Antropologia Culturale modulo A PDF

Title Antropologia Culturale modulo A
Author Francesca Scaccia
Course Antropologia culturale
Institution Università degli Studi di Roma Tor Vergata
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Appunti del corso di Antropologia Culturale modulo A, FIT, PF24...


Description

ANTROPOL OPOLOGIA CULTURALE ANTR OPOL OGIA CUL TURALE mod.A 2019/20 prof oV er eni prof.. Pier Piero Ver ereni 02/10/2019 [email protected]; [email protected] (indifferente dove lo cerchiamo) È una materia che lavora sull’interazione sociale, su piccola scala, sul faccia-a-faccia. Dobbiamo interagire all’esame. Bisogna controllare sempre il BLOG. Esonero di fine modulo 16 novembre ci sono 13 domande a risposta multipla e 2 a risposta aperta. Una è sulla monografia e una sulla parentela. L’antropologia non nasce nello spazio universitario, ma per strada, però come disciplina cerca di collegarsi alla quotidianità, all’ordinario.

Concetto antropologico di cultura e cos’è l’antropologia, un autore centrale sarà Clifford Geertz, che è il padre dell’antropologia interpretativa, che è una scuola che si sviluppa da anni ’60, il prof segue questo modello. Francesco Remotti, uno dei più grandi antropologi italiani e impareremo il concetto di antropopòiesi. Faremo una lettura di un testo che ci insegnerà cos’è l’etnografia. L’antropologia studia la cultura con un metodo interpretativo e con una tecnica etnografica, che è la ricerca sul campo (testo di Olivier de Sardan). Come si fa in pratica la ricerca sul campo ce lo dice lui. L’ultimo scoglio sarà una serie di lezioni sul concetto della parentela. Lui la vede come una metafora dell’oggetto principe dell’antropologia cioè il fatto che alcune cose le viviamo da dentro la cultura e siamo talmente immersi in quella prospettiva che non ci accorgiamo che viviamo in una costruzione, pensando però di vivere in un ambiente naturale. La cultura è un modo di vedere la realtà che ti convince subconsciamente che quel modo di pensare e vedere la realtà è ovvio e naturale, invece è un prodotto della storia, quindi ci possono essere diversi modi di vedere quella stessa cosa. L’antropologia culturale pretende di spiegare che quelle differenze che noi consideriamo ovvie, scontate e naturali, sono in realtà il prodotto di un filtro culturale che noi abbiamo acquisito e che ci fa notare alcuni aspetti e non altri che avremmo potuto altrimenti evidenziare se fossimo stati in un’altra cultura. La cultura ha come sua caratteristica principe il nascondersi, non si fa vedere come costruzione sociale, ma tende ad essere tanto assorbita in profondità in quello che siamo che ci scordiamo che è una costruzione, il che ci porta a vedere le cose come scontate. La parentela, la famiglia, i genitori, il legame di sangue, è un legame che uno non può scegliere: l’antropologia culturale ha la pretesa di dimostrare che le cose sono molto più complicate di così e che la differenza tra parenti e amici è molto più fragile e frastagliata di quello che la cultura tenderebbe ad insegnarci. Non c’è un campo comune, naturale, biologico a partire dal quale tutti individuiamo lo stesso tipo di parentela. Ina altre culture utilizzano altre basi e questo ci spiazza, ci sorprende e questa è la prima lezione dell’antropologia. Di fronte a questa stranezza dovremmo fare lo sforzo di metterci in quel sistema culturale e trovare la sua comprensibilità, quindi addomesticare quello che è esotico, perché lo capiremo da dentro. La mossa successiva che è quella di guardare con uno sguardo straniante quello che fino ad un minuto prima ci era sembrato ovvio e scontato. Addomesticamento dell’esotico e straniamento dell’ovvio, questo è quello che fa l’antropologia culturale che è una scienza sociale, che come scienza accademica nasce con le università moderne nella seconda metà dell’800, quando si iniziano ad avere cattedre di 1

