Attività 2 G. M. Bertin ragione PDF

Title Attività 2 G. M. Bertin ragione
Author Emma Lazzeretti
Course Pedagogia generale e sociale
Institution Università degli Studi di Firenze
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Attività su Giovanni Maria Bertin sull'educazione alla ragione...


Description

Giovanni Maria Bertin e l’educazione alla ragione Giovanni Maria Bertin nasce a Mirano (Venezia) nel 1912. Si trasferisce, quattordicenne, a Palermo, dove si iscrive al Liceo Classico. Si laurea poi in filosofia all’Università Statale di Milano nel 1935. Dopo aver conseguito la libera docenza nel 1949, è stato insegnante di Storia e Filosofia nei Licei (1937-53), docente incaricato all’Università Statale di Milano (1945-1953), professore di ruolo di Pedagogia all’Università di Catania (1953-57) e di Bologna (dal ’57) e preside della Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Bologna. Tra l’ultimo anno di Liceo e i primi due di Università, Bertin compone dodici novelle, pubblicate da un quotidiano di Palermo, «L’Ora», e un poema in prosa, prime opere giovanili. Con il trasferimento a Milano, nel 1933, si conclude l’età delle sue prime e acerbe produzioni. Ha inizio una nuova fase che porterà Bertin a divenire uno dei più maturi promotori del problematicismo pedagogico italiano. Il pensiero di Giovanni Maria Bertin è il risultato delle diverse componenti filosofiche contemporanee che si compongono in una teoria pedagogica organica, razionale e innovativa. Tra i suoi ispiratori troviamo Antonio Banfi, filosofo che introdusse in Italia le principali correnti di pensiero provenienti dalla filosofia tedesca a cavallo tra ottocento e novecento. Sulla base delle opere di Banfi, Giovanni Maria Bertin fonda le radici del suo pensiero: partendo dall’analisi della problematicità dell’esperienza giunge a proporre l’idea fondativa di un’autentica educazione alla ragione. Il problematicismo pedagogico è un modello di razionalità critica che tende a muoversi su due principali binari: quello metodologico, sul quale il problematicismo pedagogico cerca di superare, in una direzione di integrazione dialettica, la prospettiva unilaterale dei modelli educativi e delle pedagogie del passato, le quali tendevano infatti a concentrarsi soltanto su uno dei due poli dell’antinomia io-mondo, assumendo una prospettiva o prettamente soggettivistica o prettamente oggettivistica, ed in tal modo tendevano a fungere da rinforzo ai valori e modelli comportamentali consacrati dalla socio-cultura storicamente egemone; quello epistemologico sul quale il problematicismo pedagogico cerca di illuminare la vita educativa in senso antidogmatico, richiamandosi a due principali idee gnoseologiche: l’idea trascendentale, che riconosce la natura antinomica della vita educativa senza però compromettersi con la parzialità delle prospettive, poiché tende a compiere scelte in entrambi i poli delle antinomie costitutive della vita educativa, assicurando a ciascuno di essi massimo respiro e vitalità formativi, ed in tal modo conferisce al modello educativo il carattere dell’universalità; l’idea del possibile che dà luce e prospettiva al modello educativo, inteso come paradigma di organizzazione della vita educativa aperto ad una costante trasformazione in direzione di ragione, dove per ragione non s’intende una facoltà mentale, bensì la tensione a cogliere e comprendere la problematicità dell’esperienza, al fine di liberarsi progressivamente della parzialità di posizioni dogmaticamente irrigidite per esigenze pragmatiche o di altro tipo; tuttavia, affinché questa ragione non rischi di cadere nell’astratto è necessario che sia accompagnata dalla coscienza storica che rende quella medesima ragione una ragione

