2017-03-24 - Lapo Gianni + Cino da Pistoia + Dante PDF

Title 2017-03-24 - Lapo Gianni + Cino da Pistoia + Dante
Author Silvia Vazzana
Course Letteratura italiana I
Institution Università degli Studi di Trento
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24-03-2017 Aula 003 h. 16.00 – 18.00 PROF. CLAUDIO GIUNTA LETTERATURA ITALIANA Lapo Gianni è considerato poeta minore dello Stilnovo, ricordato soprattutto in testi di Cavalcanti e Dante. È un testo il suo che si cita perché recupera il blazer (= elenco di cose piacevoli) ed ha un’osservazione metrica interessante. Nella poesia antica ad un certo punto si affianca al sonetto classico un sonetto caudale, da 16 versi, aggiungendo una ‘coda’ di 2 versi in più. Non si sa chi sia il suo inventore, ma Cavalcanti è uno dei primi ad usarlo; in questo caso Lapo Gianni aggiunge non una ma due code – sonetto doppio caudato dunque, vale a dire che sullo schema base ABBA ABBA CDE CDE aggiunge un settenario ad ogni verso dispari della fronte, ovvero una rinterzatura, e chiude con una coda di endecasillabi baciati. Tale sonetto verrà molto usato da Dante in poi, poco da Petrarca, molto spesso dai poeti elisabettiani. Amor, eo chero mia donna ’n domino, l’Arno balsamo fino, le mure di Firenze inargentate, le rughe di cristallo lastricate, 5 fortezze alte, merlate, mio fedel fosse ciaschedun latino. Il mondo ’n pace, securo il cammino; non mi noccia vicino, e l’aire temperata verno e state; 10 [e] mille donne e donzelle adornate, sempre d’Amor pregiate, meco cantasser la sera e ’l mattino. E giardin fruttuosi di gran giro, con gran uccellagione, 15 pien di condotti d’acqua e cacciagione: bel mi trovassi come fu Absalone. Sanson[e] pareggiassi e Salomone, servaggi de barone, sonar vïole chitarre canzone, 20 poscia dover entrar nel ciel empiro. Giovane sana allegra e secura fosse mia vita fin che ’l mondo dura.

Amore, io chiedo di avere la mia donna sotto di me che l’Arno diventi un balsamo raffinato, che le mura di Firenze siano coperte d’argento, che le vie siano lastricate di cristallo, 5 che ci siano fortezze alte, merlate, che ciascun italiano (latino) sia mio suddito. Che il mondo sia in pace, il mio cammino sicuro; che nessun vicino mi faccia del male, e l’aria sia temperata in inverno ed in estate; 10 [e] che mille donne e donzelle ben vestite, sempre arricchite per (o da) Amore, cantassero con me alla sera ed al mattino. E giardini ampi e fruttuosi, con grande scorta di uccelli (cacciabili), 15 pieni di corsi d’acqua e cacciagione: Che fossi (bello) come fu Absalone. Che fossi forte come Sanson[e] e saggio come Salomone, [e poi vorrei] che i servi di un barone, suonassero vïole, chitarre e canzoni, 20 vorrei poter dover entrar nel cielo dei beatti. Vorrei che la mia vita fosse, finché il mondo dura, Giovane sana allegra e tranquilla.

Questo sonetto è particolare per l’immaginazione di un paese della cuccagna, ricco di bellezze. I versi di rinterzatura suonano come cantilene o favolette. --Cino da Pistoia Ebbe una vita diversa da quella degli altri poeti della sua cerchia: fu soprattutto un giurista, studiò ed insegnò a Bologna e poi a Napoli, fu autore di una Lectura in codicem del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano scritto nel IV secolo d.C. a partire dalle leggi del ius romanus. Non è dunque un intellettuale puro, ma spende un po’ del suo tempo in poesie, specialmente negli anni giovanili nei quali viene a conoscenza di Dante e degli altri poeti della sua cerchia. La carriera di giurista non emerge mai nella sua poesia: è un autore schiettamente amoroso e cortese. Mentre fra i provenzali ed i siciliani la scena è occupata da amante ed amata, nello Stilnovo entrano altri attori, che sono per esempio le malelingue, l’Amore stesso, donne incontrate per strada, o più genericamente le donne che hanno intelletto d’amore, e dunque pubblico adeguato per la passione amorosa. Come non è con voi a questa festa,

Come mai non è insieme a voi in questa festa

donne gentili, lo bel viso adorno?

Donne nobili, il bel viso piacevole (dell’amata)?

perché non fu staman da voi richesta

Perché non è stato stamattina richiesto da voi

che venisse a onorar[e] questo giorno?

