110 e lode - Manuale 1 Prova PDF

Title 110 e lode - Manuale 1 Prova
Course Psichiatria e psicologia clinica
Institution Sapienza - Università di Roma
Pages 178
File Size 3.6 MB
File Type PDF
Total Downloads 25
Total Views 130

Summary

Download 110 e lode - Manuale 1 Prova PDF


Description

 



 



Diritti Riservati © 110eLode.Net, Dott.ssa Stella Di Giorgio, Psicologa. Questo documento è riservato e personale e contiene  . La riproduzione parziale o totale sarà perseguita penalmente. Copiare o distribuire un documento digitale è un furto di proprietà intellettuale.

1

   !"#$% ( (#$$ (#$ (#$$$ (*#$ (+#$$ ('$, *($.$ *(/$$0 *(1$$ *(* *(+ *('/0 *()2$$$$ +($$ '(#.$,$$ )(3$$445/0  6"$78" (3 (! *(3 +(9 '( )(# (#, -( :(#$ (! ( ($ *( +(7$%; '(,%$ )($/90 '*(@$ '+(#%# ''($$$$$$ ')($$$$# ':@%,, )(@$$$% )(@ )(@$%# )*(@$$?! )+(@$?$$ )'(,$ ))(@$6M,C( 

Diritti Riservati © 110eLode.Net, Dott.ssa Stella Di Giorgio, Psicologa. Questo documento è riservato e personale e contiene  . La riproduzione parziale o totale sarà perseguita penalmente. Copiare o distribuire un documento digitale è un furto di proprietà intellettuale.

76

  ($ Vi è differenza tra sviluppo del linguaggio e della comunicazione, benché si tratti di dimensioni strettamente connesse. La comunicazione consiste nella trasmissione di informazioni da un emittente ad un ricevente attraverso vari canali (“medium”), sia verbali che non verbali. La comunicazione è quindi un processo più ampio del linguaggio, che è solo uno dei possibili medium attraverso cui trasmettere messaggi. La comunicazione è l’insieme delle varie modalità di espressione, sia linguistiche che comportamentali, gestuali, mimiche, prossemiche (relative alla distanza o vicinanza tra due interlocutori). Il linguaggio rappresenta, dunque, una forma di comunicazione più specifica, di tipo verbale, benché sia costituito non soltanto da parole, ma anche da caratteristiche prosodiche come il ritmo, l’intonazione, le pause. Infatti, anche se gli interlocutori parlano la stessa lingua e quindi applicano le stesse regole sintattiche, si differenziano tra di loro per le caratteristiche prosodiche: parlare più in fretta, utilizzare un tono più basso, alzare la voce per esporre le proprie ragioni, enfatizzare alcune parole, ecc. Il neonato comunica emettendo suoni vegetativi, come gorgoglii, eruttazioni, deglutizioni, lamenti, pianti. Essi esprimono uno stato