Riassunto Seconda Parte - \"Colonialismo Italiano da Adua all\'Impero\" - L. Goglia PDF

Title Riassunto Seconda Parte - \"Colonialismo Italiano da Adua all\'Impero\" - L. Goglia
Course Storia e istituzioni dell'africa
Institution Università degli Studi Roma Tre
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Riassunto della SECONDA PARTE del libro "Colonialismo Italiano da Adua all'Impero"...


Description

IL COLONIALISMO ITALIANO L’ avvento al potere di Mussolini nell’ ottobre del 1922 non segnò un immediato mutamento nella politica coloniale del governo italiano; tuttavia questa data segnò l’ inizio di graduali cambiamenti negli elementi ideologici, nelle direttive programmatiche, nei rapporti economici e sociali, nella politica verso gli indigeni. Nell’ arco di tempo dal 1922 al 1940 è opportuno individuare tre distinte fasi: 1) gli anni della transizione (1922-36); 2) gli anni della definizione (1927-36); 3) gli anni della maturità (1936-40). 1. Per quanto riguarda il primo periodo, il governo fascista non adotta idee nuove nella politica coloniale. L’ unica novità è costituta dall’ esistenza di un governo forte che può adottare una politica dura nei rapporti con gli indigeni senza bisogno di mascherarla di fronte al parlamento o all’ opinione pubblica. Durante questa prima fase, la politica estera coloniale registra, il 14 luglio 1924, la firma dell’ accordo italo – britannico per l’ Oltre Giuba, che dalla sovranità britannica passa a quella italiana; questo accordo avrebbe dovuto rappresentare uno dei compensi coloniali spettanti all’ Italia in base all’ art. 15 del “patto di Londra”, riguardante appunto la spartizione delle spoglie dei vinti alla fine del primo conflitto mondiale. Fu inoltre riconquistata la Tripolitania ad opera del governatore Volpi, una delle figure italiane di imperialista più complete. In Somalia il quadrumviro De Vecchi, portò i metodi terroristici dello squadrismo fascista e liquidò il regime dell’ indirect rule con i sultanati di Obbia e dei Migiurtini. Questa fase ha la sua conclusione nella visita ufficiale che Mussolini compie in Libia nell’ aprile del 1926. il viaggio del duce costituisce un avvenimento importante perché è la prima volta che un presidente di Consiglio italiano visita una colonia. Il governo fascista mostra, con l’ attivismo del suo capo, quell’ attenzione coloniale che è ancora prevalentemente una proiezione della politica dello stato forte e della nuova immagine di ordine e efficienza. 2. Con la seconda fase si delineano con sempre più spiccata evidenza i caratteri di un colonialismo fascista, sia a livello ideologico e programmatico che nella concreta azione politica, economica e militare del regime. Questo nuovo orientamento prende corpo attraverso l’ elaborazione di strategie coloniali diverse sulla base di confuse formulazioni di interessi italiani, in Africa e nel Mediterraneo, mentre appare sempre più marcata la tendenza all’ espansione. Gli elementi principali, che segnano l’ evoluzione del colonialismo fascista, sono, in primo luogo, la pacificazione militare della Libia ad opera di Badoglio e Graziani e, successivamente, la pacificazione civile del governatore Balbo. Quest’ ultimo, escluso dal centro del potere in Italia per volontà del duce, si impegnò con slancio nella nuova azione di governo coloniale, mostrando un certo interesse per migliorare le condizioni di vita della popolazione araba, e varando, fra l’ altro, un vasto programma di opere pubbliche. Ma la vera svolta nella politica coloniale fascista si ebbe con l’ attacco militare vittorioso all’ Etiopia (1934), grande successo conseguito dagli elementi più aggressivi del regime. La conquista dell’ Etiopia fu il salto di qualità dell’ imperialismo coloniale fascista, che fece assumere all’ Italia gli atteggiamenti di grande potenza dotata ormai di un impero coloniale di notevole estensione in Africa più vicino agli ordini di grandezza britannico e francese. Tale evento è legato al rivendicazionismo intorno ai compensi derivanti dall’ art. 15 del “patto di Londra”. A favorire il successo dell’ impresa, a parte l’ efficienza delle operazioni militari, furono i fattori internazionali legati alla debolezza degli avversari. Inoltre, l’ aggressività italiana contro l’ Etiopia e la conseguente mobilitazione in forze della terza potenza mediterranea in funzione antagonistica alla Gran Bretagna, mentre in Egitto c’ è grande tensione politica e la Palestina va verso una rivolta che sarà duramente repressa dalle autorità britanniche, mette in evidenza l’ inadeguatezza militare della corona. 