antropologia culturale. Nelle università anglosassoni e delle Germania. La temperie culturale del mondo culturale dell’epoca: Positivismo e Romanticismo. Una certa concezione soprattutto di “nazione” (i tedeschi ed Herder) è stata essenziale per produrre una parte rilevante del pensiero antropologico. Il prof è più interessato alla tradizione anglosassone orientata dal positivismo. La disciplina delle scienze umane che nasce in questo periodo è la sociologia. L’antropologia possiamo considerarla come la sorella scema della sociologia, perché la prima è quella che affronta le cose importanti. Perché nasce la sociologia? Per spiegare il cambiamento nella società. La sociologia leggeva questo cambiamento alla luce della rivoluzione industriale, dei rapporti politici, l’urbanizzazione, l’anomia. Nasce nel cercare di capire come il cambiamento sociale e tecnologico avvenuto nel corso della modernità, potesse da una parte essere guidato (alcuni intellettuali si pensava fossero in grado di gestire città che cambiavano velocemente), i sociologi volevano essere un po' i consiglieri del re. L sociologia nasce come una disciplina che dovrebbe spiegare la modernità, che cosa stava succedendo. Un’altra cosa importantissima è la secolarizzazione, cioè quella che Max Weber è alla perdita dell’incantamento del mondo, cioè la perdita della fede religiosa, con l’urbanizzazione. Molti si distaccano dal gruppo religioso di appartenenza. Tutto avviene ad un ritmo incredibile, gli operai fanno casino, bisogna tenerli sotto controllo ecc. L’antropologia diventa la disciplina che si occupa del resto, se la sociologia studia la modernizzazione ed i contesti urbani, l’antropologia studia la tradizione, i popoli primitivi, che sono fuori dalla modernizzazione a differenza di quelli che studiavano le colonie. Antropos vuol dire essere umano indifferenziato dal punto di vista del genere e logos è la riflessione, quindi riflessione sull’essere umano. Anche la medicina, la sociologia e la psicologia è un discorso sull’essere umano, quello che caratterizza l’antropologia è la speranza di studiare quello che non è stato toccato dalla modernità. Si ritorna a contesti primitivi, perché si pensa che non essendo stati sottoposti alla modernità, abbiano trattenuto una condizione originaria, una condizione millenaria. C’è qui un’asse temporale in accelerazione o una macchina del tempo che funziona a tutto ritmo, siamo nelle città (Benjamin), Parigi, diventa al capitale di un tempo, non di uno spazio, il tempo è accelerato, stiamo tutti andando verso il futuro tranne contadini e popoli primitivi che vivono nel passato. È una sorta di congelamento, questi sono visti come un blocco, non si sono mai mossi. Se io vado a vedere i popoli indigeni è come se facessi un cammino a ritroso nel tempo, tant’è che questa idea si mescola con l’idea più pazzesca dell’800 (teorizzata anni ’50 dell’800) che è quella dell’evoluzione della specie di Charles Darwin, prima solo per spiegare il mondo naturale, ma diventa dopo Darwin il modello preferito del mutamento sociale. Si comincia a credere che vi sia una direzione del mutamento, dal più semplice al più complesso inevitabile, che ha attraversato la storia dell’umanità al punto che possiamo disporre tutte le culture umane lungo un asse temporale in cui ad un estremo c’è “ora”, che coincide con la cultura dell’uomo bianco occidentale (maschi bianchi del nord-atlantico) che avevano elaborato questa evoluzione, tutti gli altri erano arretrati nel tempo, al punto che diventa un asse cartesiano che ha al suo vertice il nord atlantico come coincidenza del “qui ed ora”, tra Londra e New York” c’è l’hinc et nunc, se ti sposti ad est o sud è come se oltre che spostarti nello spazio ti sposti anche nel tempo. Pensiamo agli intellettuali del Grand Tour, che scendevano dalla Germania o Inghilterra, che venivano in Italia o la Grecia. C’è una concezione che più ti sposti verso est o verso sud e più è come se facessi un viaggio all’indietro del tempo, quando si va nel cuore dell’Africa si torna al tempo zero. Quindi quegli uomini che hanno una storia di 150.000 anni, i Pigmei dell’Africa sono uomini del ‘10/’20/’30 sono nostri contemporanei, ma questa nozione evolutiva è talmente forte che posiamo chiamarli “primitivi”. L’antropologia diventa la scienza che pretende di studiare questo premoderno ed i colonialisti sono quelli che preferiscono questa scienza perché hanno a disposizione questi campioni (Inglesi, Francesi, Americani), la Germania e l’Italia invece fanno diventare l’antropologia una scienza della 2

