Le parole della cura PDF

Title Le parole della cura
Course FILOSOFIA MORALE
Institution Università degli Studi di Cagliari
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Riassunto folosofia della cura...


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1 Medicina Tra mito e storia Apollodoro descrisse il mito che racconta l’origine della medicina. Il protagonista della vicenda è Asclepio, nato dalla relazione tra Apollo e Coronoide ( un umana, figlia del re di Tessaglia). Coronoide durante la gravidanza si rifiutò di sposare il dio Apollo, poiché innamorata di un altro uomo, il dio dunque furioso, per tutta risposta decise di uccide la donna. Mentre il corpo della donna bruciava, il dio sottrasse dalle fiamme il neonato Asclepio e lo diede al centauro Chirone, affinché lo allevasse e lo educasse nell’arte della medicina e dalla caccia. Asclepio dunque è una figura che nasce dalla morte, caratteristica che noteremo in seguito accomuna molti personaggi. C’è un'altra variante del mito secondo cui Coronide diede alla luce il bimbo durante un viaggio, il piccolo viene abbandonato nel monte Tizione dove verrà salvato da Apollo che lo affiderà alle cure di Chirone. Le versioni seppur differenti hanno in sé lo stesso tema di doppia natura:  Il piccolo Ascanio infatti in entrambe le versioni ha una “doppia nascita” = la prima con il parto effettivo e la seconda con l’intervento di Apollo)  In entrambi i racconti Chirone si prenderà cura del piccolo. Chirone in quanto Centauro ha una doppia natura, è infatti metà uomo e metà cavallo  Raggiunta la maturità Asclepio riceverà da Atena il sangue sgorgato dalla testa di Medusa. Medusa è una grande icona di duplicità, ella è infatti umana/animale, maschile/ femminile, giovane/ vecchia, bella/ brutta, benigna/ maligna. Il sangue di Medusa L’immagine di medusa viene ripresa probabilmente da una cultura orientale, probabilmente dall’Egitto o dalla Siria.

Nei modelli greci arcaici La Medusa ha sempre un significato ambivalente, ella è inizio e fine, protettrice e potenza malefica, essere umano e essere animale, al confine tra il regno dei vivi e quello dei morti. È ambiguo il suo rapporto con la dea Atena, per alcuni la medusa è considerata il suo doppio o la sua faccia nascosta. Particolare considerato che sarà proprio Atena a mozzarle la testa. Qui inizia un viaggio lunghissimo a livello artistico della rappresentazione di medusa durante il tempo. Credo che quello che è importante è che appunto viene sempre raffigurata come una figura di una doppia natura. La nascita di Asclepio Asclepio grazie all’educazione di Chirone apprende l’arte medica. Diventato adulto egli è talmente bravo a padroneggiarla che non solo riesce a guarire gli ammalati ma è anche in grado di resuscitare i morti. Questa sua abilità è data dal sangue di Medusa, donatagli da Atena, che ha proprietà ambivalenti. Il sangue che sgorga dalla vena destra è capace di resuscitare i morti, mentre quello che viene dalla vena sinistra è capace di ucciderli. Asclepio apprende un arte che è ugualmente ambivalente, perché capace sia di salvare la vita che procurare la morte. L’identità della medicina è già scritta nella storia e nelle caratteristiche del personaggio che l’ha inventata: “Generato da una doppia nascita, frutto di un’origine in cui la vita scaturisce dalla morte, allevato da un personaggio per metà uomo e per metà animale, collegato per una pluralità di legami a Dioniso, dio della contraddizione, Asclepio riceve in dono il sangue della testa di Medusa, icona di duplicità, inoltre il sangue stesso produce effetti differenti e opposti”. Medico e Medicina. L’origine del termine medicina è controversa. Per alcuni deriva dal termine latino medeor che significa “prendersi cura”, “rimediare”. Per altri deriva da alcuni verbi greci che indicano attività quali “darsi pensiero” e “prendersi cura”, intese atteggiamento di proteggere e custodire. Alla radice dei termini medico e medicina ritroviamo perciò un attitudine che non corrisponde ad un azione pratica, quanto più ad una disposizione interiore, uno stato d’animo di interesse per l’altro.

