Analisi - Favole al Telefono PDF

Title Analisi - Favole al Telefono
Author Francesca Nunziante
Course Scienze della formazione primaria
Institution Università degli Studi di Salerno
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Summary

Analisi favole al telefono per esame con acone...


Description

Per molti adulti dei nostri giorni è possibile che siano le favole, più che il telefono, a dare al titolo un sapore particolarmente antiquato, simile al gusto di una caramella che dopo l’infanzia non si è più mangiata. “Favola” e “fiaba” derivano entrambe dal latino fabula, ma a prescindere dalla distinzione classica che identifica nella prima un racconto di animali con una morale esplicita, e nella seconda, come scrisse Bruno Bettelheim, una storia dai significati nascosti che «lascia a noi ogni decisione, e ci permette anche di non prenderne nessuna» (esattamente come le favole di Rodari), le tre sillabe di “favola” suonano molto diverse, e per molti versi più poetiche, rispetto alle due di “fiaba”. Anzitutto hanno il vantaggio di essere meno ricercate, come un giocattolo o un libro che è sempre a portata di mano (dalla tavola alla favola il passo è brevissimo), e inoltre parlano del volo (e fanno volare) come fosse la cosa più naturale del mondo. Di qualcosa di incantevole si dice che “è una favola”, e delle fandonie che “sono tutte favole”, mentre le fiabe non conoscono espressioni simili. Un paesaggio favoloso, infine, è indubbiamente più suggestivo di uno fiabesco, anche perché soltanto nel primo si può favoleggiare. “Favole al telefono” di Gianni Rodari (1920- 1980), la celebre raccolta di racconti brevi pubblicata per la prima volta da Einaudi nel 1962. Di questo libro sono presenti più edizioni, ma vorrei segnalarvi quella di Einaudi Ragazzi nella collana Storie e rime, uscita nel novembre del 2013 ed illustrata da Simona Mulazzani. Il protagonista è il ragionier Bianchi di Varese, un rappresentante di commercio “condannato” a girare l’Italia e a stare lontano dalla famiglia. Al suo serrato pendolarismo è concessa una tregua soltanto la domenica. Il lunedì mattina, prima di partire, puntualmente la sua bambina gli dice: “Mi raccomando, papà, tutte le sere una storia”. La bimba non riesce a dormire senza la favola della buonanotte, e la mamma ha già terminato tutto il suo repertorio. Così, ogni sera, ovunque si trovi, alle 9 in punto, il ragionier Bianchi chiama al telefono la figlia e le racconta una storia. Il libro raccoglie appunto le favole narrate da questo padre, tutte rigorosamente corte, poiché egli paga il telefono di tasca sua e non può permettersi di fare telefonate troppo lunghe. E le storie toccano talmente il cuore, che le centraliniste interrompono il loro lavoro per ascoltare. “Sfido”, afferma l’autore “sono proprio belline”. Si tratta di 155 brevi componimenti di fantasia, necessariamente surreali, come si addice alle favole. Hanno rappresentato un appuntamento importante di Rodari col grande pubblico infantile, entrando a pieno titolo nel mondo della scuola e nelle case dei bambini di tutto il mondo. È un’opera che testimonia la grande capacità di invenzione dell’autore, congiunta ad un’osservazione della realtà contemporanea, che non scade mai nel moralismo. Alcune di queste favole erano già state “collaudate” con successo sul “Corriere dei Piccoli” per il quale l’autore ha collaborato, e avevano portato alla creazione di personaggi destinati ad occupare ruoli da protagonisti, nell’universo rodariano: dalla minuscola Alice Cascherina a Giovannino Perdigiorno, imprevedibile viaggiatore di paesi straordinari. Il ragionier Bianchi, rappresentante di commercio degli anni Sessanta, che racconta favole al telefono alla figlioletta, è un personaggio attuale, anche se oggi utilizzerebbe il cellulare o, nella migliore delle ipotesi, la posta elettronica. Egli appartiene al nostro quotidiano, potrebbe essere uno di noi. “Favole al telefono” è ormai considerato un testo classico, che non conosce età, perché conserva immutate le originali doti di ironia. I personaggi sono anticonformisti e gli eventi imprevisti, così come le dolci strade di cioccolato e i saporiti palazzi di gelato che vengono descritti. Le domande assurde e i numeri paradossali costituiscono i punti di forza di quella inesauribile fonte di creazione che è stato l’autore. Ricordiamo che Gianni Rodari, dopo una breve esperienza di insegnamento elementare, ha lavorato come giornalista all’”Unità” e a “Paese Sera”, e ha scritto per l’infanzia, curando anche alcuni programmi per bambini della Rai. I suoi libri hanno avuto innumerevoli traduzioni e hanno meritato diversi

