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Title Alexandros pdf
Course Storia contemporanea
Institution Università degli Studi di Roma Tor Vergata
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1

T60 [Poemi conviviali]

Giovanni Pascoli Alexandros • il sogno come strumento per capire il mistero della vita • il tema del “nido” • il tema del mistero • lessico ricercato e classicheggiante

Questa poesia (poi raccolta nei Poemi conviviali, 1904) fu pubblicata per la prima volta sulla rivista «Il convito» nel 1895. Ne è protagonista Alessandro Magno, re dei Macedoni dal 336 al 323 a.C., grande conquistatore e creatore di un enorme impero in Oriente. La sua figura è qui presentata secondo le caratteristiche che essa aveva assunto nelle leggende medievali: Alessandro è un eroe avventuroso e avido di conoscere nuovi mondi; egli, giunto sulla riva dell’Oceano dopo aver conquistato l’India e non avendo più nulla da conquistare, si duole di non poter arrivare sull’unica terra che gli resta davanti: la Luna. L’eroe sente allora l’impotenza dell’uomo di fronte all’infinito e rimpiange il passato, il tempo in cui ancora poteva sognare nuove conquiste. Pascoli esprime qui una concezione “irrazionalistica” della verità: essa non è data dalla scienza ma dal sogno, nel quale soltanto è possibile cogliere la profondità del mistero della vita umana. In questa poesia, come in tutti i Poemi conviviali, Pascoli usa un registro *classicistico coerente con il tono alto ed erudito del testo: egli cerca di riprodurre il linguaggio del passato classico anche attraverso la ripresa di termini tecnici e di calchi dal greco (per esempio mistofori: v. 6).

I

da G. Pascoli, Primi poemetti, a cura di G. Leonelli, Mondadori, Milano 1982.

– Giungemmo: è il Fine. O sacro Araldo, squilla! Non altra terra se non là, nell’aria, quella che in mezzo del brocchier vi brilla,

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o Pezetèri: errante e solitaria terra, inaccessa. Dall’ultima sponda vedete là, mistofori di Caria, l’ultimo fiume Oceano senz’onda. O venuti dall’Haemo e dal Carmelo, ecco, la terra sfuma e si profonda

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dentro la notte fulgida del cielo. II Fiumane che passai! voi la foresta immota nella chiara acqua portate, portate il cupo mormorìo, che resta.

metrica strofe di tre terzine di endecasillabi a rima incatenata (secondo lo schema ABA, BCB, CDC…) più un endecasillabo finale in rima con il penultimo verso della terzina precedente. 1-5 Siamo arrivati (giungemmo): è [questo] il confine (Fine) [della Terra]. O sacro Araldo, suona la tromba (squilla)! O soldati (Pezetèri), non [c’è] altra terra [: da conquistare] se non quella [che sta] là [: la Luna], nel cielo (nell’aria) [e] che vi si riflette (vi brilla) in mezzo allo scudo (del brocchier): [quella] terra vagante (errante) e solitaria, mai raggiunta (inaccessa) [da nessuno]. È Alessandro Magno che parla in prima persona rivolgendosi ai soldati della guardia reale macedone (i Pezetèri). Una volta raggiunti gli estremi confini della Terra, allo sguardo dell’esercito e del suo capo non si mostra altro territorio che quello inaccessibile della Luna. Alessandro è costretto a porre fine alla sua sete di conquista: è giunto al Fine, oltre il quale non resta che il nulla. O sacro…squilla: l’Araldo era un pubblico ufficiale, con funzione di ambasciatore, considerato sacro nell’antica Grecia. Alessandro gli ordina di suonare la tromba come

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ad annunciare la propria presenza: ma è un suono tragicamente destinato a cadere nel nulla, a non essere recepito da nessuno. Squilla e la 2a persona dell’imperativo presente del verbo “squillare”, qui usato nel suo significato transitivo di ‘far squillare suonando’ e di ‘annunciare con squilli’ (il significato intransitivo è invece ‘emettere un suono acuto’). In mezzo del brocchier: il “brocchiere” è un ‘piccolo scudo rotondo metallico’. 5-10 Dalla riva (sponda) estrema (ultima), potete vedere (vedete) là, [o] soldati mercenari (mistofori) della [regione] Caria, l’ultimo fiume [: distesa d’acqua], [l’] Oceano immobile (senz’onda). O [soldati] venuti dalla Macedonia (dall’Haemo) e dalla Palestina (Carmelo), ecco, [guardate] la terra [che piano piano] scompare (sfuma) e sprofonda (si profonda; letterario) nel buio (dentro la notte) splendente (fulgida) del cielo. Alessandro Magno si rivolge al suo esercito; esso è formato da soldati mercenari, arruolati nelle terre conquistate: in Caria (regione dell’Asia Minore), in Macedonia (di cui l’ Haemo è una catena montuosa) e in Palestina (lungo la costa della quale si alza il monte Carmelo). Tutti costoro, al seguito di Alessandro, sono

