diritto dei plebei all’autodifesa collettiva per la protezione di uno, divenne un diritto fondamentale ufficialmente riconosciuto: si trattava della procatio, il diritto di appello al popolo romano, rappresentato dai tribuni, contro l’esercito dei poteri magistratuali. Praticamente ogni reo di un delitto capitale aveva diritto ad un processo davanti al popolo, ciò divenne un punto centrale della libertà del cittadino romano. Sempre nel 300 una legge dei tribuni Quinto e Gneo Ogulnio avrebbe stabilito che da quel momento i plebei potevano essere ammessi anche ai collegi sacerdotali che fino a quel momento erano stati prerogativa dei patrizi (avevano diverse funzioni in vari ambiti). 287 a.C. lex Hortensia di Quinto Ortensio, le decisioni della plebe, ovvero i plebisciti, divennero vincolanti per tutti. I tribuni della plebe furono accettati come organi ella res publica Romana. Ciò alla lunga finì per diventare un problema. Il potere dei tribuni di ostacolare ogni iniziativa e azione dello stato e di far passare una politica unilaterale, portò a situazioni di stallo e a violazioni del comune senso di giustizia non risolvibile con mezzi legali. A partire dalla metà del III secolo la frattura tra patrizi e plebei era stata superata. Non erano state risolte le difficoltà economiche e sociali di molti romani. I successi in politica estera evitarono conflitti all’interno di Roma. Anche le persone più povere traevano profitto lavorando come contadini in una colonia. Risulta importante la propensione della società romana per la guerra e per la resistenza fino alla vittoria, caratteristiche radicate nei rituali romani. Ne facevano parte a) la divisione sacra del mondo in un ambito interno entro il pomerio (lo spazio sacro della città) e uno militare che comprendeva il resto del mondo b) la comunicazione con gli dei (approvazione e aiuto) c) tributo degli onori, servizio militare e gesta sul campo fornivano il criterio di giudizio. CAPITOLO QUARTO: LE GUERRE CONTRO PIRRO E CARTAGINE Roma rivestiva il ruolo di potenza protettrice dei greci ciò fu visto con sospetto da Taranto perché questo ruolo era sempre stato suo. Verso la fine del IV secolo Roma aveva garantito attraverso un trattato che non si sarebbe spinta con le proprie navi nel golfo di Taranto oltre i limiti stabiliti, se non dopo aver chiesto il permesso ai tarantini. Nel 282 una squadra navale romana fece invece esattamente questo. I cittadini vennero indotti a rispondere con un atto di forza: quattro navi furono affondate, una fu catturata. Pare che i romani si fossero “scordati” di quanto previsto dal trattato. Ciò era causato dalla nuova situazione: a Roma si inseguiva una politica di potenza, si stavano facendo i preparativi per penetrare in Italia sudoccidentale. I romani inviarono un’ambasceria che si sarebbe dovuta impegnare per una soluzione pacifica. I documenti riportano con toni fin troppo drammatici la visita dell’ambasceria, ciò ha fatto dubitare gli studiosi; contenuto caratteristico della rappresentazione dei fatti: Lucio Postumio Megello, a capo della delegazione romana, avrebbe parlato in greco all’assemblea. Durante l’assemblea gli scappò qualche errore che divertì la folla. Un tarantino pensò di svuotare la sua vescica sulla toga bianca dell’ambasciatore. La guerra era inevitabile i tarantini cercavano aiuto, chiesero aiuto a Pirro (re dell’Epiro), che vedeva nell’offerta di Taranto la possibilità di impadronirsi di un nuovo regno. Accettò quindi la richiesta d’aiuto. Nel momento in cui i romani entrano in conflitto con città greche, andavano incontro ad un grande rischio, perché i grechi disponevano di grandi contatti. Se alla fine della guerra i romani riuscirono ad imporsi fu dovuto al numero di soldati e alla loro capacità di resistenza.

280 a.C. l’esercito romano era stato sconfitto in una battaglia non lontano da Eraclea. Quando Roma cercò il contatto con il nemico nel tentativo di ottenere uno scambio di prigionieri, Pirro colse l’occasione per trattative più ampie. Un suo inviato pretese davanti al senato l’indipendenza dell’Italia meridionale e la rinuncia al territorio annesso. A questo punto entrò in scena Appio Claudio, il Cieco in quanto un simile accordo avrebbe messo a repentaglio la res publica. La guerra continuò ad andar male per i romani. 279 a.C. presso Ausculum si giunse nuovamente allo scontro e anche questa volta incassarono una dura sconfitta, subendo perdite ingenti. Anche Pirro subì numerose perdite, ciò rappresentò per lui un colpo durissimo. Quindi preferì accettare una richiesta d’aiuto da parte dei greci di Sicilia e venir loro in soccorso contro Cartagine, nella speranza di conquistare un nuovo regno. Quando però i greci si ribellarono al suo duro regime militare egli tornò in Italia meridionale (276), dove i romani avevano approfittato della sua assenza per estendere la loro posizione di forza. 275 a.C. presso Maleventum, Pirro fu sconfitto e decise di ritirarsi in Epiro con l’esercito rimasto. Roma poté raccogliere i frutti della vittoria, assumendo entro il 267 il controllo di tutta l’Italia del sud. I romani non furono più disposti, in tempo di guerra, ad inviare ambascerie al nemico neppure...


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