Testimonianza assistita PDF

Title Testimonianza assistita
Author Sergio De Lellis
Course procedura penale
Institution Università telematica Unitelma Sapienza
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testimonianza assistita proc pen...


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LEZIONE DEL 14 DICEMBRE Studente: quale è la ratio della teoria del pregiudizio effettivo? Professore: la teoria del pregiudizio effettivo parte da una premessa, che di per sé non è completamente indegna, cioè esistono garanzie o criteri che hanno effettivamente inciso sulla violazione di una prerogativa, ci sono norme il cui mancato rispetto determina una forma che non ha una vera e propria funzione di tutelare un bene. Creano una concezione sostanzialistica della tutela degli interessi. Creano un approccio tipico di alcune aree del common law, che vogliono un vero e proprio pregiudizio perché si determini il vizio. Noi invece siamo abituati ad una concezione più legata al concetto di fattispecie, quelle le sono le regole previste dal tipo, il tipo non è rispettato, quindi nullità. Non ci interessa di sapere se c’è o no un pregiudizio, il pregiudizio è in re ipsa per il non rispetto delle norme. Pregiudizio effettivo dice la nullità non c’è perché il bene che sarebbe tutelato non è effettivamente pregiudicato. Questo tema riguarda prevalentemente le notificazioni. Assistente: l’unico ancoraggio che si può trovare a questa teoria è la ragionevole durata del processo e il principio di economia, al fine di limitare gli effetti che produce la nullità. Studente: quando ci ha parlato dell’art 417, ci ha detto che la corte costituzionale prevede due strumenti per sanare questo tipo di nullità. Il primo con l’art 423 e l’altro? Assistente: quando il pm non corregge, si richiama il 421, ritrasmette gli atti, quindi si ha una applicazione estensiva di uno strumento che è previsto espressamente per il dibattimento e si richiama l’udienza preliminare, si restituiscono gli atti. TESTIMONIANZA ASSISTITA Il tema ha una sua matrice; vi è la difficoltà di tracciare una linea netta come in altri sistemi viene tracciata tra imputato e testimone. I sistemi di common law sono chiarissimi in questo è imputato colui il quale sta nel proprio processo, tutti coloro i quali non sono imputati nel proprio processo, sono estranei al processo e quindi possono o debbono assumere il ruolo di testimone. Il meccanismo è semplicissimo. Il nostro sistema è basato su una duplice premessa che scombina questo meccanismo. Da un lato, in qualche modo siamo sempre figli della connessione; dall’altro, che uno degli effetti dell’essere figli della connessione è l’istituto dell’incompatibilità testimoniale, che è disciplinato dall’art 197 cpp. Il 197 stabilisce che: non possono essere assunti come testimoni, e poi dice una serie di categorie. La regola dovrebbe essere questa. La matrice della regola è questa, nemo testis contra sé, cioè nessuno può essere costretto a testimoniare contro se stesso. La logica è la stessa che sta alle spalle dell’art 63 cpp. Ai sensi dell’art 63, se una persona informata sui fatti veniva convocata ed emergevano per caso responsabilità a suo carico bisognava interrompere l’esame, avvisare la persona che stava cambiando il suo ruolo, avvisare che aveva la facoltà di non rispondere, avvisare che poteva assumere un difensore, e avvisarlo che se per caso dirà cose sugli altri assume il ruolo di testimone. Cioè significa tracciare una linea netta di consapevolezza nella persona che svolge il ruolo di testimone, onde evitare uno scambio di ruoli. La logica è quella del nemo tenetur se detegere, nemo testis contra sè. Nel vecchio sistema il problema non era risolto dal meccanismo anglo-americano, se sei imputato sei imputato, se sei fuori dal processo sei testimone. Addirittura, nel processo anglo-americano l’imputato può scegliere di diventare testimone. Nei film americani, l’imputato si siede sul banco dei testimoni e giura, l’imputato cioè può scegliere volontariamente di essere interrogato come testimone e di sottostare quindi alle stesse regole del testimone: quindi l’obbligo di

