#08.1 Shopenhauer e Kierkegaard (Filosofia) PDF

Title #08.1 Shopenhauer e Kierkegaard (Filosofia)
Course Filosofia 5 Anno Liceo (scientifico)
Institution Liceo (Italia)
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Appunti di Filosofia...


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SCHOPENHAUER Contemporaneo di Hegel e Marx, i suoi esempi furono Platone e Kant. Fa parte, insieme con Kierkegaard (suo contemporaneo)e Nietsche (il quale se la prese con Marx), dell’irrazionalismo ottocentesco, che si opponeva alla razionalità hegeliana: introduce una filosofia che non ricerca una risposta universale e onnisciente, ma che si occupa di piccoli problemi e si è coscienti del fallimento della ragione (non può controllare tutto, anzi gli sfugge la maggior parte della realtà). Richoeur affermava che Marx, Nietsche e Freud fossero i maestri della scuola del sospetto: secondo questi filosofi la realtà non è lineare come spiega la ragione di Hegel, qualcosa esula. La teoria di Richoeur sembrerebbe errata, poiché Nietsche critica Marx anche se entrambi sono maestri del sospetto: in realtà è corretto perché se da una parte Marx amava la dialettica hegeliana tanto da affermare che la razionalità umana trova la legge della storia (ciò è quello che criticano Nietsche e l’irrazionalismo ottocentesco), dall’altra, con il suo materialismo storico, arrivò a sostenere che la storia non è guidata da un’Idea, ma dall’uomo (ed è per questo che Marx si può definire maestro del sospetto). Riguardo al problema della cosa in sé, Schopenhauer si rifece a Kant per superare il pensiero di Hegel. Il filosofo voleva recuperare il pensiero kantiano nella sua pienezza, partendo dall’opposizione tra noumeno e fenomeno, ma in seguito sposterà la linea del suo pensiero fino a considerare il problema della cosa in sé. Scrisse “Il mondo come volontà e rappresentazione” (1818), che venne ignorato negli ambienti accademici, ma apprezzato dagli artisti (soprattutto romantici). Questo è il destino comune anche per Kierkegaard e per Nietsche, i quali possedevano una sensibilità precoce rispetto al contesto loro contemporaneo (si occupavano del problema del male, del problema della condizione umana, …). Schopenhauer sostiene che l’uomo vive nel fenomeno, nella realtà come gli appare, e non conosce il noumeno; ma mentre secondo Kant gli uomini sono limitati, la ragione umana non può indagare il noumeno, Schopenhauer affermava che il compito dell’uomo è ricercare il noumeno che in realtà può conoscere. Per spiegare questo concetto utilizza una metafora ripresa da una figura della filosofia orientale (Maya: potere illusionante di Dio, il quale crea illusioni che ingannano l’uomo): il velo di Maya, ossia il fenomeno come illusione che copre il noumeno. Il compito dell’uomo quindi è squarciare questo velo per conoscere la realtà, indagabile per l’uomo, del noumeno. Questo rappresenta la prima frattura con il pensiero di Kant. Inoltre Kant affermava che il fenomeno è un oggetto esterno alla coscienza dell’uomo, che viene sottoposto alle forme pure della mente; secondo Schopenhauer invece (seconda frattura) il fenomeno è interno alla coscienza umana, è una rappresentazione soggettiva, una realtà onirica, un’immagine del mondo costruita all’interno dell’uomo (in questo senso il “mondo come rappresentazione”); per questo l’uomo deve svegliarsi (bucare il velo di Maya) dal sogno (fenomeno, rappresentazione) per conoscere la realtà autentica (noumeno). La rappresentazione non è arbitraria, ma procede secondo tre precise funzionalità (per Kant solo le prime due): o Spazio; o Tempo; o Causalità. Solo seguendo queste funzionalità, la rappresentazione risponde al rapporto di causa-effetto. Le paragona ad un prisma: come questo spezza la luce in colori, le tre funzionalità permettono di avere molteplici punti di vista di una cosa unica, uguale per tutti. Rispettano il principio di individuationis (individuare un corpo che occupa una spazio): utilizzando queste tre funzionalità, l’uomo può costruire un proprio punto di vista. Lo strumento che permette di conoscere la cosa in sé è il corpo (deriva da un istinto primordiale): infatti attraverso esso l’uomo può dire se esiste qualcosa di diverso dalla propria rappresentazione, e questo qualcosa non è rappresentabile. Il corpo è ciò che permette di squarciare il velo, ciò che fornisce stimoli diversi e antitetici rispetto alla propria rappresentazione. In questo senso “mondo come volontà”, il noumeno. La volontà è intesa come volontà di vivere; le sue caratteristiche, antitetiche a quelle della rappresentazione, sono: o Eterna (fuori dal tempo); o Unica (fuori dallo spazio); o Incausata (fuori dalla causalità), non ha cause. Tutto ciò rende la volontà di vivere una energia, un impulso non indagabile con la ragione, ma solo con la parte irrazionale dell’uomo; tutto ciò perché essa non è governata dalla ragione ed è quindi senza scopo, altrimenti prevedrebbe la razionalità. Grazie al principio di analogia si viene a scoprire che tutto è volontà di vivere, tutto è universale: essa si oggettiva, si rende concreta attraverso le idee platoniche (archetipi), poi attraverso ogni uomo. La volontà di vivere è un desiderio, una mancanza che porta alla sofferenza. Schopenhauer ha una visione negativa del piacere: secondo il filosofo è una cessazione temporanea del dolore e vive in funzione di esso. A fianco alla sofferenza per Schopenhauer c’è la noia (“La vita è come un pendolo che oscilla incessantemente fra il dolore e la noia”): nasce quando l’uomo non ha più desiderio, è la totale mancanza di desiderio, che è un male ma almeno rende vivi. Neanche l’amore dà salvezza: è solo un’illusione, è fenomeno; il noumeno corrispondente è la procreazione. Schopenhauer fa una metafora tra l’uomo e la formica gigante d’Australia: quest’ultima se la si divide a metà e le si invertono le due parti del corpo incomincia ad attaccarsi da sola prima di morire; anche l’uomo ha una parte completamente irrazionale che lo induce a schierarsi contro tutto e tutti, anche contro se stesso. Si parla per Schopenhauer di pessimismo integrale o cosmico, perché tutto il cosmo sta male, anche noi stessi ci creiamo sofferenza. Non esiste per il filosofo l’ottimismo sociale, poiché l’uomo vive nella società soltanto per bisogno; non esiste

