Filosofia della cura - Riassunto del libro PDF

Title Filosofia della cura - Riassunto del libro
Author Camilla Zavanella
Course Pedagogia dell'Infanzia dell'Adolescenza e Diritti del Bambino
Institution Università degli Studi di Padova
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Riassunto del libro...


Description

FILOSOFIA DELLA CURA RAGIONI ONTOLOGICHE (dell'essere) DELLA CURA PRIMARIETÀ DELLA CURA Nel campo dell'esperienza umana ci sono cose essenziali e irrinunciabili. Spesso ciò che è essenziale è ciò che ci è più vicino e rimane sconosciuto. La CURA è essenziale e irrinunciabile: senza la cura la vita non può fiorire, la cura protegge la vita e coltiva la possibilità di esistere, tiene l'essere nel buono. C'è necessità di bene e necessità di difendersi dalla sofferenza: la cura è la risposta necessaria a questa necessità. La sapienza sulla cura ha radici antiche:  

PLATONE SOCRATE

Fedro: la cura è essenziale anche per le divinità Repubblica: i filosofi "devono aver cura e custodire" gli altri cittadini

Si può dire che il divenire a essere è un entrare nella luce, un essere illuminato. Ciò che illumina l'essere umano è la CURA (Heidegger) L'esserci, infatti, assume la propria essenza avendone cura. Si può dire che ognuno è quello che fa e di cui si prende cura, se abbiamo cura di certe relazioni il nostro essere sarà costruito dalle cose che prenderanno forma in queste relazioni. Della cura si può pertanto parlare in termini di una fabbrica dell'essere. HANNAH ARENDT la cura può essere definita il lavoro del vivere e dell'esistere. Proprio perché la debolezza dell'esserci, in quanto mancante d'essere, è costitutiva della condizione umana, il lavoro di cura non può non accompagnare la vita intera. Anche nel più perfetto dei mondi sempre ci sarebbe bisogno di cura: in certe fasi della vita: INFANZIA E CONDIZIONE DI MALATTIA: per lo stato di fragilità e vulnerabilità, ADULTITÀ: senza l'aiuto premuroso di altre persone non si riesce a far fiorire le proprie possibilità d'essere. La cura è ontologicamente essenziale: protegge la vita e coltiva le possibilità di esistere. Una buona cura tiene l'essere immerso nel buono. Far pratica di cura è dunque mettersi in contatto con i cuore della vita. Nasce la necessità di tratteggiare un' analitica della cura. TESI: considerare la cura come essenziale per la vita. È quindi necessario disegnare una fenomenologia delle qualità essenziali della condizione umana per poi portare all'evidenza che la cura sta in una relazione di necessità di tali qualità. Per affrontare il passaggio epistemico è necessario sapere di cosa si parla e cosa si intende per cura, ma individuare l'essenza della cura costituisce proprio l'obiettivo di un'analitica della cura. Per fare ciò si ricorre al metodo che SOCRATE chiama dialogo maieutico, il quale consiste nel dare una definizione provvisoria di qualcosa per poi cercarne di essa l'essenza. Si ha quindi una definizione semplice ed essenziale di cura: aver cura è prendersi a cuore, preoccuparsi, avere premura, dedicarsi a qualcosa. A questo punto ci si pongono le seguenti domande: Qual è la struttura essenziale della condizione umana? E in quale relazione può stare la cura con questa essenza? L'essere umano nasce come mancante d'essere, cioè è imperfetto, perché il suo essere si forma nel tempo e nei momenti, nelle esperienze, quindi ha il compito nella vita di dare forma al proprio essere. Perché l'uomo allora è mancante d'essere? Perché vive nella probabilità, coglie la sua finitezza sapendo di dover morire prima, e poi sa che i legami che si è costruito possono svanire da un momento all'altro.

LE DIREZIONALITÀ DELLA CURA CURA come procurare (merimna): la vita ha costantemente bisogno di qualcosa e senza questo qualcosa la vita viene meno. Il problema sta nel fatto che questo qualcosa va procurato. Per preservare il nostro essere abbiamo la necessità di aiutare l'altro, in quanto la cura delle cose è la nostra cura della vita. CURA come dedizione: arte dell'esistere per far fiorire l'esserci. É legata alla forma di trascendenza

Rapporto tra cura ed etica: via per ricercare il bene, per arrivare al bene si utilizza la cura.

