Beethoven - Riassunto capitolo 8 del libro Musiche nella Storia PDF

Title Beethoven - Riassunto capitolo 8 del libro Musiche nella Storia
Author gina luigina
Course Storia Della Musica e Drammaturgia Musicale
Institution Università degli Studi di Cagliari
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Riassunto capitolo 8 del libro Musiche nella Storia...


Description

Beethoven Beethoven è stato una figura fondamentale per i primi decenni europei dell’’800, per ragioni storiche, politiche, artistiche ed estetiche. Scrive nell’intera carriera solo nove sinfonie (per confrontare, Haydn ne scrisse 104 e Mozart 41), perché ad ognuna di esse dedicò molto tempo: la Quinta, ad esempio, fu elaborata per oltre 4 anni. La sua unica opera, Fidelio, ebbe tre diverse versioni e l’intero processo creativo coprì oltre 10 anni. Ciò dimostra la concezione problematica del comporre per Beethoven, l’idea che l’atto creativo non sia solo estetico o funzionale ma un percorso di conoscenza e di scoperta del mondo. Alcuni studiosi dividono la sua vita in fasi. La suddivisione più nota è quella proposta da Wilhelm von Lenz, che parla di tre stili: - fase giovanile dagli esordi al 1802 ca.; - fase della maturità (il periodo “eroico”) fino al 1816 ca.; - stile tardo = ultimo decennio di attività, quando lo stile si fa più complesso e sottile, quasi esoterico. Altri studiosi affermano che tale suddivisione sia semplicistica, in quanto non tiene conto delle fasi di transizione presenti nell’evoluzione di Beethoven: ad esempio, non terrebbe conto del gruppo di opere che va dalla Sonata op. 26 alle Sonate op. 30, estremamente sperimentali, né del “tono nuovo” assunto da Beethoven tra il 1809 e il 1816 (ossia tra il Quartetto op. 74 e il ciclo liederistico op. 98), quando il compositore si avvicinò alle caratteristiche del Romanticismo musicale nascente, anticipandone molti aspetti. La figura e l’attività di Beethoven ebbero un impatto tale da cambiare il modo stesso di intendere la musica: alla nascita del compositore (1770), la musica era considerata, soprattutto quella strumentale, un mezzo dell’arte della piacevolezza, non necessaria ma gradita. Nel 1810, invece, il grande scrittore e musicista Hoffmann parla della musica di Beethoven come di una forza dirompente che può smuovere e commuovere l’ascoltatore, sostenendo che proprio la musica strumentale, soprattutto quella di Beethoven, è l’unica che può arrivare ad intuire l’infinito e l’assoluto. Si deve dunque soprattutto a Beethoven se la definizione di “musica”, in poco più di 30 anni, è mutata radicalmente. La produzione e i generi musicali - Beethoven tocca un po’ tutti i generi, soffermandosi però solo su alcuni di essi. La voglia di sperimentare, di superare i confini tradizionali, si nota