impregnata di impegno etico-sociale, nel senso che l’uomo non solo deve comprendere la realtà nel suo carattere di problematicità, ma deve anche intervenirvi attivamente per trasformarla e risolverne eventuali limiti e contraddizioni. “Educazione alla ragione” è uno dei lavori fondamentali della pedagogia del Novecento nonché l’opera principale di Bertin. Quest’opera è una raccolta di pensieri maturati durante una ricerca ventennale sostenuta dall’autore, iniziata nel dopoguerra e che ha subito le influenze del clima culturale di quel periodo nel quale predominava l’esigenza di una ricostruzione civile e morale del nostro Paese. Educare alla ragione significa promuovere e perseguire il “maturare di un’intelligenza che sappia lottare contro ciò che intelligente non è, ciò che è preconcetto, capzioso, retorico, mistificatorio; che senta il dovere di vedere chiaro, di informarsi con esattezza, di documentarsi, di considerare le questioni da molteplici punti di vista; che rifiuti di formarsi opinioni e convinzioni sotto la pressione di emozioni, suggestioni, slogan”. Bertin assume quindi l’autocritica, la ricerca e, se vogliamo anche la curiosità, come fondamenti di un pensiero “aperto”, adeguato alla comprensione della società in continua trasformazione e alle sue contraddizioni. Bertin ritiene quindi fondamentale educare la personalità dell’uomo razionale in quanto egli è l’uomo che vive le sfide e le contraddizioni del mondo tecnologico e industriale; l’autore teorizza quindi un attraversamento e un superamento della crisi dell’umanità che la società sta attraversando, quasi un nuovo programma illuministico-utopico. Questa crisi sarà superata soltanto applicando il problematicismo razionale (di Banfi) ma rivisitato in chiave etico-politica (di Dewey). L’analisi della situazione sociale e politica maturata dopo la Seconda Guerra Mondiale impone per Bertin alla coscienza pedagogica per il rinnovamento dei sistemi educativi: l’uomo deve farsi creatore di nuove forme di vita individuali e collettive e la consapevolezza filosofica e l’educazione intellettuale devono essere la base per costruire una nuova società. L’educazione intellettuale secondo Bertin consiste nello sviluppo dell’attitudine a risolvere le problematicità dell’esperienza. L’uomo razionale dovrà formarsi attraverso la capacità di differenziare le proprie aree di interesse, di scoprire nuove relazioni, essere consapevole della relatività di ogni ricerca ma evitare di cadere nell’astrattezza intellettuale. Un’altra nota importante del pensiero pedagogico di Bertin è l’importanza che dedica al rapporto fra educatore e educando, molto chiara in “Educazione alla ragione”. L’autore rifiuta un’impostazione di tipo classico, ma si focalizza sulla relazione educatore/educando caratterizzata secondo lui dalla mediazione tra il mondo degli adulti e quello dell’infanzia/adolescenza. L’educatore non può esser visto soltanto come una guida, secondo Bertin il contesto moderno in cui operano non permette di mantenere un rapporto improntato sull’esclusività o sulla troppa intimità; per la sua parzialità il maestro può esser considerato un modello.

Nei vari scritti Bertin ha dato indicazioni chiare per orientare la scelta delle prassi educative degli educatori anche se ha poi concluso sostenendo che qualsiasi scelta che si impegna e orienta alla ragione è corretta, perché in tale orientamento c’è la cura di tutta la persona (educazione come cura/educazione ad aver cura). L’educatore ha un ruolo quindi di mediazione fra noi stessi, gli altri e il mondo. L’educatore deve inoltre saper gestire e sostenere ambienti positivi e allo stesso tempo evitare ambienti negativi, deve saper favorire e stimolare attività libere di gruppo, che possano attivamente impegnare nel tempo libero e deve essere capace di educare al rispetto e alla cordialità. Bertin parla di comprensione educativa come un saper tenere conto della dimensione incognita dell’individualità, facendo attenzione all’indiscrezione e evitando il compatimento e il vittimismo. L’autore ritiene estremamente dannoso evitare i problemi all’educando, in quei momenti di risoluzione egli sviluppa intelligenza e equilibrio. Educare alla ragione significa anche promozione di un’intelligenza creativa, aperta al futuro e capace di gestire e non subire le trasformazioni socioculturali, il cambiamento e la complessità. Quindi Bertin vede l’educazione alla ragione anche come una cura della vita della mente. Secondo l’autore prendersi cura non significa sostituirsi all’altro ma rispettarne i tempi, il modo di essere, i pensieri e i desideri. Si aspira quindi alla creazione di un’educazione capace di distruggere stereotipi e dilatare gli spazi di libertà del pensare. Alcuni atteggiamenti di un’educazione alla cura sono l’attenzione, cioè la capacità di ascoltare, sentire, vedere tutto ciò che l’altro è più o meno capace di comunicare; la reciprocità, ovvero la capacità di fondere la propria esperienza con quella dell’altro favorendo un arricchimento nella differenza; la recettività, quindi l’accoglienza del sentimento altrui in termini affettivi e cognitivo-relazionali. La prospettiva pedagogica di Bertin aveva l’obiettivo di essere chiara e intuitiva, applicabile nella quotidianità all’interno di una pratica educativa rivolta ai bambini, tanto che permea gli Orientamenti del 1991 per la Scuola dell’infanzia, promossa a primo grado del sistema scolastico, finalizzata a contribuire alla “realizzazione dell’uguaglianza delle opportunità educative, attraverso il perseguire l’acquisizione di capacità e di competenze di tipo comunicativo, espressivo, logico ed operativo e l’equilibrata maturazione e organizzazione delle componenti cognitive, affettive, sociali e morali della personalità”. Giovanni Maria Bertin concentra la sua attenzione anche sul rapporto fra società e massmedia: il pericolo e il disagio, sia per i bambini sia per gli adulti, trova fondamento anche nelle relazioni con le persone e con le tecnologie, soprattutto se non adeguatamente mediate da un’intelligenza critica e creativa, capace di orientarsi e orientare nel mare delle tecnologie o di Internet con capacità di riflessione. Bertin coglie quindi la necessità di una formazione alla relazione educativa per i genitori, per gli insegnanti e anche per gli operatori sociali, fondata sulla razionalità e sulla ragione, capace di promuovere ciascuno nel proprio ruolo ma in dialogo e supporto reciproco continuo.