generale, di benessere o di disagio, ma non sono intenzionali, benché suscitino risposte nella madre, che interviene quando il figlio piange, calmandolo o soddisfacendo i suoi bisogni. Quando il bambino inizia ad associare un comportamento al proprio pianto, inizierà anche ad utilizzarlo intenzionalmente per richiamare la madre e a modularlo fino a ricevere l’intervento desiderato. Il neonato affina dunque il suo pianto: inizialmente è indifferenziato e gradualmente si specifica in pianto per fame, per sonno, per sovraccarico di stimoli, per desiderio di interazione, ecc. A due mesi inizia a sperimentare vocalizzazioni più specifiche, mentre nel terzo mese compare il cooing, cioè l’eco dei suoni vocalici pronunciati dagli adulti. Nel quarto mese i suoni vocali sono associati a quelli consonantici, quindi il neonato pronuncerà sillabe come «ma», «pa», «ta» (“fase del balbettìo”) per poi ripeterle in sequenza: «ma)ma)ma», «pa)pa)pa», «ta)ta) ta» (“fase della lallazione”). La comunicazione intenzionale inizia generalmente verso gli 8 mesi, formulando all’adulto una richiesta o coinvolgendolo nelle sue attività. Il periodo linguistico inizia generalmente verso gli otto)nove mesi, con la comparsa delle prime parole, ottenute combinando sillabe precedentemente esercitate ed assimilate e imitando le pronunce degli adulti: si tratta di parole elementari, che sintetizzano una richiesta o una descrizione più ampia e che l’adulto riesce a desumere completandola con elementi del contesto, con i gesti e la prosodìa del bambino e interagendo con lui: ad esempio, quando il bambino pronuncia «palla», sorridendo e agitando le mani come per giocare, può intendere «voglio prendere la palla», e l’adulto allarga l’espressione dicendo «vuoi prendere la palla? Prendiamo la palla e giochiamo insieme», per facilitare lo sforzo comunicativo e linguistico del bambino. In questa fase infatti l’adulto svolge un ruolo di  (sostegno), rispondendo alle richieste del bambino ed offrendogli ulteriori stimoli per progredire nel suo sviluppo. Lo scaffolding viene spesso attuato parafrasando i desideri del bambino attraverso un linguaggio Diritti Riservati © 110eLode.Net, Dott.ssa Stella Di Giorgio, Psicologa. Questo documento è riservato e personale e contiene  . La riproduzione parziale o totale sarà perseguita penalmente. Copiare o distribuire un documento digitale è un furto di proprietà intellettuale.