giunti alla riva dell’Oceano, il grande fiume privo di onde che, secondo gli antichi, circondava la Terra; qui, davanti all’Oceano infinito, la terra diventa invisibile (sfuma) e scompare (si profonda) nel buio della notte. Mistofori: voce dotta (derivata dal greco “misthòs” = ‘salario’, e “fero” = ‘ricevo’) che indica i soldati mercenari arruolati negli eserciti dell’antica Grecia. Questa parola risulta utilizzata, nella tradizione letteraria e poetica italiana, solo da Pascoli. 11-13 [O] fiumi in piena (fiumane) che ho attraverso (passai)! Voi riflettete (portate) nell’acqua limpida (chiara) [l’immagine del]la foresta immobile (immota; poet.), [e] portate il sordo (cupo) rumore ( mormorìo) [delle onde] , che dura ( resta) [costante]. Alessandro rievoca con nostalgia il lungo e faticoso cammino di conquista che lo ha condotto fino al limite della Terra. Egli ricorda i grandi fiumi (fiumane) attraversati e le acque in cui si specchiavano le foreste; e quasi ne sente ancora (cfr. resta ) il sommesso e continuo scorrere (cupo mormorio).

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2 T60 Giovanni Pascoli ~ Alexandros

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Montagne che varcai! dopo varcate, sì grande spazio di su voi non pare, che maggior prima non lo invidïate. Azzurri, come il cielo, come il mare, o monti! o fiumi! era miglior pensiero ristare, non guardare oltre, sognare:

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il sogno è l’infinita ombra del Vero. III Oh! più felice, quanto più cammino m’era d’innanzi; quanto più cimenti, quanto più dubbi, quanto più destino!

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Ad Isso, quando divampava ai vènti notturno il campo, con le mille schiere, e i carri oscuri e gl’infiniti armenti. A Pella! quando nelle lunghe sere inseguivamo, o mio Capo di toro, il sole; il sole che tra selve nere,

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sempre più lungi, ardea come un tesoro; IV Figlio d’Amynta! io non sapea di meta allor che mossi. Un nomo di tra le are intonava Timotheo, l’auleta:

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soffio possente d’un fatale andare, oltre la morte; e m’è nel cuor, presente come in conchiglia murmure di mare.

14-16 [O] montagne che ho oltrepassato (varcai)! Dopo [avervi] oltrepassato (varcate), lo spazio [che si vede stando] in cima (di su) [a] voi non appare (pare) altrettanto (sì = così) grande di quello (che) più grande (maggior) che prima [: di salire in cima] nascondete (non lo invidïate; lo è pronome *pleonastico). Tornano alla memoria di Alessandro tutte le montagne oltrepassate, dalla vetta delle quali non appare uno spazio grande come quello che prima di salire in cima esse sembrano sottrarre alla vista. La realtà è cioè sempre inferiore alle aspettative e alle speranze. Invidïate: le montagne, con la loro mole, non consentono di capire quanto spazio si nasconda alle loro spalle. Il verbo “invidiare” è qui usato nel significato latino di ‘sottrarre, togliere, non concedere’ (alla vista). 17-20 O monti! o fiumi! [che siete] azzurri come il cielo [e] come il mare [:] sarebbe stata (era) più saggia (miglior) decisione (pensiero) fermarsi (ristare; arcaico o letterario), non guardare oltre, sognare; il sogno è l’infinita ombra della verità (del Vero). I monti e i fiumi hanno il colore azzurro del cielo e del mare; e come il cielo e il mare essi sembrano infiniti: la realtà naturale può sfumare nel sogno. E anzi sarebbe stato meglio (era miglior pensiero) non voler andare oltre i monti e i fiumi, così da poterne immaginare di sempre nuovi, e cioè sognare. L’immaginazione (sogno) dà infatti

