Riassunto Peter Szondi PDF

Title Riassunto Peter Szondi
Course Drammaturgia
Institution Università di Bologna
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RIASSUNTO - TEORIA DEL DRAMMA MODERNO 1880-1950 Peter Szondi 1. Il dramma Il dramma dell'età moderna è nato nel Rinascimento. Tutta la tematica drammatica si determinava nella sfera del “fra”, dei rapporti intersoggettivi: il conflitto trapassion e devoir; il paradosso comico, in situazioni intersoggettive ”false”; e la tragedia dell'individuazione. Il mezzo espressivo di questo mondo di rapporti intersoggettivi era il dialogo. Nel Rinascimento, il dialogo divenne la sola componente del teatro drammatico. L’assoluto predominio del dialogo rispecchia il fatto che il dramma consiste esclusivamente nella riproduzione del rapporto intersoggettivo. Il dramma è una dialettica conchiusa in se stessa, ma libera, e che si determina di nuovo ad ogni momento. Il dramma è assoluto. Il dramma non conosce nulla al di fuori di sé. Il drammaturgo è assente dal dramma. Il dramma non è scritto, bensì “posto". Le parole dette nel dramma sono tutte ”decisioni”; sono sviluppi della situazione e rimangono in essa. Il dramma appartiene all’autore solo nel suo insieme, e questo rapporto non è essenziale alla sua realtà di opera. Lo stesso carattere di assolutezza dimostra il dramma nel suo rapporto allo spettatore. Il rapporto spettatore-dramma conosce solo la completa separazione o la completa identificazione, ma non l‘intrusione dello spettatore nel dramma o il rivolgersi del dramma allo spettatore. Il palcoscenico del Rinascimento e del neoclassicismo, è in realtà il solo palcoscenico adeguato al carattere di assolutezza del dramma, che riflette in ciascuno dei suoi elementi. Anche l'arte dell‘attore è orientata sull'assolutezza del dramma stesso. Il rapporto attore-ruolo non deve mai essere visibile; al contrario, attore e personaggio devono fondersi in un essere drammatico autonomo. Il dramma è primario. Non è la rappresentazione di qualcosa, ma rappresenta se stesso, è se stesso. L'azione drammatica si svolge sempre al presente. Ciò non implica nessuna staticità; indica solo il particolare tipo di decorso temporale nel dramma: il presente passa e si trasforma in passato, ma come tale non è più presente. Il decorso del tempo nel dramma è una successione assoluta di “presenti". Il dramma stesso, come assoluto, garantisce e crea da sé il proprio tempo. Ogni istante dell'azione drammatica deve quindi contenere il germe del futuro, deve essere “carico difuturo”. Considerazioni analoghe per ciò che riguarda lo spazio motivano l‘esigenza anche dell’unità di luogo. Anche l'ambientazione spaziale deve essere espunto dalla coscienza dello spettatore. Solo così si determina una scena assoluta, e cioè drammatica. E ciò è tanto più difficile quanto più frequente è il cambiamento di scena. Anche la discontinuità nello spazio, al pari della discontinuità nel tempo, presuppone l'io epico. Dal carattere di assolutezza del dramma deriva anche l’esigenza di non lasciare alcun posto al caso e di dare sempre una motivazione. L'elemento casuale penetra nel dramma dall'esterno; ma affonda le sue radici nel terreno del dramma stesso. Il dramma è un tutto compiuto ed autonomo, e questa totalità è di origine dialettica. Essa non è dovuta a un io epico che entri nell'opera, ma alla risoluzione della dialettica intersoggettiva, che diventa, nel dialogo, linguaggio. Il dialogo è quindi il portatore del dramma, ed è dalla possibilità del dialogo che dipende la possibilità del dramma. 2. La crisi del dramma 2.1 IBSEN (1828-1906) In Ibsen, la tecnica analitica, lungi dal rappresentare un fenomeno isolato, rappresenta il modo in cui sono costruite le sue pièces modernes, non ha bisogno di dimostrazione. Gian Gabriele Borkman (1896). I fatti non vengono raccontati per se stessi, essenziale è ciò che sta “dietro" e ”tra” i fatti: i motivi e il tempo. I motivi vengono portati alla luce della ribalta dalle anime sepolte dei tre personaggi. Ma ciò che è essenziale non è ancora stato detto. Non sono i singoli eventi, né la loro motivazione, a venire in primo piano, ma è il tempo stesso, che è stato colorato da quelli. Il passato non è qui in funzione del presente, ma questo si limita ad essere un pretesto per l’evocazione del passato. Il passato stesso costituisce il tema: ma ciò si rifiuta alla presenza