cultura popolare, dove popolare coincide con “contadina. Stanno cercando di recuperare questa specie di essenza dell’umano prima del mutamento della modernità. Questa idea crolla totalmente perché cominciamo ad accorgerci che loro non sono così primitivi come speravamo e cominciamo a d accorgerci che noi non siamo così moderni come auspicavamo o temevamo. Una volta spezzato il legame tra moderni e tradizionali salta pure la contrapposizione tra sociologia ed antropologia e quest’ultima si deve ripensare. 09/10/2019 L’antropologia era diventata un po' una scienza residuale, interessandosi di coloro che si credeva non fossero stati toccati dal tempo. L’antropologia ha in parte contribuito a questa costruzione dell’altro in senso negativo: senza cultura, senza stato, senza dio (erano politeisti). (lezione precedente) Un antropologo inglese Tim Ingold, disse che l’antropologia è filosofia con la gente dentro. Nel senso che come la filosofia, l’antropologia si pone domande molto importanti, perché c’è l’essere invece che il nulla? Che cos’è il potere? Tutte le grandi domande che la filosofia si fa, ma l’antropologia le declina con la lettera minuscole e le va a cercare nelle storie e nelle vite delle persone. Le domande da cui partono le due discipline sono le stesse. La curiosità come molla del conoscere c’è anche quello. Però l’essere umano non è nemmeno spinto dal desiderio del conoscere, ad esempio Jacques Lacan, grande psicanalista francese, dice il principio che muove gli esseri umani nel mondo è “non lo voglio sapere”. In realtà l’umano non è così desideroso di conoscere, è più l’impulso di una finalità, ma non un desiderio. La filosofia cerca le risposte alle domande che abbiamo appena formulato dentro di sé, dentro la tradizione del pensiero a cui appartiene, un filosofo può provare a rispondere standosene seduto in una biblioteca. Cioè se ha dentro di sé delle domande può cercare risposte dialogando col suo sé del passato dialogando con la sua stessa tradizione, è un pensiero continuo, è un dialogo narcisista, autoriflesso. L’antropologia è l’opposto in questo senso, perché lo studioso di antropologia raccoglie per il mondo risposte in giro per il mondo, si trova davanti a persone in altre parti del mondo che ad esempio pensano di limarsi i canini perché solo così sono veramente belli, quindi non si chiede cosa è bello e cosa è brutto di se, cerca in un grande archivio che è il mondo. Questo non significa che il relativismo è etico, ma un relativismo cognitivo, siamo convinti che uomini che vivono in sistemi culturali diversi possono vedere le cose in maniera diversa. I nazisti ad esempio avevano una loro etica, riconoscerla non significa condividerla, ma capire le forme di pensiero dentro cui la superiorità della razza ariana possa essere considerata un bene supremo al punto che puoi disumanizzare i membri di una razza vista come inferiore con un procedimento quasi meccanico non la condividi, ma ti sforzi di capire l’orizzonte culturale entro il quale un pensiero così folle possa essere creduto normale. Il problema è nicciano, c’è un surplus di umanità e invece di dire che i nazisti sono disumani, diciamo che è una forma di umanità, c’è chi ancora oggi condivide questo orizzonte di valoro. Per l’antropologo l’umano è esperienziali, non normativo, però l’antropologo riconosce queste forme di pensiero anche se non le condivide, si tratta quindi di ricostruire quel sistema di pensiero da dentro che rende quell’assurdo non accettabile, ma capisco quali sono i pensieri e le pratiche dentro cui quella cultura agisce. La parentela con la filosofia è di questo rodine. Clifford Geertz, diceva non si possono comprendere gli esseri umani senza conoscerli. Pretendere di comprendere la natura umana se non ci sbatti il grugno, se non ti sforzi di conoscere quell’essere umano di cui pretendi di aver compreso la cultura non si può fare. Quindi abbiamo già una chiave 3