77

speciale, che usa parole semplici, scandite, ripetute ed enfatizzate (baby)talk). A un anno, il bambino utilizza frasi formate da un’unica parola (“olofrasi), a un anno e mezzo – due anni utilizza frasi telegrafiche (frasi formate da due o poche parole, prive di articoli e congiunzioni, che però esprimono un significato più ampio: «Gioco palla!», per commentare l’atto di giocare mentre lo sta svolgendo o per esprimere il desiderio di giocare. Lo scaffolding è un elemento che incide sull’età di sviluppo del linguaggio, che infatti varia da bambino a bambino anche in funzione delle sollecitazioni degli adulti: se infatti l’adulto esegue scrupolosamente i desideri che il bambino esprime a gesti, ad esempio porgendogli una caramella quando il bambino la indica con il dito, il bambino non avvertirà il bisogno di comunicare in modo diverso i suoi desideri e di sforzarsi per imparare a parlare e persisterà nel canale gestuale. Se invece vive in un ambiente stimolante, viene esposto a stimoli linguistici e coinvolto nelle interazioni verbali, sarà più motivato ad acquisire ed utilizzare il linguaggio, altrimenti persiste il primato gestuale su quello linguistico, cioè la tendenza e la preferenza a servirsi del canale non verbale per esprimersi e comunicare. Procedendo nello sviluppo linguistico, verso di due anni e mezzo si verifica nel bambino un’ “esplosione del vocabolario”, con un notevole e rapido aumento del numero di parole conosciute, l’aumento della lunghezza dell’enunciato e l’apprendimento delle regole grammaticali. Dunque, oltre al linguaggio recettivo, costituito dall’insieme di parole comprese, si amplia il linguaggio produttivo, cioè il numero delle parole utilizzate. Iniziano a notarsi anche sovrageneralizzazioni delle regole stesse, che vengono applicate indiscriminatamente, producendo gli ipercorrettismi: «soffrito» al posto di «sofferto», «aprito» al posto di «aperto», ecc. Attraverso il linguaggio, il bambino impara a comunicare secondo significati condivisi, a percepire l’ambiente, a differenziare gli oggetti, a compiere associazioni, a svincolarsi dal contesto in cui si esprime, rievocando un oggetto o una persona assente attraverso il nome corrispondente. Ciò gli consente di accedere ad una dimensione simbolica, rappresentativa, astratta. Per le possibilità di categorizzazione, chiarificazione e strutturazione aperte dal linguaggio, esso è definito dallo psicologo dello sviluppo Jerome Bruner come un “amplificatore del pensiero”, cioè uno strumento che regola e struttura il ragionamento. Un esempio di questa funzione è rappresentato dal “linguaggio normativo”, così definito dallo psicologo e linguista russo Lëv Semënovič Vygotsky: è il linguaggio parlato dai bambini impegnati in giochi o attività autonome, che descrivono ad alta voce le azioni compiute e non ha funzioni di comunicazione, ma di strutturazione del pensiero e dell’azione. Verso la fine del periodo prelinguistico, a dodici)quattordici mesi, il bambino inizia ad utilizzare due particolari gesti, che fungono da anticipatori della funzione simbolica svolta successivamente dal linguaggio: essi sono il gesto dittico e il gesto referenziale. Per indicare il desiderio di impossessarsi di un oggetto o l’avvenuta comprensione di una frase pronunciata dall’adulto, il bambino si serve del gesto dell’indicare, definito “gesto deittico”: esso consiste nel mostrare con un l’indice l’oggetto desiderato o la direzione dell’azione richiesta dall’adulto. Il gesto referenziale è invece svincolato dal contesto e consiste in un gesto collegato ad un’azione: “fare ciao” con la mano, ruotare il dito sulla guancia per indicare la bontà del cibo che sta mangiando, alzare ed abbassare la mano tenendo il braccio teso per dire “vieni qui”, piegare gli avambracci tenendo i palmi della mani rivolti in alto per significare “non c’è più”. Un ulteriore forma di comunicazione e interazione è rappresentata dall’attenzione condivisa: il bambino indica e guarda alternativamente l’oggetto e l’adulto, come a comunicare all’adulto la sorpresa o l’emozione suscitata dall’oggetto e renderlo partecipe. Anche l’attenzione condivisa inizia a comparire verso il primo anno di vita e costituisce, insieme ai gesti deittici e ai gesti referenziali, un precursore dello sviluppo del linguaggio e della comunicazione. Per quanto riguarda gli strumenti, molto utilizzato è il questionario sullo sviluppo comunicativo e linguistico dal II anno di vita, utile in età evolutiva per valutare lo sviluppo delle competenze del bambino; le prove di comprensione di Rustioni; il TVL, Test di valutazione linguistica di Cianchetti e Faciello; l’osservazione delle interazioni per rilevare dimensioni Diritti Riservati © 110eLode.Net, Dott.ssa Stella Di Giorgio, Psicologa. Questo documento è riservato e personale e contiene  . La riproduzione parziale o totale sarà perseguita penalmente. Copiare o distribuire un documento digitale è un furto di proprietà intellettuale.

