16. Simon, Razionalità Limitata E Decisioni PDF

Title 16. Simon, Razionalità Limitata E Decisioni
Course Sociologia dell'organizzazione
Institution Università degli Studi di Torino
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APPUNTI PRESI A LEZIONE...


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HERBERT SIMON: RAZIONALITÁ LIMITATA E DECISIONI Un’alternativa alla teoria funzionalista sono Simon e la sua scuola, chiamata “comportamentista” per sottolineare che il suo oggetto di analisi non sono i fini e le funzioni svolte dalle organizzazioni ma i concreti comportamenti umani. La sua rivoluzione al modo di concepire le organizzazioni e il comportamento umano al loro interno può essere sintetizzata in 3 punti principali:

1. Per studiare il comportamento umano è sbagliato partire dall’idea stereotipata dell’organizzazione come un organigramma fatto di tante caselline disposte secondo un astratto schema e dove sono minuziosamente prescritti i ruoli di ciascun dipendente. Le caselline non dicono niente sui comportamenti reali e il concetto di ruolo non contiene in sé nessuna indicazione sulla pluralità delle scelte possibili. Bisogna, quindi, partire dagli uomini che agiscono all’interno dell’organizzazione e che vanno visti come dei soggetti che decidono continuamente. È la decisione, l’oggetto fondamentale della conoscenza organizzativa. Per capire il modo in cui si decide occorre assumere come unità d’analisi le premesse delle decisioni umane. Studiare il comportamento di un gruppo umano all’interno dell’organizzazione significa vedere l’organizzazione come un luogo in cui gli uomini decidono secondo una certa programmazione e un certo coordinamento.

2. È sbagliato ritenere che l’uomo sia un soggetto perfettamente razionale. L’uomo dispone di una razionalità limitata. Le decisioni vengono prese non secondo il criterio astratto della massima efficienza, ma secondo un criterio più concreto di sufficienza, di soddisfazione minimale.

3. Riprende il modello proposta da Barnard sull’equilibrio tra incentivi e contributi come principio generale di funzionamento e lo rilegge alla luce dei due punti precedenti. Le scelte che gli individui compiono in rapporto all’organizzazione sono il frutto di decisioni in cui il soggetto mette a confronto i contributi che è disposto a dare e gli incentivi morali e materiali che si aspetta di ricevere.

False certezze dei principi classici Simon fa una critica radicale dei principi di amministrazione della scuola classica:



Il principio di specializzazione: stabilisce che l’efficienza aumenta se i dipendenti vengono specializzati. Esistono, però, almeno 2 criteri alternativi di specializzazione: in base alle funzioni svolte, in modo che i dipendenti devono occuparsi di tutti i problemi attinenti ad una determinata funzione a prescindere dal luogo in cui essi si verificano; - in base al territorio, in modo che i dipendenti collocati in una determinata area devono occuparsi di tutto ciò che avviene in quell’area. Ma la scuola classica non dice quale dei due criteri è il migliore, non offre nessuna soluzione concreta su fino a che punto conviene articolare un criterio piuttosto che l’altro.



Il principio di unità di comando: stabilisce che ogni dipendente debba ricevere ordini da uno ed un solo superiore. Questo principio trova smentite pratiche quando si incrocia con il principio di specializzazione. Capita che un dipendente prenda ordini per alcuni aspetti da un superiore e per altri aspetti da un altro superiore in base alla propria sfera di competenze. La scuola classica non offre indicazioni utili su come decidere la struttura gerarchia di un’organizzazione complessa.



Il principio dell’ambito di controllo: dichiara che quanto è più piccolo il gruppo tanto più è facile controllarlo. Ciò significa adottare una struttura a maglie strette e quindi alla moltiplicazione di queste maglie in modo da coprire tutta l’organizzazione. Le maglie a loro volta devono essere coordinate in modo da garantire le comunicazioni verticali e orizzontali. Questo principio contrasta il principio secondo il quale l’efficienza aumenta se si riduce il numero dei livelli amministrativi attraverso i quali passano le comunicazioni.

