Saggio su Antonio Rizzi PDF

Title Saggio su Antonio Rizzi
Course Storia dell'arte moderna
Institution Università di Pisa
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Saggio su Rizzi,pittore di Cremona ...


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ANTONIO RIZZI 1-BIOGRAFIA Di famiglia agiata Antonio Rizzi nasce a Cremona il 18 gennaio 1869. Figlio dell’industriale Pietro e della nobildonna Fanny Mina. La madre traferisce al figlio la sua passione per la musica con l’auspicio di indirizzarlo alla carriera da cantante, mentre altri membri della famiglia lo volevano avvocato come il padre. Frequentava il Ginnasio-Liceo “Daniele Manin” di Cremona quando, a causa di problemi di salute, fu costretto ad interrompere gli studi al liceo. Nel giovane cremonese, nel frattempo, si era istaurata la passione dell’arte, la quale si accompagnava a quella della musica e, incoraggiato dal suo primo maestro, Giovanni Bergamaschi1, che gli infuse l’interesse per il ritratto, si iscrisse nel 1886 all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano: nel 1890, infatti, vi si diplomerà. All’età di ventidue anni, diede già prova del suo grande talento dipingendo in soli sei mesi l’immenso sipario del teatro Ponchielli della sua città e, dal 1894, il giovane artista continua a dimostrare le sue capacità, testimoniati dalla vincita di alcuni premi: così, in lui s’instaurano grande consapevolezza e sicurezza del proprio potenziale, e la famiglia si convince del talento che Antonio stava esprimendo. È proprio grazie a L’imperatore Nerone osserva il cadavere della madre Agrippina per suo comando uccisa (Sala della Consulta, Cremona,1894), quadro di soggetto storico, ché vinse il premio Fumagalli. Ottenne, poi, il premio “Mylius” con il ritratto a fresco di Donatello (Accademia di Belle Arti di Brera). Negli anni seguenti questi successi, oltre ai numerosi ritratti, realizzò il telone per il Politeama Verdi, allora importante teatro in Cremona, ma fu chiamato anche all’estero per eseguire un fregio decorativo nel teatro di Caracas. Nel maggio del 1899, venne invitato a prender parte alla Mostra d’Arte Antica e Moderna di Cremona insieme ad altri pittori illustri della città, come il suo mentore, Giovanni Bergamaschi. Fu invitato, poi, alla Biennale di Venezia dove presentò la luminosa tela Vespro Estivo, esempio degli studi condotti en plein air nelle sue terre natie, terre ricche e verdi di Crotta d’Adda, in cui i suoi avi hanno costruito la loro fortuna. Il 1899 è anche l’anno delle nozze del pittore con Emilia Gorra, figlia di Giulio, celebre pittore rinascimentale. Poco dopo il matrimonio, si era, infatti, trasferito a Venezia trascorrendo uno dei periodi migliori della sua vita: qui vinse numerosi altri premi, e per completare la sua carriera artistica inizierà a lavorare per la rivista “Novissima” come illustratore da 1901. Nel 1906, si trasferisce, invece, a Perugia, in seguito all’ottenimento della cattedra di Pittura e Figura all’Accademia di Belle Arti. Rimarrà in Umbria solo cinque anni, fino alle dimissioni dall’Accademia a causa dell’insegnamento che non dava occasione ad Antonio per dedicarsi alla pittura. Dopo il periodo perugino, si trasferirà, sebbene per poco, a Firenze. A Roma, Antonio Rizzi vinse nel il concorso nazionale per i quattro lunettoni da eseguire a mosaico nella cupola della Libertà del Monumento a Vittorio Emanuele II, in funzione della 1 Giovanni Bergamaschi era a Cremona una figura notissima nel campo dell’arte, ma anche nel mondo della scuola per aver svolto, per trent’anni l’insegnamento del disegno presso le scuole tecniche, fu anche il primo conservatore del Museo Civico, raccogliendo le prime donazioni e i primi lasciti cremonesi.