dire la verità, la possibilità di essere condannato ecc… Questo meccanismo volontario per cui sei tu che decidi di essere testimone o no, nel nostro sistema ancora non era previsto, perché eravamo tutti figli della connessione. Perché la regola dell’incompatibilità testimoniale valeva non soltanto per l’imputato nel proprio processo, ma valeva anche per i coimputati, e continuava a valere anche se i processi si facevano separatamente, perché era un’ipotesi in cui non operava la connessione, perché era una ipotesi in cui era stata disposta la separazione, perché era un’ipotesi in cui comunque c’era un collegamento tra le fattispecie, fino al collegamento probatorio per cui c’era la possibilità che queste dichiarazioni refluissero all’interno del procedimento. La logica era quello di tutelare, non tanto il diritto dell’imputato nel processo, ma il diritto del coimputato che non veniva processato ma che rendeva dichiarazioni che in qualche modo potessero tornargli contro. Il meccanismo era molto contorto, quindi il diritto al silenzio valeva sia per l’imputato nel proprio processo, sia per il coimputato per il quale si procedeva separatamente. Tutto questo meccanismo finisce davanti alla corte costituzionale, che con sent. 361/1998 dichiara incostituzionale le norme allora vigenti, stabilendo che c’è una distinzione nettissima, anche nel caso del coimputato, tra dichiarazioni sul fatto proprio, su cui vale il diritto al silenzio, e dichiarazioni sul fatto altrui, sulle quali non si può invocare la stessa misura del diritto al silenzio che si può invocare da parte dell’imputato sulle dichiarazioni sul fatto proprio. Come a distinguere 2 momenti probatori diversi, cioè quando l’imputato o il coimputato parla di sé o parla degli altri. Questa sentenza non si può spingere fino al punto di dire che le dichiarazioni sul fatto altrui ti fanno diventare sic et simpliciter testimone, e avrai la disciplina del testimone; non riesco ad escludere l’incompatibilità testimoniale. Ciò è una delle conseguenze della connessione, è ancora un istituto che è implicitamente collegato alla logica della prevenzione dei conflitti tra giudicati. Non riesce a fare questo, perché sarebbe stata una sentenza che capovolge il sistema, lo fa diventare un sistema anglo-americano che noi non abbiamo in senso stretto. La questione rimane pendente. Interviene poi in questo processo l’art 111 cost, il quale dice non solo che la prova si forma nel dibattimento, ma prevede una esplicita regola che abbiamo definito, regola di utilizzazione o di valutazione, che dice che nessuno può essere condannato sulla base di dichiarazioni di qualche fonte che non è stato possibile controinterrogare. Questa norma viene ribadita appositamente dalla legge attuativa del 2001 n 63 del codice del giusto processo all’interno del codice di procedura penale. A questo punto si è passati dall’altra sponda. L’imputato che rende dichiarazioni su fatto altrui non è più uguale all’imputato di prima, ha un po' perso il suo diritto al silenzio. Il giusto processo ci impone di contemperare i diritti della persona sottoposta ad esame interrogatorio come coimputato o come coindagato, con i diritti della persona che viene raggiunta da quelle dichiarazioni. Il diritto al contradditorio della persona accusata dal dichiarante è almeno equivalente, se non superiore ai diritti e alle garanzie di chi rende le dichiarazioni. Allora il legislatore crea una duplice figura di testimone, che normalmente nel vecchio regime era considerato semplicemente un coimputato. A questo si riferisce l’art 197bis. Il professore le chiamerebbe cosi: 197bis co 1: il testimone già imputato, cioè colui il quale era stato imputato e diventa testimone. 197bis co 2: testimone volontario. 197bis co 1 “L’imputato i in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12 o di un reato collegato a norma dell'artico 371, comma 2, lettera b), può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444.” Quindi il coimputato con la sentenza definitiva perde la sua qualifica di imputato o coimputato, può essere sempre testimone. La seconda ipotesi è quella in cui l’imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’art 12 co 1, lettera c) o di un reato collegato a norma dell’art 371 co 2 lett b) può essere sentito come testimone nel