3. La vittoria sull’ impero negussita e la conquista di quel tormentato mosaico di territori e di popoli da parte dell’ Italia fu il fatto fondamentale che segnò la svolta in tutto l’ atteggiamento colonialista del fascismo. Seppure tale guerra (dei sette mesi: ottobre ‘35 – maggio ‘36), creò il problema del completamento dell’ occupazione e del porre l’ impero sotto l’ effettivo controllo italiano, ad ogni modo, al di là della contingente situazione etiopica, si stava affermando nell’ atteggiamento coloniale italiano una posizione più decisa. Si tratta della politica del diretto 1

dominio, ovvero la concentrazione del potere civile nelle mani di funzionari coloniali ai vari livelli. Le tre caratteristiche del dominio coloniale italiano erano quindi il dominio diretto, il razzismo e la colonizzazione demografica. L’ esigenza di una larga presenza dei quadri direttivi coloniali, che fin dall’ inizio è sentita negli ambienti coloniali italiani, è dovuta essenzialmente all’ idea che prima o poi le nostre colonie avrebbero dovuto servire come sbocco alla nostra emigrazione. Diventa evidente che in questa prospettiva il governo delle colonie debba essere, anche alla periferia, per quanto è possibile nelle mani del colonizzatore. Il sistema politico coloniale italiano non presentò caratteri coerenti e non seguì un modello fisso come ad esempio fecero inglesi, olandesi e belgi. Se si esaminano gli ordinamenti politico-costituzionali della Libia e dell’AOI, vigenti allo scoppio della seconda guerra mondiale, si rileva che essi sono tendenzialmente ispirati, il primo al sistema dell’assimilazione, il secondo a quello della differenziazione. Gli ordinamenti per la Libia e quelli per l’AOI, sebbene presentino marcate differenze, s’inseriscono senza grandi contraddizioni nella logica generale della politica coloniale fascista. da un esame dei testi degli ordinamenti e dell’amministrazione sembra che la tendenza all’assimilazione in Libia sia stata più apparente che reale ed è spiegabile per 2 ordini di motivi: il primo è l’elemento propagandistico ad uso del mondo arabo (in funzione antibritannica), il secondo è dovuto alla personalità dinamica del governatore Balbo ( l’uomo della pacificazione civile). In un provvedimento del 1934 una cittadinanza di seconda categoria veniva estesa a tutti i libici. Nel 1939 vengono esclusi gli ebrei libici, perché la legge tratta esplicitamente di libici musulmani. Ciò avvenne in seguito all’emanazione delle leggi razziali, attraverso le quali si cercò di proteggere la preservazione della razza ariana da contaminazioni. Il fenomeno razzista, nella sua espressione giuridica, è strettamente collegato alla conquista dell’Etiopia: il Gran Consiglio del Fascismo, in seguito alla conquista dell’impero, dichiara l’attualità urgente dei problemi razziali. Il razzismo fascista quindi, non consistette essenzialmente dell’aspetto antiebraico, bensì esso fu un fenomeno generale che prese forma definitiva dopo la conquista dell’Etiopia. La terza componente dell’imperialismo coloniale fascista è la colonizzazione demografica. L’eccedenza demografica rispetto alle risorse nazionali, la massiccia emigrazione di manodopera dall’Italia e le cattive condizioni di vita degli emigrati, avevano costituito fin dall’inizio uno dei temi di agitazione e riflessione dei colonialisti italiani. Essi erano partiti da questi dati per arrivare alla conclusione che il paese doveva per necessità avviare una politica espansionistica a fini di popolamento, giustificandola con i miti del populismo imperiale nazionalista. La colonizzazione agricola demografica fu iniziata sia in Libia sia in AOI. Nel 1928 fu fondato l’Ente per la Colonizzazione della Cirenaica, nel 1932 quello per la Tripolitania. Il quarto elemento che contribuisce