Riassunto Parole in libertà PDF

Title Riassunto Parole in libertà
Course Storia dell'educazione
Institution Università del Salento
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Parole in libertà Introduzione La letteratura per l’infanzia è un ambito di studio complesso che si colloca su un terreno di confine tra creazione artistico-letteraria e istanza pedagogica e per la trasversalità di generi (narrativi, poetici) nei quali si getta. Richiede una trasversalità di strumenti interpretativi per comprendere i suoi contenuti e intenzionalità cognitive. Gioco linguistico→ in letteratura significa muoversi all’interno di un campo dai confini sfumati, di difficile determinazione. Gioco e linguaggio in narrativa e in poesia si presentano a livello di mero ludus verbale, calembour, motto ma anche attraverso un plurilinguismo ed una pluridiscorsività che insistono sul piano della polisemia, dell’interpretazione non univoca di sensi e significati. Il gioco di parole in letteratura mantiene relazioni prossime con il comico, riso, umorismo, assurdo, ironia e satira con le varie implicazioni storico-culturali (si può presentare con un linguaggio alto o basso popolare) ma le mantiene anche con la creazione utopicofantastica in cui la significazione rimanda ad altro scardinando gli elementi del reale ampliando l’esperienza, suggerendo uno sguardo nuovo e imprevisto sulle cose e sul mondo. Il libro è suddiviso in 3 capitoli in cui troviamo la presentazione di materiale letterario e forme significative (nonsense e limerick) ed un’indagine critica volta a snodare le intenzionalità e le potenzialità del gioco con le parole nel corso del tempo a partire dai classici fino ad oggi. 1° capitolo→ relazione naturale tra letteratura per l’infanzia, gioco linguistico e creatività; vengono inoltre tracciati i confini di tale genere che si origina dalle tradizioni popolari e che è diventato poi prodotto letterario. Vengono analizzati l’Alice di Carroll e il Gulliver di Swift. Entrambi i testi offrono la possibilità di fare un’indagine nella dimensione dialogica e nel linguaggio decostruito e ri-costruito nuovamente e creativamente un modello di formazione identitaria, ma anche di ribaltamento dell’esistente e di costruzione di mondi alternativi in un’ottica utopica. Il linguaggio si fa contenitore ampio di significati, strumento di gioco, sistema capace di prospettare elementi propri del linguaggio onirico o interiore, ma anche affini al mondo ludico infantile. Il nonsense è presentato sia sul piano linguistico-verbale che sul piano del significato come genere che acquista una propria dignità poetica e di cui è possibile scorgere un’intenzionalità legata al piacere che scaturisce dall’incongruo e alla volontà di ridisegnare ludicamente l’esperienza. 2° capitolo→ Viene analizzato Gianni Rodari con il suo contributo ad una nuova forma di espressione letteraria dedicata all’infanzia influenzata dal futurismo alla Palazzeschi e dal surrealismo francese. La volontà di delineare una fantastica come la logica, l’ideazione di tecniche di costruzione fantastica per lo sviluppo della creatività e di un pensiero divergente, capace di interpretare e di elaborare il dato inconsueto, permettono una riflessione sulla lingua che offre notevoli occasioni per la definizione di un senso altro profondamente ideologico e utopico ma di estrema rilevanza su un piano pedagogico. Il gioco linguistico in Rodari si appropria della dimensione logica e si fa strumento di destabilizzazione, emancipazione, riso, divertimento: la letteratura per l’infanzia perde i connotati moralistici e didascalici che l’avevano per lungo caratterizzata per attribuire importanza al piacere che scaturisce dal testo, dalla lettura, dalla narrazione. C’è priorità della parola rispetto al linguaggio. Gli scrittori post-rodariani si inseriscono lungo la linea dello stemma rodariano e di lui ne assimilano il gusto, il piacere derivato dal gioco linguistico, dell’effetto fonico delle parole che si scontrano, che provocano shock semantici, che producono una destrutturazione dei nessi logici e potenziano la musicalità e la gratuità nonsensica di filastrocche e poesie. 