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rappresentazione allegorica di Valore, Legge, Pace e Unione. Durante il periodo romano, mentre ultimava i lavori, intraprese uno scambio epistolare con don Illemo Camelli: questo personaggio sarà molto influente nella vita artistica del pittore cremonese e questa profonda amicizia, infatti, contribuirà al superamento dei periodi di depressione che Antonio affronta. Questa amicizia con il sacerdote porta il pittore a ritornare all’ambiente cremonese dal 1923 al 1930, periodo in cui rimarrà occupato nella progettazione di una serie di lavori in città. Il primo di questi lavori riguardò la realizzazione di una tela destinata a decorare l’organo del Duomo, e altri progetti toccarono la decorazione di alcuni ambienti di palazzi pubblici, tra i quali il salone di Palazzo Cittanova, la sala della Consulta del Palazzo Comunale e la Loggia del Palazzo dei Militi. Tuttavia, per cause sconosciute, egli porterà a termine solo il secondo progetto realizzando nela sala della Consulta otto tondi e quattro pannelli che rappresentano rispettivamente le Virtù del Buon Governo e le Glorie di Cremona. Negli stessi anni, partecipa alla III Esposizione d’Arte Moderna di Cremona (1926), decora la pergamena che l’Accademia di Firenze consegna a Mussolini in occasione della sua nomina a Primo Accademico ad honorem e realizza un pannello decorativo per l’atrio del teatro di Cavalese (1928). La mancata realizzazione dei progetti cremonesi aveva causato nel pittore un forte scontento, aggravato dalle sue precarie condizioni di salute, che lo tengono sempre più lontano dall’ambiente fiorentino, prediletto per le sue correnti novecentiste. Nel 1932, però, Antonio Rizzi, dopo alcune incertezze, decise di accettare la proposta del sig. Botti, proprietario della galleria Firenze. Migliori condizioni di salute gli permisero, infatti, di portare a termine una sua mostra personale. Nel ’36 prese parte anche al concorso per la decorazione di alcune vetrate del Duomo di Milano a tema vita di Giovanni Battista, progetto incompiuto che lo occupò per due anni. Nel 1937 dona al Museo Civico della sua città una parte delle sue opere, ma le sue condizioni fisiche sono sempre peggiori, ma non da impedirgli di dedicare gli ultimi sforzi al secondo Premio Cremona (maggio 1940) dove presenta il quadro Mietitori. Successivamente, si dedica alla realizzazione del bozzetto raffigurante la glorificazione del Duce, presentato al Premio San Remo del 1940. Antonio trascorre gli ultimi mesi della sua vita chiuso nello studio per la realizzazione di una grande composizione da presentare al Premio Cremona del 1941, ma il suo desiderio non si realizzerà a causa la morte, che lo coglie durante i lavori nella sua residenza di Firenze il 10 novembre 1940.

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2- L’ARTE DI ANTONIO RIZZI Antonio Rizzi, si pose come fine e sogno per tutta la vita di realizzare un’arte di rappresentatività pubblica, erede del Simbolismo e della tendenza allegorica che costituisce il fulcro del Simbolismo, allo smarrire della sua fase soggettiva, intimista, fantastico/lirica. La grande eredità dell’Ottocento, nell’avvio nel nuovo secolo, si avvale di un patrimonio di iconografie e di forme espressive attraverso le quali l’arte svolge un ruolo di interprete del mistero. Molti artisti del Novecento, specie quelli legati a realtà politiche in affermazione a ideologie levitanti, tendevano a trasferire le loro doti individuali su piano collettivo e attraverso simbologie grandiose e complesse e a trasformare il simbolo in allegoria. Questo si colloca come il grande filone seguito dai cosiddetti dannunziani, dai grandi decoratori delle Biennali di Venezia, e il pittore cremonese si pone una speciale tensione stilistica: si afferma come paesaggista, ritrattista, pittore che aspira a far parlare di sé spingendo chi lo osserva a nobili riflessioni. L’esordio pubblico dell’artista avviene con il sipario del Ponchielli, un’opera fantasiosa che costituisce una sorta di collage di iconografie storico-accademiche. È un compendio della cultura che il giovane artista, si era fatto nelle aule dell’Accademia di Brera, sotto la guida del maestro Bertini, esperto in apparati scenografici e decorativi. Così, vide il Neoclassicismo come un punto di partenza di, scriveva lo stesso Rizzi, “quella buona e sana scuola dalla quale erano usciti i migliori nomi di pittori lombardi del secondo ottocento: la scuola del Prof. Giuseppe Bertini2”. Per i primi romantici il presente si presentava incerto ed oscuro, carico di fatalità, tantoché non la Ragione ma la Passione poteva affrontare l’ignoto. Dopo l’amaro impatto con l’ambiente fiorentino, ormai ammaliato dalle novità del “Novecento”, per il Rizzi, ultimo tra i romantici, la delusione suscitava il desiderio dell’evasione, e l’amata storia si presentava come unico rifugio consolante e propizio alla nuova libertà d’artista: si tratta, ancora, di una specie di compendio della cultura che l’artista poco più che ventenne si era fatto nelle aule di Brera. Nelle sue opere, infatti, si possono ammirare anche soggetti di matrice verista, attraverso i quali egli raccoglie il messaggio degli artisti impegnati in problemi della vita contadina. Esempi sono Granoturco sull’aia e Vespro estivo, due opere tramite cui Rizzi mostra la sua vocazione a intraprendere l’episodio in un empito caloroso, trasfigurandone i caratteri veristici in senso epico: i personaggi paiono svolgere un rituale con l’effetto di una percepibile coralità, proprio in senso musicale. A un certo punto della sua carriera, Rizzi entra in contatto con la cultura modernista (che viene definita “liberty”), un linguaggio che si avvicinava alla scuola austriaca. La copertina di “Novissima”, il giornale con cui aveva iniziato a lavorare, si pone l’obiettivo di essere testimonianza all’interno della stessa corrente. Un’esperienza stilistica che spingerà il pittore cremonese verso le soluzioni preziose del cosiddetto “stile secessione”, uno stile che Rizzi riprenderà in modo più significativo nelle lunette a mosaico per il monumento a Vittorio Emanuele II in Roma.

