Riassunto Principi di chimica - Peter William Atkins; Loretta Jones PDF

Title Riassunto Principi di chimica - Peter William Atkins; Loretta Jones
Course Chimica e Materiali
Institution Politecnico di Milano
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Riassunto puntuale e ordinato dei primi capitoli del libro "Principi di chimica" di Atkins, Jones. Molto utile per studiare per il primo parziale. ...


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CHIMICA E MATERIALI 1. FONDAMENTI Compost: sostanze elettricamente neutre costituite da due o più elementi distinti, i cui atomi figurano in proporzioni definite Si classificano in: organici (C e H) e inorganici; molecolari e ionici.  Compost ionici La tavola periodica ci aiuta a prevedere quale tipo di ioni si otterrà da un atomo: metallici  cationi; non metallici  anioni Per gli atomi del 1 e 2 gruppo la carica coincide con il numero del gruppo. Gli atomi posti sulla sx o dx della tavola periodica cedono o acquistano elettroni fino a contenere lo stesso numero di e proprio dell’atomo di gas nobile più vicino. La mole 1 mole è il numero degli atomi presenti in 12 g esatti di C12 = 6,0221 X 10^23  costante di Avogadro N (molecole/atomi/ioni) = n x Na  La massa molare Massa di una mole di particelle. N = m/M La massa molare di un composto è data dalle masse molari degli elementi che costituiscono la molecola. Il peso atomico di un elemento coincide con il valore numerico della sua massa molare. Formule: - molecolare: indica il numero effettivo degli atomi di ciascun elemento (C2H6O, glucosio C6H12O6) - struttura: trattini per i legami chimici (CH3CH2OH) - empirica/minima/bruta: mostra il numero relativo degli atomi di ciascun elemento componente il composto (glucosio: CH2O)

Reazioni chimiche Processo mediante il quale una o più sostanze si trasformano in altre. Reagenti  prodotti. Nel corso delle reazioni gli atomi non si creano né distruggono, ma si limitano a cambiare i legami, infatti non vi è cambiamento della massa totale (legge della conservazione della massa). Proprio per questo motivo si devono moltiplicare le formule per fattori numerici, i coefficienti stechiometrici, che facciano comparire lo stesso numero di atomi per i reagenti e prodotti, bilanciando così l’equazione. Molarità (M) = moli sostanza/litro di soluzione Acidi e basi  Arrhenius: Acido (composto con H che con H2O forma H+/H3O+); base (composto che in H2O produce OH-) Es. NH3 + H2O  NH4+ + OH- (ammoniaca base di Arrhenius)  Bronsted-Lowry: acido (specie donatrice di protoni); base (specie accettatrice di protoni) Es. HCl + H2O  H3O+ + ClNella tavola periodica: ▫ Ossidi metallici (in acqua)  basi fort {idrossidi e ossidi del 1 e 2 gruppo e Ca(OH)2, Sr(OH)2, Ba(OH)2}  sono molto corrosive e sono elettroliti forti , si protonano completamente in acqua (es. Cao + H2O  Ca + 2OH-) ▫ Ossidi dei non metalli (in acqua)  acidi fort {HBr, HCl, HI, HNO3, HCIO4, HCIO3, H2SO4}  sono sostanze molecolari molto corrosive e sono elettroliti forti, si deprotonano completamente in acqua (es. HBr + H2O  H3O+ + Br- ; es. SO2 + H2O  H2SO3 ) Acidi e basi deboli: sostanze per cui la reazione di dissociazione in acqua non è completa: sono detti elettrolidi deboli. NB. Sono reazioni all’equilibrio!! Es. Acidi deboli: CH3COOH + H2O ↔ CH3COO- + H3O+ / HF + H2O  F- + H3O+ Es. Basi deboli: NH3 + H2O ↔ NH4+ + OHLa reazione che si svolge tra una base e un acido si dice neutralizzazione (acido + base  sale + acqua). Es. HBr (acido forte) + NaOH (base forte)  Na+ + Br- + H2O Es. HCN (acido debole) + NaOH (base forte)  Na + + CN - + H2O con Na+ ione spettatore Gli elementi prossimi alla diagonale di frontiera dei metalli e non metalli danno origine a ossidi anforteri (es. Al2O3 + HCl  AlCl + H2O). Reazioni di ossido-riduzione Lo sono molte reazioni chimiche di interesse energetico, infatti le ox red sono usate per immagazzinare energia e rilasciarla (es. fotosintesi, combustione, pile..). Sono reazioni con trasferimento di elettroni, nelle quali cambiano i numeri di ossidazione dei composti (carica che un atomo avrebbe se il legame fosse ionico). Per riconoscere un’ossidoriduzione bisogna stabilire se siano migrati elettroni da una specie all’altra. ▫ ▫