Il medico è dunque colui che crea una relazione costituita da un interesse interiore per la protezione dell’altro. Galeno (medico greco antico) disse “Se ai medici è necessaria la filosofia per l’apprendimento iniziale e per il successivo esercizio, è chiaro che è vero medico è anche vero filosofo”. Senza la filosofia infatti non è possibile esercitare bene l’arte medica, mentre è più facile farsi risucchiare dalla logica del guadagno. In una commedia di Plauto c’è un passo in cui si evidenzia come il medico agisce non per ricevere un guadagno indietro ma per pura volotnà di cura, ciò che ottiene indietro al massimo riconoscimento sociale. La medicina Ippocratica. Ippocrate è considerato il padre della medicina. Egli scrisse il Corpus Hippocraticum, un insieme di numerosi testi tra il 430 e il 370 a.C. Alla base del pensiero di Ippocrate c’è uno schema che in seguito verrà consolidato e arricchito durante il corso della storia medica: Il punto di partenza dell’analisi è l’osservazione, Ippocrate da grande importanza al sintomo particolare attraverso cui ricostruire e risalire alla malattia a cui appartiene. La congettura che nasce da ciò ha una grande funzione euristica (dunque di ricerca, di scoperta). Ci sono tre importanti concetti che guidano lo studio medico:  Anamnesis = ricostruzione della storia passata del paziente  Diagnosis = corretta comprensione del dato osservato  Prognosis = previsione dell’andamento futuro della malattia. Per il medico è una cosa ottima praticare la previsione, predicendo la situazione passata e futura del paziente si potrà acquisire maggiore fiducia sulla possibilità di conoscere la situazione del paziente, e potrà così sviluppare una corretta terapia. Ippocrate stabilisce un metodo che parte dal particolare e può essere considerato l’iniziatore di un approccio logico-epistemologico. La qualità dei luoghi Il luogo non è un semplice “ricettacolo” di ciò che accade al suo interno, ma delle qualità che influiscono le forme di vita che vi ci abitano. Ciascun luogo non è solo

una porzione di spazio, piuttosto ogni luogo ha delle qualità che lo rendono differente da altri luoghi. Un testo di Ippocrate chiamate De Aeribus, sostiene che ogni luogo determina la forma fisica dell’uomo, sia a livello normale che patologico, le sue forme mentali e le forme politiche che crea. Il paradosso della Medicina

2 Terapia

Il significato originario di Terapia è “servizio”. Chiunque svolga la funzione di terapia è dunque un servitore. ( esempio di servitore nella mitologia greca= Patroclo con Achille). La Terapia è sintomo di obbedienza. Chi svolge la terapia si mette a servizio del proprio “assistito”, prestandogli obbedienza, si pone al suo servizio ascoltandolo. Nel rapporto tra Achille e Patroclo possiamo notare che non si sfocia in un’inferiorità dell’uno nei confronti dell’altro, o di un obbligo sociale. Anzi Achille è più giovane di Patroclo. Ne consegue il porsi di Patroclo di mettersi al servizio dell’amico è frutto di una libera scelta. Avviene poi nel corso dell’ Iliade un inversione dei ruoli: quando Achille decide di tornare nel campo di battaglia per vendicare la morte di Patroclo, egli diventa così titolare di terapia. La terapia non è legata ad un ruolo fisso , ma dipende dalla situazione e dalla scelta di chi la compie. Il termine terapia può riprendere anche ad un altro significato che ritroviamo nei dialoghi Platonici: ossia il culto degli Dei. Si può perciò dire che l’atteggiamento di servizio nei confronti dell’altro prende connotazioni di un vero e proprio culto. È un therapon non colui che esegue specifiche prestazioni (che potrebbero avvenire senza un coinvolgimento emotivo) bensì colui che assume un atteggiamento