2 Giuseppe Bertini (Milano, 11 dicembre 1825 – Milano, 24 novembre 1898) è stato un pittore e docente italiano, del movimento romantico e verista. Docente e direttore dell'Accademia di Belle Arti di Brera, fu il primo direttore e amministratore del Museo Poldi Pezzoli di Milano, fu maestro di Carlo Bazzi.

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Con l’avanzare degli anni, si coglie nello stile di Rizzi un graduale abbandono degli stilemi di carattere ornamentale e un addolcimento del modellato plastico. Nel suo complesso, Rizzi verterà, all’esordio degli anni Trenta, verso una maggiore sobrietà di toni e a una riduzione dell’elemento ornamentale specie nelle opere di fruizione pubblica, ma sarà una restrizione sofferta, poiché il pittore crede nell’efficacia simbolica del freddo splendore decorativo. Anche la ritrattistica ebbe un ruolo fondamentale e costante nella carriera da pittore di Rizzi: i ritratti giovanili a mezza figura e intera, sono frutto della sua esperienza verista e lo trasfigurano in chiave mondana. La sua ritrattistica si potrà dire matura solo con gli anni Trenta, in seguito all’influenza dalla scuola tedesca, ché si esprimerà in un freddo e penetrante linguaggio fatto di “nuova oggettività”. Il pittore cremonese, però, non perde mai l’occasione di rapportarsi con l’arte pubblica partecipando al Premio Cremona: dimostra così, ancora una volta, di volersi rapportare con il pubblico e di voler raccontare storie di largo respiro, raccontando temi quotidiani, grandi problemi, cercando ammirazione e rispetto.