già dai primi lavori, dove si ritoccano le caratteristiche di generi già codificati come i Trii o le Sonate, che egli propone in quattro movimenti, modalità a quel tempo riservata a Vienna solo per i generi più nobili (= quartetto d’archi e sinfonia). Per tutta la vita, Beethoven seguirà l’idea di unificare più generi per creare qualcosa di nuovo e di monumentale: ad es., unirà sonata e fantasia (op. 27, Sonata quasi una Fantasia), fantasia e variazione (op. 80), fuga e variazione (op. 106), fuga e sonata (op. 10) ... Inoltre, Beethoven utilizza spesso forme e tecniche della musica operistica all’interno delle sue composizioni strumentali, oppure riprende forme vocali e strumentali del passato come la fuga o la canzona. Uno degli esempi più chiari di questo modo di comporre è il Quartetto op. 130, che passa dalla forma-sonata allo scherzo, dalla danza popolare alla tedesca alla cavatina operistica, oppure il Quartetto op. 131, con i suoi sette movimenti senza soluzione di continuità che riuniscono fuga, danza, recitativo vocale, variazione, scherzo fantastico, un Adagio lirico e poi un’unione fra rondò e formasonata. La ricerca di Beethoven quindi si esplica anche in una sorta di sintesi storica, estetica e sociale. Uno dei terreni privilegiati di esplorazione di Beethoven è la sonata per pianoforte: ne comporrà, infatti, ben 32, pubblicandole durante tutta la carriera (in questo, superò sia Haydn che Mozart). Tutte le tappe più importanti del suo percorso artistico si aprono con composizioni pianistiche e, allo stesso modo, tutti i periodi di crisi sono esplorati soprattutto in lavori pianistici. Beethoven cercò sempre di migliorare e sviluppare questo strumento, insistendo coi costruttori viennesi di pianoforti affinché ne ampliassero la sonorità, l’estensione e le caratteristiche. Tale sviluppo, a catena, esigeva che la musica prendesse in considerazione tali novità. Con Beethoven inizia, quindi, il “secolo del pianoforte”, che diventa protagonista indiscusso dell’’800 musicale, prima in forma privata e poi pubblica. Poche sonate beethoveniane furono eseguite pubblicamente, e fanno un po’ da spartiacque fra quello che era lo spettacolo privato e la futura esecuzione pubblica. Le nove Sinfonie sono il pendant “pubblico” delle sonate e ancora oggi sono il cuore del repertorio concertistico. Del tutto innovativa fu l’idea di alternare sinfonie a coppie, secondo temi e motivi contrastanti: la Quarta e l’Eroica, la Quinta e la Pastorale, la Settima e l’Ottava…E’ importante, tra l’altro, che

queste ultime sinfonie siano state composte proprio a due a due: la Quinta e la Sesta furono addirittura eseguite insieme per la prima volta nel 1808, per mostrare le differenze tra due sinfonie “sorelle”. Nelle sinfonie in questione, i movimenti sono collegati tra loro senza soluzione di continuità secondo un’innovazione di Beethoven per cui la sinfonia diventa un unicum organico da seguire nella sua totalità e i cui collegamenti interni si rivelano progressivamente a chi ascolta. Inoltre, la Quinta e la Sesta sono la rappresentazione di due importanti concezioni ottocentesche: l’unità ciclica tra i diversi movimenti di un brano con la riapparizione dello stesso materiale tematico durante tutta la composizione (i famosi “quattro colpi del destino”, che tornano nella Quinta con significati sempre diversi) e la musica a programma, cioè la pittura musicale che, nella Pastorale, descrive una successione di stati d’animo, paesaggi e condizioni atmosferiche. Altro elemento da evidenziare è l’ampliamento progressivo dell’organico orchestrale durante la sua carriera. A cominciare dall’Eroica, che presenta tre corni anziché i due soliti, Beethoven inizia a inserire strumenti musicali nuovi, fino ad arrivare alla Nona, dove aggiunge ad essi le voci (soli e coro): molti anni dopo la morte di Beethoven, Wagner disse che la Nona era stato il massimo del genere sinfonico, il tentativo di superare se stesso. Sempre per la musica sinfonica, Beethoven compose anche numerose ouvertures e sette concerti (5 per pianoforte, uno per violino/violoncello/pianoforte, e uno per violino). In quanto a musica cameristica, accanto a sonate per violino e pianoforte, trii, quintetti e altre formazioni, compose 17 quartetti per archi, la parte più intima dell’opera di Beethoven. Dopo Haydn, il quartetto era diventato un genere privato ed esoterico; Beethoven ci si avvicina piano, pubblicando nel 1801 la raccolta dei Sei quartetti op.18, cui seguiranno altre raccolte a piccoli gruppetti. Circa la musica vocale, Beethoven ha lasciato meno opere dei suoi predecessori e dei suoi contemporanei: alcuni Lieder, cantate, un’opera - il Fidelio - e brani religiosi come la Missa Solemnis op. 123, che ebbe una gestazione lunghissima e che il compositore considerò tra le sue opere meglio riuscite. Altro elemento della sua produzione sono gli arrangiamenti dei canti popolari: a partire dal 1810, ne scrive almeno 170 su commissione di un visionario editore scozzese, George Thomson. Grazie vero, va anche detto che c’era stato – a fine ‘700 – un