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un indizio, un’immagine sfumata e allusiva (ombra) della realtà (Vero); ed essa è perciò in grado di ingrandire i confini della realtà stessa (cfr. infinita…) spingendo l’animo umano a uno slancio illimitato verso il mistero. 21-23 Oh! [ero] più felice [quando] avevo davanti (m’era d’inanzi) molto (quanto) più cammino; molte più difficoltà (cimenti), molti più dubbi, molto più futuro (destino)! Finché c’erano ancora difficoltà da superare e nuovi orizzonti da scoprire, Alessandro era più felice non percependo ancora il senso di limite e di confine della condizione umana. 24-30 [Ero più felice] ad Isso, quando bruciava (divampava) sotto il soffiare dei venti (ai vènti) l’accampamento (il campo) notturno, in mezzo alle (con le) numerosissime (mille; indeterminato) schiere [di soldati], e [con] i carri neri (oscuri) e i numerosissimi (infiniti; indeterminato) armenti [: bovini]. [Ero più felice] a Pella! quando durante le (nelle) lunghe sere, o mio Bucefalo (Capo di toro) [: il cavallo di Alessandro], inseguivamo il sole; il sole che tra boschi bui (tra selve nere), brillava (ardea = ardeva) come un tesoro, sempre più lontano. Tanto i ricordi piacevoli (vv. 27-29), quantro quelli di pericolose avventure (vv. 24-26) si riferiscono a momenti preferibili a quello presente. Isso: dove Alessandro sconfisse i Persiani guidati dal re

Dario, nella famosa battaglia del 333 a.C. Pella: la città della Macedonia dove Alessandro aveva passato la giovinezza. Capo di toro: è una traduzione del nome greco del cavallo di Alessandro, Bucefalo (che vuol dire appunto ‘testa di bue’). 31-36 [O] figlio di Amynta [: il padre]! Quando mi misi in cammino (allor che mossi) io non sapevo (non sapea) [: non pensavo] degli obiettivi (di meta) [: cioè dei limiti]. [Al momento della partenza] Timoteo, il cantore (l’auleta), intonava tra gli altari (di tra le are) un canto sacro (un nomo): [questo canto era come] un soffio potente di un andare voluto dal destino (fatale), [capace di proseguire] oltre la morte; e mi è [rimasto] nel cuore, vivo (presente) come il mormorare (murmure) del mare in [una] conchiglia. Figlio d’Amynta: cioè il padre di Alessandro, Filippo. A lui e poi, nel finale, alla madre, Alessandro si rivolge in questo momento decisivo di ricapitolazione e di bilancio esistenziale. Un nomo...l’auleta: il noto cantore Timoteo, celebrato dagli storici, aveva cantato un nomo (cioè un canto sacro con accompagnamento di flauto e cetra) per le nozze di Alessandro con Rossane, nel 323 a.C. Il ricordo indistruttibile di quel canto è stato l’ispiratore (è anche questo il significato di soffio) del viaggio, come un invito a superare i confini stessi della vita (cfr. oltre la morte).

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3 T60 Giovanni Pascoli ~ Alexandros

O squillo acuto, o spirito possente, che passi in alto e gridi, che ti segua! ma questo è il Fine, è l’Oceano, il Niente… 40

e il canto passa ed oltre noi dilegua. – V E così, piange, poi che giunse anelo: piange dall’occhio nero come morte; piange dall’occhio azzurro come cielo.

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Ché si fa sempre (tale è la sua sorte) nell’occhio nero lo sperar, più vano; nell’occhio azzurro il desiar, più forte. Egli ode belve fremere lontano, egli ode forze incognite, incessanti, passargli a fronte nell’immenso piano,

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come trotto di mandre d’elefanti. VI In tanto nell’Epiro aspra e montana filano le sue vergini sorelle pel dolce Assente la milesia lana.

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A tarda notte, tra le industri ancelle, torcono il fuso con le ceree dita; e il vento passa e passano le stelle. Olympiàs in un sogno smarrita ascolta il lungo favellìo d’un fonte, ascolta nella cava ombra infinita

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le grandi quercie bisbigliar sul monte.

37-40 O squillo acuto, o [espressione di uno] spirito potente, che passi in alto e lanci il tuo suono (gridi), ti voglio seguire (che ti segua)! ma [non è possibile, perché] questo [luogo dove sono arrivato] è la Fine, è l’Oceano, [è] il Niente… e il canto passa [al di là del limite] e si perde (dilegua) oltre noi. – Si conclude qui il malinconico discorso di Alessandro, per il quale si confondono lo squillo presente dell’araldo (cfr. v. 1) e il canto passato di Timoteo (cfr. vv. 32 sg.); e il suono degli squilli di tromba che si perdono al di là del limite della Terra sembra portare con sé il canto, senza che Alessandro possa più seguirlo. 41-46 E con queste parole (così) [Alessandro] piange, dopo essere giunto (poi che giunse) con entusiasmo (anelo) [al limite delle terre]: piange dall’occhio nero come la morte; piange dall’occhio azzurro come il cielo. Perché (ché) nell’occhio nero la speranza (lo sperar; infinito sostantivato) si fa sempre più inutile (più vano) [: meno realizzabile]; [e] nell’occhio azzurro il desiderio (il desiar) [si fa] più forte (questa (tale) è la sua sorte). Secondo le antiche testimonianze, Alessandro aveva un occhio nero e l’altro azzurro. Pascoli utilizza tale dato per rappresentare la duplice situazione psicologico-affettiva del personaggio: speranza irrealizzabile, da una parte, desiderio violento, dall’altra; in riferimento, come è ovvio, alla possibilità di procedere ancora oltre. Le due nature si identificano con il sentimento del limite e della morte (l’occhio nero: cfr. v. 42) e con quello idealizzante dello slancio in