riconoscimenti, fra cui il prestigioso Premio Andersen (1970), assegnato in Italia ad alcune letture per ragazzi. Tra le favole più famose e riprese tante volte da illustratori e editori diversi, Alice Cascherina, la Guerra delle Campane, Giovannino Perdigiorno che qui vuole toccare il naso del re e così inventa una nuova forma di ossequio e di omaggio. Alice Cascherina cade sempre dappertutto: una volta in una sveglia, poi dentro la bottiglia mentre faceva merenda, un’altra volta poi rischiò di non farsi più trovare perché era caduta nel cassetto delle tovaglie. In una storia tutta per lei si racconta di quando cadde in mare e si chiuse dentro una conchiglia; amava così tanto la pace che la circondava che avrebbe voluto restare sempre li, sul fondo del mare come le sirene e le stelle marine. Fu presa però dalla malinconia per la sua mamma e il suo papà, e puntando i piedi e le mani riuscì ad aprire la conchiglia e risalì a galla, tenendo per se il segreto della sua avventura. Ne La guerra delle campane protagonista è un conflitto lungo e sanguinoso, dove viene a mancare la materia prima per i cannoni e le munizioni; i generali delle due armate contendenti (e già i nomi sono deliziosi: Stragenerale Bombone Sparone Pestafracassone e Mortesciallo Von Bombonen Sparonen Pestafrakassonen, in barba ad ogni riferimento storico e pacifista) decidono di fondere il bronzo di tutte le campane e costruire un solo, grandissimo cannone. Al gran momento, quando il comandante dà l’ordine e un artigliere preme il pulsante per sparare, i cannonissimi tuonano un gigantesco scampanio! E l’eco dei Din Don Dan si diffonde per tutta la terra, con grande rabbia dei generali e infinita felicità dei soldati dei due eserciti, che saltano le trincee, si corrono incontro e si mettono a ballare, felici perchè la guerra è finita ed è “scoppiata” la pace. Credo che proprio questa ultima favola che ho raccontato sia esemplificativa dello stile di Rodari, impegnato e mai banale. Trovo alcune storie davvero commoventi, molto poetiche e ricche di calore. Se è vero che con l’occhio di un bambino possono essere visti i risvolti comici ed esilaranti di alcuni personaggi, o la simpatia dei controsensi e delle parole inventate (ad esempio A inventare i numeri, o Brif Bruf Braf), ad una lettura più matura o approfondita non sfuggirà la genialità del messaggio e la profondità dell’impegno sociale. Rodari è un autore che non dovrebbe mancare nella biblioteca di nessuno, bambino o adulto che sia. LA TRAMA Per definizione, un libro di fiabe non ha trama. La fiaba è il regno della fantasia, che non obbedisce né a regole né a sviluppi secondo logica. E tuttavia, in Favole al telefono, un filo conduttore esiste: è il nostro tempo. Non che si tratti di storie tecnologiche, oppure ambientate in luoghi moderni. Anzi, abbiamo imperatori alle prese con donnette che sanno far bene la marmellata, ragazzini che vogliono andare a toccare il naso del re. E se per caso un garzone di bar vola nello spazio, ad aiutarlo non è un missile ma una spinta che viene dalla suggestione e perciò - appunto - dalla fantasia. Il richiamo alla nostra epoca è diverso. Un richiamo in qualche modo politico, poichè Gianni Rodari è sempre dalla parte della povera gente. Un richiamo di sentimenti ed anche, come si dice oggi, ecologico: brave e umili persone, animali parlanti che danno il senso della natura. Non manca talvolta un accenno alla cattiveria degli uomini: per esempio il pescatore che diventa ricco per merito di un pesce-bambino e poi ributta in mare il suo benefattore, chiuso in una conchiglia, quando non ne ha più bisogno. Infine, ed è forse la parte più preziosa del libro, piccoli eventi nati da giochi di parole, da filastrocche, addirittura da un semplice errore di ortografia. Qualcosa come, un secolo fa, Alice nel paese delle meraviglie. In Rodari non c'è Alice: ma la meraviglia c'è, lo stupore incantato e libero dell'infanzia. IL PROTAGONISTA Se proprio vogliamo trovare un personaggio che va e viene fra topolini dei fumetti, semafori che danno il blue e ingenui ladri che vogliono rubare il Colosseo, l'unico in questo libro è Giovannino Perdigiorno. E' un "gran viaggiatore e famoso esploratore" che gira da un paese all'altro, con avventure che un pò gli capitano per caso, un pò è lui stesso a provocare. Una volta arriva nel paese degli uomini di burro, i quali vivono nei frigoriferi, con una borsa di ghiaccio in testa, per timore di squagliarsi. Il re sta in un frigo d'oro massiccio, viaggia in un'automobile ghiacciata e, se il sole osa spuntare, lo fa mettere in prigione dai suoi soldati. A