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3-ANTONIO RIZZI E LA PASSIONE PER L’ANTICO, IL SIPARIO L’arte di Antonio Rizzi è influenzata certamente dall’ammirazione dell’antico. Questa passione gli è trasmessa dai maestri che ebbe nel corso della sua formazione, a partire dal Bertini. Quest’ultimo, infatti, nei suoi viaggi fu particolarmente segnato dai tesori della Capitale, dove rimase colpito dalle bellezze dell’arte antica e da quella del Rinascimento. E anche Antonio ebbe occasione di intraprendere un viaggio a Roma, nel 1913, dove vinse il concorso nazionale per la realizzazione dei quattro lunettoni. Nella capitale rimane quattro anni per compiere i lavori e ha occasione di scoprire ed essere attirato da quella cultura antica che affascinò precedentemente il suo maestro. La sua vasta produzione ne è testimonianza, a partire dal grande sipario del teatro Ponchielli che l’artista realizzò tra il 1891 ed il 1892, appena uscito dall’Accademia, dove imparò ad apprezzare il gusto antico. Oltre la lezione percepita dai suoi maestri, onde deriva la scelta della rappresentazione allegorica e il gusto della narrazione storica, egli utilizza quei modelli cinquecenteschi, neoclassici e soprattutto tiepoleschi che tanto lo colpirono nei suoi studi sull’antico. Sono anche rappresentate le basi di quella che sarà per il pittore la sua idea dell’arte: una rappresentazione emblematica e allegorica. Nell’Accademia, infatti, presso il Bertini, il giovane aveva consultato il Pagliano e, in biblioteca, i libri d’arte. Alla Scala ha visto i bozzetti della stessa opera rappresentata nel 1881, in particolare i quattro cartoni acquerellati del 1879 eseguiti dallo scenografo Carlo Ferrario. Probabilmente con lo stesso Ferrario ebbe un incontro per ottenere ulteriori informazioni di carattere tecnico per la realizzazione degli scenari: questo testimonia come al pittore non fossero mancate le informazioni preparatorie e anche qualche ispirazione sui metodi usati dai pittori-scenografici per le scene dell’opera.

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Il telone del Ponchielli, che si trova appena dietro al sipario, veniva chiamato nel gergo teatrale “comodino” che veniva calato “in prima” per permettere i cambiamenti di scena. La dipintura del “comodino” era assolutamente libera e si basava esclusivamente sull’ispirazione dell’artista e non vincolata alla presentazione: in origine, il telone doveva essere ispirato al Pernaso, ma poi finì per

essere vincolato a fatti storici antichi anche di carattere locale. Il sipario si contraddistingue per la presenza di molti personaggi in un ambiente classicheggiante settecentesco, movimentato dai loro atteggiamenti. Il telone del Rizzi è caratterizzato anche da una grande architettura sullo sfondo, dove si lascia intravedere un’altra stanza con numerose statue, e le proporzioni richiamano l’architettura tardoantica, che, probabilmente si ispira al modello raffaeliano fornito da Raffaello Sanzio, Scuola di Atene, Città del Vaticano, Musei Vaticani, 1509-11, poi reinterpretato e utilizzato anche fuori dal suo contesto e contenuto. Il tema che contrassegna il sipario è la musica, infatti viene rappresentata un’allegoria della musica che attraversa il tempio dell’arte. Il sipario, dalla lezione dei suoi maestri da cui deriva la scelta della rappresentazione allegorica, il gusto della narrazione storica, utilizza quei modelli cinquecenteschi, neoclassici e soprattutto tiepoleschi che tanto lo colpirono nei suoi studi dell’antico. Sono anche rappresentate le basi di quella che sarà per il pittore la sua idea dell’arte: una rappresentazione, appunto, emblematica e allegorica. A quarant’anni dall’inaugurazione, l’artista scrisse al suo amico don Camelli: “il mio male è stato quello di sognare sempre l’arte di concetto… se mi fossi accontentato di fare puramente della pittura diretta, quanta roba avrei fatto! Invece avevo il guaio della celebrità che oggi è considerata una peste!... Forse io ero più adatto per la musica che per la pittura, perché io penso sempre che l’artista debba inventare colla sua immaginazione quelle cose che lui solo può vedere e non fare quello che tutti possono vedere…Eppure mi accorgo oggi che la mia strada l’avevo trovata subito a vent’anni col sipario del Ponchielli!”3. Sul piano estetico, il telone è estremamente suggestivo e dimostra la grande abilità posseduta dall’esecutore, allora, ricordiamo, ventiduenne, e le ottime conoscenze tecniche dell’artista (che sono state rilevate nella relazione dei restauratori Marchetti e Fontanini incaricati nel 1994 dalla “Banca della Svizzera italiana” di Lugano di procedere alla generale pulitura e restaurazione su decisione dell’Amministrazione comunale). 3 Dall’Epistolario Camelli, lettera non datata, Ms. Camelli 34/32.

