Riassunto LE Parole DELL\' Etica PDF

Title Riassunto LE Parole DELL\' Etica
Author desirèe verga
Course Filosofia Morale
Institution Università degli Studi di Padova
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IL DUPLICE COMPITO DELL’ETICA Etica e morale dal punto di vista etimologico Il termine etica e il termine morale etimologicamente intendono la stessa cosa: infatti il termine greco ethos e il latino mos, moris significano entrambi comportamento, costume, modo di agire. Anche se alcuni autori cercheranno di distinguere i due termini, essi storicamente sono intercambiabili. Il carattere e la dimora (ethos) Aristotele nell’etica nicomachea distingue le virtù dianoetiche, espressione della parte razionale dell’anima e derivanti dall’insegnamento, dalle virtù etiche, espressione della parte desiderativa/irrazionale dell’anima e derivanti dall’abitudine. È importante ricordare, tuttavia, che per Aristotele la parte irrazionale dell’anima è governata dalla parte razionale, quindi le virtù etiche sono guidate dalle virtù dianoetiche. Le virtù etiche, anche dette virtù del giusto mezzo o del carattere, nascono dalla confluenza di desiderio e ragione. Le virtù etiche in greco vengono definite dal termine ethike, che deriva dal termine ethos, i cui significati interessano tre campi semantici: 1) la dimora, l’abitazione, la tana degli animali 2) Il costume, la consuetudine, l’abitudine 3) Il carattere, l’indole È proprio per quest’ultimo significato che aristotele chiama le virtù etiche ethike: infatti per aristotele il carattere può essere forgiato dall’abitudine che il soggetto assume; La virtù etica altro non è che il risultato della somma delle azioni del soggetto (un uomo coraggioso sarà colui che agisce abitualmente in modo coraggioso). Analogamente i vizi saranno abitudini cattive. Dunque il carattere è strettamente legato all’abitudine, esso può essere medicato dalla consuetudine. Etica ed ethos Hegel è uno di quegli autori che distingue l’etica dalla moralità: infatti con il termine tedesco Sittlichkeit (etica/eticità, ma letteralmente costumità) vuole richiamare il concetto greco di ethos. L’intento di Hegel era quello di evidenziare il concetto di costume con il concetto di abitare, quindi di vivere dell’uomo: l’uomo, per Hegel (e probabilmente anche per aristotele), sarebbe continuamente influenzato dalle condizioni dell’ambiente esterno in cui abita. Abitando nell’ethos, il soggetto interiorizza e assimila in modo indiretto il senso delle regole, delle leggi, delle istituzioni e dei costumi vigenti. Il soggetto inevitabilmente quindi si riflette nell’ethos perché esso è un elemento importante che lo caratterizza e lo specifica, è l’elemento della sua stessa soggettività. Il soggetto dunque diventa in prescindibile dall’ethos, ha fede in esso. Questo legame è talmente stretto che il soggetto che la consapevolezza del soggetto identificato nell’ethos e appropriato dei suoi contenuti, porta lo stesso soggetto a criticare questi ultimi quando essi non sono eticamente giustificati. Hegel evidenzia chiaramente che la riflessione morale sia nei confronti del singolo soggetto, sia in una forma più sistematica si sviluppa sempre a partire dall’ethos esistente, e tuttavia essa comporta anche una revisione critica dei contenuti dell’ethos stesso, che si può tradurre in una loro contestazione o negazione. Ecco che per Hegel il rapporto tra etica ed ethos è un rapporto di osmosi e di continua comunicazione e di revisione critica. In questo senso, la formazione di una coscienza morale è un processo che non si può mai concludere, ma che richiede un continuo con l’ethos all’interno del quale il soggetto vive: il soggetto morale non potrà mai riconoscere