caso previsto dall’art 64 co 3, lett c). Cioè quando nel corso dell’interrogatorio gli si dice guarda che tu hai: la facoltà di non rispondere, quindi tu puoi non rispondere, ma il procedimento procederà il suo corso comunque; secondo, che se rispondi, e rendi dichiarazioni a carico di altri potrai assumere la qualità di testimone, non ti venire a lamentare se ti portiamo in dibattimento come testimone. Non puoi dire no, io non lo voglio fare come potevi fare prima della sentenza 361 del 98. Quindi il “testimone volontario”, accusa lui di aver fatto la rapina. Questa dichiarazione sul fatto altrui può essere di 2 aspetti: può essere una semplice chiamata di reità, in cui dice “io non ho fatto niente, la rapina l’ha fatta, gestita tutta Riccardo con il suo clan”. Questo si chiama chiamata di reità. Sono dichiarazioni col botto sul fatto altrui. Oppure può dire: “si l’ho fatta io, ma c’era pure Riccardo”, cioè può essere una chiamata in correità, la chiamata di correo. E’ evidente che in questi due casi, colui il quale rende queste dichiarazioni si comporta un po' come un testimone. Scatta il diritto dell’altro di controinterrogarlo, sia se è stato accusato sia è stato accusato insieme a lui. E allora, Riccardo, rientra nel 2 co dell’art 197 bis. Il legislatore dice non ti puoi più avvalere della facoltà di non rispondere, devi essere trattato in qualche modo come un testimone, ma non dice che sei proprio un testimone. Vedete, è un istituto particolare. A proposito della chiamata di correo, del 210 di cui vedremo, il compianto prof. Pisapia, che è stato quello che ha presieduto la commissione di riforma di questo codice che voi dovete studiare, parlava della categoria dell’impumone, cioè dell’imputato testimone. Vedete in questi casi è assistito da un difensore di fiducia, è un testimone assistito da un difensore. Già questo è un primo campanello d’allarme del fatto che alcune cose le ha del testimone e altre le ha dell’imputato. Attenzione, questo difensore è uno che sta seduto e basta su una panca, non fa niente, controlla solo che le cose si svolgano regolarmente, non è che fa domande. Non solo, non è assistito solo dal difensore, ma da ulteriori garanzie 197 bis co 4 “nel caso previsto dal co 1 il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione”. Quindi è una sorta di immunity, come dicono gli anglo-americani. Se lui a concluso il suo processo, non lo possono obbligare se aveva negato la sua responsabilità. 4 co” nel caso previsto dal 2 comma il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti”. Quindi nel primo caso non può proprio essere obbligato a deporre, se non aveva mai parlato, e nel secondo caso non può essere obbligato a dire cose che riguardano la propria responsabilità su cui ha già risposto. Gli angloamericani parlano a proposito di questo di ius immunity, cioè il testimone è immunizzato dalla possibilità che si usino contro di lui le dichiarazioni, che era la vera ragione per cui il coimputato nel processo vecchio e il coimputato fino alla riforma del 2001 aveva l’incompatibilità testimoniale. L’incompatibilità testimoniale in quei casi era una garanzia per chi doveva rendere dichiarazioni, non per chi veniva raggiunto da quelle dichiarazioni. Veniva garantito contro il fatto che potesse rendere dichiarazioni contra di sé, testis contra sé. E’ una norma sull’inutilizzabilità. 5co “in ogni caso le dichiarazioni resi dai soggetti di cui al presente articolo non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette”. Vedete, è una ius immunity generale, anche nei processi extrapenali, cioè non devi correre alcun rischio di essere messo contro te stesso, e contro l’esigenza di tutelare te stesso e il tuo diritto. Quindi è assistito dal difensore, è assistito dalla garanzia che non verrà utilizzato nulla contro di loro, e addirittura assistito, se non ha reso dichiarazioni, dalla garanzia che non deve essere nemmeno obbligato a deporre. Tutto questo è il viatico