Di fronte a tale contrasto, la scuola classica tace su quale compromesso può essere accettato.



Il quarto principio prevede che l’efficienza cresce se il personale viene raggruppato secondo il fine, i procedimenti, la clientela o il territorio. Questo principio non stabilisce in realtà niente di operativamente valido.

La teoria classica dell’amministrazione si limita a dare prescrizioni generiche e astratte che vanno integrate di volta in volta in base a considerazioni esterne alla teoria stessa. Bisogna creare degli strumenti operativi che consentano di pervenire a delle descrizioni scientificamente significative di situazioni amministrative specifiche.

Giudizi di fatto e giudizi di valore Lo studio del comportamento organizzativo equivale ad un’analisi delle decisioni. Il primo passo di questa analisi è la distinzione di 2 grandi categorie di giudizi:  Giudizi di fatto: sono giudizi empirici di cui è sempre possibile verificare se sono veri o se sono falsi;  Giudizi di valore: sono l’opzione per uno stato di cose ritenuto desiderabile. Hanno un valore etico e ottativo, non esistono mezzi per verificare empiricamente la loro correttezza, possono solo essere accettati o rifiutati in base ad altre premesse di valore. Distinguere queste 2 tipologie diventa difficile nell’osservazione concreta dei comportamenti umani, dove i due tipi sono sempre compresenti e intrecciati. Questo intreccio è particolarmente presente nelle decisioni, che descrivono uno stato di cose futuro, che potrà poi risultare vero o falso alla prova dei fatti, ma contengono anche un carattere normativo poiché scelgono un futuro stato di cose piuttosto che un altro e dirigono il comportamento. Nelle decisioni determinati mezzi vengono scelti per raggiugere determinati fini. L’adeguatezza dei mezzi è oggetto di giudizio di fatto, la desiderabilità del fine è oggetto di giudizi di valore. Questa distinzione ricorda la distinzione di Weber, e come per Weber la razionalità rispetto allo scopo corrisponde alla burocrazia, in Simon ai giudizi di fatto corrisponde la scienza dell’amministrazione. A differenza di Weber, Simon pone in relazione i mezzi e i fini. Nei concreti rapporti umani esiste sempre un continuum mezzi-fini. Uno o più soggetti decidono di compiere un’azione in quanto la giudicano idonea a raggiungere un fine, ma questo è solo un mezzo per arrivare ad un fine ultimo. Ogni azione ha sempre 2 facce: è al contempo un fine dell’azione precedente e un mezzo per l’azione successiva. Se si applicano queste conclusioni ai comportamenti umani nelle organizzazioni, ne deriva che la scienza dell’amministrazione, per quanto necessaria, non è sufficiente da sola perché si limita a studiare i metodi ottimali per raggiungere determinati obbiettivi, ma non dice nulla sul perché gli uomini decidono che quegli obiettivi sono desiderabili. Bisogna passare da una scienza dell’amministrazione ad una sociologia dell’organizzazione.

I limiti della razionalità umana Il comportamento umano è orientato da principi di razionalità, ma si tratta di una razionalità limitata. Simon analizza le cause e le condizioni che la limitano:

 Raramente la catena mezzi fini è completa: quanto più il fine è remoto tanto più debole diventa

l’integrazione tra le varie azioni. La connessione tra le attività quotidiane e i fini ultimi sfugge o è mutevole. La mancata connessione è dovuta al rifiuto o all’incapacità da parte dei capi dell’organizzazione di decidere su questioni politiche scottanti. Il limite trova le sue radici nell’impossibilità umana di pervenire a una consapevolezza totale del continuum mezzi-fini.

 La scelta dei mezzi: la mente umana può tenere presente sono una rosa ristretta di alternative, e spesso si è portati a scegliere una data via escludendo a priori un esame più ampio.