ampliamento notevole del pubblico interessato alla musica seria strumentale, per via del fatto che la crescente classe borghese voleva ottenere i privilegi riservati all’aristocrazia; tuttavia, si trattava di un pubblico meno preparato, cosa a cui Beethoven risponde con la semplificazione degli elementi tematici). Oggetto principale della semplificazione beethoveniana è la melodia. In Beethoven sono rari i “grandi temi”: gli elementi del suo linguaggio si fanno più semplici, immediati, quasi schematici, ragion per cui i musicisti che si riferiscono alle opere di Beethoven parlano di “opere di gesto”, perché molte di esse pongono alla base di tutto non un tema, ma un gesto, una serie di accordi, un ritmo, etc. (il gesto più celebre è costituito senza dubbio dai “quattro colpi del destino” nella Quinta). A tutta questa semplificazione fa da contraltare un arricchimento enorme degli altri elementi musicali, che lui analizza in tutte le loro caratteristiche sperimentandone le possibilità di interazione. Nel suo saggio su Beethoven, André Boucourechliev descrive la grande operazione del compositore: questi eredita un sistema – quello dello “stile classico” la cui gerarchia interna è dominata dall’armonia (sistema tonale) e dalla melodia (canto), seguite dagli altri elementi del linguaggio musicale ordinati in modo decrescente a seconda delle durate (ritmo), delle intensità (forte, piano, mezzo forte…), e dei parametri secondari: registri (altezza di un suono: acuto, medio, grave), timbri e masse. Ma come si comporta Beethoven? Che cosa fa di tale sistema? Nelle sue opere, tutti gli elementi considerati secondari fino a quel momento assumono un ruolo di primaria importanza. Ad es., lo spazio musicale (estensione di registro) si presenta dirompente fin dalle primissime composizioni di Beethoven, dove pullulano i gesti espressivi drammatici destinati ad accentuare nell’ascoltatore la sensazione di alto e basso, di pieno e di vuoto, di largo, di lungo, di profondo. Nel periodo della maturità, l’utilizzo dello spazio si fa ancora più audace, come dimostra l’inizio del Quinto Concerto per pianoforte, dove l’intera orchestra attacca, fortissimo, su un singolo accordo; segue quindi il pianoforte, che comincia nel registro grave, sale fino all’acuto, scende fino al registro centrale e poi risale, e infine ridiscende fino al nuovo accordo fortissimo dell’orchestra. A questo punto, il pianista ripete, partendo ancora più dal basso e salendo ancora più in alto, fino a ridiscendere al terzo accordo orchestrale: un memorabile inizio,

fondato sulla contrapposizione tra un’orchestra immobile e un pianoforte in continuo movimento nello spazio. Oltre a quest’impiego dello spazio, Beethoven, fin dalle prime composizioni, riflette sulle dimensioni complessive del brano, che tendono ad ampliarsi sempre più: confrontando Beethoven con opere dello stesso genere di Haydn o Mozart, si nota subito la differenza impressionante: il 1° movimento della Sonata op. 7 è lungo 362 battute, quello della Sonata op. 10 è 344 battute; la Sonata K 533 di Mozart (la sua sonata più estesa) ha un 1° movimento di 239 battute. L’Eroica, poi, si estende per 691 battute, oltre il doppio della più lunga tra le sinfonie di Mozart. Il linguaggio (III) - Uno degli aspetti più studiati del linguaggio musicale di Beethoven è la sua elaborazione motivica = il modo in cui il compositore costruisce molte delle sue composizioni partendo dall’elaborazione incessante di gruppi di 3, 4, 5 o più note che si presentano nelle forme più disparate e assumono i più diversi significati (si pensi alle famose 4 note con cui si apre la Quinta, che vengono poi riproposte più volte nella Sinfonia nei modi più vari; o alle 3 note discendenti Sol-fa-mi che tornano, oltre che all’inizio, in più punti della Sonata Les adieux op. 81a, scritta in occasione dell’abbandono di Vienna da parte di molta nobiltà dopo i bombardamenti subiti dai francesi nel 1809). È interessante notare che, in un primo movimento di sinfonia o sonata classica la linea melodica principale sia descritta come tema (non come melodia) e, quindi, come qualcosa da svolgere, costruire e portare avanti: il tema è ben diverso dalla melodia, in quanto questa esige di essere ascoltata per intero e non di essere frammentata e sviluppata in parti. La teoria ci dice, invece, che un tema deve essere costruito in modo tale da poter essere frammentato in motivi = singoli elementi che il compositore sfrutta nell’elaborazione. Insomma, ciò che conta per Beethoven non è il tema in sé ma la sua possibile elaborazione. I temi, infatti, devono poter essere scomponibili in motivi singoli e cambiano spesso funzione all’interno di una stessa composizione, dando così l’idea di qualcosa che è costantemente in divenire. È quindi fondamentale con questo compositore considerare in modo specifico i procedimenti di elaborazione motivica: il fatto che non solo nella Quinta, ma in moltissime opere beethoveniane sia possibile identificare gruppi di note che permeano l’intero tessuto