per proteggere chi rende le dichiarazioni ex 197 e chi deve assumere l’ufficio di testimone col 197 bis. Possiamo dire però, che come nel sistema angloamericano, chi è stato già processato e condannato o applicato la pena con sentenza irrevocabile, chi ha scelto volontariamente di rendere dichiarazioni a carico di altri, è diventato un vero testimone? Abbiamo già degli indizi che non lo sia, perché ha delle garanzie che il testimone non ha. Ma la definitiva riprova che nonostante il tentativo di farlo diventare testimone, il legislatore se ne fida fino ad un certo punto lo ricaviamo dall’art 197 bis co 6. Se fosse un vero testimone in senso stretto, il co 6 non esisterebbe. 197bis co6 “alle dichiarazioni rese dalle persone che assumono l’ufficio di testimone ai sensi del presente articolo, si applica la disposizione di cui all’art 192 co 3.” Cioè le dichiarazioni devono essere valutate, unitamente agli altri elementi che ne confermano l’attendibilità. Può assumere l’ufficio di testimone, ma viene assistito da garanzie, e le sue dichiarazioni non vengono valutate come una testimonianza in senso stretto. Il testimone con sentenza irrevocabile è ovviamente un testimone comune. Secondo voi perché un testimone assolto con sentenza irrevocabile è un testimone comune? Perché c’è il ne bis in idem. Studente: quale è l’area di operatività del 210 rispetto al 197 bis? Professore: questa è una domanda pazzesca vista da oggi, ma è una domanda altrettanto pazzesca per chi l’ha visto nel passare del tempo questo istituto. Perché il 197 bis prima per definizione non esisteva, prima era tutto 210, cioè o eri imputato nello stesso procedimento o eri imputato in un procedimento diverso. Per l’imputato in un procedimento diverso valeva il 210. A complicare quest’area che era chiarissima, interviene il 197 bis che crea queste categorie, il testimone già imputato e l’imputato volontario. E la domanda è: ora il 210 a che serve? Evidentemente serve per quelle aree che sono né imputato e basta, né 197 bis. Ora bisogna vedere quali sono però. Studente: nel co 1 del 197 bis parla di sentenza irrevocabile, mentre nel 210… Professore: per definizione il 210 non riguarda sentenze irrevocabili, perché nella sentenza irrevocabile sicuramente finisci o se sei assolto o testimone testimone. Quindi quest’area non è coperta dal 210, il 210 presuppone che siano imputati con quelle caratteristiche, cioè connesso in quel modo, per i quali si procede o si sia proceduto separatamente. Questi qua possono avvalersi della facoltà di non rispondere. Quindi hanno tutte le caratteristiche quindi se ne può disporre l’accompagnamento coattivo, devono essere assistiti da un difensore, sono citati come testimoni, ma possono avvalersi della facoltà di non rispondere, tant’è che nei processi quando si siedono, cominciano dei dibattiti stupendi in cui si dice: ma è un 197 bis o è un 210? studente: il comma 6 art 210, si differenzia con il comma 2 del 197 bis, solo perché non ha reso dichiarazioni sulla responsabilità dell’imputato? Prof: in questo sicuramente. La grande novità rispetto al passato è l’inserimento all'interno del codice della categoria dell’inutilizzabilità come autonomo vizio processuale. Il vecchio codice prevedeva soltanto una o due ipotesi speciali di inutilizzabilità, in particolare, in materia di intercettazioni telefoniche illecite (Caso Don Pozzi) altro si ricavava dal sistema. Il legislatore introduce espressamente il vizio dell’inutilizzabilità. Questo vizio viene inserito da un legislatore che fino a quel momento era figlio della nullità, lo strumento tipico dei vizi processuali era la nullità anche in materia di prove infatti il mancato rispetto delle norme che riguardavano le prove dava come risultato la nullità intermedia, assoluta o relativa Il vizio dell’inutilizzabilità che non esisteva all'interno