drammatica, poiché rappresentato può essere solo qualcosa di temporale, e non il tempo stesso. Di esso il dramma non può far altro che riferire, ma la sua rappresentazione diretta è possibile solo in una forma letteraria che lo accolga “nella serie dei suoi principi costitutivi". Questa forma letteraria è il romanzo. In Ibsen, la verità è interiore. È nell'interiorità che risiedono i motivi delle decisioni che si manifestano; è in essa che si nasconde, e sopravvive ad ogni trasformazione esterna, il loro effetto traumatico. La tematica di Ibsen, oltre che in senso temporale, manca anche in questo senso topico del presente richiesto dal dramma. Essa nasce, e vero, interamente dal rapporto interpersonale, ma vive solo nell’intimo di esseri umani reciprocamente estranei e isolati, come un riflesso di quel rapporto. Ciò significa che la diretta presentazione drammatica di questa verità non è possibile. Essa richiede una tecnica analitica; essendo, sostanzialmente, materia di romanzo, non può trasferirsi sulla scena senza l‘aiuto di quella tecnica. Ma anche così, finisce per rimanere estranea alla scena, perché - per quanto sia connessa a un'azione presente - rimane confinata nel passato e nell'interiorità. E proprio per questo è il problema della forma drammatica in Ibsen. Poiché il suo punto di partenza era di carattere epico, egli dovette acquisire l'impareggiabile maestria di cui dà prova nella costruzione dei suoi drammi. E avendo egli acquisito questa maestria, non si vide più, sotto i suoi drammi, la base epica. Al servizio dell’attualizzazione sono alcuni espedienti: la tecnica dei “Leitmotive”. Questa tecnica non è destinata qui a fissare l’identico nella trasformazione, o a creare nessi indiretti e trasversali. È il passato che continua a vivere; è il passato ad essere rievocato tramite la citazione di quelli. La funzionalizzazione drammatica, che ha generalmente il compito di elaborare la struttura causale e finale di un’azione unitaria, deve colmare qui l’abisso esistente fra il presente e il passato che si sottrae all‘attuazione. Raramente Ibsen è riuscito a ottenere che l'azione presente fosse tematicamente all‘altezza di quella evocata e che si fondesse omogeneamente con essa. Le creature di Ibsen potevano vivere solo sepolte in se stesse, alimentandosi della "menzogna vitale". Il fatto che egli non divenne il loro romanziere, non le lasciò nella loro vita, ma le costrinse a parlare, finì per ucciderle. È così che, in un’epoca ostile aldramma, l‘autore drammatico può farsi assassino delle proprie creature.

2.2 CECHOV (1860-1904) Nei suoi drammi, gli esseri umani vivono nel segno della rinuncia. Soprattutto li caratterizza la rinuncia al presente e alla possibilità d'incontrarsi; la rinuncia alla felicità in un vero incontro. Rinunciare al presente significa vivere nel ricordo e nell'utopia;r inunciare a incontrarsi significa solitudine. Il dramma Tre sorelle presenta esclusivamente individui soli, ebbri di ricordi, che sognano il futuro. Il loro presente è oppresso dal passato e dall'avvenire; è un intervallo, un periodo d’esilio, dove la sola meta è il ritorno alla patria perduta. Ciò che isola gli uomini è il peso del passato e la loro insoddisfazione nel presente. Alla doppia rinuncia che caratterizza i suoi personaggi parrebbe dover corrispondere la rinuncia all'azione e al dialogo, le due categorie formali più importanti del dramma. Ma questa rinuncia è presente solo in germe. Come gli eroi dei drammi di Cechov, nonostante la loro assenza temporale e psichica, continuano a vivere la loro assenza società senza trarre le estreme conseguenze della loro solitudine e della loro nostalgia, e restando in una zona intermedia fra il mondo e l'io, fra il presente e il passato, così la forma dei drammi non rinuncia del tutto alla categorie di cui essa ha bisogno. Essa Ie conserva, senza accentuarle, come qualcosa di ovvio e di secondario, che permette alla vera tematica di concretarsi, per così dire, negativamente,come deviazione dalla forma stessa. I momenti dell‘azione sono accostati senza un nesso preciso e distribuiti in quattro atti senza vera attesa e tensione, mostra qual è il posto che spetta loro nella compagine formale del dramma; sono inseriti, senza un vero significato e valore proprio, per conferire al tema un minimo di movimento in grado di consentire il dialogo. Ma anche il dialogo è senza peso da cui si staccano i monologhi, in cui si condensa il significato del tutto. L‘opera vive di