d’accesso del metodo con cui lavoriamo: il metodo etnografico, gli antropologi si collocano ad altezza d’uomo, mentre il sociologo e ancor più il filosofo possono pensare di dire cose interessanti stando però “a distanza” perché il sociologo fa un questionario, il filosofo dialoga col suo pensiero, l’antropologo dialoga con quelle stesse persone di cui cerca di fornire una rappresentazione di ordine scientifico: questa è la differenza e la natura empirica del lavoro di antropologo. L’antropologia è una sorta di sistematizzazione di provare a capire cosa vuol dire essere da un’altra parte sul pianeta. Questo ha implicazioni enormi dal punto di vista dell’insegnamento, l’università non è il luogo ideale per insegnare l’antropologia. L’antropologia utilizza un metodo empirico, questo è il modello di antropologia dei film di Indiana Jones, che in America non è un archeologo, ma un archeologo. È più evidente il nesso con la dimensione culturale. È il modello che viene fuori dall’800. Studia questo “altro” in posti esotici, stando là. Sono successe tantissime cose nel ‘900 che hanno messo in crisi questa contrapposizione nitida tra modernità e tradizione. La modernità implicava una concezione di progresso lungo una concezione evolutiva della storia. Nell’800 si sviluppa indipendentemente da Darwin, una concezione evolutiva della storia, cioè la storia, che era stata anche letta in chiave degenerativa (Eden dorato, prima meglio, poi peggio), la modernità comincia a vincere la convinzione evolutiva della storia. L’antropologia nasce proprio grazie a questa concezione di evoluzione. Poi nel ‘900 ci sono stati mutamenti storico-culturale che hanno messo in crisi questa contrapposizione. Auschwitz fa saltare qualunque concezione evolutiva della modernità occidentale, almeno dal punto di vista morale. La pianificazione sistematica dello sterminio, non di un nemico, ma di un popolo, da parte dei nazisti, in quanto “altro”, mette in crisi questa evoluzione. Questo modo di pensare non era mai stato sistematizzato, burocratizzato, è stato un taglio dei garretti dell’illuminismo. Se siamo riusciti a mettere in atto Auschwitz non è vero che il passato era peggiore ed il moderno migliore. Il dramma morale riguarda prima di tutto i carnefici, che si trovano a dire ma come io? Che 100 anni fa avevo Mozart, Goethe e arrivo a Hitler? Cazzo è successo? La devastazione morale quando sei cresciuto e ti hanno detto che tu eri l’apice di una traiettoria che andava dall’inferiore al superiore? Capite che Kant dopo Auschwitz fa fatica ad avere la voce, a trovare ancora la voce? Questa crisi morale si accompagna ad una crisi di ordine epistemologico, negli anni ’50-’60 Ludwig Wittgenstein aveva messo in discussione la capacità del nostro linguaggio di parlare del mondo di fatto e aveva rimesso in totale discussione il rapporto mondo-linguaggio, cioè quello che il positivismo aveva dato per scontato, l’esistenza di un mondo esterno, il noumeno kantiano, non soltanto fin da Kant sapevamo che era inattingibile, ma con questa crisi epistemologica diventa difficile concepirlo come un fondamento del sapere. Il reale cominciamo a renderci conto, che indipendente se esiste o meno, non è conoscibile se non attraverso una prospettiva soggettiva (Heisenberg e il principio di indeterminatezza anche in fisica, nelle scienze sociali è più radicale). Non c’è un’oggettività empirica che noi possiamo osservare, tutto è più complicato. Altra cosa che succede nel secondo dopoguerra e che colpisce profondamente l’antropologia culturale è la decolonizzazione. Questo processo rende più difficile il lavoro degli antropologi altrove, perché prima andavano sicuri della forza militare alle loro spalle (Evans-Pritchard era di fatto un militare e uno dei più famosi antropologi di sempre), quindi muta i rapporti di forza e simbolici tra le metropoli Parigi, Londra ecc… Tre eventi da ricordare che mutano l’antropologia nel ‘900: 1. Crisi morale del secondo dopoguerra; 2. Crisi cognitiva di quella che è definita “linguistic turn” di Wittgenstein; 3. Crisi politica della decolonizzazione; 4