del nostro sistema era ben conosciuto dal sistema angloamericano e da quei sistemi che avevano elaborato vere e proprie dottrine sulla prova illegalmente ottenuta che notoriamente da luogo all’inutilizzabilità. Il nuovo codice porta con sé anche l'istituto della inutilizzabilità, vizio che riguarda le prove, ma il legislatore non aiuta molto nella definizione perché fissa una norma generale, destinata ad essere oggetto di interpretazione, la quale prevede appositamente all’art. 191 c.p.p. la categoria dell’inutilizzabilità. L’inutilizzabilità viene chiamata “prove illegittimamente acquisite” sotto il profilo lessicale è una traduzione un po' rozza della norma prevista nell'ordinamento angloamericano. L’art 191 c.p.p dice che le prove illegittimamente acquisite, crea una nuova categoria non “prove illegittimamente acquisite” ma specifica cosa intende lui quindi per prove illegittimamente acquisite, dice le prove acquisite in violazione delle divieto e limiti stabiliti ma la legge non possono essere utilizzate, II comma l’inutilizzabilità è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo e poi aggiunge un due bis ma lo lasciamo perdere in questo momento non ci serve. Vedete apre un mondo perché nella logica del processo penale misto figlio, più o meno del processo inquisitorio, l’inutizzabilità come categoria non esisteva si era soltanto elaborata, piano piano, la categoria dell'inammissibilità della prova intesa come un oggetto non poteva essere oggetto di prova e che questa categoria veniva utilizzata soprattutto per quanto riguarda il sequestro e cioè si diceva: l’inammissibilità del sequestro si ha soltanto quando la cosa appresa al processo non può in nessun modo a essere sequestrata è un bene non sequestrabile non importa come ci si è arrivati perché se il bene non è sequestrabile la prova sarà inammissibile ,categoria simile a quella dell’inutilizzabilità, se la cosa di per sé sequestrabile vige un principio opposto che è la matrice di tutte le regole probatorie nel sistema inquisitorio e poi nel sistema misto che così recita: “male captum bene retentum” non importa come lo hai preso ma l'importante è che tu te lo possa tenere. Franco Cordero faceva un esempio che spaccava: dell'imputato che sotto tortura confessava dove aveva seppellito la vittima del suo omicidio, diceva la tortura è sicuramente un illecito la tortura e addirittura un reato, addirittura oggi abbiamo introdotto il reato di tortura ma attraverso questa tortura abbiamo ottenuto un risultato che non possiamo buttar via che cosa facciamo? Non andiamo a cercare il cadavere? Una volta trovato gli mettiamo sopra la terra? E’ un argomento che fulminava gli interlocutori ma il problema non era questo, nessuno ha detto di lasciare senza una giusta sepoltura il cadavere, la logica è: si può essere condannati sulla base di una prova illegalmente ottenuta? Non stiamo dicendo che la cosa non debba essere appresa ma esistono delle regole di profilassi secondo cui anziché il risultato contano le regole con cui il risultato lo si raggiunge? Che differenza c'è tra una tortura finalizzata a sapere dov'è un cadavere è una tortura generalizzata? E allora questo argomento non può portare alla legittimazione della tortura, cioè, consentire che si possa provare qualcosa attraverso dei mezzi illegalmente ottenuti non è qualcosa che non va e il problema verteva e continua a vertere su che cosa significa “divieti stabiliti dalla legge” nessuno ci dice che cos'è un divieto stabilito dalla legge e fino ad oggi in materia di prove all'interno del giudizio non c'era nessun richiamo ai divieti stabiliti dalla legge. Il legislatore Orlando ha riesumato questa nozione di divieto probatorio a proposito del giudizio abbreviato, c’è una norma che esplicitamente dice, mutuando in una materia goffa e rozza una...


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