queste autoanalisi rassegnate, in cui quasi tutti i personaggi giungono viavia ad esprimersi; ed è stata scritta proprio in funzione di esse. Alla loro base è la tematica. Le parole sono pronunciate in presenza degli altri, non quando il personaggio è solo; ma sono proprio esse ad isolare chi le pronuncia. Così un dialogo inessenziale trapassa in una serie di soliloqui essenziali. In essi, l'opera nel suo complesso, si fa lirica. Poiché nella lirica il linguaggio è più naturale e autogiustificato. Nella lirica anche il silenzio diventa linguaggio. In essa le parole sono dette con una naturalezza che fa parte dell‘essenza della lirica. Il linguaggio cechoviano deve il suo fascino a questo continuo trapasso dalla conversazione alla lirica della solitudine. Nei drammi cechoviani, il dialogo non diventa quasi mai un problema, e la loro intima contraddizione non conduce mai alla dissoluzione della forma drammatica.

2.3 STRINDBERG (1849-1912) Con Strindberg ha inizio quella che più tardi prenderà il nome di drammaturgia dell’io". Il terreno in cui essa affonda le sue radici è l'autobiografia. Ciò non appare solo nei rapporti tematici; la stessa storia del "dramma soggettivo“, nel suo progetto di letteratura del futuro, sembra identificarsi per lui con la teoria del romanzo psicologico come storia dell'evoluzione della propria anima. Il Padre, cerca di associare lo stile soggettivo a quello naturalistico. Se il naturalismo del dialogo significa perfetta riproduzione del discorso come potrebbe svolgersi nella realtà, la prima opera naturalistica di Strindberg è altrettanto lontana dal naturalismo quanto la tragédie classique. Esse si differenziano nel principium stilisationis: nella tragédie classique quel principio riposa su un ideale lingiustico oggettivo, mentre in Strindberg è determinato dalla prospettiva soggettiva. L’opera si fonda sull’unità dell'io del suo personaggio centrale. L'unità d'azione diventa irrilevante, o addirittura d‘impaccio, nella rappresentazione di uno sviluppo psichico. L’unità del tempo e del luogo non sono correlative all'unità dell‘io. La drammaturgia soggettiva corrisponde meno alla nozione per cui l‘autore può ricreare solo la propria vita psichica, che all‘intenzione generale che la precede, che è quella di trasformare in realtà drammatica la vita psichica, qualcosa di essenzialmente nascosto. Il dramma, forma letteraria “kat'exochén" della rivelazione e della chiarezza dialogica, riceve il compito di rappresentare accadimenti psichici segreti. Ed esso risolve questo compito ritirandosi nel suo personaggio centrale e limitandosi esclusivamente ad esso (monodrammatica), o considerando tutto il resto dal suo punto di vista (drammatica dell'io); macosì facendo cessa di essere dramma. Strindberg trova la forma che più gli si addice, quella dello “Stationendrama" (o "dramma a tappe"). La tecnica a tappe può corrispondere formalmente alle intenzioni tematiche della drammaturgia soggettiva. Nel ”dramma a tappe" il protagonista di cui si narra l‘evoluzione si stacca con la massima chiarezza dai personaggi che incontra lungo le tappe del suo cammino. Una delle conseguenze della drammaturgia soggettiva è la sostituzione dell‘unità d’azione con l'unità dell‘io. Di questo fatto tien conto la tecnica del dramma a tappe, risolvendo la continuità dell'azione in una successione di scene. Le singole scene non hanno qui alcun nesso causale fra loro. Appaiono piuttosto come una serie di pietre isolate, tenute insieme, come da un filo, dal cammino dell’io. Nella scena dello“Stationendrama” non si determina alcuna interazione; il protagonista incontra altri individui, ma essi gli rimangono estranei. La totalità del cammino non è compresa nello “Stationendrama”come l'azione nel dramma vero e proprio. L‘evoluzione del protagonista nei tempi e nei luoghi intermedi supera sempre i limiti dell'opera, che ne resta quindi relativizzata. Non esistendo un rapporto organico fra le singole scene, che rappresentano solo vari spaccati di un’evoluzione che va al di là dell’opera si piò porre a base della loro struttura uno schema ad esse esterno e che contribuisce a sua volta a relativizzarle e ad epicizzarle.