Giovannino viene poi la voglia di prendere per il naso un altro re, i cui sudditi fanno lo stesso: e il povero sovrano non ha più pace. Infine c'è un paesino con 99 cani che abbaiano sempre, tanto che pure i loro padroni si esprimono con ringhi e ululati: Giovannino avrebbe una cura per guarirli, ma il sindaco gli risponde con un "Bau! Bau!". Per cui il nostro viaggiatore se ne va commentando: "Il peggior malato è quello che crede di essere sano". UNA SERIE DI EPISODI C'è un omino di niente, vestito di niente che viaggia in una strada di niente, che non conduce da nessuna parte. Là i topi mangiano solo i buchi del formaggio e i gatti hanno artigli di niente. Anche i muri sono fatti di niente e l'omino, che non ci crede, per troppo slancio passa dall'altra parte. "Anche di là non c'era niente di niente". Pulcinella, marionetta irrequieta, non sopporta i fili ai quali lo lega il burattinaio. Un giorno riesce a tagliarli e scappa: che bellezza non essere più soggetto a padroni. Ma trova poco da mangiare, dimagrisce, muore sepolto sotto le prime nevi d'inverno. Spunta la primavera e, con essa, un garofano: ecco, pensa Pulcinella, sulla mia testa è cresciuto un fiore. "C'è qualcuno più felice di me?". Vi domanderete come un morto possa sentirsi felice: ma si sa che le marionette di legno non possono morire. Alice Cascherina casca sempre e dappertutto. Le piace fare scherzi ai parenti, nascondendosi dentro una sveglia o una bottiglia, di dove la tirano fuori con una cordicella. Una volta scompare per davvero perchè, senza accorgersene, l'hanno chiusa in un cassetto. Quando la ritrovano lei casca nel taschino di papà, e ne esce tutta impiastricciata per colpa della penna a sfera. Giovanni perde sempre tutto. Gli accade di perdere una mano, un braccio intero, il naso. Dice la mamma: "Ma si può essere più distratti di così?". Torna a casa su una gamba sola, senza più le orecchie ed è sua madre che deve rimetterlo a posto. Lui domanda: "Manca niente?". Durante la guerra, in un paese sulla pianura padana, vivono dentro una cascina undici famiglie. Invece di andare d'accordo, litigano, al punto che per prendere l'acqua dal pozzo ciascuna ha una sua corda che custodisce in casa. Basterebbe che il pozzo avesse una catena, e tutti potrebbero tirare su i propri secchi: ma è gente fatta così, preferisce scambiarsi dispetti. C'è l'invasione tedesca, gli uomini sono lontani, un partigiano ferito cerca rifugio. Lo ospita una donna, ma ha paura che le altre la denuncino. Le cose vanno però diversamente. Tutte pensano ai loro mariti che combattono: chissà se hanno bisogno di aiuto e, soprattutto, chissà se qualcuno li soccorre. Perciò, prima una e poi l'altra, c'è chi porta al ferito un salamino, chi una bottiglia di vino o un pò di pane. Quando il partigiano guarisce, le famiglie in lite sono diventate amiche: ed è lui che cava dal pozzo il primo secchio d'acqua, legato alla catena che insiem hanno comperato, buttando via le undici corde. Sostanza dialogica e carattere formativo = orizzonte valoriale che arriva nella formula splendida e geniale di Rodari quando scrive quelle che egli definisce favole - termini in maniera intercambiabile - gioca con la radice etimologia della fabula - i bambini non vanno mai presi troppo sul serio – grammatica della fantasia 1970. Favole al telefono - Gianni Rodari ponte di connessione tra la poesia, la letteratura e l'infanzia sono le filastrocche. Valore alla parola nella magia lessicale e linguistica, parole elementari - temi cari alla visione democratica del mondo adulto - fame, povertà, testi che i bambini frequentano volentieri. Filastrocca del vecchio muratore - sui mestieri, odori dei mestieri - profumi e odori e solo il fannullone non sa niente e puzza un po' di sospetto, colori dei mestieri come il panettiere bianco, cromie di colori, solo il fannullone non è sporco di nulla. IL VECCHIO MURATORE Ho girato mezzo mondo con la cazzuola e il filo di piombo, ho fabbricato con le mie mani cento palazzi di dieci piani: tutti in fila li vedo qua e mi fanno una grande città.