 Impossibilità di separare completamente i mezzi dai fini: la scelta dei mezzi non è mai neutrale rispetto ai fini. Il continuum in cui si collocano mezzi e fini rende del tutto opinabile una loro rigida distinzione.

 Non è possibile conoscere a priori tutte le conseguenze di una scelta e fare una gerarchia sicura delle

preferenze. Per sopperire a questo limite si elaborano previsioni probabilistiche basate sull’esperienza passata e si assumono degli obiettivi intermedi come sufficientemente preferibili, ma si lascia nel silenzio il giudizio sulle possibili gerarchie di preferenze più remote.

 Le decisioni raramente sono individuali, ma esprimono comportamenti di gruppo. Le decisioni possono

essere prese in una situazione cooperativa, che si ha quando i membri condividono gli obiettivi e si scambiano le informazioni dando luogo ad un lavoro di squadra; oppure possono essere prese in una situazione di competizione e di conflitto, che si ha quando i membri mutano il loro comportamento in base alle mosse dell’avversario. In ogni caso quanto maggiore è il gruppo dei partecipanti reali alla decisione, tanto maggiore è la probabilità che si giunga a dei compromessi tra le varie convinzioni.

Ciò porta a 2 conclusioni fondamentali: - le decisioni vanno viste come processi in cui fini e mezzi vengono scelti e confrontati strada facendo; - solo in casi eccezionali le decisioni vengono prese seguendo il criterio dell’efficienza ottimale, di solito ci si accontenta di soluzioni soddisfacenti.

Le strutture organizzative: decisioni programmate, autorità, influenza  L’organizzazione è un correttivo dei limiti umani; Simon riprende la tesi di Bernard, cui afferma che “gli uomini hanno limiti che impediscono loro di perseguire degli obiettivi complessi. Per spostare più in avanti questi limiti, gli uomini devono creare dei sistemi di cooperazione dotati di un efficace equilibrio tra i contributi richiesti e gli incentivi offerti”, e la sviluppa sul vertice dei limiti della razionalità nelle decisioni. Aggiunge, infatti, che le organizzazioni sono delle strutture dove gli uomini massimamente elaborano delle decisioni programmate, cioè sequenze di decisioni prestabilite in base ad esperienza e a calcoli. Esse servono anche ad assorbire l’incertezza; vi è incertezza quando non si hanno prove sicure sulla validità e l’attendibilità di una serie di dati. Un comportamento volto a massimizzare la certezza imporrebbe di sospendere la decisione fino all’accertamento di tutti i fattori, ma ciò imporrebbe costi e ritardi intollerabili. Si decide allora in base ad alcuni indicatori che stanno al posto delle prove certe, ma ai quali i calcoli e le esperienze precedenti conferiscono un grado accettabile di probabilità.

 Simon introduce una distinzione tra autorità ed influenza.

Generalmente si ritiene che gli uomini obbediscano in base al principio di autorità, ma l’autorità riguarda solo una piccola parte dei comportamenti umani. Esiste invece un’area molto più vasta di comportamenti umani che sono regolati dal principio di influenza, cioè la decisione di agire viene presa in base ad un convincimento. Possiamo così distinguere tra: - ordini eseguiti sospendendo le proprie facoltà critiche; - ordini eseguiti in base al convincimento che sono opportuni perché si ha stima nei confronti di chi la dà; - ordini eseguiti perché si è autonomamente convinti della loro opportunità di merito.

L’equilibrio nell’organizzazione e la decisione di partecipare L’esistenza di qualsiasi organizzazione è resa possibile dall’equilibrio tra i contributi forniti dai singoli partecipanti e gli incentivi che essi ricevono in cambio. I contributi di tutti i partecipanti costituiscono la fonte da cui l’organizzazione trae gli incentivi da offrirgli. Il modello presenta tali caratteristiche:

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Solo una parte degli incentivi è di natura materiale; La funzione di utilità, cioè il valore che ogni incentivo presenta ai singoli partecipanti a un fondamento soggettivo nella struttura delle preferenze individuali;

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Il modello ha una capacità di unificazione concettuale estremamente forte; Il modello sollecita a concepire l’organizzazione come nulla più che il risultato contingente della partecipazione umana.