Vi è un'altro tipo di cura, che ripara l'essere nei momenti di massima vulnerabilità e fragilità: è la cura come terapia, essa è chiamata e lenire la sofferenza. Non c'è solo il dolore del corpo (materiale) ma anche quello dell'anima (spirituale): nel dolore del corpo ci siamo immersi mentre il dolore dell'anima sale dal profondo della vita interiore. Nella sofferenza avvertiamo in tutta la sua problematicità il nostro trovarci costretti all'esserci. Quando il corpo è in salute e l'anima sta bene il compito di prenderci a cuore l'esistenza rende percepibile l'esserci come possibile fiorire. Sentirsi in salute fa percepire il proprio esserci come un centro vivo, capace di far germinare forme di esistenza. Quando la materia di ammala e il dolore ferisce l'anima l'inconsistenza ontologica viene vissuta in tutta la sua pienezza e ciò genera l'angoscia, la quale diventa sostenibile solo nella misura in cui l'estrema passività cui siamo sottoposti viene accettata e l'anima sa coltivare la capacità della pazienza. La condizione dell'essere malato fa perdere ala persona la condizione di soggetto a la fa ridurre a oggetto intensamente sensibile. Nel tempo buono ogni istante è prezioso, il tempo della malattia cambia radicalmente il modo di percepire l'esserci. Se nei tempi buoni si aspira alla pienezza dell'esserci, nei tempi difficili si vorrebbe sentirsi alleggeriti dall'essere. La sostanza della vita è il tempo. Il tempo del vivere è un fluire nel presente, un sentirsi accadere di attimo in attimo. Nella sofferenza il tempo cambia di qualità: diventa un continuo compatto che opprime l'anima togliendo a essa ciò che le è proprio cioè il respirare la vita. Quando si sta bene la perdita di tempo è vissuta con angoscia perché vede svanire le possibilità di divenire il proprio essere, di realizzarsi, quando c'è la malattia, invece, si vorrebbe che il tempo si consumasse, si aspira al venire meno delle possibilità esistentive. Quando si sta bene la mente prende le distanze da ogni immagine negativa, quando, invece, si fa esperienza del dolore è altro quello che si impone alla mente. Si vorrebbe una forma di sovranità del proprio esserci non per sentire l'energia vitale ma per indebolire, per anestetizzare la sensibilità fino al punto di non sentire più il dolore. Platone nel Fedone parla di corpo come di un carcere dove l'anima si troverebbe imprigionata. Quando il dolore colpisce con forza il corpo, la sofferenza penetra anche nei tessuti dell'anima, è come se la materia corporea consumasse ogni energia spirituale dualismo fra anima e corpo (due cose distinte) In realtà noi siamo corpo e anima insieme un corpo che vive di un respiro spirituale e un'anima incarnata. Quindi cambia il nostro modo di stare in relazione con l'altro: un intervento sull'altro non è solo sulla carne ma va nel profondo della carne dell'anima. Aver cura occuparsi di un corpo che sente in modo spirituale il tocco di chi ha cura, toccare il corpo significa toccare l'anima. Quindi la cura chimica deve procedere integrata con quella spirituale. La medicina razionalizzante e riduttivistica considera il malato un corpo quando in realtà è una persona. Il dolore che nasce nella carne è un dolore che viene dall'anima, ma raramente rimangono disgiunti, sono inscindibili. Il dolore dell'anima quando non elaborato e perciò insostenibile trova nel corpo l luogo dove manifestarsi, dove dare segni di se, viceversa il dolore della carne può tracimare nell'anima. Quando si fa esperienza di buoni vissuti di cura allora si sta stare in presenza del dolore senza che questo ci travolga, l'assenza di cura invece rende più deboli, più pronti a essere nientificati dal dolore. Noi viviamo tra gli altri, fragili come noi, e proprio questi altri ci possono aiutare a portare il peso. La capacità di aver cura dell'altro è anche questo: esserci quando l'altro avverte tutta la fatica del mestiere di vivere, mostrando la disponibilità a mettere in comune quello che si ha per sostenere insieme il lavoro di tessitura dell'esistenza senza lasciare che il senso di una fredda solitudine spenga l'energia vitale. Non c'e esistenza senza cura di sé, ma la cura di sé ha la necessità del nutrimento che viene dal ricevere cura dagli altri. Per tale ragione la cura per l'altro è un valore grande, irrinunciabile. Il termine cura risulta dunque polisemico, cioè presenta differenti significati:

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CURA come lavoro del vivere per preservare l'ente che noi siamo necessaria per continuare a vivere CURA come arte dell'esistere per far fiorire l'esserci necessaria all'esistere per dare corpo alla tensione alla trascendenza e nutrire l'esserci di senso CURA come tecnica del rammendo per guarire le ferite dell'esserci ripara l'essere sia materiale sia spirituale quando il corpo o l'anima si ammalano.

La cura nella sua essenza risponde a:   

una necessità ontologica, la quale include una necessità vitale, quella di continuare a essere una necessità etica, quella di esserci con senso una necessità terapeutica per riparate l'esserci.

distinzione tra ingtelletto e ragione = Kant In classe si deve dare spazio non solo alle materie curricolari ma anche ad argomenti di attualità (come ad esempio gli attentati di parigi) Ogni individuo si pone delle domande che possono essere chiuse o aperte = illegittime o legittime (irrispondibili) Incentrare la discussione sul fatto e non sulla persona Bisogna rassicurare i bambini che possono esistere delle domande e degli interrogatvi che risultano irrispondibili ma che comunque fanno pensare.

LA CONSISTENZA RELAZIONALE DELL'ESSERCI In quanto mancanti d'essere non possiamo sottrarci al compito della cura della nostra esistenza. Per quanto dedicato e intenso possa essere il nostro compito di prenderci cura, tale impegno ha un limite, perché un elemento che caratterizza l'essere umano è la razionalità e in quanto esseri relazionali abbiamo bisogno degli altri. La vita risulta sempre intimamente connessa alla vita degli altri, per l'essere umano vivere significa sempre con-vivere poiché nessuno da solo può realizzare pienamente il progetto di esistere. ARISTOTELE parla dell'essere umano come ente per natura politico. Dal punto di vista dello sviluppo PSICHICO la relazione con l'altro è la relazione primaria dell'esserci. L'origine di tutto è la relazione con la madre, all'inizio il bambino non esiste come essere disgiunto ma insieme a un'altro essere umano, il quale si prende cura del suo essere. Per il neonato il bisogno della madre è l'esigenza più urgente, in questa relazione inizia a costruire il suo essere. Poiché all'inizio della vita la condizione di debolezza ontologica è massima, l'attaccamento del neonato ala madre è un bisogno vitale. In quanto mancanti d'essere abbiamo bisogno di stare in relazione con chi, come noi, ha bisogno degli altri. Anche in solitudine la relazione con gli altri permane, i pensieri che pensiamo conservano la relazione con i pensieri che abbiamo costruito insieme agli altri e le emozioni che agitano il cuore sono fili che ci tengono in relazione con gli altri. Quando perdiamo un affetto se ne va un pezzo di noi. Dobbiamo quindi aver cura delle relazioni degli altri, quando pensiamo all'altro è importante avere cura delle sue relazioni. Il limite del pensiero politico occidentale consiste nel fondarsi su una concezione dell'essere umano come individuo indipendente da altri e come soggetto autonomo in grado di bastare a se stesso ( autosufficienza). Senza gli altri però non possiamo esistere, fin dai primi gironi di vita. Forse la difficoltà a pensare la realtà in termini relazionali sta nella singolarità e unicità di ogni individuo, poiché ogni essere umano è unico, mai identico a nessun'altro. EVA KITTAY mette in discussione il pensiero politico occidentale per il suo fondarsi su una visione a-relazionale della vita umana. Tutti veniamo da una relazione (madre-figlio) e per questo siamo insuperabilmente esseri relazionali. Nel venire al mondo diventiamo subito esseri dipendenti dagli altri e come tali necessitiamo di ricevere cura.