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neanche l’ottimismo storico, perché la storia non è altro che un processo costante che comporta la nascita, la vita nella sofferenza e la morte (cambia soltanto a livello fenomenico). Tutto ciò porterebbe a pensare che Schopenhauer fosse indirizzato al suicidio: in realtà non è così. Il filosofo non dà dignità al suicidio, esso peggiora solamente la situazione per diversi motivi: 1) il suicidio non intacca il male cosmico e sociale, non cambia la sua struttura, non è utile a cambiare lo svolgimento dei fatti poiché il cosmo continua anche senza un uomo; 2) non cambia niente neanche alla condizione individuale, perché rende solo servi della volontà di vivere; si vuole togliere la vita colui che ha una concezione della vita altissima, che si è prefissato ma che non è riuscito a raggiungere. L’unica soluzione è combattere la volontà di vivere, e ciò è possibile attraverso: 1) l’arte; 2) l’etica, liberazione temporanea come per l’arte; 3) l’ascesi, via di liberazione definitiva. 1) L’arte è intesa come momento catartico e l’artista come genio (puro occhio), ossia come colui che riesce a concepire immediatamente il noumeno e offre agli altri questa sua conoscenza. L’arte però è solo un momento preparatorio. 2) L’etica è concepita in due dimensione: a)Giustizia: concepita negativamente perché non permette di capire cosa si deve fare per essere giusti, ma cosa non fare per non essere ingiusti. b)Carità: dimensione positiva, deriva da una della concezioni greche di amore: non da quella di eros, condannata da Schopenhauer, ma da quella di agape, che intendeva l’amore per una cosa generica. Schopenhauer intende l’amore per il prossimo, comprendendo la comune condizione di sofferenza e cercando così di affievolire il dolore. L’etica si sottrae in parte alla volontà di vivere, ma il suo problema è che, pur aiutando l’uomo a vivere meglio, rimane interna alla vita stessa. 3) L’ascesi è l’approdo della filosofia orientalistica: infatti viene ripreso il concetto di Nirvana. Grazie all’ascesi avviene la soppressione della volontà di vivere: con la noluntas, antitetica appunto alla voluntas, si raggiunge il Nirvana, che Schopenhauer intende non come il Paradiso, poiché all’interno di esso si troverebbe la volontà di vivere, e quindi si starebbe ancora peggio, ma come il nulla, l’assenza di volontà, e si raggiunge così la libertà. L’uomo non può comprendere cosa esso sia a causa della sua impossibilità strutturale di concepirlo. Il noumeno infatti è inconscio, è assenza di ragione e quindi irrazionale è la sua soluzione. Schopenhauer voleva riferirsi a coloro che avevano poca sensibilità razionale. Schopenhauer ispirò Wagner, Leopardi (anche se si dice che sia il contrario), Tolstoj, Zola, … Riflessi molto forti si hanno in Nietsche e Freud (al di là della vita consapevole, c’è l’istinto, l’inconscio, più autentico della parte conscia). Molto rivalutato nella seconda metà del Novecento, dopo le Guerre Mondiali, perché poteva fornire delle risposte sul male nel mondo.