Che venisse (alla festa) ad onorar questo giorno?

5 Vedete che ogn’om si mette ’n chesta

5 Vedete che tutti si mettono alla ricerca di questa

per veder lei girandosi d’intorno,

E cercano attorno per vederla;

e guardan[o] quale ave adorna vesta,

E guardano chi è agghindata più elegantemente;

po’ miran me che sospirar no storno.

Poi guardano me, che non smetto di sospirare.

Oggi aspettava veder la mia gioia

Oggi io mi aspettavo veder ciò che mi dà gioia

10 istar tra voi, e veder lo cor meo

10 Stare in mezzo a voi, e vedere il mio cuore

che a lei come a sua vita s’appoia.

Che a lei, come alla sua vita, s’appoggia.

Ëo vi prego, donne, sol per Deo,

Ora io vi prego, donne, sol per Dio,

se non volete ch’io di ciò mi moia,

Se non volete ch’io muoia di questa assenza,

fate sì che stasera la vegg’ eo.

Fate sì che stasera io la possa vedere.

Il testo è interessante perché le donne delle quali si parla nel testo non vengono mai descritte, sono solo apostrofate: in altri testi danteschi le donne parlano, invece qui sono solo un pubblico al quale il poeta si rivolge, semplici spettatrici senza far parte dell’azione, una semplice cornice per la lode della donna amata. Inoltre il tempo in cui si svolge l’azione è ben preciso: lo staman del v.3 riscontra con il stasera del verso 14, ed è piuttosto raro nella poesia delle origini che ci sia questa constatazione del presente, dalla quale si comprende che si è nel pieno della festa, che tuttavia non è ben definita. Non è poesia di ricordo o commemorazione (come quella di Cavalcanti ad esempio), o poesia collocata in un tempo astratto: qui si ha

una presa diretta, cioè la poesia racconta esattamente ciò che sta accadendo, non racconto ma libero sfogo, confessione, diretto intervento, immediatezza. --Cino da Pistoia Or dov’è, donne, quella in cui s’avista

Dov’è donne quella in cui si ravvisa

Tanto piacer ch’oltra vo fa piacenti?

Tanta bellezza che rende voi ancora più belle?

Poiché non c’è, non ci corrono le genti,

Poiché non c’è, qui non accorrono gli altri,

Ché reverenza a tutte voi acquista.

Poiché lei procura a tutte voi omaggio*.

5 Amor di ciò ne lo meo cor attrista,

5 Amore si rattrista di ciò nel mio cuore,

Ché rafrena per lei li maldicenti:

Poiché solo attraverso lei zittisce i maldicenti;

Ecco in me crescon sospiri dolenti,

Ecco che in me crescono i sospiri dolorosi,

Sì ch’io morrò sol d’amorosa sista.

Tanto che io morirò solo di angoscia amorosa.

Chiesi, per Deo e per pietà di meve:

Chiesi per Dio e per pietà di me:**

10 “Ché con voi no la menate stasera,

10 “Perché non l’avete portata con voi stasera,

Ch’allegrez’a vederla ogn’om riceve?”;

Visto che ogni uomo trova allegria a vederla?”;

Ma non curaste né Dio né preghiera.

Ma voi non avete prestato attenzione né a Dio nè alla mia preghiera

Di ciò mi doglio, e ogn’om doler deve, Che la festa è turbata ‘n tal maniera.

E ciò mi addolora, e ognuno si deve addolorare, Perché la festa è rovina a causa della sua mancanza.

* l’assenza della donna blocca gli onori anche alle altre **si ricollega al sonetto precedente --Cino da Pistoia Nel sonetto entrano in scena e parlano personaggi diversi dall’autore: la pietosa gente entra in scena ed agisce, questo per dire che nello Stilnovo il testo si popola di figure diverse dall’amata, figure che a volte tacciono ed a volte agiscono; in questo caso gli astanti vedono il poeta soffrire e gli parlano. «Omo smarruto che pensoso vai,

negli atti e ne' sembianti che tu fai.

or che ha' tu che sé così dolente?

E s' tu non ti conforti, tu cadrai

e che va' ragionando con la mente,

10 in disperanza sì malvagiamente,

traendo ne' sospiri spesso guai?

che questo mondo e l'altro perderai.

5 Ched e' non par che tu vedessi mai

Deh, or vuo' tu morir così vilmente?

di ben alcun che core in vita sente;

Chiama mercede, e tu camperai».

anzi pare che mori duramente,

Questo mi dice la pietosa gente.

anzi sembra che stai morendo dolorosamente, se si giudica dagli atti che tu fai e dall’aspetto. «Uomo smarrito che vai così pensoso, Che cos’hai, che sei così addolorato?