Anche se l'essere umano è relazionale deve comunque fare i conti con la solitudine, siamo soli di fronte alla realtà. Quando siamo chiamati ad affrontare le cose più importanti della vita spesso siamo soli. La solitudine non è una condizione che si possa scegliere: ciascuno è inevitabilmente solo.

La bisognosità dell'altro si manifesta nel neonato e poi ricompare sotto diverse forme nel corso della vita. Ciascuno cerca la verità dell'esistenza,ma quando tale ricerca avviene in solitudine, anche se molte cose importanti si possono cogliere, tuttavia nessuna di queste è verità. La verità è frutto dell'incontro con l'altro, del dialogo, quindi, il nostro esserci diviene in relazione con altri. L'unicità del nostro essere è possibile proprio partire dal divenire insieme agli altri. La fabbrica dell'essere non appartiene al singolo ma e co-costruita dai pensieri e dai gesti che si fanno insieme. L'identità personale è la forma emergente delle relazioni che strutturano il nostro spazio vitale. Quando un essere umano comincia la sua esistenza di fatto inizia a coesistere, il nascere coincide con il trovarsi esposto e la cura è l'atto di accogliere per proteggere dal minaccioso che comporta l'esposizione. Se la cura si qualifica come fenomeno ontologico sostanziale dell'esserci e se l'esserci è intimamente relazionale, poiché l'essere-con-altri è l'intima essenza dell'umano, allora l'aver cura dell'esserci è tutt'uno con l'aver cura del conesser-ci e dunque con l'aver cura degli altri. Esserci è aver cura e in questa cura ci sono io-con-altri. La cura come premura dell'altro, come sollecitudine a favorire il ben-erssere dell'altro, è condizione indispensabile per una vita buona. Se la cura è qualcosa di ontologicamente essenziale, allora l'agire con cura è un valore primario, ed è tale non solo per chi riceve cura ma anche per chi la agisce. É un valore per chi la riceve poiché senza cura non può divenire il suo essere possibile, ed è un valore per chi la agisce poiché assumersi la responsabilità della cura significa situarsi laddove ne va dell'irrinunciabile per la vita. La relazione di cura porta valore sia a chi riceve sia a chi esercita la cura.

LA CONDIZIONATEZZA DELL'ESSERCI VULNERABILITÀ la relazionalità rompe la solitudine dell'esserci e ci mette nelle condizioni di con-dividere l'esistenza, ma allo stesso tempo ci rende vulnerabili perché siamo esposti agli urti del mondo e a quelli che ci provochiamo gli uni gli altri e che possono indebolire o distruggere i legami relazionali. Il nostro stato di intima connessione con il mondo ci rende dipendenti e in quanto dipendenti dall'altro da sé diventiamo vulnerabili. Siamo vulnerabili sia nella vita corporea che in quella spirituale. I beni relazionali, mentre portano valore alla vita allo stesso tempo aumentano il suo grado di vulnerabilità. L'essere umano è vulnerabile soprattutto nei legami profondi come l'amicizia e l'amore perché sono i più delicati e meno controllabili in quanto più profondi, e non dipendono dalla propria volontà. Il nostro poter fiorire è intimamente connesso alla vulnerabilità, la vulnerabilità è quindi inevitabile, è qualità strutturale dell'esistenza. FRAGILITÀ non solo siamo vulnerabili ma intimamente fragili, siamo fragili poiché veniamo a essere indipendentemente da una nostra decisione, e una volta nel mondo veniamo a trovarci nel fluire dl tempo, e questo essere nel tempo non sta sotto la nostra sovranità. Scoprire che io non dipendo da me, e che da me non sono nulla fa sentire tutta la fragile inconsistenza del proprio essere. La matrice generativa della vita abbandona gli esseri a quella condizione rischiosa che è il divenire, senza nulla proteggere. Siamo chiamati al compito di inventarci la forma del proprio esserci, Siamo chiamati a trovare modi per conservare la vita e a inventare un modo di esserci che possa dare senso al nostro esistere. La forma che viene a prendere però non è mai permanente ma sempre provvisoria. Nella nostra cultura impariamo presto che il bene più grande è la libertà, per tutto il tempo della vita andiamo alla ricerca di cose conformi ad uno spirito libero, ma, l'esistenza inizia sulla base di una decisione non libera: dipendiamo da una decisione che viene da altrove. Gli attimi di libertà sono momenti privilegiati dell'esserci perché nutrono l'anima di quella energia vitale che rende sostenibile il mestiere del vivere, questo evidenzia però altri momenti in cui siamo costretti a misurarci con eventi e decisioni che non dipendono da noi mostrando così la qualità condizionata della vita umana. Gli esseri umani sono condizionati non solo perché dipendono da una decisione che viene da altrove ma anche dalle azioni degli altri. La condizione di fragilità dipende anche dalla sostanza temporale dell'esserci: l'esistenza è un succedere puntiforme di attimi di attualizzazione nel presente del nostro essere possibile. L'attualità dell'essere è dunque in continuo divenire, dove nulla è solidamente acquisito. L'essere già stato lascia nel presente qualcosa di sé e il non ancora del futuro già c'è nel presente come anticipazione che può condizionare l'essere attuale, ciò genera una condizione di fragilità poiché ogni attimo passato può ripresentarsi e ogni attimo futuro può condizionare il presente. Per rendere tollerabile la nostra fragilità, molto confidiamo in quella cosa che fra gli esseri viventi desideriamo pensare solo nostra: l'attività di pensiero. È alla ragione che ci affidiamo per ridurre il tasso di fragilità. Nonostante il pensiero abbia forza e potere di fare, possiamo orientarlo, alimentarlo, piegarlo, su di esso non abbiamo comunque sovranità. Non solo il pensiero è limitato e può farci cadere in errore, ma di colpo la razionalità faticosamente conquistata può dileguarsi e lasciarci in balia dell'altro che noi siamo. Anche la ragione è in potere della vita. Se nella vita della mente sta la nostra essenza e se la qualità del nostro essere è la fragilità, allora la ragione non può che essere intimamente fragile essa stessa.