3° capitolo→ si ha Toti Scialoja alla ricerca dei “semi” sonori di una parola, di “un’infanzia del linguaggio” che affiora nella scomposizione della parola stessa: la poesia fatta di nonsense, alla ricerca del senso si predilige la scomposizione e ramificazione di una parola che si oggettivizza in gioco, materiale plastico e duttile cui dare forma. Roberto Piumini è autore capace di unire alla ricerca di nuove sonorità e di una pluralità di forme espressive una modalità di comunicazione in reale sintonia con l’animus infantile. La resa sonora di una parola s’impone rispetto ad un messaggio ideologico per dare corso ad una fruizione libera e giocosa del testo e della

parola. Bruno Tognolini, Nico Orengo, Pietro Formentini, sulla scia di godimento del ritmo e della rima ci consegnano un’idea di parola di cui è possibile fare esperienza linguistica e corporea. Bianca Pitzorno è capace di produrre coniugando fantastico e quotidiano, emergenze etico-civili e umorismo, gioco, creatività e piacere legati alla fruizione di un testo. Gli scrittori si fanno narratori puri, adulti capaci di parlare il linguaggio del bambino senza intenzioni altre, per il piacere di raccontare e di raccontarsi, di costruire anche nel dialogo effettivo ed esclusivo con il mondo dell’infanzia, prospettive immaginarie per un’interpretazione del sé e del reale. Nell’ultima parte del lavoro si riflette su il valore formativo di una parola giocata trasmessa al bambino con la sua carica eversiva che diviene fatto sociale, comunitario, dialogico, vero e proprio dispositivo di movimento, contestazione e apre una strada di libertà nella disposizione al possibile, al nuovo, al diverso, contro un messaggio statico, monolitico, univoco. CAPITOLO 1° LINGUAGGIO E GIOCO NELLA LETTERATURA PER L’INFANZIA 1. La parola: campo di creatività “Le parole sono un materiale plastico con il quale si può fare di tutto” - Sigmund Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (1905) 1.1 Gioco linguistico, letteratura per l’infanzia e creatività Il linguaggio come gioco o gioco linguistico in letteratura è presente da tempi antichi ed ha assunto nel tempo forme e funzioni varie in relazione al contesto socio-culturale d’origine ed alle tensioni ideologiche correnti generando per lo più divertimento, riso ma anche straniamento nel lettore (o ascoltatore) a causa dello scollamento tra i nessi logici, tra significante e significato, tra senso e nonsenso e delineandosi, talvolta, come dispositivo di rovesciamento del reale e conforme. La letteratura per l’infanzia, quella che si sviluppa dal basso, dalla tradizione popolare e che discosta dal pedagogismo edificante istituzionalmente definito, si appropria della dimensione creativa del linguaggio ed è ricca di significati stratificati e richiede un’analisi sul testo superficiale e profonda per individuare i messaggi sottesi. In superficie è un genere letterario con caratteri propri, connessi alla creatività e alla pedagogica. In profondità crea un effetto connesso all’immaginario individuale, in quanto il lettore a contatto con quei testi libera bisogni e attese, accoglie regole e modelli, si cala in una Weltanschauung e ne fissa una propria. Attraverso il plurilinguismo, linguaggio che si dispone su più piani di lettura, la letteratura per l’infanzia si fa genere di frontiera, come la definisce Boero, perché intrinseca generi letterari diversi e interessa più prospettive disciplinari facendosi esperienza intrigante a livello interpretativo per la combinazione di forme e contenuti inattesi e inusuali. Il gioco linguistico in letteratura si inserisce all’interno di una narrativa che guarda essenzialmente al piacere, evasione, gusto per la parola, suono, ma anche alle relazioni che questa tesse con l’inconscio, il rimosso infantile, sia attraverso una decostruzione e una ricostruzione dei linguaggi narrativi, sia attraverso l’uso di una parola che si fa polisemica, plurale, mutevole. È un genere che si pone su un territorio di confine tra le categorie del comico e dell’assurdo (nonsense) e stabilisce parentele con il