musicale è senz’altro uno degli aspetti più rilevanti del suo linguaggio musicale (tale tecnica fu studiata a lungo da compositori successivi, come Listz, Schumann , Brahms e Wagner, per svilupparla e applicarla alle proprie opere: ad esempio, la “variazione in sviluppo” di Brahms e la tecnica del Leitmotiv di Wagner derivano appunto da questi studi). Il linguaggio (IV) - La forma-sonata, come già per Mozart e Haydn, è la principale forma attraverso cui si organizzano molte delle idee di Beethoven. Si tratta di una forma logica: nel brano accade qualcosa, i materiali musicali si trasformano a mano a mano che procediamo nell’ascolto. Si parte da un’opposizione, un contrasto tra due temi e due tonalità (nell’esposizione), e si giunge a una sintesi, una conciliazione (nella ripresa). La forma-sonata, quindi è un processo, che permette all’ascoltatore di osservare come i motivi e i temi cambiano nel tempo, compiono una sorta di movimento (concetto del divenire), tema fondamentale per Beethoven: è un senso di trasformazione che lo spettatore può cogliere ascoltando il passaggio da una tonalità all’altra o da un tema ad un altro. Il potenziale drammatico insito nella forma-sonata è chiaro, e Beethoven, cogliendone tutte le possibilità, le utilizzò a fondo, soprattutto nel primo decennio dell’Ottocento, quando la sua ricerca fu diretta a dare spettacolarità, monumentalità e senso di risoluzione alla composizione. Rispetto ai suoi predecessori, Beethoven fu molto più attento all’approccio problematico alla costruzione del brano: ogni suo lavoro è una risposta a un problema compositivo; così, possono esserci brani dove uno stesso tema viene ripetuto più volte ad altezze e con strumentazione diverse (es., 1° movimento dell’Eroica), e brani dove è difficile perfino stabilire con certezza quale sia il primo tema (es., l’inizio della Sonata op. 31 n. 2): - nel primo caso, l’idea compositiva è quella della monumentalità, del progressivo aumento di dimensioni, e del graduale disvelarsi delle possibilità sonore dell’orchestra; - nel secondo caso, il compositore ricerca invece l’ambiguità, la continua trasformazione, il puro “divenire” attraverso i suoni. Lo “stile tardo” Le ultime opere di Beethoven, più o meno dal 1817 alla morte, sono considerate una fase a sé, poiché il compositore rinnova letteralmente le forme tradizionali. Carl Dahlhaus, analizzando questa fase, la definisce anticipatoria e profetica, estranea alla