a definire i caratteri dell’imperialismo coloniale fascista è il ruolo del Partito, che acquista un nuovo slancio dopo la conquista etiopica. Il P.N.F. venne meccanicamente trasferito in colonia con lo stesso tipo di struttura burocratica metropolitana e con gli stessi compiti organizzativi e propagandistici, associativi ed assistenziali della madre patria, ma in più gli venne affidato anche il settore corporativistico aumentandone così le competenze e facendone dopo il governo e i comandi militari il terzo polo di potere coloniale. Vi è un’ultima considerazione da fare, per concludere il nostro discorso sull’imperialismo fascista: durante il regime l’Italia impiegò nelle colonie una misura di gran lunga superiore di risorse rispetto ai governi precedenti. L’imperialismo italiano fu figlio di un paese povero di risorse, con pochi capitali da esportare e fu diretto su quei territori dai quali all’epoca c’era poco da accaparrare. L’Italia, povera e ultima fra le grandi potenze vincitrici della prima guerra mondiale, ma pur sempre potenza europea, agisce su scala internazionale in un ambito dove gli imperi coloniali erano importanti, dove certe ragioni strategiche non potevano essere ignorate. L’Italia visse la sua avventura cercando di colmare il ritardo con la fretta e durante il ventennio fascista l’accelerazione del processo coloniale subì un’ulteriore spinta.

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I PROGRAMMI, I MITI, LE REALIZZAZIONI Nella visione di Giuseppe Bottai (gerarca fascista), gli aspetti immediati del problema del colonialismo italiano vengono individuati nel Mediterraneo e nell’Islam. Il primo incentrato sulla Libia, che è il punto su cui fare leva per divenire una grande potenza mediterranea e per espandersi all’interno fino al Sudan settentrionale. L’aspetto islamico è visto sia come un momento della politica libica, sia come un riconoscimento della grande realtà internazionale rappresentata dall’islamismo. Di tutt’altra levatura politica è l’opinione di Dino Grandi che alludeva ad un’azione diplomatica italiana che mirasse ad ottenere una sorta di redistribuzione dei territori degli imperi coloniali in Africa nell’ambito dei grandi accordi internazionali con le grande potenze imperialiste. In un opuscolo propagandistico redatto da Tommaso Santoro per l’Istituto Coloniale Fascista, l’Italia doveva fare in Eritrea una politica islamica con l’intento di limitare l’influenza britannica nell’Oriente arabo. Compito dell’Italia secondo il redattore è quello di mediazione e congiunzione del mondo musulmano con l’Occidente. L’Istituto Coloniale Italiano aveva tra i suoi compiti istituzionali quello di divulgare le idealità imperialistico - coloniali e, ai vari livelli, la conoscenza delle colonie italiane e dei loro problemi. Egli fissa alcuni punti chiave della propaganda: 1. le colonie italiane non sono vaste se paragonate all’estensione del continente africano e ai possedimenti delle potenze straniere 2. nelle colonie italiane vi sono terre fertilissime 3. la scarsità della popolazione indigena in confronto con la sovrappopolazione nazionale 4. scuole italiane missionarie che insegnano la nostra lingua ai piccoli indigeni Nel gennaio del 1940 Mussolini presiedette la prima assemblea del Consiglio Nazionale delle Consulte Corporative per l’Africa Italiana e in quell’occasione delineò le sue idee riguardo la colonizzazione: il ruolo centrale dei contributi della madrepatria, l’idea autarchica dell’Impero (doveva bastare integralmente a sé stesso), l’integrazione delle risorse della madrepatria (doveva fornire le materie prima e ospitare le popolazioni metropolitane). Giuseppe Bottai, affrontò il problema dell’espansione italiana come problema politico. Le sue principali argomentazioni erano di carattere demografico e territoriale, le quali devono essere considerate dalle nuove generazioni come un problema politico e morale. La Libia, in quel momento peculiare della sua storia, era considerata per l’ Italia il problema dei problemi: incuneata tra i due imperi nordafricani dell’ Inghilterra e della Francia, essa rappresentava il solo punto sul quale gli italiani avrebbero potuto far