simbolismo tipico del meraviglioso e del fantastico. Il surreale e l’ironico sono spesso aspetti caratterizzanti il fantastico, all’interno del quale avanzano una provocazione ed una critica sottile nei confronti delle istanze socio-culturali conservatrici per affermare il valore della trasgressione. Si tratta di una letteratura che provoca stupore, apertura all’altro/al nuovo e di complicità/accoglimento (il principio del riso è il gioco. Giocare è liberarsi da ogni costrizione. Rilassarsi, dar libero sfogo alla propria immaginazione, alla propria natura), “dominio del mondo, addomesticamento della realtà, animazione dell’inerte, dilatazione dello spaziotemporale, ribaltamento del dato, atmosfera di vita, ambiguità elevata a sistema, humor, demistificazione, liberazione dal ghetto della lingua codificata”. Il gioco linguistico aderisce al fantastico nel ribaltamento, demistificazione e decostruzione, ma anche all’animus ludico infantile, a quel linguaggio di formazione che muta, che è “entità dinamica e non statica”; nel fantastico la creatività della parola serve, come nel gioco, a costruire nuovi mondi. Il gioco verbale ha la sua funzione di riconferire carattere magico all’abusato

linguaggio quotidiano. Nel momento in cui le regole del discorso sono trasgredite e ripristinate, la parola perde la propria univocità, viene trasferita, genera spaesamento, inquietudine, ma di fatto getta luce su una prospettiva inedita e va a costruire un senso alternativo. Tra i generi comico e fantastico si aggiungono due categorie generative del gioco linguistico: il gioco e la creatività. La parola gioco→ → ha carattere metaforico e ideologico, “come una parodia o satira dell’ordine dominante e si coniuga all’idea di un bambino competente, interprete della realtà sociale” e la contrapposizione ontologica che nel gioco si crea tra regola e libertà: “ogni gioco è anzitutto e soprattutto un atto libero” dice Johan Huizinga, ma un gioco per essere tale deve sottoporsi ad una regola come il linguaggio che secondo le riflessioni wittgensteiniane (Wittgeinstein concepisce il linguaggio come una molteplicità di giochi di comunicazione (sprachspiele) che si svolgono secondo l’applicazione di determinate regole. Non si tratta, tuttavia, di regole empiriche, bensì di regole arbitrarie, poiché il linguaggio non è mai compiuto una volta per tutte) è un gioco, una combinazione di parole e proposizioni che genera sempre nuovi giochi linguistici. L’azione combinatrice è anche della creatività, come dice Vygotskij, attività che non riproduce impressioni o azioni, ma crea azioni e immagini sempre nuove, mutando il reale: elementi del reale sono sottoposti all’attività ri-elaboratrice dell’immaginazione, mezzo di dilatazione dell’esperienza umana. E’ possibile guardare al gioco verbale come un effetto del processo creativo che lavora secondo le modalità dell’elaborazione creativa stessa: sia il gioco linguistico che la creatività sono attività combinatorie di elementi noti e presuppongono una fase di dissociazione ed una associativa. Gli elementi dissociati sono poi sottoposti a mutamento, esagerazione. L’associazione è il momento più complesso in cui si riuniscono i dati dissociati e trasfigurati per dare luogo a nuove configurazioni. Il problema della creatività connessa al gioco, e dunque della “creatività secondo regole” trova una sua formulazione nell’ambito della linguistica contemporanea, secondo cui la lingua si presenta come un dispositivo produttivo le cui condizioni di funzionamento possono essere rilevate in modo sistematico. Tullio De Mauro riprende la bipartizione nel 1916 introdotta da Ferdinand de Saussure tra langue e parole (langue rappresenta l’insieme delle convenzioni presenti nella comunicazione verbale, mentre nella parole vi è l’apporto personale instabile e soggettivo dell’individuo) ed evidenzia diversi tipi di creatività linguistica: • • •

crociana, secondo la quale il linguaggio è “perpetua creazione” e la creatività risiede essenzialmente nella parole; quella di Chomsky o di langue, che vede un carattere inedito nei segni linguistici in quanto combinazione di monemi; creatività degli psicopedagogisti, ovvero la creatività come divergenza, capacità di porsi fuori delle regole stabilite. Il gioco linguistico