un determinato ethos come la sua etica, dato che non è detto che i comportamenti condivisi dalla maggioranza siano etici. D’altronde Il fine della coscienza morale è quello di vivere bene. E la vita buona tra alimento dall’agire bene (eupraxia, ossia agire eticamente) e procura felicità (eudaimonia). L’etica non mira a identificarsi completamente nell’ethos, ma mira a raggiungere la vita buona. Anche perché non c’è etica senza libertà: il soggetto deve essere libero di avere un rapporto indipendentemente dall’ethos in cui vive, il quale certo lo influenzerà, ma non per questo dovrà identificarsi in tutto e per tutto con la sua etica, con il suo agire. Già Kant, tra l’altro, aveva individuato nella libertà un postulato fondamentale della moralità. In sostanza la morale storica/tradizionale non deve per forza essere la morale del soggetto, il quale è libero di decidere la propria moralità ed è libero di agire come meglio crede. La cura di sé e il criterio delle ragioni morali Per comprendere cosa sia bene e male il soggetto deve conoscere sé stesso, deve capire come prendersi cura di sé. Questa conoscenza implica una conoscenza della propria anima. Inoltre in questo itinerario il soggetto non può essere sostituito da niente e da nessuno; in altri termini il bene non può essere trasmesso o predeterminato dall’esterno. La vita secondo virtù non può mai essere slegata dal ricercare, essa assicura l’autosufficienza (autarkeia) e l’autonomia del soggetto morale, un soggetto che proprio i grazie alle sue virtù è un soggetto libero e non schiavo. Riassumendo, la conoscenza di sé e della propria anima, l’autonomia, il riconoscimento della propria limitatezza conoscitiva e la disponibilità alla ricerca sono gli elementi che contraddistinguono la cura di sé da parte del soggetto. Come ricorda Platone nel Critone, l’unico criterio che va sempre seguito in ambito morale è dare ascolto a ciò che dice la nostra ragione: l’opinione della gente, anche se maggioritaria, non può mai essere garanzia di moralità o meno di un atto. Il criterio di seguire la ragione è imposto nel nostro essere, la ragione morale ha per il soggetto una valenza oggettiva, non può cambiare a seconda delle situazione (Socrate non può ripudiare una polis che ha sempre ritenuto giusta solo perché lo condannano). Il moral point of view Kurt Baier sosteneva che il punto di vista morale (moral point of view) fosse una prospettiva in grado di far valere buone ragioni per distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è. Per Baier è importante che i principi morali vengano riconosciuti universalmente come superiori ai principi egoistici (self-interested), essi devono essere non autointeressati e valere sempre per tutti. Il punto di vista morale è superiore ad ogni altro punto di vista, è oggettivo e non contingente, esso identifica la morale in quanto tale (morality as such). Inevitabilmente all’interno del soggetto deve avvenire un continuo confronto tra il moral point of view e l’ethos vigente: è compito dell’etica verificare quali contenuti dell’ethos siano compatibili con il punto di vista morale. In questo modo il moral point of view rappresenta un modo per il quale le norme dell’ethos possano continuare a migliorarsi grazie a questo processo di perenne confronto critico. L’etica e la molteplicità delle etiche (morali storiche) Nella repubblica di Platone viene descritta una rappresentazione di diverse interpretazioni etiche e politiche della giustizia: Socrate, dopo essersi recato al Pireo, mentre sta facendo ritorno a casa viene invitato da Cefalo in casa sua; qui inizia una discussione animata a cui partecipano vari personaggi e che ha l’obiettivo di determinare che cosa sia la giustizia.