leva, per non subire la stretta degli accerchiamenti irresistibili. Prendendo per esempio l’ espansione turca di Kemal, egli afferma che questi sono sintomi di quanto in tempi non lontani (primi del ‘900) sia stata forte la spinta del mondo islamico sulle nazioni occidentali; la sua preoccupazione riguardava la manifesta ostilità dell’ oriente contro l’ occidente. L’ Islam, il più politico tra i movimenti religiosi orientali, ne sarà il propulsore e l’ agente. Tale posizione è garantita geograficamente e storicamente dalla nostra funzione di ponte di passaggio fra l’ oriente e l’ occidente: noi siamo in definitiva gli occidentali con i quali sempre hanno dovuto e dovranno prendere contatto gli orientali, ogniqualvolta nella loro storia si sviluppano fenomeni di accostamento o di interessamento al’ Europa. Carlo Giglio si occupa delle motivazioni per cui l’ Italia avrebbe dovuto essere una nazione coloniale: se noi italiani vogliamo portare a compimento il nostro programma di politica mediterranea, se vogliamo sostenere validamente i nostri diritti di potenza coloniale, è necessario che una nazione per possedere delle colonie abbia quattro capacità fondamentali (proliferare, produrre, conquistare, organizzare). L’ Italia, ultima arrivata nella grande competizione per il possesso di colonie, a causa dell’ incomprensione di statisti (critica ai precedenti regimi liberali), e della mancanza di una diffusa coscienza coloniale tra la massa, ha dinnanzi a sé un problema coloniale essenzialmente mediterraneo, che presuppone, oltre la necessaria preparazione bellica, una geniale ardita e oculata politica estera. 1) Eritrea: stringere vigorosi contatti con gli stati della penisola arabica, aumentare le relazioni commerciali con l’ Abissinia e rinsaldare le amicizie e simpatie che abbiamo contratte in questi territori; 2) Somalia: stessa funzione politica dell’ Eritrea, con speciale riguardo all’ africa 3

centro – orientale; 3) Libia: ruolo centrale nella sua funzione mediterranea; era necessario crearle uno sviluppo economico e politico tale da aumentare efficacemente l’ influenza italiana nel Mediterraneo, e tale da creare uno sbocco nell’ Africa centrale. L’ Italia si trovava in una posizione svantaggiata rispetto alle altre nazioni ed era dunque necessario ridurre questo gap sfavorevole, in primo luogo per rafforzare la sua posizione in Europa; 4) Dodecaneso (isole greche): verso la Turchia che si va occidentalizzando ed in genere verso tutti paesi del Levante, importanza che si risolve in una duplice funzione, culturale e commerciale. Il fattore economico ha un ruolo centrale nella colonizzazione Italiana; difatti tramite la sua espansione in Africa avrebbe potuto migliorare la sua condizione economica precaria. Ciò è vero anche considerando le altre nazioni europee che si stavano gettando nell’ impresa coloniale per assicurarsi sempre maggiori fonti di sicurezza, basata sul completo e scientifico sfruttamento delle ricchezze e delle materie prime necessarie alla grande industria, sviluppando contemporaneamente le più celeri comunicazioni marittime ed aeree. Giglio afferma che, anche se le colonie italiane costituivano all’ epoca (1927), più che altro una spesa dell’ erario italiano, esse avrebbero potuto fornire in futuro una ingente fonte di ricchezza. Egli si concentra particolarmente sul ruolo della Libia, fiore all’ occhiello dell’ Impero Italiano, e sul suo ruolo di risorsa agricola. L’ emigrazione italiana dovrebbe essere diretta verso le colonie italiane in modo da arricchire la madrepatria, e non come prima verso altri paesi (America); ciò compone uno dei principali cambiamenti di rotta del governo fascista. L’ eccesso di popolazione dovrà essere incanalato e organizzato entro i confini della patria, e dunque nei nuovi territori coloniali, in modo da fornire sia una risorsa economica sia una via di sfogo di tale eccesso. Ernesto Cucinotta, in un libro educativo per ragazzi, fa una descrizione delle nostre colonie sia dal punto di vista territoriale sia dal punto di vista della popolazione; ciò dimostra lo sforzo del regime fascista per educare le nuove generazioni alla conoscenza coloniale, sintomo di un