Ma per me e per la mia vecchia non ho che questa catapecchia. Sono di legno le pareti, le finestre non hanno vetri e dal tetto di paglia e di latta piove in tutta la baracca. Dalla città che ho costruito, non so perché sono stato bandito. Ho lavorato per tutti: perché nessuno ha lavorato per me? Favole al telefono = dinamica del racconto e della poesia affidata alla filastrocca - prosa e sistema narrativo circostante una cornice che tiene dentro le storie delle favole, quella che da significato al titolo, storia del ragioniere bianchi che aveva promesso di raccontare le favole ogni sera, telefona a casa e le racconta una favola, storia più o meno lunga a seconda della fiaba, a seconda che interurbano costi un po' di più o un po' di meno. Impianto nel quale colloca le fiabe. Il maestro Garrone – Gianni Rodari Novità, novità: dappertutto novità. La Befana quest'anno è arrivata a bordo di un razzo a diciassette stadi, e in ogni stadio c'era un armadio zeppo di doni, e davanti ad ogni armadio un robot elettronico con tutti gli indirizzi dei bambini. Non solo dei buoni, ma di tutti: perché bambini cattivi non ne esistono, e la Befana, finalmente, lo ha imparato. Novità a Carnevale: il vecchio Pulcinella ha indossato una tuta spaziale, Gianduia lanciava coriandoli da uno sputnik d'argento, le Damine Rococò e la Fata Turchina seguivano il corteo mascherato in elicottero. Novità a Pasqua. Rompiamo l'uovo di cioccolato e chi ne salta fuori? Sorpresa: un pulcino marziano, con un'antenna sul berretto. L'uovo era un uovo volante. Novità da tutte le parti. Perché dunque il maestro Garrone (nipote di quel bravo Garrone del libro Cuore) è tanto malinconico? - Caro signor Gianni, - egli dice, - anche a me le novità fanno piacere. Che belle macchine ci sono nelle fabbriche, che belle astronavi in cielo. E anche il frigorifero, com'è bello. Ma la mia scuola, l'ha vista? È tale e quale come era ai tempi di mio nonno Garrone e dei suoi compagni: il Muratorino, De Rossi e Franti, quel cattivello. Di belle macchine, là dentro, neanche l'ombra. Gli stessi banchi graffiati e scomodi d'una volta. Vorrei che la mia scuola fosse bella come un bel televisore, come una bella automobile. Ma chi mi aiuta? Il maestro Garrone = bambino e cattivo non è un sintagma che regge. Favola al telefono recitata da un maestro che dissente dall’ottimismo generale e si occupa delle questioni della scuola. Il topo dei fumetti = tematica degli esclusi, il topo e il gatto dei fumetti. Il topo dei fumetti di Gianni Rodari Un topolino dei fumetti, stanco di abitare tra le pagine di un giornale e desideroso di cambiare il sapore della carne con quello del formaggio, spiccò un bel salto e si trovò nel mondo dei topi di carta e d’ossa. “Squash!” esclamò subito, sentendo odor di gatto. “Come ha detto?” bisbigliarono gli altri topi, messi in soggezione da quella strana parola. “Sploom, bang, gulp!” disse il topolino, che parlava solo la lingua dei fumetti. “Dev’essere turco,” osservò un vecchio topo di bastimento, che prima di andare in pensione era stato in servizio nel Mediterraneo. E si provò a rivolgergli la parola in turco. Il topolino lo guardò con meraviglia e disse: “Ziip, fiish, bronk”. “Non è turco”, concluse il topo navigatore. “Allora cos’è?” “Vattelapesca”.