2.4 MAETERLINCK (1862-1949) Nelle sue prime opere tenta la rappresentazione drammatica dell'uomo nella sua impotenza esistenziale, nel suo essere in balia di un destino imperscrutabile. Ad essere colto e rappresentato qui è il momento in cui l‘uomo indifeso è raggiunto dal destino. Il destino degli uomini è la morte come tale, ed è la morte a dominare sola sulla scena. Nessuna azione Ia produce, nessuno ne è responsabile. Dal punto di vista drammaturgico ciò significa sostituire, alla categoria dell’azione, quella della situazione. Il carattere essenziale di queste opere non è l'azione, e quindi non si tratta più di drammi, se il termine greco deve avere questo significato. La definizione paradossale di drame statique, data ad essi dall‘autore, risponde allo stesso intento. È il tema stesso a privare l'uomo della possibilità di passare all'azione. Egli rimane nella sua situazione, in uno stato di assoluta passività, finchè di avvede della morte. Ed è solo il tentativo di accertarsi della propria situazione che lo induce a parlare con la conoscenza della morte, che, cieco, aveva sempre avuto davanti, egli è giunto alla meta. La forma del dialogo non è sufficiente alla rappresentazione. E, viceversa, ciò che si tratta di dire non basta a fondare un dialogo. Il linguaggio si fa autonomo. Il linguaggio non è più espressione di un singolo individuo che attende una risposta, ma è il riflesso dello stato d'animo che domina in tutti. La sua distribuzione in ”battute" non corrisponde a un dialogo, come nel dramma vero e proprio, ma riflette unicamente l'incertezza nervosa del non-sapere.

2.5 HAUPTMANN (1862-1946) ”Dramma sociale", il suo modello manca del tutto di un'impostazione sociologico-naturalistica ed ha quella stessa tendenza lirica che contribuisce al superamento della crisi formale. Il drammaturgo sociale cerca di rappresentare drammaticamente le condizioni economico-politiche sotto il cui impero è caduta la vita individuale. Egli ha il compito di mostrare i fattori che hanno le loro radici al di là della situazione singola e del singolo fatto, e che pure li determinano. Il "dramma sociale" contrasta sotto ogni aspetto con l'esigenza di assolutezza della forma drammatica: le dramatis personae “rappresentano" migliaia di uomini che vivono nelle loro stesse condizioni, la loro situazione “rappresentata" una certa uniformità condizionata dai fattori economici. La loro sorte funge daesempio, è un mezzo di dimostrazione, e testimonia non solo di un'oggettività trascendente l‘opera, ma anche di un soggetto dimostrante al di sopra di essa: l’io dell‘autore. Il ”dramma sociale” è di natura epica. 2.6 Transizione La responsabilità della crisi che, verso la fine del secolo, colpì il dramma come forma letteraria dell'accadere presente e intersoggettivo, ricade sul processo di trasformazione tematica che sostituisce i membri di questa triade coi concetti opposti e correlativi. - In Ibsen, invece del presente, domina il passato. Il tema è il passato stesso, in quanto è ricordato e continua ad agire nell'intimo dell’uomo. Così anche l'intersoggettività è sostituita dall'interiorità soggettiva. - Nei drammi di Cechov la vita attiva del presente lascia il posto ad una vita di sogno nel ricordo e nell’utopia. L'accadere diventa accidentale e secondario, e il dialogo diventa il ricettacolo di considerazioni monologiche. - Nelle opere di Strindberg il rapporto intersoggettivo è soppresso o visto attraverso la lente soggettiva di un io centrale. Il tempo reale e presente perde la sua posizione di predominio; passato e presente sfumano l'uno nell'altro, il presente esterno richiama il passato ricordato. L'accadere intersoggettivo si limita ad una serie di incontri che sono solo le pietre miliari del velo accadere: l’evoluzione interiore. - Il drame statique di Maeterlinck rinuncia all’azione. Davanti alla morte, a cui solo è dedicato, svaniscono anche le differenze interumane, e quindi anche il confronto reciproco tra uomo e uomo. Alla morte si oppone un gruppo anonimo di essere umani, ciechi e muti. - La drammaturgia sociale di Hauptmann descrive la vita interumana come è determinata da fattori extra-umani: dalle circostanze politico-economiche. L'uniformità che esse impongono sopprime l'unicità di ciò che è presente; il presente è anche il passato e il futuro. L'azione lascia il posto alla situazione oggettiva, di cui gli esseri umani sono le vittime impotenti.