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KIERKEGAARD Filosofo danese contemporaneo di Hegel e Schopenhauer. Ha avuto un’esistenza tragica e morì giovane. Era credente e per questo motivo rifiutava l’ascesi e il nirvana di cui parla Schopenhauer: secondo Kierkegaard la realtà sfugge alla comprensione della ragione umana e perciò esiste un dio nascosto, come quello di Pascal. Visse in una condizione di costante penitenza, forse per un peccato compiuto dal padre. Pubblica molti libri che presentano altrettanti pseudonimi. Esiste una profonda differenza tra il linguaggio di Hegel e quello di Schopenhauer e Kierkegaard: mentre il primo scrive con un tono molto filosofico, i secondi in modo più accessibile, volendo farsi capire da molti. Il filosofo descrive anche la sua esistenza, attenendosi alla realtà oppure indossando delle maschere, caratteristica che sarà alla base della filosofia del Novecento e dell’esistenzialismo. Secondo Kierkegaard gli errori di Hegel sono: o la presunzione di trattare dell’essere in generale invece di occuparsi della sua manifestazione particolare e determinata, ossia l’esistenza: Hegel crede di aver capito cos’è l’essere, ma invece non è così, dal momento che lui stesso è un ente coinvolto nell’esistenza. Quindi Kierkegaard crea una nuova metafisica che indaga l’esistenza. Secondo questo filosofo l’unica tecnica filosofica per indagare l’esistenza è la reduplicazione, ossia assumere un’esistenza diversa dalla propria e viverla da dentro, per rendersi così conto delle diverse possibilità dell’essere (ciò non si potrebbe capire dall’esterno). Questo procedimento ricorda la maieutica socratica. o Dal metodo errato di Hegel deriva anche una mentalità pagana, non credente, in cui l’individuo viene sacrificato per parlare della specie (concezione di stato organicistico); quindi Kierkegaard rifiuta il sistema. o La dialettica hegeliana, volendo contrapporre alla filosofia dell’et-et la filosofia dell’aut-aut: infatti per Kierkegaard gli opposti sono opposti, non si possono conciliare, non vi può essere una sintesi. Già Hegel sapeva che per quanto riguarda l’individuo ci sono troppe contrapposizioni, per questo decide di occuparsi del mondo. Secondo Kierkegaard esistono tre stadi dell’esistenza, tre possibilità che ne racchiudono infinite altre: 1) la vita estetica; 2) la vita etica; 3) la vita religiosa. Per ognuna di esse crea un simbolo per comprendere meglio in cosa consistono. 1) Per quanto riguarda la vita estetica il simbolo scelto è il don Giovanni. La caratteristica fondamentale di tutti gli uomini è la possibilità, che implica la scelta (aut-aut). L’estetica si basa sull’apparenza, è l’arte come apparenza. Il don Giovanni nelle sue infinite possibilità ha deciso di non scegliere. Ciò però gli comporta noia, poiché egli vive fuori dal tempo, non ha progetti (scopi), e quindi futuro, e non ha ricordi, ossia passato. Inoltre il don Giovanni non prova soltanto noia ma anche disperazione: infatti, mentre l’angoscia è una caratteristica esistenziale comune a ogni uomo nel momento in cui deve scegliere, la disperazione è l’assenza di speranza, di scelta, non avendo un progetto perde il significato delle cose, non conosce il perché di ciò che fa. Kierkegaard, afferma ciò, non condanna il don Giovanni, le sue parole non hanno valore prescrittivo: il filosofo vuole solo offrire uno strumento per combattere la disperazione. 2) Il simbolo della vita etica è il marito o il burocrate (consigliere Guglielmo). Le caratteristiche di questo individuo sono la scelta e la ripresa (della scelta che si rinnova). Il marito, al contrario del don Giovanni, ha un progetto e guadagna il futuro in ricordo del passato. Inoltre recupera la dimensione collettiva dell’esistenza, vivendo in funzione della famiglia e non solo come il don Giovanni. La vita etica porta però al pentimento, coltiva il sentimento della sua insufficienza, un sentimento di colpa: Kierkegaard sceglie il burocrate per evidenziare la monotonia della sua attività; egli infatti non trova il senso della sua esistenza, anche se soffre meno del don Giovanni. 3) Il simbolo della vita religiosa è, invece, Abramo, il quale ha avuto una vita etica, un progetto (avere un figlio), e quando Dio gli ha chiesto uccidere il figlio egli lo ha fatto: Abramo apre la sua parte irrazionale alla fede, sacrificando il suo progetto. Da Pascal riprende la concezione secondo cui nella vita religiosa si deve accettare lo scandalo, ci si deve aprire all’irrazionalità, al contrario si rimane don Giovanni o marito. Solo con la vita religiosa l’uomo convive con l’angoscia senza arrivare alla disperazione, quel sentimento che nasce come risultato della possibilità riferito a se stessi. Per l’uomo che non sceglie la vita religiosa ci sono solo due possibilità: essere solo se stesso (ma è insufficiente perché senza Dio non trova risposte) o non essere se stesso (e anche ciò è impossibile perché deve fare i conti con sé). Grazie alla fede l’uomo scopre l’esistenza, e quindi che egli non è essere e non è non essere. O l’uomo accetta l’irrazionalità, e conosce se stesso, oppure vive nella disperazione. Per Kierkegaard, quindi, il noumeno è un Dio responsabile che dà salvezza, al contrario di quanto pensa Schopenhauer. Inoltre se per Schopenhauer la volontà di vivere è immanente, per Kierkegaard Dio è trascendente e la fede è accettazione trascendentale.

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