a) etica particolaristica e perbenista (Cefalo): Cefalo si fa portavoce di una visione tradizionalista secondo la quale «possedere denaro è un fatto che merita ogni considerazione per le persone dabbene e moderate»; l’uomo ricco e perbene assume come criterio del giusto la sua stessa esperienza particolare (visione superficiale) b) etica di gruppo (Polemarco): Polemarco sostiene che è giusto che gli amici aiutino i propri amici e danneggino i propri nemici, delineando così un’etica del gruppo. Socrate gli fa notare come sia difficile applicare una tale visione di giustizia: come si fa ad identificare il con certezza chi faccia parte del gruppo e chi no? Dunque socrate è portato a rifiutare l’etica proposta da Polemarco a causa del suo carattere fortemente ideologico. Socrate, invece, sostiene che «non è giusto danneggiare alcuno, in nessun caso», dato che il male peggiora sia chi lo compie che chi lo subisce. Socrate apre ad una visione della giustizia caratterizzata da una sorta di universalismo implicito. c) etica dell’utile del più forte (Trasimaco) i) etica legalistica: l’universalismo appena introdotto da Socrate viene fortemente contestato da Trasimaco, il quale sostiene sostiene un punto di vista disincantato e sospettoso di qualsiasi tipo di retorica del buono della giustizia: la giustizia è l’utile del più forte, ciò che è giusto corrisponde alle norme stabilite dalla legge, la quale è espressione di chi ha il potere, ossia del più forte. Trasimaco avanza una tesi intrinseca di una concezione antropologica pregna di pessimismo ed egoismo. È la legge a determinare cosa sia giusto, questo suo positivismo giuridico porta ad appiattire il giusto morale sul giusto legale ii) Etica della convenienza: Trasimaco rincara la dose sostenendo che non è conveniente essere giusti, piuttosto conviene ricercare il proprio utile e di conseguenza conviene essere ingiusti. In quest’ottica gli uomini giusti vengono definiti degli autentici ingenui perché invece di perseguire il proprio bene, tendono a soddisfare quello dei più forti seguendo le leggi. Insomma, per Trasimaco dedicarsi alla giustizia è controproducente e non porta alla felicità. In realtà poi Platone all’interno della repubblica tesserà uno stretto legame tra giustizia e felicità, dichiarando che quanto più una polis si allontanerà dalla giustizia, tanto più sarà infelice. d) Etica come tecnica (prima obiezione di Socrate): Socrate paragona l’arte tecnica della politica alla medicina: così come il medico ha come fine il bene del malato che cerca di curare, così anche l’arte del governo ha come fine il bene di chi è sottoposto alla sua giustizia (ossia le leggi) e non tanto di chi è al potere. (Obiezione piuttosto debole che definisce l’etica in maniera riduttiva come una mera techne: una concezione alla quale consegue che l’uomo politico è il solo che possa determinare cosa sia bene e cosa sia male per i cittadini. Trasimaco replica dicendo che sarebbe come dire che l’arte del pastore abbia come fine il bene dei suoi animali, infatti, nonostante alla fine gli sgozzi, egli cerca sempre di curarli. Allo stesso modo per Trasimaco il medico curerebbe i pazienti non per il loro bene, ma per il guadagno. Platone qui non vuole nascondere la difficoltà di Socrate nell’affrontare la tesi molto problematica di Trasimaco) e) Etica minimale (seconda obiezione di Socrate): Socrate dichiara che c’è sempre bisogno di un minimum di giustizia, anche per compiere azioni ingiuste (anche il ladro ha una propria etica e un proprio senso della giustizia). Non è possibile

prescindere totalmente da un principio di giustizia. Così Socrate stabilisce un primato della giustizia sull’ingiustizia, è per questo che è più conveniente essere giusti che ingiusti. La nostra natura relazionale di uomini richiede una “inevitabilità” della giustizia, in ogni società giace essenzialmente un elemento morale. (Obiezione molto forte che caratterizza la concezione della giustizia in modo profondo) f) Etica retributiva (terza obiezione di Socrate): il comportamento dei giusti è apprezzato e premiato dagli dèi, quello degli ingiusti è al contrario disprezzato e punito. L’etica può poggiare su una teoria della retribuzione, fondata religiosamente. (Anche questa obiezione è debole, in quanto la definizione di etica che ne viene data è riduzionistica oltre che problematica). g) Eteronomia ed etica della paura (glaucone): Glaucone