realtà temporale cui appartiene. Queste ultime opere, per quanto apprezzate (a volte addirittura venerate), non sono state oggetto di studio o di imitazione per nessuno dei compositori immediatamente successivi; si dovrà attendere il ‘900 con Schoenberg e Webern per trovare un’influenza diretta dei suoi ultimi Quartetti o delle Variazioni Diabelli (= variazioni per pianoforte scritte da Beethoven tra il 1819 e il 1823 su un valzer composto da Anton Diabelli). Anzi, durante l’Ottocento, molte delle sue composizioni furono considerate incomprensibili; alcuni arrivarono perfino a dire che la sordità avesse compromesso la sua capacità percettiva. L’unicità di ogni singolo componimento rende difficile sceglierne uno per poter illustrare, attraverso di esso, le caratteristiche dello “stile tardo” beethoveniano. Conviene quindi, considerarli nell’insieme, come un corpus di opere relativamente omogenee tra di loro. Per brevità, l’autore del capitolo (Giovanni Bietti) si sofferma sulle 5 Sonate per pianoforte (opp. 101, 106, 109, 110, 111). Esse segnano l’inizio vero e proprio del terzo stile. In 4 su 5, il movimento iniziale è contratto e sintetico, ma la contrazione non riguarda l’estensione delle sonate nel loro insieme, riguarda proprio la forma-sonata, quella all’interno della quale Beethoven aveva costruito la drammaticità del proprio stile eroico. Ascoltando i capolavori tardi del compositore, una caratteristica rispetto alle opere precedenti si mostra – per così dire – “in negativo”: mancano la forza dirompente e la tensione dello stile eroico o il senso di movimento verso una risoluzione. Gli sviluppi, nelle ultime sonate, si fanno molto brevi e sospesi, e le transizioni si riducono molto, quasi fino ad un gesto essenziale. Nessuna di queste composizioni si presenta sviluppata in quattro movimenti. Inoltre, si riprendono in maniera profonda tecniche e forme tradizionali estranee alla sonata come la fuga, la variazione e il contrappunto. Tutto ciò ha conseguenze estese sulla forma interna delle sonate tarde, dove i rapporti tra movimenti si fanno dinamici. Questo nuovo rapporto con spazio e tempo è uno degli aspetti più innovativi delle sue opere tarde: se con le opere dello stile eroico si aveva un processo rivolto a una meta, qui lo spazio diventa circolare e discontinuo, sospeso e concede a tecniche non drammatiche quali il contrappunto e la variazione. Non c’è, in questo periodo, una composizione che non contenga almeno una parte contrappuntistica e si moltiplica la presenza delle fughe. Ciò

che attraeva Beethoven di queste tecniche compositive è il fatto che fossero delle soluzioni alternative all’elaborazione motivica: la coerenza del materiale è la stessa, ma ora viene meno quel senso di movimento dinamico, di tensione e di trasformazione continua (in una parola, lo stile eroico) che aveva contraddistinto le opere beethoveniane fino al 1809 circa. Ciò, tuttavia, non vuol dire che la drammaticità delle opere tarde sia minore rispetto a prima: infatti, le opere di questo periodo sono estesi lavori ricchi di espressione e di contrasti, soprattutto di contrasto tra le caratteristiche del contrappunto in sé e il proprio linguaggio. Altra tecnica che Beethoven utilizza ovunque nel periodo tardo, è la variazione, soprattutto negli ultimi Quartetti. Questa tecnica è, in un certo senso, antitetica all’elaborazione motivica: infatti, - nell’elaborazione motivica, la frammentazione di un tema in motivi dà all’ascoltatore la sensazione di un’azione esercitata dal compositore nei confronti del materiale musicale; il tempo procede quindi in modo lineare; - la variazione, invece, prende in considerazione l’intero tema, presentandolo in maniera sempre diversa; essa è una riflessione sul materiale musicale, che implica l’arresto temporale In molte delle opere dell’ultimo periodo si ha una radicale trasformazione del tema, tanto da rimettere in discussione il senso della forma: ogni variazione sembra voglia reinventare totalmente il tema della composizione. Le Variazioni Diabelli sono – come dice il nome stesso – delle variazioni che però non somigliano a nessun tipo di variazione precedentemente composto da Beethoven: mostrano sì la solita sintesi e varietà, ma l’intenzione del compositore è scrivere 33 brani totalmente diversi, che presentano e rivedono ogni volta lo stesso schema di base, ovvero l’archetipo di Valzer ideato da Diabelli. Beethoven dimostra al massimo la volontà di trovare tutte le possibilità di sviluppo di un medesimo materiale: c’è, quindi, la fusione di generi diversi (marcia, minuetto, studio virtuosistico, fuga, canone, scherzo etc.), ma, a questa volontà di sintesi, si accompagna l’intenzione di andare a riscoprire forme del passato e di recuperarle per trasformare la concezione della musica. Le variazioni sono una sorta di summa del processo compositivo della vita di Beethoven....


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