Per dare forma al nostro essere non possiamo non fare progetti per il divenire, ma un progetto richiede una certa padronanza sulle condizioni di realizzabilità ma noi non abbiamo nessuna sovranità su di esse, quindi la fragilità ontologica sta proprio nell'impossibilità si conosce il nostro inizio e la nostra fine. DEBOLEZZA ONTOLOGICA è data dalla fragilità e dalla vulnerabilità. La debolezza ontologica è conseguente al fatto che siamo esseri condizionati, poiché ogni cosa con cui veniamo in contatto e ogni cosa che costruiamo condiziona la nostra esistenza. La nostra sostanza immateriale è fatta di pensieri ed emozioni, i pensieri buoni e le emozioni buone nutrono la mente, ma ci sono pensieri ed emozioni che lavorano al negativo, procurando sofferenza alla carne dell'anima. Con le parole si costruiscono mondi entro i quali possiamo fare esperienza del piacere di esserci, ma non sempre lavorano al positivo, anche se immateriali possono fare male. Ciò che ci rende deboli nell'essere: INQUIETUDINE è generata dal sapersi enti che subiscono la propria trascendenza, dal sapere il difficile e l'imprevedibile che accompagna lo sforzo di esistere. L'inquietudine è una tonalità affettiva propria della vita. Può diventare una tonalità negativa problematica nei momenti di crisi, ma non per questo è un sentimento negativo, svolge infatti la funzione essenziale di mettere in tensione l'esserci, lo rende aperto alla chiamata dell'ulteriore, in questo senso è il sentimento chiave dell'esistenza. ANGOSCIA nasce dalla consapevolezza di non riuscire mai nell'attualizzazione piena del nostro poter essere, di non poter divenire come si vorrebbe. Si fa esperienza di angoscia quando si prende coscienza di trovarsi in una realtà che è e diviene indifferentemente dai nostri progetti, sorda alle nostre tensioni: è questo sentirsi annodati al tessuto delle cose, dentro una realtà incontrollabile a generare angoscia. Ma se l'inquietudine è qualcosa che ci accade di sentire indipendentemente da un atto del pensare e se l'angoscia invade l'anima all'improvviso, quando ci si scopre esseri mancanti, il meditare radicalmente la nostra debolezza genera: DOLORE ONTOLOGICO pensiero che si forma gradualmente nel tempo quando la mente si ferma a meditare sull'esserci e radicalmente prende consapevo...


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