Simon svolge un’analisi dei motivi che inducono un dipendente a rimanere o a lasciare un’azienda. La decisione di restare o lasciare può essere vista come l’effetto del saldo tra l’utilità percepita dagli incentivi e quella dei contributi. Ma il saldo contiene a sua volta due variabili: la desiderabilità percepita; - la facilità percepita di lasciare l’organizzazione. Se i soddisfatti in genere tendono a restare, non è affatto detto che gli insoddisfatti decidano di lasciare. 3 punti del modello delle capacità esplicative:

1. La possibilità che il fine dell’organizzazione sia cambiato; 2. La possibilità di distinguere tra contributi diretti e indiretti all’organizzazione: diretti, se i fini hanno un valore immediato e personale per i membri; indiretti, se vengono risarciti con ricompense diverse dal raggiungimento del fine organizzativo in sè. 3. La possibilità che gli incentivi alla partecipazione provengano, non dal fine generale perseguito, ma da un suo sub-obiettivo.

R. Cyert e J. March: coalizioni, quasi-soluzione dei conflitti e ambiguità dei fini Simon è uno dei maggiori fondatori di quella branca di studi organizzativi che analizza i processi decisionali con particolare riferimento alle imprese e agli organismi di governo pubblico. Ora, vediamo le idee principali di Cyert e March, due autori tra i più diretti prosecutori dell’opera di Simon. La Teoria del comportamento dell’impresa consiste essenzialmente nel tentativo di esaminare come il management prende le decisioni. Il punto di partenza è l’acquisizione di Simon che soltanto gli uomini hanno degli scopi e che le organizzazioni non sono che degli artefatti per perseguire gli scopi che gli uomini decidono. Ma per stabilire gli scopi occorre una coalizione di individui o di gruppi di individui già riuniti in sub-coalizioni. La coalizione può essere estremamente estesa e in un’impresa può includere manager, operai, azionisti, fornitori, clienti ecc.; all’interno di una coalizione bisogna però distinguere tra: - Membri attivi: quelli che partecipano alla presa di decisioni in quanto si attendono dei benefici di ordine politico; - Membri passivi: coloro che si attendono soprattutto dei benefici monetari e sono esclusi o comunque rinunciano a contare nella presa delle decisioni strategiche. Considerare gli scopi dell’organizzazione come l’espressione del processo decisionale di una coalizione di membri attivi ha importanti conseguenze per l’analisi organizzativa.

1. Porta a vedere l’impresa non come dominata da una sola volontà centrale ma piuttosto come una

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confederazione di interessi differenti che possono entrare in conflitto. Ne deriva che l’attività più critica nel governo di un’impresa è quella di formare una coalizione sufficientemente larga per determinare gli scopi da perseguire; Gli scopi organizzativi sono sempre il frutto di un negoziato tra le parti in causa; Questo modo di agire è l’unico razionale in condizioni di incertezza. Esso non elimina l’incertezza, ma la rimanda più in là, oltre lo spazio limitato in cui vi è accordo sulle decisioni specifiche da prendere. Si decide e si agisce quindi in termini di “quasi-risoluzione” dei conflitti, di “livello minimo accettabile” e di “attenzione sequenziale agli scopi”; Poiché gli scopi esprimono l’equilibrio esistente in un dato momento tra i partecipanti alla coalizione, ne deriva che essi di norma cambiano se cambiano i rapporti di forza o se escono alcuni partecipanti e ne entrano altri; Affinché un’organizzazione sopravviva non è richiesto che i membri della coalizione condividano necessariamente alcuni valori generali sulla legittimità.

L’importante è l’ulteriore significato che la razionalità assume in una prospettiva strategica dove l’attenzione è posta esclusivamente sui rapporti di forza tra gli interessi in competizione....


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