L’ossidazione equivale alla cessione di elettroni  amuento del n. ox La riduzione equivale all’acquisto di elettroni  diminuzione del n. ox

Esempi: Zn + Cu (2+)  Cu + Zn (2+) Semireazioni: Cu (2+) + 2e-  Cu Zn  Zn (2+) + 2eCu (2+) + H2 + 2H2O  Cu + 2 H3O+ 2SO3(g) ↔ 2SO2(g)+ O2(g) H2O(g)+ CO (g) ↔ H2(g)+ CO2(g) 3H2(g) + N2(g) ↔ 2NH3(g)

H2O2(aq)+ Fe(s) ↔ Fe(OH)2(aq) Attribuzione del numero di ossidazione: Specie elementare (e.g. F2, Cl2, C..) Ione monoatomico Ioni metalli 1°gruppo Ioni metalli 2°gruppo Idrogeno H Alogeni F Ossigeno Specie poliatomica (molecola o ione)

CH4(g)+ 2O2(g) ↔ CO2(g)+ 2 H2O(g) 0 = alla carica elettrica +1 +2 +1, -1 (con metalli) -1 ( o dispari positivo se legati ad O oF) -1 sempre -2, -1 in perossidi, +2 se legato a 2 F somma nr. ox degli atomi in specie = carica della specie

In generale: nr di ox. di un atomo in molecola = carica che avrebbe se legami fossero ionici con e- dei legami che vanno su atomi più propensi ad accettarli. 2. L’ATOMO Il corpo nero Il corpo nero è un oggetto che emette radiazione termica e non favorisce alcuna lunghezza d’onda rispetto alle altre. Dal grafico dell’intensità di radiazione di un corpo nero mostrata in figura si nota che al crescere della temperatura, l’energia totale emessa (area sottesa alla curva) aumenta, mentre l’intensità massima dell’emissione (picco) si sposta verso lunghezze d’onda pià basse.

Nel 1879 Josef Stefan indagò sulla crescente luminosità di un corpo nero mentre veniva riscaldato e dimostrò che l’intensità, la luminosità L di un corpo nero è proporzionale alla quarta potenza della sua temperatura T. Legge di Stefan-Boltzmann:

potenza emessa 4 =cost ∙T areadi superficie

con cost = (5,67 ∙10−8 W m−2 K − 4 )

Più tardi, nel 1893, Wilhelm Wein quantificò la relazione tra temperatura del corpo nero e lunghezza d'onda del picco spettrale con la seguente equazione:

T λ max=cost

con cost = 2,28 x 10-3 m K

La legge di Wien afferma che la lunghezza d'onda della massima emissione di un corpo nero è inversamente proporzionale alla sua temperatura. Ciò ha senso: la luce di minor lunghezza d'onda (e maggior frequenza) corrisponde a fotoni di energia più alta, come ci si aspetta da un oggetto a temperatura maggiore. Il fotone e la doppia natura della luce Alla fine del XIX secolo, fenomeni luminosi quali la diffrazione, la rifrazione e l'interferenza venivano spiegati in base alla teoria ondulatoria della luce. Tale teoria però, non riusciva a spiegare in modo sufficientemente chiaro fenomeni quali ad esempio gli spettri a righe e l'effetto fotoelettrico. La svolta si ebbe quando Max Planck, dallo studio dello spettro di un corpo nero giunse alle conclusioni che l'energia luminosa viene emessa dai corpi sotto forma di quantità finite (discontinue), dette quanti. L'energia associata a un quanto di frequenza v è data da: E=hv ovvero, ricordando che c = λ · v :