Uccidono il modello di antropologo col casco coloniale che andava nella foresta a studiare i popoli primitivi che poi tornava ad Oxford ad insegnare non sta più in piedi. Megalopoli cominciano a sorgere nei paesi del terzo mondo, la questione dell’urbanizzazione si ripresenta nei luoghi principali della ricerca antropologica, quindi è un problema sociologico. Di fatto l’antropologia vede evaporare il suo metodo ed il suo oggetto. I popoli primitivi studiabili empiricamente non ce ne sono più. Popoli primitivi non sono mai esistiti, popoli isolati forse su isole, ma la gran parte degli esseri umani hanno la conoscenza, la frequenza, la consuetudine dell’altro, quindi quell’antropologia che si occupava di questi isolati si è disintegrata. Che senso ha studiare oggi antropologia? Perché insegniamo il metodo che ci siamo portati a casa: l’empirismo. Abbiamo messo in piedi una sensibilità ermeneutica di interpreti che è la ricchezza della nostra disciplina. L’antropologia è la disciplina che più di tutte si interessa di rappresentare il punto di vista dell’altro che non ha più bisogno di essere un popolo sperduto sugli altipiani del Tibet, ma può essere anche una popolazione immigrata qui a Roma, un gruppo sociale specifico, una sottocultura, ma quello che fa l’antropologia non è studiare i primitivi, è rappresentare la diversità dal punto di vista della diversità. La diversità inizia lì dove finisce la tua pelle, dicono i filosofi. L’antropologia riconosce che la diversità non è più come la si immaginava. L’antropologia parte dal fatto che c’è un sacco di roba in giro ed è difficile rappresentarla. Ci sono tutt’oggi tante stranezze che vale la piena di spiegare, la diversità continua a prosperare. Steven Vertovec ha inventato il concetto di superdiversity per spiegare in spazi come Londra, la compresenza della diversità non ha precedenti nella storia dell’umanità. La nuova disciplina si impegna a rappresentare l’altro, più che a scoprire che c’è l’altro. Siamo però ancora nell’epoca in cui quelle notissime diversità vanno interpretate: questo è quello che fa l’antropologia culturale di oggi. Quindi diventa una disciplina che da brutalmente empirica si sforza di raffinarsi nel suo armamentario. Mentre l’antropologo degli anni ’30 faceva il suo rito di passaggio andando nella foresta sperduta, stando lì un anno e mezzo, oggi l’antropologo può fare la sua iniziazione facendo un dottorato sulle occupazioni a scopo abitativo a Roma, che cosa fa? Va lì con un armamentario concettuale, lo sforzo è interpretativo, come un critico che cerca di capire un testo, più che un avventuriero con una pistola nella fondina. Questo tipo di antropologia non può più fare affidamento sul banale empirismo. Malinovski dice che “noi cerchiamo di rappresentare le cose dal punto di vista del nativo”; il nostro impegno non è capire le cose oggettivamente come stanno, ma di rappresentare il punto di vista del nativo, che non vuol dire condividerlo. Es. OCHOBO CURSE – Giappone, vedi video. L’antropologia rimane una disciplina interpretativa dopo l’800 e se ne sbatte altamente delle implicazioni ontologiche. Un concetto culturale è in quanto culturale, quello che conta è quanto è condiviso, non quanto e quando esista. La cultura è lo spazio di condivisone dei segni, ed i segni tipicamente non hanno in sé il dilemma ontologico. L’antropologia studia la rappresentazione che si può dare delle diversità e chiama questi sistemi condivisi di segni: culture. (possibili domande: in che modo l’antropologia si contrappone alla sociologia/filosofia?) La cultura, l’antropologia ah cercato per tanto tempo di definirla e la definizione migliore è che la cultura è un sapere degli uomini che ha 3 caratteristiche: è appreso, è condiviso, è di natura simbolica. 5

1. APPRESO: se è appreso si oppone al sapere innato. Se da tutto il sapere togliamo quello innato, resta il sapere appreso, che corrisponde alla cultura. Questa è una regola generale, un’equazione della cultura: cultura = sapere appreso = sapere tot. – sapere innato. La cosa interessante è il rapporto tra sapere appreso ed innato negli esseri umani. Negli esseri umani il sapere innato è bassissimo, quindi la cultu...


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