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4- IL PREMIO FUMAGALLI DEL 1894

Molto spesso quando alla formula un’opinione sui sovrani, l’elemento negativo del personaggio prevale su quello positivo, rappresentandolo così in un’iconografia che permette agli spettatori di avere sentimenti contrastanti nei confronti del protagonista dell’opera d’arte. È il caso di Nerone, sovrano mal visto da molte entità ma che possiede secondo studi storici, virtù importanti che fanno di lui un personaggio di cui tessere le lodi nel corso della storia. Con il tempo la figura di Nerone è diventato modello, un elemento iconograficamente provocatorio, sulla via della rappresentazione del “vero”. Una sorta di spettacolo su Nerone, che vede artisti fornire interpretazioni più o meno eversive di diversi momenti rappresentati dalle varie aberrazioni del tiranno. In particolare, i soggetti neroniani sono particolarmente indicati per farsi un’idea di repertorio figurativo frequentato dagli artisti delle Accademie, in particolare nel momento successivo all’Unità d’Italia, momento di rinnovamento istituzionale che vede la trasformazione del quadro storico in un quadro di “genere”. A conferma di questo, di questa nuova generazione di artisti, ci riporta al dipinto che Antonio Rizzi realizza nel 1894: esso si intitola proprio L’imperatore Nerone osserva il cadavere della madre Agrippina per suo comando uccisa. Il dipinto del pittore cremonese, realizzato all’età di venticinque anni, è il primo Nerone che esce dall’Accademia di Brera ed è il primo a cui stata conferita una menzione d’onore, il premio Fumagalli assegnatogli su giudizio di Bertini e Mosè Bianchi. L’opera di Rizzi presenta, inoltre, un’esibita e sontuosa ambientazione “archeologica”, secondo il gusto del pittore anglo-fiammingo all’epoca conosciutissimo in Italia, Lawrance Alma Tadema.

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La disposizione dei personaggi è stata realizzata in un’evidente dinamica drammatica, supportata dalle gradazioni cromatiche che ci percepiscono nelle vesti (il rosa di Nerone, il rosso di Agrippina). L’episodio raffigurato, tratto dalla narrazione di Svetonio, nell’ambientazione imperiale come già anticipato, vediamo in primo piano il cadavere di Agrippina, gettata a terra con la testa immersa nel sangue. L’imperatore, rappresentato grasso, si trova inginocchiato accanto alla madre posando lo sguardo cupo mentre gli toglie l’ultimo velo rosso che copriva la madre. In alto a sinistra, i famigliari osservano incuriositi. Nel gruppo spicca Seneca, impassibile, con le braccia incrociate sul petto. L’atmosfera emanata dal quadro è pesante, i colori cupi e il fondo scuro rendono bene la tetraggine dell’ambiente. Probabilmente secondo le intenzioni del pittore solamente il corpo di Agrippina, illividito e irrigidito dalla morte, avrebbe dovuto suscitare nello spettatore un fremito di pietà. Sotto l’aspetto tecnico, l’artista nella sua tela cerca di restituire il senso “fisico” della materia, nel caso della vasca riempita d’acqua, dipinta nella cornice della reggia del sovrano, in un’ambiente interamente marmoreo che possiamo ricondurre alla Domus Aurea. La scena dimostra le capacità

dell’autore nel campo della pittura storica, precedentemente rappresentata nell’ideazione del sipario del Teatro Ponchielli.

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5- IL VIAGGIO A ROMA Nel 1913, Antonio Rizzi ha l’occasione di compiere il suo viaggio a Roma, circostanza che gli viene conferita dal concorso nazionale per i quattro lunettoni. L’idea del Vittoriano fu concepita nel 1878 quando, alla morte di Vittorio Emanuele II, il Parlamento decise di dedicargli un monumento per celebrarlo come Padre della Patria. Il primo Concorso Internazionale fu indetto nel 1880 ad individuare le linee direttrici di quello che sarebbe stato; nel 1883 un secondo bando fu vinto da Giuseppe Sacconi che presentò i primi validi progetti. Posata la prima pietra il 22 marzo 1885, il monumento, non era ancora terminato nel 1911, anno in cui furono indetti ulteriori concorsi per la decorazione scultorea e musiva: il completamento del cantiere avvenne nel 1935. Le lunette a mosaico risultano essere l’ultima opera compiuta nel 1921, ancorché le spoglie del Milite Ignoto caricassero il monumento di una nuova valenza simbolica. Il Concorso Nazionale per la loro realizzazione è stato concepito l’8 novembre del 1912, benché senza particolari direttive iconografiche, tranne che quella generica di ricalcare temi tratti dai concetti di Unità e Libertà, figure già rappresentati dagli ...


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