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avanti (l’occhio azzurro: v. 43). 47-50 Egli [: Alessandro] sente (ode) in lontananza (lontano) i suoni vibranti (fremere) di belve, egli sente forze sconosciute (incognite), inarrestabili, che gli passano davanti (passargli a fronte) nell’immensa superficie (piano) [dell’oceano], come [: con il suono che fa] il trotto di mandrie di elefanti. Al di là del limite si annunciano ad Alessandro le presenze misteriose dell’ignoto, destinate a restare inconoscibili. Si noti l’effetto incalzante dato al v. 50 dalla disposizione degli accenti su 3a e 6a sillaba. 51-56 Intanto nell’Epiro selvaggio (aspra; il femminile è concordato con il sottinteso «regione») e montuoso (montana) le sue [: di Alessandro] sorelle vergini filano la lana milesia per il (pel) caro (dolce) Assente [: per tessergli poi vestiti]. A tarda notte, tra le servitrici (ancelle) industriose (industri), ruotano ( torcono) il fuso con le dita di cera (ceree); e il vento si muove (passa) e si muovono le stelle. L’ultima sezione del *poemetto è dedicata alla casa natale di Alessandro, nell’Epiro (una impervia regione della Grecia settentrionale); qui le sorelle preparano vesti per il fratello Assente (la maiuscola, come nei casi già incontrati – p. es. al v. 39 – innalza i termini comuni a personificazioni astratte e perfino mitiche). Milesia lana: la lana di Mileto, ritenuta anticamente una delle più pregiate. Ceree dita: dita bianche come la cera. 57-60 Olimpia smarrita in un sogno [: rapita da

fantasticherie] ascolta il suono (il...favellìo = il parlare) prolungato (lungo) di una fontana (d’un fonte), ascolta nella vuota (cava)tenebra (ombra) infinita le grandi querce stormire (bisbigliar) sul monte. Il *poemetto si conclude con la figura di Olimpia, la madre di Alessandro, descritta dallo storico greco Plutarco come propensa alle fantasie. La sua figura si contrappone implicitamente a quella del figlio, di cui rappresenta un opposto: al desiderio di conoscere di Alessandro, Olimpia contrappone il rapimento nel sogno. Ella in tal modo incarna praticamente la possibilità prospettata dallo stesso Alessandro nel corso del suo bilancio esistenziale (cfr. vv. 18-20): sognare anziché mirare alla conoscenza del vero. La figura di Olimpia testimonia che la soluzione del sogno consente infine realmente di stabilire un rapporto più proficuo e profondo con la realtà, di essere cioè in armonia con l’universo naturale: i due ascolta conclusivi (vv. 58 sg.) riferiti a Olimpia si contrappongono ai due ode riferiti nella *strofa precedente (vv. 47 sg.) ad Alessandro (in ascolta è implicita una partecipazione del soggetto, in ode una sua passività, in questo caso persino impotente e frustrata). Attraverso la rievocazione di questo episodio classico, perciò, Pascoli conferma la superiorità conoscitiva della propria scelta di fedeltà al «nido» degli affetti familiari, nonché la efficacia della *poetica *simbolistica, orientata a un rapporto di compenetrazione e di sogno con la realtà.

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4 T60 Giovanni Pascoli ~ Alexandros

Esercizi ANALIZZARE 1

INTERPRETARE E APPROFONDIRE

Quali attributi storici e quali sentimenti moderni caratterizzano il personaggio di Alessandro?

2

Individua lo spazio delle diverse sezioni del componimento e rilevane, dove è possibile, il significato simbolico.

3

Analizza il tempo del racconto e mostra come il rapporto presente/passato riproduca l’antitesi tra il vero e il sogno.

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4

Quale concezione della conoscenza rivela Alessandro?

5

Rileva gli aspetti rassicuranti e quelli inquietanti dell’immagine della madre di Alessandro.

6

In quale parte del testo puoi ritrovare un riferimento a Leopardi?

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