complessivo, mettendosi a servizio dell’altro, non traducendo per forza questa disposizione in atteggiamenti concreti. Prendersi cura e curare. Il termine cura indica “sollecitudine” “premura” “interesse” per qualcuno. Avere cura per qualcuno significa “stare in pensiero” “prendersi a cuore” “essere preoccupati” per lui. Il termine opposto a cura è negligenza, ossia disinteresse o indifferenza. Patroclo è sinceramente therapon di Achille non perché faccia concretamente delle azioni per lui ma perché si preoccupa per l’amico. Anche nel campo medico in cui la cura ha un raggio esecutivo, sottintende una predisposizione d’animo. Il “servizio” più importante che possiamo fare per un altro è quello di preoccuparci per lui, avere a cuore la sua sorte. Perciò a livello medico non ha cura chi svolge delle azioni con distacco emotivo, ma chi anche senza far nulla ha interesse per la persona di cui ha servizio. La medicina come professione Con il passare del tempo però tuttavia c’è stato un mutamento nel senso di utilizzare questi termini. La terapia non è più collegata ad una disposizione umana verso l’altro ma significa l’insieme di tecniche il cui esecutivo è riservato solo a figure specifiche (es. svolge una terapia solo il medico, non l’amico o il genitore). In seguito a questa “professionalizzazione” della parola, si perde il carico affettivo che aveva precedentemente. Curare non è più un verbo che allude allo stato d’animo di un terapeuta verso il suo assistito ma , ma segnala tutto l’insieme di tecniche e azioni concrete che il primo svolge sul secondo. Il terapeuta non è colui che mosso da premura obbedisce al suo assistito, ma al contrario è questi che impone di assoggettarsi ad una cura, totalmente spersonalizzata. Anzi tutt’ora pare quasi che per rendere più efficace una cura è necessario somministrarla in maniera più apatica possibile. La cura dell’anima.

Si disse che Antifone avesse stabilito un arte, che al pari della medicina che curava i corpi, riuscisse a curare i dolori dell’anima. A Corinto egli apri un locale in cui pose un insegna dove dichiarava che avrebbe potuto curare il dolore interiore attraverso la cura delle parole.

Techne alypias = arte di liberare l’anima dal dolore, che si può raggiungere attraverso l’esercizio (Anassagora al sentire della morte dei suoi figli non batté ciglio) Ci possono essere differenti tecniche: Una consiste nell’avere bene in mente tutti i mali a cui si può andare incontro , in modo che se dovessero capitare non li si trovi nuovi e inattesi. La tecnica consiste nell’abituarsi al dolore, anticipandolo con il pensiero o l’immaginazione. (melete thanatou o medidatio mortis di Anassagora) Un altro consiste nell’arrivare ad un effetto consolatorio stimolando la pietà verso se stessi per arrivare al piacere del pianto e poi universalizzare tale sentimento attraverso l’esempio altrui. Un’altra ancora è la catarsi, raggiunta attraverso l’immedesimazione del dolore degli altri, che se più pesante del nostro relativizza il nostro sentire, rendendolo più facile da sopportare. Memoria e catarsi La techne alypias esprime la scelta di non voler distogliere lo sguardo dalla morte. Quando l’uomo decide di assumersi per intero la responsabilità della sua condizione, che inevitabilmente consiste nell’affrontare la malattia, la sofferenza, la vecchiaia, sviluppando delle tecniche che gli permettano di sopportare tutto ciò, cambia radicalmente il suo atteggiamento verso la morte. Non ci sarà più un far finta che la morte non esiste, anzi si avrà sempre in mente che essa è l’esito previsto per tutti noi. La forma più compiuta di titanismo consiste proprio nella techne alypia, ossia nella pretesa di farcela da soli.

L’altra medicina La medicina ufficiale è sempre assediata da altre forme alternative di cura. (es. medicina occidentale- orientale, ollopatica- omeopatica, tradizionale-ollistica). C’è una particolare forma di medicina che prende il nome di Narrativa, essa fortifica la pratica clinica con la competenza narrativa, per assorbire, metabolizzare, interpretare e sensibilizzare le storie della malattia. Aiuta i medici e gli infermieri a

migliorare l’efficacia della cura attraverso lo sviluppo di capacità, quali attenzione, riflessione, affiliazione e rappresentazione, da applicare con i colleghi e i pazienti. La Medicina narrativa ( che può avere come sigla NBM) non vuole sostituirsi alla medicina tradizionale (EBM) ma piuttosto arricchirla. Creare un migliore rapporto con il paziente, migliorando l’aspetto empatico, aiuta quest’ultimo apprendere decisioni più consapevoli e a condividere testimonianze che possono essere utili ad altri medici o pazienti.