3. Tentativi di salvataggio 3.1 NATURALISMO Il dramma naturalista sceglieva i suoi protagonisti negli strati inferiori della società. Qui esso trovava esseri umani dotati di una volontà indomita, che sapevano battersi con tutte le forze per un'impresa a cui erano spinti dalla passione; esseri umani che nessuna differenza fondamentale separava gli uni dagli altri: né il riferimento all’io, né la riflessione. Erano esseri ben in grado di reggere un dramma, per sua natura limitato all'accadere intersoggettivo sempre attuale. Il verbo naturalistico celava l’amara constatazione del fatto che la borghesia aveva perso da tempo il possesso del dramma. Si rifugiava in un presente estraneo. Il vero autore drammatico non si trova affatto in una posizione di distacco rispetto alle dramatis personae; è tutt’uno con esse e rimane del tutto fuori dell'opera. Questa identità fra autore, spettatore e dramatis personae diviene possibile perché i soggetti del dramma sono sempre proiezioni del soggetto storico: essi coincidono con lo stato della coscienza. La riproduzione dell‘ambiente non si lascia dedurre semplicemente da programma naturalistico. Essa non indica solo l'intenzione dell’autore, ma anche il suo punto di vista. Questa relativizzazione del dramma di fronte al narratore epico, che esso presuppone in quanto dramma naturalistico, si riflette, al suo interno, come relativizzazione dei personaggi di fronte all'ambiente, che appare estraniato ad essi. Il lessico ridotto diventa possesso esclusivo del dramma e non lo rimanda fuori di sé all'empiria. L’azione del dramma naturalistico appartiene per lo più al genere “fait divers". Il fait divers è l'accadere estraniato al suo terreno, in se stesso abbastanza interessante per essere riferito. L'identità dei protagonisti è quindi irrilevante: è un fatto essenzialmente anonimo. La dissociazione fra ambiente, carattere ed azione nel dramma naturalistico, la reciproca estraniazione in cui essi si manifestano, esclude la possibilità di una fusione omogenea dei vari elementi in un movimento globale assoluto. 3.2 DRAMMA-CONVERSAZIONE Venendo meno il rapporto intersoggettivo, il dialogo si spezza in monologhi; predominando il passato, diventa la sede monologica del ricordo. Se nel dramma autentico il dialogo è lo spazio comune in cui si oggettiva l'interiorità delle dramatis personae, qui esso viene estraniato ai soggetti e appare come qualcosa di autonomo. Il dialogo diventa conversazione. L'assolutizzazione del dialogo a conversazione si paga non solo sul piano qualitativo, ma anche su quello puramente drammatico. La conversazione, oscillando fra gli uomini, invece di legarli è essa stessa non- vincolante. Il dialogo drammatico è irrevocabile, grave di conseguenze in ognuna delle sue battute. Come successione causale esso crea un tempo proprio e si stacca così dal corso del tempo. Di qui l’assolutezza del dramma. La conversazione è diversa. Essa non ha un‘origine soggettiva né uno scopo oggettivo; non porta oltre, non trapassa in un‘azione. Perciò non ha neppure un tempo proprio, e...


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