78

comunicative non verbali. Conoscere le tappe dello sviluppo comunicativo e linguistico consente di valutare se siano presenti ritardi oppure, qualora vengano a mancare alcune tappe previste, ciò può costituire un possibile indicatore di patologie, da approfondire con ulteriori strumenti. Ad esempio, in alcune patologie infantili, come l’autismo, non è presente l’attenzione condivisa, dunque se manca e contemporaneamente si presentano altri sintomi che possono essere riconducibili a questo quadro, può essere opportuno effettuare approfondimenti diagnostici. Lo sviluppo linguistico e comunicativo è importante anche in ambiti educativi, come l’asilo nido, dove si possono predisporre progetti di stimolazione linguistica e comunicativa. -($ Lo sviluppo sociale consiste nell’acquisizione e nella modulazione di abilità di interazione e di relazione nei contesti di vita. È stato studiato dalla sociologia, che ha analizzato l’assimilazione dei modelli culturali da parte di individui attraverso agenzie di socializzazione primarie e secondarie; dal comportamentismo, che fa derivare lo sviluppo sociale dal modellamento attraverso rinforzi e punizioni; dalla psicoanalisi, in particolare da Freud, che ha assunto la società come una sorta di Super)Io collettivo, frustrante in quanto limita l’espressione delle pulsioni, ma necessario per evitare una situazione dannosa di aggressività reciproca. Un autore che ha approfondito lo sviluppo sociale nell’arco di vita è stato Erik Erikson. Egli ha formulato una teoria che abbraccia tutte le età della vita, dalla nascita alla vecchiaia, individuando per ciascuna di esse uno specifico compito, un “dilemma psicosociale”, che nasce dalla relazione tra l’individuo e l’ambiente: l’individuo deve affrontarlo e superarlo per poter accedere allo stadio successivo. Questi dilemmi consistono in una coppia di due termini opposti: uno indica una conquista, l’altro il fallimento. Nell’infanzia, dalla nascita a un anno, l’antitesti è tra fiducia)sfiducia: il bambino vive in un ambiente affettivo costante e prevedibile, che risponde ai suoi bisogni, su cui può fare affidamento e da cui riceve protezione. Egli acquista sicurezza in se stesso e fiducia di poter influenzare gli eventi. Un fallimento in questo stadio struttura un senso del sé fragile e vulnerabile. Nella fanciullezza, da due a tre anni, l’antitesti è tra l’antitesti è tra autonomia) dubbio/vergogna: le acquisizioni di sviluppo come il linguaggio, il pensiero e la locomozione rendono fiero e autonomo il bambino, ma lo espongono anche a fallimenti, goffaggini, errori, da cui scaturisce la vergogna e il dubbio sulle proprie possibilità di riuscita, con possibile tendenza a nascondere verità attraverso bugie e sotterfugi per non essere scoperto e deriso. Un fallimento in questo stadio può sviluppare tratti paranoici del carattere, come sospetti e modi di essere inautentici. Nell’età del gioco, da quattro a cinque anni, l’antitesi è tra iniziativa)senso di colpa: il bambino consolida le competenze acquisite e spesso le applica in modo irruento, rompendo gli oggetti o facendo del male a fratelli e compagni di giochi. La sua esuberanza può non essere tollerata, specie in ambito scolastico, oppure scambiata per aggressività intenzionale, per questo il bambino può ricevere continui richiami, disapprovazioni e punizioni che suscitano sensi di colpa. Un fallimento in questo stadio può comportare una tendenza all’inibizione, alla repressione e alla somatizzazione della rabbia. Nell’età scolare, dai sei ai dodici anni, l’antitesti è tra industriosità)senso di inferiorità: il bambino fa il suo ingresso a scuola, dove si misura con gli altri e si cimenta in compiti di apprendimento. Egli prova a rispondere a queste nuove richieste e se incontra difficoltà, può sentirsi inferiore e mediocre, sentirsi demotivato oppure comportarsi in modo meccanico e distaccato. Un fallimento in questo stadio può innescare rassegnazione, passività e conformismo. Diritti Riservati © 110eLode.Net, Dott.ssa Stella Di Giorgio, Psicologa. Questo documento è riservato e personale e contiene  . La riproduzione parziale o totale sarà perseguita penalmente. Copiare o distribuire un documento digitale è un furto di proprietà intellettuale.