E=h

c λ

con h (costante di Planck) = 6,63·10-34 J·s. Da allora nasce l'idea di una doppia natura della luce. Per essere descritta la luce richiede pertanto due modelli, apparentemente in reciproca contraddizione: il modello ondulatorio e il modello corpuscolare. Si utilizza il modello ondulatorio per descrivere i fenomeni di propagazione delle onde elettromagnetiche. Si utilizza il modello corpuscolare per descrivere i fenomeni di interazione con la materia. L'equazione racchiude in sè la doppia natura della luce: nell'interazione con la materia emerge la natura corpuscolare della luce costituita da un insieme di fotoni ciascuno dei quali ha energia E; nella propagazione e nell'aggiramento di piccoli ostacoli emerge la natura ondulatoria della luce caratterizzata da una lunghezza d'onda λ e da una frequenza v. Nel 1905 Einstein confermò la natura corpuscolare della luce, utilizzando l'ipotesi di Planck per spiegare l'effetto fotoelettrico, fenomeno inspiegabile utilizzando il modello ondulatorio della luce. Effetto fotoelettrico L'effetto fotoelettrico è quel fenomeno che consiste nell'emissione, da parte di un metallo, di elettroni quando viene investito da radiazione elettromagnetica avente una determinata energia. Fu scoperto dal fisico tedesco Hertz. Gli elettroni espulsi nel fenomeno dell'effetto fotoelettrico sono normalmente trattenuti all'interno del metallo da una certa energia e per espellerli all'esterno, occorre, naturalmente, investire il metallo con una radiazione elettromagnetica avente una energia E = h · v almeno uguale all'energia che li trattiene. La frequenza di tale radiazione viene detta frequenza critca v0, ed è caratteristica di ogni metallo. Utilizzando una luce di frequenza v < v0, anche se molto intensa, non si verifica alcun effetto. Utilizzando una luce di frequenza v > v0, gli elettroni emessi mostrano una energia cinetica tanto più grande quanto maggiore è la frequenza v. La scoperta dell'effetto fotoelettrico, indusse Einstein a confermare l'ipotesi che la luce potesse manifestare oltre che una natura ondulatoria, anche una natura corpuscolare. Infatti, solo particelle cariche di sufficiente energia sarebbero in grado di spostare altre particelle (elettroni del metallo) e di impartire loro una accelerazione tanto maggiore quanto maggiore era la frequenza della luce impegnata. Aumentando l'intensità luminosa di una radiazione con frequenza v < v0, si aumentano semplicemente il numero di fotoni incidenti ma ciascuno di essi ha una energia troppo debole per estrarre gli elettroni. Quindi, anche aumentando l'intensità luminosa della radiazione incidente, non si verifica emissione di elettroni da parte del metallo e non si ha effetto fotoelettrico. Riassumendo: 1. Il catodo viene investito da una radiazione di frequenza v = v0. Si ha emissione di elettroni da parte del catodo. Il flusso di elettroni viene registrato dall'amperometro che segnala una determinata intensità di corrente.

2. Aumentando l'intensità luminosa della radiazione incidente il catodo viene colpito da un maggior numero di fotoni aventi frequenza v = v0. Si ha un aumento del numero di elettroni emessi dal catodo. L'amperometro segnala una intensità di corrente maggiore.

3. Utilizzando una radiazione di frequenza maggiore, il catodo viene colpito da fotoni di energia maggiore. Gli elettroni vengono espulsi con una energia cinetica maggiore pari a: Ek = hv – hv0

L'ipotesi di De Broglie e la doppia natura dell'elettrone Nel 1924 un giovane fisico francese, L.V. De Broglie, colpito dalla scoperta che la luce mostrava sia proprietà ondulatorie sia proprietà corpuscolari, avanzò l'ipotesi che anche la materia potesse avere una doppia natura: ondulatoria e corpuscolare. Per quanto riguarda l'elettrone in movimento, egli ipotizzò che, in quanto particella, anche esso possedesse un suo moto ondulatorio, con lunghezza d'onda λ (chiamata lunghezza d'onda di De Broglie) data dalla relazione:

λ=

h mv

in cui: h = costante di Planck = 6,63 · 10-34 (J · sec); m = massa dell'elettrone = 9,11 · 10-31 Kg v = velocità dell'elettrone (m/s) mv = p (momento lineare) Nel 1927 l'ipotesi di De Broglie venne confermata dai lavori di C.J. Davisson e L.H. Germer negli USA. Essi dimostrarono che un fascio di elettroni accellerati subisce, da parte di un reticolo cristallino, fenomeni tipicamente ondulatori: la diffrazione e l'interferenza. Si osservò anche che il valore della lunghezza d'onda della radiazione elettronica aumentava al diminuire della velocità v del fascio di elettroni e viceversa. Principio di Indeterminazione di Heisenberg Il dualismo onda-corpuscolo vieta di prevedere la posizione di una particella in un certo istante di tempo poiché essa si comporta come un’onda. Il fisico tedesco Heisenberg analizzando il modello atomico di Bohr, ne ravvisò i limiti, particolarmente per quanto riguarda le orbite che gli elettroni in essa compiono. Parlare di orbite, presuppone infatti, di conoscere contemporaneamente la posizione e la velocità degli elettroni nei singoli istanti del loro moto. Heisenberg riuscì a dimostrare che non è possibile conoscere contemporaneamente e con elevata precisione due variabili coniugate. Si considerino le seguenti variabili coniugate:  posizione x di una particella nella direzione x rispetto all'origine di un sistema di assi cartesiani  quantità di moto p della medesima particella (si ricordi che p = m · v) Le incertezze nella determinazione dei loro valori deve rispettare la seguente relazione:

1 Δ x Δ p≥ ℏ 2

con ℏ=

h 2Π

Questa relazione è nota come principio di indeterminazione. In altre parole, se misuriamo contemporaneamente la posizione e la quantità di moto di una particella, nella determinazione dei loro valori, ogni grandezza sarà sempre determinata con una incertezza tale che il loro prodotto è sempre maggiore o uguale al valore

1 ℏ. 2

Riferendosi ad un elettrone il principio può essere enunciato nel seguente modo: è impossibile conoscere nel medesimo istante e con la massima precisione la posizione e la quanttà di moto di un elettrone. Il modello atomico a orbitali Per tenere conto del dualismo onda-corpuscolo gli scienziati del 20esimo secolo dovettero ricostruire la loro visione di materia. Non potendo dunque determinare le traiettorie delle particelle e in particolare degli elettroni venne elaborato il modello ondulatorio dell'elettrone che consente di stabilire le zone dello spazio attorno al nucleo di un atomo ove è massima la densità della carica elettrica negativa dovuta agli elettroni dell'atomo stesso. Tale conoscenza è possibile grazie alla equazione di E. Schrodinger, che rappresenta, in tre dimensioni, l'onda stazionaria associata ad un elettrone, dalla cui risoluzione si ottengono funzioni (funzoni d'onda) rappresentabili graficamente che consentono di conoscere la distribuzione della densità di carica elettrica negativa nello spazio attorno al nucleo. Dunque, le soluzioni dell'equazione di Schrodinger, dette funzioni d'onda e indicate con la lettera Ψ (psi), permettono di conoscere lo stato di un elettrone. Anche se la funzione Ψ, in realtà, non ha significato fisico diretto, la funzione Ψ2, calcolata per una determinata porzione di spazio, fornisce la probabilità di trovare l'elettrone in essa. Dal punto di vista matematico esistono infinite funzioni d'onda che sono soluzioni dell'equazione di Schrodinger relativa ad un elettrone, ma dal punto di vista fisico solo un numero finito di esse sono accettabili per rappresentare l'onda associata ad un elettrone in un atomo. Sono accettabili soltanto quelle funzioni Ψ che soddisfano alle seguenti condizioni:

 sono ad un sol valore, continue e finite in ogni punto dello spazio e all'infinito tendono a zero;  sono tali che

∭ ψ 2 dv=1

poichè Ψ2 dv rappresenta la probabilità di trovare l'elettrone nel volume infinitesimo dv, il fatto che sia 1 il valore dell'integrale indicato, esteso a tutto lo spazio, significa che in questo è certamente presente l'elettrone (se il valore della probabilità di un evento è 1 , cioè il 100%, si ha la certezza dell'evento). Quindi, mentre il modello atomico di Bohr considerava che gli elettroni si muovessero intorno al nucleo secondo orbite circolari, il modello atomico di Schrodinger definisce le regioni dello spazio in cui il quadrato della funzione d'onda raggiunge i valori più alti. Tali regioni furono chiamate orbitali  l'orbitale è quella zona in cui è massima la probabilità di trovare l'elettrone. Racchiudendo entro una superficie limitante tutti i punti per i quali l'elettrone ha la massima probabilità di passare nel suo moto intorno al nucleo, si ottiene una figura geometrica, simmetrica rispetto al nucleo, che dà un idea della "forma" dell'orbitale. L'orbitale non è un contenitore all'interno del quale si muove l'elettrone, ma solo la zona in cui è probabile trovarlo. A definire dimensione, forma e orientamento di un dato orbitale, concorrono i numeri quantici. Siccome è dalla ricopertura di queste zone di massima densità elettronica che prendono origine i legami chimici fra gli atomi, la conoscenza del numero, delle forme e dell'orientamento di tali zone nei vari atomi è di fondamentale importanza per interpretare e prevedere struttura e proprietà delle specie chimiche. Gli spettri atomici e i livelli energetci Le prime prove della quantizzazione dell’energia sono derivate dallo studio degli spettri atomici. Facendo passare una corrente elettrica attraverso un campione di gas H a bassa pressione il campione emette luce. La corrente (tempesta di e-) scinde le molecole di H2 ed eccita gli atomi di H risultanti a energie superirori. Gli atomi eccitati si liberano dell’energia in eccesso emettendo radiazione elettromagnetica, dopo di che si ricombinano in H2. Facendo passare la luce attraverso un prisma si trova che la radiazione è costruita da diverse righe spettrali. Gli scienziati si chiesero come faceva l’H ad emettere solo determinate frequenze di radiazione e l’unica risposta possibile era che l’atomo fosse in grado di cedere energia solo in quantità discrete  dunque che l’elettrone possa esistere solo in corrispondenza di certi livelli energetici. L’elettrone che subisce una transizione lo fa dunque da un livello ad un altro ha differenza di energia ΔΕ =E ¿−E inf =hv (energia di un fotone)  condizione della frequenza di Bohr. Per gli spettri dell’idrogeno atomico la frequenza delle righe è rappresentata dall’equazione generale:

frequenza righe=R

1 1 − 2 n1 n22

con n1 = 1,2,3,… e n2 = n1 + 1, n1 +2,…

R = costante di Rydberg = 3,29 x 1015 Hz Ora la necessità è quella di combinare le proprietà ondulatorie degli elettroni con il modello nucleare dell’atomo, cercando di spiegare la curiosa scala di livelli energetici osservata nell’atomo di H. Per trovare i libelli energetici dell’elettrone dell’atomo di H è necessario risolvere l’equazione di Shrodinger appropriata al caso. L’elettrone = particella in una scatola. 4

m e −h R En= 2 R= 3e 2 8h ℇ0 n

n = 1,2,…

Il numero quantico principale n è un intero che contraddistingue i livelli energetici. La minima energia possibile per l’elettrone dell’atomo di H, -hR, si ottiene quando n = 1  strato fondamentale dell’atomo. I numeri quantci e il modello atomico a orbitali Nel 1923 Schrodinger formulò il modello atomico a orbitali che portò alla teoria secondo la quale è possibile individuare le regioni dello spazio in cui la probabilità di trovare l'e- è max  gli orbitali. Ogni orbitale possiede una forma caratteristica e un certo contenuto di energia. La dimensione, l'orientamento e la forma dell'orbitale sono descritti dai numeri quantici. I primi tre numeri quantici servono a indicare e distiguere i diversi oribitali, il quarto descrive invece una proprietà dell'elettrone.





▫ ▫

La distanza media degli elettroni dal nucleo e dipende soprattutto dal numero quantico n, che viene chiamato numero quantico principale. Esso contrassegna lo strato e ne specifica l’energia. {Può assumere tutti i valori interi positivi: n = 1, 2, 3, 4 …} La geometria e la forma dell’orbitale dipende dal numero quantico l, chiamato numero quantico secondario. Esso contrassegna il sottostrato: l = 0  s; l = 1  p, l = 2  d ; l = 3  f … {Esso può assumere valori da 0 a n-1} Il numero quantico magnetico, m, descrive l'orientamento degli orbitali nello spazio. {Esso può assumere valori l, l-1, … , -l} Infine, il numero quantico di spin, ms, descrive la rotazione dell'elettrone attorno al proprio asse. {Esso può assumere soltanto due valori: ms = +½ e ms = -½.}

Le energie orbitaliche Gli elettroni degli atomi multielettronici occupano orbitali simili a quelli dell’idrogeno. Tuttavia l’energia di tali orbitali non è la stessa degli orbitali dell’atomo di idrogeno. Il nucleo di un atomo multielettronico ha una carica maggiore, e tale carica attrae gli elettroni più intensamente, abbassandone l’energia. Gli elettroni, però, si respingono a vicenda, e tale repulsione ridimensiona l’attrazione nucleare e tende a elevare l’energia degli orbitali. Negli atomi multielettronici le determinazioni spettroscopiche e il calcolo dimostrano che le repulsioni interelettroniche innalzano l’energia degli orbitali 2p rispetto a quella del 2s. Analogamente, nello strato n = 3 i tre orbitali...


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