Paziente? Il significato originario di paziente significa “colui che subisce, che soffre, che tollera”. Paziente è colui che è oggetto di qualcosa che lo fa soffrire, rispetto a cui è in una posizione subordinata. Questo termine ha una connotazione passiva. Se riprendiamo l’etimologia di terapia e cura, che come ricordiamo indicavano un servizio, è evidente che il loro significato si scontra con quello di paziente. Infatti se inizialmente è chi si prende cura che è in un rapporto subordinato all’altro, poiché offre un servizio, con l’inserimento del termine paziente notiamo una corrispondenza ad un capovolgimento dei ruoli: chi si prende cura c’è un capovolgimento dei ruoli: chi si prende cura ha una predominanza rispetto a chi le riceve. Un altro termine utilizzato vicino a paziente è malato, questo significa colui che sta male, molle, debole. Questa accezione è peggiore di paziente poiché ha un risvolto fortemente negativo: il malato in quanto portatore di male è egli stesso un male. Per un periodo si è utilizzato il termine cliente , egli etimologicamente si riferisce sempre a qualcuno che da retta, che da ascolto e dunque subisce una situazione. Se nella relazione di cura chi ha bisogno di cure è un cliente, significa che dovrà mettersi nei confronti del medico in una situazione di obbedienza. Questo discorso fa capire quanto sia importante la scelta del termine con cui si sceglie di indicare chi ha bisogno di cure. L’Ordine dei Medici nel Codice deontologico del 2006 aveva deciso di introdurre il termine di “persona assistita”. Con persona si indica un essere che ha in sé un valore, dotato di una sua identità,

mentre con assistita si evidenzia una condizione transitoria, non permanente del soggetto.

3 Farmaco

Un rimedio che avvelena Il termine greco pharmakon, deriverebbe dall’egiziano, e significherebbe rimedio, che in certe dosi può essere un veleno. Il farmaco è dunque una sostanza che può essere sia rimedio che veleno, a seconda di come lo si usa. Il farmaco può essere una cosa solo se è allo stesso tempo anche l’altra, la connessione tra tossico(il negativo) e antidoto(il benigno) non può rompersi. Il giorno dell’espiazione Nella Bibbia ebraica, nello specifico nel Levitico ( il terzo libro) nel “Giorno dell’espiazione” viene descritta una cerimonia in cui per poter guarire il popolo di Israele dalla malattia che lo ha contaminato, sarà necessario riversare sulla testa di un capro tutte le colpe, le trasgressioni, le brutture del popolo, inviandolo in seguito nel deserto. Il risanamento dell’organismo, il popolo di Israele, potrà essere ottenuto solo svuotandolo dalle impurità che lo hanno ammorbato, trasferendole all’esterno. Il capro fungerà da rimedio poiché raccoglierà in sé tutti i peccati degli altri, in modo che l’espulsione del capro coincida con l’espiazione dei peccati. Non si può permette che il male penetri all’interno di un organismo, determinandone la malattia, si può però risanarlo espellendo l’ospite indesiderato. Pharmakos Un rituale pressoché identico veniva effettuato nel mondo greco antico. Si tramanda che ogni anno la città ateniese scegliesse uno dei suoi membro, che soffrisse di qualche malformità fisica o mentale, venisse accompagnato alle porte della città durante una processione e in seguito espulso e trasferito all’estero, affinché la sua