Così lo chiamarono Vattelapesca e lo tennero un po’ come lo scemo del villaggio. “Vattelapesca”, gli domandavano, “ti piace di più il parmigiano o il groviera?” “Spliiit, grong, ziziziir”, rispondeva il topo dei fumetti. “Buona notte”, ridevano gli altri. I più piccoli, poi, gli tiravano la coda apposta per sentirlo protestare in quella buffa maniera: “Zoong, splash, squarr!” Una volta andarono a caccia in un mulino, pieno di sacchi di farina bianca e gialla. I topi affondarono i denti in quella manna e masticavano a cottimo, facendo: crik, crik, crik, come tutti i topi quando masticano. Ma il topo dei fumetti faceva: “Crek, screk, schererek”. “Impara almeno a mangiare come le persone educate”, borbottò il topo navigatore. “Se fossimo su un bastimento saresti già stato buttato a mare. Ti rendi conto o no che fai un rumore disgustoso?” “Crengh”, disse il topo dei fumetti, e tornò a infilarsi in un sacco di granturco. Il navigatore, allora, fece un segno agli altri, e quatti quatti se la filarono, abbandonando lo straniero al suo destino, sicuri che non avrebbe mai ritrovato la strada di casa. Per un po’ il topolino continuò a masticare. Quando finalmente si accorse di essere rimasto solo, era già troppo buio per cercare la strada e decise di passare la notte al mulino. Stava per addormentarsi, quand’ecco nel buio accendersi due semafori gialli, ecco il fruscio sinistro di quattro zampe il cacciatore. Un gatto! “Squash!” disse il topolino, con un brivido. “Gragrragnau!” rispose il gatto. Cielo, era un gatto dei fumetti! La tribù dei gatti veri lo aveva cacciato perchè non riusciva a fare miao come si deve. I due derelitti si abbracciarono, giurandosi eterna amicizia e passarono tutta la notte a conversare nella strana lingua dei fumetti. Si capivano a meraviglia. Uno e Sette Ho conosciuto un bambino che era sette bambini. Abitava a Roma, si chiamava Paolo e suo padre era un tranviere. Però abitava anche a Parigi, si chiamava Jean e suo padre lavorava in una fabbrica di automobili. Però abitava anche a Berlino, e lassù si chiamava Kurt, e suo padre era un professore di violoncello. Però abitava anche a Mosca, si chiamava Juri, come Gagarin, e suo padre faceva il muratore e studiava matematica. Però abitava anche a Nuova Vork, si chiamava Jimmy e suo padre aveva un distributore di benzina. Quanti ne ho detti? Cinque. Ne mancano due: uno si chiamava Ciù, viveva a Shanghai e suo padre era un pescatore; l’ultimo si chiamava Pablo, viveva a Buenos Aires e suo padre faceva l’imbianchino. Paolo, lean, Kurt, luri, Jimmy, Ciù e Pablo erano sette, ma erano sempre lo stesso bambino che aveva otto anni, sapeva già leggere e scrivere e andava in bicicletta senza appoggiare le mani sul manubrio. Paolo era bruno, Jean biondo, e Kurt castano, ma erano lo stesso bambino. Juri aveva la pelle bianca, Ciù la pelle gialla, ma erano lo stesso bambino. Pablo andava al cinema in spagnolo e Jimmy in inglese, ma erano lo stesso bambino, e ridevano nella stessa lingua. Ora sono cresciuti tutti e sette, e non potranno più farsi la guerra, perché tutti e sette sono un solo uomo.

Significato: Nel testo originale, Uno e sette, Gianni Rodari racconta la storia di sette bambini di diversa nazionalità che sono in realtà lo stesso bambino – parla di infanzia, di uguaglianza, di solidarietà e pace tra i popoli. I bambini sono tutti uguali, gli stessi bisogni elementari, la stessa “curiosità della ricerca”, il medesimo senso del gioco. Li differenziano i linguaggi sociali, le parole elementari che hanno appreso sin dai primi anni di vita, la mano adulta che li ha condotti durante i primi passi. Così come espresso in modo semplice e suggestivo da Gianni Rodari in una delle sue Favole al telefono, edita successivamente sotto forma di albo illustrato, in cui sono presentati sette bambini (ma in realtà potrebbero essere milioni), ciascuno dei quali appartenente a forme sociali di vita lontane tra loro, diversi “fenotipi” culturali che esprimono un unico genoma, un solo uomo. In modo tale da non rendere neanche più pensabile che, una volta divenuti adulti, possano “farsi la guerra”. Sarebbe come com...


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