79

Nell’adolescenza, dai tredici ai diciotto anni, l’antitesti è tra identità)diffusione dell’identità: il ragazzo deve elaborare le molteplici trasformazioni corporee, cognitive e sociali ed emanciparsi dalla famiglia delineando una propria identità. Una difficoltà in questo compito può portare ad esperienze estreme o a identificazioni con modelli numerosi e contraddittori, fino a sfociare nel delirio. Nel giovane adulto, dai diciannove ai venticinque anni, l’antitesti è tra intimità)isolamento: l’identità risulta delineata e dunque si cerca un’altra identità in cui rispecchiarsi, che offra una validazione di se stessi, con cui stabilire una relazione intima. Difficoltà in questo compito possono portare ad esperienze impulsive, che alternano idealizzazioni a svalutazioni, oppure all’isolamento, allorché si evita di mettersi in gioco nelle relazioni per paura dei fallimenti e ci si chiude in se stessi. Nell’età adulta, dai ventisei ai quaranta anni, l’antitesti è tra generatività)stagnazione: si ha il desiderio di creare, non solo sul piano familiare, nel senso di generare figli, ma anche sul piano lavorativo, e più generalmente sociale. Si desidera sentirsi utili e mettere a disposizione la propria esperienza. Altrimenti insorge la classica domanda: «cosa ho fatto nella mia vita?» e si prova un senso di sterilità e insoddisfazione. Nella maturità e vecchiaia, dai quaranta anni in posi, l’antitesti è tra integrità dell’Io) disperazione: il tempo e le energie rimanenti sono minori di quelle già spese, per cui viene a diminuire la progettualità a favore di riflessioni sul passato e bilanci. Se non si giunge all’accettazione della propria vita, può scaturire senso di disperazione, accentuato dalla paura della morte. Per valutare lo sviluppo sociale, nell’ottica di Erikson, occorre valutare se è avvenuto il superamento del relativo dilemma psicosociale. Altrimenti, si possono utilizzare colloqui, osservazioni, test di personalità per valutare le componenti sociali degli schemi di sé. Lo sviluppo sociale è importante in diversi ambiti, quali quello familiare, scolastico, lavorativo e delle relazioni. Conoscere le tappe dello sviluppo sociale consente di formulare interventi di sostegno all’individuo e al gruppo, di mediazione e integrazione interculturale, di attivazione di risorse di rete e di empowerment delle comunità. :(= La famiglia è un’aggregazione di membri connessi da legami biologici, affettivi, sociali ed economici. È stata studiata da diverse discipline: la sociologia ha analizzato le configurazioni empiriche, il potere, i ruoli dei membri; l’antropologia ha rilevato le diverse strutture familiari nelle numerose etnie, comunità e tribù; la psicologia dinamica ha studiato i vissuti relazionali, le fantasie, le proiezioni e le identificazioni tra genitori e figli. In ambito psicologico, un modello familiare studiato è quello di Olson e colleghi (1979), definito     , basato sui concetti di coesione, l’adattabilità e comunicazione e su una classificazione della flessibilità e della rigidità dei legami familiari. Un altro modello familiare è quello di Beavers (1981), che analizza anche il ruolo delle famiglie di origine dei coniugi nella strutturazione della famiglia, dunque si apre ad una prospettiva intergenerazionale. Lo studio della famiglia è stato molto approfondito in epoca recente ambito sistemico. Il concetto di “sistema”, studiato dalla Scuola di Palo Alto, successivamente viene applicato da psicologi e clinici anche alla famiglia. Secondo Minuchin (1974), anche la famiglia è assimilabile ad un sistema, in quanto costituita da un insieme di elementi che interagiscono. Le interazioni osservabili in una famiglia si svolgono secondo modalità costanti, definite “transazioni”. Esse sono modelli di interazione stabili mantenuti nel tempo da due sistemi di costrizione. Il primo è costituito da regole generali sull’organizzazione familiare, l’altro scaturisce dalle reciproche aspettative di comportamento. Le regole, una volta negoziate implicitamente o esplicitamente, tendono a rimanere stabili, resistendo ai tentativi di rinegoziazione provenienti Diritti Riservati © 110eLode.Net, Dott.ssa Stella Di Giorgio, Psicologa. Questo documento è riservato e personale e contiene  . La riproduzione parziale o totale sarà perseguita penalmente. Copiare o distribuire un documento digitale è un furto di proprietà intellettuale.

80

da componenti familiari o dal contesto extra)familiare. Infatti, quando un componen...


Similar Free PDFs