uscita corrispondesse alla liberazione dalle contaminazioni e i mali che facevano parte del gruppo sociale della città tutta. Il personaggio a cui veniva affidato questo compito prendeva il nome di pharmakon . “Egli doveva attirare su di sé tutta la presenza malefica per trasformarla, con la sua morte, in presenza benefica”. In alcune varianti di questo rito la vittima è un re o un eroe. Egli in ogni caso in questi riti era adornato e considerato come un essere sacro. Ciò che conta evincere da questo racconto è che questa figura è segnata da ambivalenza, è un insieme tra bene e male, è impossibile distinguere e separare le “due facce”. Una piaga infetta Qui c’è il racconto di Edipo, la tragedia Sofocle. La storia narra che Laio, padre di Edipo e re di Tebe, aveva saputo dall’oracolo che, se avesse avuto un figlio, questi un giorno lo avrebbe ucciso, avrebbe sposato la madre e avrebbe provocato la rovina della sua casa. Laio, tuttavia, generò Edipo e per evitare l’avverarsi della profezia, ordinò a un servo di abbandonare su un monte il neonato. Il servo eseguì l’ordine, ma poco dopo un viandante che passava di là per caso udì piangere il bambino e, mosso a pietà, lo raccolse e lo portò al suo signore, il re di Corinto Polibo che, non avendo figli ed essendo desideroso di averne uno, lo allevò come proprio. Divenuto adulto, Edipo, ebbe una disputa con un tale che, per offenderlo, gli disse che lui non era il vero figlio di Polibo, ma solo un trovatello salvato dalla morte. Allora, turbato da quella rivelazione, il giovane andò a Delfi per chiedere al dio Apollo chi fossero i suoi veri genitori. L’oracolo di Delf non gli disse nulla a questo proposito, ma gli predisse che un giorno avrebbe ucciso suo padre e sposato la stessa madre. Volendo sfuggire a quel destino che lo terrorizzava, Edipo decise di non tornare mai più a Corinto. Un giorno però, mentre si trovava a un bivio incrociò la carrozza su cui viaggiava Laio, il cui cocchiere prese così male la curva, che una ruota passò sopra a un piede di Edipo. Essendone nato un grave litigio, il giovane per difendersi da Laio che stava per ucciderlo, trafisse proprio quel padre che non aveva mai conosciuto.

Tempo dopo, mentre continuava il suo viaggio, Edipo incontrò la Sfinge e risolse il suo enigma: «Qual è l’animale che ha voce, che il mattino va con quattro piedi, a mezzogiorno con due e la sera con tre?» Edipo pensò attentamente e rispose: «Quell’animale è l’uomo, che nell’infanzia si trascina carponi, nell’età adulta sta in piedi e nella vecchiaia procede appoggiandosi a un bastone». Spezzato il sortilegio, la Sfinge, rabbiosa, si gettò dalla rupe e morì. Avendo liberato Tebe da quel mostro sanguinario, Edipo fu accolto dalla città come un trionfatore tanto da riceverne in moglie la regina Giocasta, sua stessa madre. E così sebbene Laio ed Edipo avessero cercato entrambi di sfuggire alla terribile profezia, tutto si era avverato inesorabilmente Guarire intossicando Una volta scoperto il fatto Edipo si auto esilia dalla città. Edipo è incarnazione di farmaco, è bene e male. Salvò la città di Tebe sconfiggendo la sfinge ma allo stesso tempo distrusse la sua famiglia, macchiandosi di peccati indicibili. Svolto questo deve perciò lasciare la città per liberarla dal male che lui ha portato e che ora ha carico su di sé. Qui inizia un viaggione fatto di tanti esempi mitici o flosofci in cui alla fne di tutto c’è sempre il messaggio fnale: il farmaco è sia bene che male. Alcune cose interessanti: il farmaco potrebbe essere considerato come un ubris (tracotanza, decisione di mettersi al pari degli dei) da parte degli uomini perché interrompe ciò che è il destino del corpo, ossia morire in quel dato tempo quando sopraggiunge la malattia. Riferimento alla morte di Socrate, egli chiese la Cicuta e le sue ultime parole prima di morire furono “Siamo debitori di un gallo ad Asclepio. Pagatelo, non dimenticatelo”. Il suo ultimo pensiero fu quello di offrire un sacrificio al dio della medicina, perché? Perché il farmaco che stava bevendo, che in quel caso aveva la forma di veleno, in realtà lo stava liberando dalla vita terrena per condurlo, sperando, in un'altra dimora ultraterrena, forse più accogliente. La cicoria, non è agente di morte, ma il mezzo attraverso cui arrivare ad una nuova vita. Per questo egli è debitore ad Asclepio, divinità doppia, che può curare o uccidere. Mito di prometeo che dona le abilità tecniche all’uomo per poter sopravvivere, il farmaco, la speranza di poter affrontare la morte, ma di conseguenza l’incapacità di

farlo davvero. Ad ogni dono corrisponde una perdita. Ci salva la speranza ma arriva la condanna data dal...


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