Il gioco linguistico, o pun, o pastice, insiste sulla polisemia, sul doppio senso, si muove tra significato letterale e significato metaforico, attua scomposizioni o condensazioni, fa leva sull’allitterazione, l’assonanza o la somiglianza fonica, quando presenta un’incoerenza logica o propone falsi sillogismi produce nonsense, incongruità: ha in sé, insomma, una tensione creatrice ed una vocazione ludica nel suo sperimentare e dispiegarsi sul piano aperto e in divenire della parole, pur fissandosi in un’opera scritta che diviene inesauribile. Le relazioni tra gioco, creatività e linguaggio sembrano presupporre l’uno l’altro. La letteratura per l’infanzia irriverente e provocatoria, aperta alla sperimentazione e alla reinvenzione linguistica e caratterizzata da una duplicità di significati la rende piano di ricerca ricco e stimolante, genere originale in grado di suscitare piacere e di invitare alla riflessione. 1.2 LA PAROLA “ABITATA” E LA PAROLA GIOCATA Se il linguaggio è un gioco, una combinazione creativa di parole i cui significati stratificati si sedimentano ma non si fissano mai una volta per tutte e se la letteratura per l’infanzia è “gioco di e con le parole” si deve allora indagare la potenzialità della parola, poiché rappresenta la particella elementare di ogni linguaggio e coefficiente di complessità, un denominatore comune e mutevole del discorso narrativo. Differenza tra senso e significato di una parola→ → Vigotskij individua nel senso “l’insieme degli eventi psicologici risvegliati nella coscienza dalla parola, una formazione dinamica e complessa, con molte zone di ineguale stabilità”. Colui che interpreta, attraverso il senso, una parola si arricchisce rispetto al suo significato

condiviso. Il significato è invece la struttura relativamente più stabile della parola e una zona più costante e precisa del senso poiché non muta in relazione al contesto. Tuttavia il significato di una parola è fortemente condizionato dal senso: “una parola cioè assume, nel contesto nel quale è inserita, dei contenuti concettuali e affettivi, e viene a designare, a un tempo, qualcosa di più e qualcosa di meno di quanto è contenuto nel significato astrattamente considerato; di più perché la sfera del suo significato si estende ad abbracciare una serie di nuovi contenuti; di meno, perché il significato che essa ha astratto ad ogni contesto, si delimita e si restringe a ciò che essa viene a significare in un contesto ben determinato”. Vi è una supremazia del senso sul significato: “la parola, singolarmente presa ha, lessicalmente, un solo significato che è una potenza realizzabile nel linguaggio vivente, nell’ambito del quale esso è solo una pietra dell’edificio del senso. Il senso è sottoposto a continuo e costante mutamento conforme alle singole coscienze, e per ogni singola coscienza, corrispondente alle situazioni contingenti. Il senso, dunque, della parola è inesauribile; la parola assume un senso solo nell’ambito della frase, ma la frase lo assume solo nel periodo, il periodo a sua volta solo nel contesto del libro e il libro in tutta l’attività produttiva del suo autore. Il senso è definito dalla ricchezza dei contenuti di coscienza che si riferiscono a ciò che una data parola esprime”. Tra senso e parola si stabilisce un rapporto libero ed autonomo e i sensi come i significati possono a loro volta combinarsi, scontrarsi fino a generare sensi ancora inediti, insoliti, rinnovati. L’inesauribilità del senso mostra la capacità concettuale della parola, il suo farsi contenitore ampio, fortemente carico di soggettività. L’interrogazione sul senso delle parole una riflessione metalinguistica, di transcodifica di un linguaggio da un piano all’altro. Greimas riconosce un “istanza suprema del senso” nella soggettività dell’individuo: le parole producono in noi una serie di combinazioni: noi conferiamo un senso all’oggetto che ci è di fronte, noi percepiamo il mondo attraverso un filtro culturale che seleziona