E se tu non ti consoli, sarai così 10 disperato, in maniera così malvagia,

e che cosa vai rimuginando,

che perderai questo mondo e anche l'altro*.

lamentandoti spesso attraverso i sospiri?

Dunque, ora vuoi morire in maniera così vile?

5 E sembra che tu non abbia mai avuto uno di quei piaceri che si sentono quando si è bimbi;

Chiedi pietà, e tu sopravviverai». Tutto questo mi dice la gente impietita di dolore.

* Allusione al suicidio --Per introdurre Dante è comodo seguire alcune pagine della Vita Nova (diario dell’amore di Dante per Beatrice prima e subito dopo la morte dell’amata) simili a quello che scrivono i suoi contemporanei; dona anche dettagli della vita fiorentina del tempo. Due nuove edizioni delle Rime di Dante: una edita da I Meridiani – Mondadori, Opere complete di Dante, e la seconda per Salerno Editrice. Verso metà del libro muore il padre di Beatrice: gli amici, assieme a Dante, vanno al funerale dell’uomo. [XXII, 1-2]: le donne della città si radunano dove i cari piangono il lutto, donne con donne e uomini con uomini. Quando vede Dante le donne che tornano dal compianto, raccontando il dolore di Beatrice, piange, e queste donne dicono che egli piange come se l’avesse vista. Dice allora di voler dire in parole – ovvero versi – ciò che ha provato. Rimane ferma l’apostrofe a donne presenti, la persistenza dello stesso schema retorico che accoglie donne estranee al racconto nel testo poetico. Voi che portate la sembianza umìle,

che ’l cor mi triema di vederne tanto.

cogli occhi bassi, mostrando dolore,

Voi che avete un aspetto umile,

onde venite che ’l vostro colore

camminate con li occhi bassi, mostrando dolore,

par divenuto de pietà simile?

da dove venite che il vostro colorito

5 Vedeste voi nostra donna gentile bagnar nel viso suo di pianto Amore?

pare aver assunto il colore della pietà (pallide)? 5 Avete visto voi la nostra donna nobile (Beatrice)

Ditelmi, donne, che ’l mi dice il core,

che bagnava Amore con le sue lacrime?

perch’io vi veggio andar sanz’atto vile.

Ditemelo, donne, perché me lo dice il cuore,

E se venite da tanta pietate,

perché io vi vedo andare con nobile portamento.

10 piacciavi di restar qui meco alquanto, e qual che sia di lei, nol mi celate.

E se venite da uno spettacolo tanto pietoso, 10 vogliate restare qui con me un momento,

Io veggio li occhi vostri c’hanno pianto,

e ciò che è accaduto a lei, non me lo nascondete.

e veggiovi tornar sì sfigurate,

Io vedo che i vostri occhi hanno pianto,

e vi vedo tornare così tanto addolorate,

che il cuore mi batte più veloce a questa visione.

Contesto diverso, ma stessa costruzione del discorso rispetto a Cino da Pistoia. Segue un secondo sonetto, che ricorda di più quello nel quale si dà un giudizio sul poeta: le donne entrano ex abrupto. Se’ tu colui c’hai trattato sovente

Sei tu colui che ha parlato spesso

di nostra donna, sol parlando a nui?

della nostra donna, ma rivolgendoti solo a noi?

Tu risomigli a la voce ben lui,

Tu assomigli a lui quanto alla voce,

ma la figura ne par d’altra gente.

ma l’aspetto sembra appartenere ad altra gente.

5 E perché piangi tu sì coralmente,

5 E per quale motivo piangi in maniera così accorata,

che fai di te pietà venire altrui?

che susciti pietà negli altri?

Vedestù pianger lei, che tu non pui

Hai per caso visto che lei piangeva, tanto che

punto celar la dolorosa mente?

non puoi in nessun modo nascondere il tuo dolore?

Lascia piangere a noi e triste andare 10 (e fa peccato chi mai ne conforta), che nel suo pianto l’udimmo parlare. Ell’ha nel viso la pietà sì scorta, che qual l’avesse voluta mirare sarebbe innanzi lei piangendo morta.

Lascia che noi piangiamo e che camminiamo tristi 10 (e nessuno deve provare a consolarci*), che attraverso le lacrime l’abbiamo udita parlare. Lei ha sul viso così chiaramente la pietà**, che chiunque l’avesse voluta guardare sarebbe morto piangendo dinanzi a lei.

* le donne sono inconsolabili ** Sembra la pietà incarnata Il poeta esce di scena e vi fa entrare le donne: è un testo fuori dall’idea del diario. Il poeta si annulla teatralmente, ed impersona le donne. È una poesia totalmente antilirica....


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