Oggi, dopo mezzo secolo, questa ipotesi di un’educazione alla ragione può essere ancora valida? Le idee di Bertin sono estremamente inattuali, ma credo che questo sia il loro punto di forza: idee e ipotesi azzardate, in contro-tendenza. Stiamo vivendo anni influenzati dal neoliberismo che ha tolto alla scuola la sua funzione sociale, rendendola solo un oggetto politico ed economico; in una società come la nostra, in cui la competizione economica globale mina l’esistenza dell’uomo, il problematicismo razionalista di Bertin potrebbe seminare dubbi, interrogativi risvegliando le nostre coscienze. Inoltre, fornire noi giovani dell’uso appropriato della ragione ci renderebbe capaci di gestire i problemi che ci troviamo ad affrontare nelle diverse fasi della crescita in modo più chiaro, riflettuto, anche umano. Vorrei porre l’attenzione sulle parole che Bertin scrisse nella Prefazione alla prima edizione di “Educare alla Ragione” del 1968: “(…) tutt’altro che eliminata la minaccia nucleare, sempre in atto la politica di rivalità tra le grandi potenze, non spenti pericolosi focolai di guerra, ancora in atto guerre coloniali, tre milioni di uomini morti di fame ogni mese nel mondo, per nulla superate anche negli stessi paesi evoluti sperequazioni e attriti di classe, di razza, persino di regione. La civiltà di questi ultimi sembra essere caratterizzata dal prepotere del consumo, anzichè dal rispetto della dignità e dalla preoccupazione di liberare l’uomo. Lo sforzo massimo è in essi rivolto ad intensificare la produzione e ad allargare i mercati, in modo da elevare i profitti e (subordinatamente) elevare la capacità di acquisto delle masse lavoratrici affinchè queste consumino sempre di più (…) Allo sforzo di chiarificazione dei problemi e di rafforzamento dell’energia etica che accomuna oggi gli uomini di tutte le fedi e di tutti i continenti nell’esigenza di una nuova società in cui l’uomo sia considerato non sotto la duplice veste di produttore e consumatore, ma come creatore di nuove forme di vita individuali e collettive, ci sembra non debba mancare il contributo della coscienza pedagogica (…) educare il singolo ad accettare la problematicità della condizione umana non in un atteggiamento di passività ed inerzia, ma in un atteggiamento di attività e di combattività, impegnato a risolvere tale problematicità, assunta secondo le differenti e complesse situazioni in cui si presenta, in direzione e nel senso indicati dal principio di ragione”. Credo che queste parole, scritte mezzo secolo fa, non potrebbero essere più precise ed attuali....


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