e ordina le epistemi che si implicitano in quegli oggetti particolari- quadri, poesie, racconti- i quali non sono altro che il risultato di determinati sviluppi e connessioni del significante. Per Gadamer la parola nel suo essere scritta o parlata è sempre dicente (sagend) e in quanto tale crea, dà nuovo ordine allo stato delle cose. La parola scritta si pone come una nuova creazione poiché proprio in virtù del fatto di essere scritta ha ottenuto un diritto di senso e un diritto di forma che non spetta altrimenti al suono della parola parlata destinato a svanire. La parola diviene l’elemento cardine dell’opera letteraria, è fissata dall’autore, interpretata secondo una molteplicità di significati, secondo coordinate spazio-temporali e prospettive di lettura diverse. La parola non appartiene così più al suo autore: “come può essere la parola così dicente (sagend) e così mutevole (vielsagend) che anche l’autore non la conosce e deve ascoltarla?” il parlante ideale della parola non è altri che il lettore ideale, il quale conserva in sé “la libertà del flusso d’immaginazione” nel suo approcciarsi alla lettura come “fare interiore”. L’inesauribilità di un’opera letteraria ha a che vedere con l’attribuzione di senso che il lettore ideale conferisce e con il carattere intrinsecamente plurale e dinamico della parola che si colloca sul piano del discorso; la problematicità di alcune opere risiede nell’uso di una testualità multiforme per accumulazione semantica, per organizzazione sintattica (o logica), per varietà di livelli o forme culturali in essa intrecciate. Il plurilinguismo, la pluridiscorsività sono caratteri peculiari del genere comico e satirico, che fa uso frequente di motti di spirito, calmbours, paronomasie, equivoci, doppi sensi. Il testo letterario perde univocità. Bachtin: “la lingua non è mai unitaria, ma lo è solo come astratto sistema grammaticale di forme e normative, preso a prescindere dalle concrete interpretazioni ideologiche che lo riempiono e dall’incessante divenire storico della lingua viva. Anche la lingua letteraria, pur essendo unitaria per le sue caratteristiche generali astrattamente linguistiche, per le forme di interpretazione di questi astratti momenti, è stratificata e pluridiscorsiva nel suo concreto aspetto semantico oggettuale e espressivo”. Si stratifica il linguaggio nelle sue molteplici possibilità intenzionali, non la componente neutra della lingua. Se il destinatario del messaggio (il lettore), si relaziona alla parola attraverso una libertà interpretativa, l’autore imprime egli stesso un senso alla propria parola, svela un’intenzionalità che si esplica su tanti livelli quanti sono i personaggi parlanti. La parola si fa bivoca, dialogica, essa serve insieme a due parlanti ed esprime simultaneamente due diverse intenzioni: l’intenzione diretta del personaggio parlante e quella rifratta, d’autore. La parola bivoca è sempre internamente dialogizzata. Tale è la parola umoristica, ironica, parodica, rifrangente del narratore e dei discorsi del protagonista. Nella bivocità si scorge un potenziale dialogo, non svolto, un dialogo concentrato di due voci, concezioni, lingue, tuttavia- prosegue Bachtin- diversamente si presenta la bivocità della parola in poesia e in prosa: in poesia la parola è un gioco, una tempesta in un bicchierin d’acqua, in prosa, invece, essa ha un’energia ben più prorompente poiché si espande nella lingua come fenomeno sociale e storico: in entrambi i casi la parola bivoca è bisensa e polisensa. Bachtin ci fornisce una terminologia nell’ambito di questo lavoro, guardando alla pluridiscorsività come ad una costruzione creativa dell’immaginazione: la polifonia come pluralità di voci indipendenti e disgiunte all’interno di un’opera narrativa, come pluralità di coscienze. Guardare a queste opere e alla loro dimensione polifonica ci permette di delineare una letteratura che oltrepassa i confini semantici, ben

tracciati nella narrazione monologica: costruire narrazioni le cui parole fuoriescono dalla propria soggettività monologica dando vita a per...


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