particolare interesse propagandistico volto alla incitazione per l’ emigrazione. Dino Grandi, argomenta la necessità di espansione coloniale, con toni revanscisti, in quanto ricompensa per gli sforzi compiuti durante il primo conflitto mondiale, negata dagli alleati in sede di trattativa. Alberto Giaccardi, fa un discorso circa l’ avvaloramento economico delle colonie italiane: l’ importanza dell’ Eritrea è data dalla sua posizione commercialmente strategica nei confronti dell’ Arabia e dell’ Abissinia; la Somalia è invece adatta alle grandi colture tropicali; Tripolitania e Cirenaica sono allo stesso modo colonie agricole, di uso differente, in quanto situate nella zona temperata. Egli afferma che per rendere fruttuoso i territori coloniali, è necessario spendere ingenti quantità di denaro, come spese di impianto, e gettando così le basi per la ricchezza futura. In una comunicazione presentata al secondo congresso di studi coloniali (1935), Annibale Grasselli, espone un piano programmatico per lo sfruttamento delle colonie riguardo al ruolo della famiglia. Egli afferma la necessità dell’ intervento statale volto al sostentamento delle famiglie coloniche: lo stato fornisce sotto forma di presititi somme di denaro che andranno a coprire le spese per la casa, le attrezzature, ed altre spese necessarie. Tali prestiti saranno gradualmente restituiti dal colono nel corso di cinque anni in parte in moneta, in parte in prodotti. Al termine del quinquennio, il colono dovrà dichiarare se intende acquistare il fondo bonificato o venderlo; nel caso di rinuncia all’ acquisto il colono verrà licenziato senza titolo di indennizzo. Ernesto Massi, prendendo in considerazione la colonizzazione inglese, sostiene che l’ Italia non avrebbe dovuto come gli inglesi apportare una colonizzazione di sostituzione, che consisteva nel sostituire i contadini indigeni con quelli bianchi, senza incrementare la produttività delle terre, bensì, avrebbe dovuto creare ampissime colture ti tipo industriale su vasta scala. Egli collega la infruttuosità delle coltivazioni africane alla scarsità di popolazione (un territorio che era tre volte quello dell’ Europa era abitato da appena 150 milioni di abitanti), giungendo anch’ egli alla conclusione che, per incrementare la produttività, era necessario incrementare in primo luogo l’ emigrazione, e dunque la quantità di forza – lavoro. Egli inoltre introduce nella sua analisi un elemento razzista, sostenendo che la popolazione nera è spesso restia al lavoro. Se la nazione colonizzatrice ha forte pressione demografica, sarà possibile al governo determinare un afflusso sufficiente di coloni, perché la loro 4

opera non sia di semplice sfruttamento: mediante l’ obbligo dell’ istruzione elementare a base professionale abituare l’ uomo al lavoro, creargli dei bisogni perché sia spinto a soddisfarli, e gradualmente, attraverso la sensazione dell’ utilità del lavoro per l’ individuo, avviarlo alla comprensione del principio che il lavoro è un dovere sociale (missioni educative). Il vantaggio derivante da un possesso coloniale è inoltre anche extra – economico, ad esempio può consentire di ottenere posizioni militarmente strategiche. Nella sua digressione c’ è inoltre posto per una giustificazione morale della colonizzazione: l’ industrializzazione coloniale è per gli indigeni un modo per raggiungere l’ autonomia economica e dunque l’ autonomia politica. La colonia rappresenta un mercato di consumo e di acquisto, che attrae non solo il commercio della madrepatria ma anche quello delle nazioni straniere. Due problemi fondamentali nell’ ambito della colonizzazione non vanno trascurati: il comunismo e il nazionalismo indigeno. Egli afferma che il comunismo sovietico si sia trapiantato tra le popolazioni dell’ africa; a tale fenomeno si oppone il nazionalismo indigeno. L’ Europa, stretta ad oriente dall’ imperialismo asiatico, e ad occidente da quello americano, necessita come sbocco commerciale per i suoi mercati l’ espansione nel continente africano. Giuseppe Volpi, tessendo le lodi della nuova politica fascista, afferma che con l’ avvento del duce, terminav...


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