mette in luce i possibili caratteri problematici di un'etica minimalistica come quella proposta da socrate nella seconda obiezione: il carattere difensivistico dell’etica (per il quale anche i ladri hanno un minimum di giustizia perché hanno sempre paura di essere scoperti) potrebbe trasformare l’etica in un’etica eteronoma della paura. Glaucone vorrebbe ascoltare un elogio della giustizia per sé stessa. Glaucone vuole capire se la giustizia ha valore in sé e per sé oppure dipenda da fattori estrinseci. Glaucone vuole evitare che il comportamento morale sia dettato dal timore della sanzione piuttosto che da un’intima convinzione. Glaucone sostiene che in realtà questo sia impossibile, dato che il movente dell’agire è sempre dato da fattori esterni: qui Glaucone racconta il mito dell’anello di Gige, ossia la storia di un pastore che, avendo trovato un anello magico che lo riesce a rendere invisibile, si intrufola all’interno della reggia del re, dove egli uccide quest’ultimo e seduce la regina. Glaucone con questo mito vuole dimostrare come nessuno è giusto di proposito, ma in quanto vi è costretto, se una persona avesse la possibilità di perseguire solo il proprio interesse senza conseguenze lo farebbe senza problemi. h) Eteronomia e mistificazioni dell’etica (Adimanto): Adimanto critica la terza obiezione di Socrate a trasimaco: dire che si fa il bene per desiderio del premio divino sottolinea quanto sia strumentale l’adesione al bene e al giusto. Per Adimanto i padri educherebbe i figli alla giustizia solo per sperare di assicurargli fama e buona reputazione. L’inesauribilità del Bene e l’istanza critica dell’etica Alcuni studiosi hanno notato come in Platone sia importante il concetto di discesa (Katabasis) e risalita (anabasis): questi termini oltre a descrivere, per esempio, il movimento compiuto da Socrato quando scende nel Pireo e risale ad Atene, rappresentano gli elementi necessari del percorso di purificazione, di askesis. Anche nel mito della caverna il filosofo per purificarsi dopo la discesa nella caverna, deve risalire nel mondo esterno, per poi compiere una nuova discesa e per divulgare le idee del bene. Tutto questo si potrebbe tradurre con la concezione di una sorta di necessità del dover scendere nella dimensione della doxai (delle opinioni comuni) per risalire poi verso l’idea del Bene e della giustizia. L’etica filosofica si pone il compito di continuare a porsi in un processo di analisi, di interrogazione e di revisione critica delle diverse prospettive etiche particolari. Il Bene e la giustizia non si potranno mai identificare in un modello unico e predeterminato di etica, ma saranno frutto di una continua revisione compiuta dal soggetto nei confronti delle varie morali storiche a cui è sottoposto. Questa concezione sottolinea l’inesauribilità del concetto di Bene, del quale non abbiamo e non potremmo mai avere una conoscenza adeguata. Questo non esclude che si possano

individuare alcune attribuzione del Bene, e che quindi esso possa essere conosciuto parzialmente e in modo indiretto: per esempio si può dire che il Bene è l’oggetto che ogni anima persegue, tuttavia esso rimane indefinibile. Lo stesso Socrate si sottrae alla richiesta di Glaucone e Trasimaco quando gli chiedono di definire l’idea di Bene, essa non può essere trattata al pari delle altre idee. La rinuncia a concettualizzare l’idea del Bene evidenzia la sua importanza, di essa si può solo dire che è il telos, ossia il fine a cui l’uomo tende. L’inesauribilità del Bene sottolinea anche l’impossibilità di comprendere un concetto infinito nella sua integralità per un essere finito come l’uomo. Max Scheler poneva l’attenzione, infatti, sull’impossibilità di identificare il Bene in un’etica storica definita da degli uomini: come Gesù stesso disse, “Nessuno è buono se non Dio stesso”, ossia il Bene può essere identificato solo in Dio; dunque ogni tentativo di identificare il Bene in una determinata etica umana è un tentativo vano che sfocia in una sorta di fariseismo. Questo accade nella Germania nazista dove la giustizia suprema venne identificata nel volere del fuehrer La riflessione etica mette in guardia verso la possibilità di identificare in un determinato gruppo, stato, persona o ideologia il criterio del bene e del giusto (il moral point of view), il quale invece deve necessariamente rimanere autonomo e indipendente. ESPERIENZA ETICA Aspirazione alla vita buona e obbligazione Hegel Hegel distingue in questo senso i significati di moralità e di eticità: ● Moralität: esprime la dimensione morale prettamente personale, dove la libertà viene colta nella sua dimensione coscienziale, come presupposto necessario per la responsabilità (la massima espressione di Moralität per Hegel è rappresentata dall’etica di Kant) ● Sittlichkeit: esprime una dimensione morale dove la libertà viene intesa nel suo oggettivarssi e realizzarsi nell’ethos vigente. Sottolinea l’importanza del continuo confronto critico tra ethos ed etica Un altro autore che distingue, similmente a come fa Hegel, le due concezioni è Jürgen Habermas, il quale però evidenzia un’importanza della morale sull’etica: infatti, per lui l’etica kantiana concerne le domande esistenziali e identitarie relative al perseguimento del proprio ideale di vita buona, sia personale che comunitario. La moralità è l’unica che potrebbe davvero garantire l’uguaglianza tra gli uomini (fa riferimento alle recenti possibilità di modificare geneticamente gli embrioni per creare persone artificiali, le quali proprio per il fatto di essere artificiali sarebbero differenti dagli altri). Paul Ricoeur Anche Paul Ricœur distingue etica e morale, dando più importanza alla prima, ma sottolineando anche la necessità dell’integrazione delle due dimensioni: infatti, la dimensione ottativa dell’etica che desidera la realizzazione di sé, che si traduce con la cura di sé del soggetto morale, per Ricœur, si dovrebbe legare in modo stretto alla dimensione deontologica e normativa della morale. Grazie alla distinzione apportata da Ricœur si può mettere in luce un elemento caratteristico dell’agire umano fin dai tempi di Aristotele: infatti, è intrinseco nell’uomo il desiderio di realizzare sé stessi in una vita buona. Dunque l’esperienza etica è in primo luogo compresa come orientata in senso teleologico (verso il fine della vita buona). Inoltre, grazie

all’interpretazione di Ricœur, possiamo dire che tale ricerca è accompagnata da un momento riflessivo, strettamente personale, che può essere chiamato stima di sé o cura di sé: valutando e apprezzando il nostro agire morale, noi apprezziamo anche noi stessi come autori di tale agire. (1) La prima componente dell’esperienza etica è che essa non può prescindere dall’aspirazione della vita buona. Tuttavia questa aspirazione non va intesa in senso individualistico, ma presuppone sempre il rapporto del soggetto con le alterità degli altri soggetti: in questo modo il movimento finalistico passa dal piano personale del singolo al piano interpersonale della collettività. A questo riguardo Ricoeur distingue i due modi con i quali il soggetto può identificarsi in sé stesso: egli infatti si può riconoscere secondo l’idem in modo egoistico e personale; oppure si può riconoscere secondo l’ipse, come un ipseità soggettiva, dove il singolo si riconosce unico, diverso e altro, ma che presuppone il rapporto con un alterità. È proprio l’ipseità che costituisce un elemento imprescindibile dell’atteggiamento del soggetto nell’esperienza etica: questa necessita che il soggetto morale si confronti sempre con delle alterità, la prima di tutte è rappresentata da sé stesso, la prima alterità è la propria ipseità. (2) Così la cura di sé si traduce nella cura della propria alterità: una seconda componente dell’esperienza etica è la possibilità di riconoscere l’altro, che prima di tutto si realizza all’interno del soggetto durante la riflessione morale. Il soggetto avendo cura di sé ha anche cura dell’altro e l’esperienza etica gli assicura un movimento di reciprocità per cui anche l’altro sarà portato ad avere cura di lui. (3) Una terza componente dell’esperienza etica è l’aspirazione a vivere all’interno di istituzioni giuste: le istituzioni vengono viste come strutture che si fanno garanti delle prime due componenti della vita etica, le regolano e le normativizzano, le universalizzano. La giustizia presuppone la cura di sé (come anche cura dell’altro) per assicurare la sollecitudine per l’altro e l’uguaglianza. La giustizia formula regole, principi e norme che fondano la possibilità di inseguire l’aspirazione alla vita buona propria dell’esperienza etica. Di fronte ai molteplici mali pone esprime dei comandi come “non uccidere” o “non rubare”... Ricoeur lega così indissolubilmente l’...


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