Boccaccio - Riassunto delle novelle più importanti del decameron e proemio. PDF

Title Boccaccio - Riassunto delle novelle più importanti del decameron e proemio.
Author Ch Pr
Course Letteratura italiana
Institution Università del Salento
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Riassunto delle novelle più importanti del decameron e proemio....


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DECAMERON PROEMIO: Boccaccio scrivendo il proemio sembra quasi voler dare una giustificazione al Decamerone, attraverso il quale spiega a quale categoria di pubblico fosse dedicato questo libro e lo scopo per cui l'ha scritto. Il libro è dedicato alle sofferenze causate dall'amore e specialmente alle donne che per il solo fatto di esser tali non hanno la possibilità di svagarsi (cacciare, giocare d'azzardo, mercanteggiare, ecc.) per cercare di dimenticare o almeno di alleviare queste pene e quindi, leggendo le novelle, potranno trovarvi svago ma anche dei suggerimenti utili su come comportarsi in determinate occasioni. Di conseguenza l'autore indirizza il libro ad un pubblico raffinato (l'amore, secondo l'ideale cortese, è un sentimento nobile e quindi può essere sentito solo da donne gentili), ma non composto da letterati, infatti è utile ricordare che non tutte le donne, anche se nobili e ricche, sapevano leggere. Boccaccio usa, inoltre, il termine di "peccato della Fortuna" per spiegare la condizione femminile e usa questo termine probabilmente per evidenziare un tema che poi si rivelerà ricorrente nel romanzo e cioè la Fortuna, intesa come destino, che regola la vita dell'uomo, ma soprattutto la capacità di quest'ultimo di cambiare il corso degli eventi imponendosi sulla volontà della prima. Questa capacità, chiamata "industria", si rivelerà soprattutto negli uomini della classe emergente (mercanti e nuovi borghesi) della quale fa parte il Boccaccio. Questi "nuovi ricchi" non erano, però, stati del tutto accettati dai ceti nobili, quindi Boccaccio, con questo libro, vuole nobilitare questa classe alla quale sente di appartenere. Proprio per aver riconosciuto la capacità dell'uomo di interagire col proprio destino possiamo definire questo autore come un preumanista, infatti nel trecento era ancora fortemente radicata l'idea che l'uomo fosse una "pedina" nelle mani del destino che si divertiva a muoverlo secondo un disegno preciso e, soprattutto, prestabilito. Il secondo tema dichiarato in questo proemio è la trattazione dell'amore in tutte le sue forme a partire da quelle più serie (amore cortese) per il quale si ispira ai romanzi della grande tradizione, a quelle più frivole (amori più "terreni") per i quali si ispira ai fabliaux francesi adottando un linguaggio piuttosto esplicito che fu considerato scandaloso per molto tempo. In qualsiasi forma egli parli d'amore, lo presenta sempre come una fonte di dolore per l'uomo, anche se Boccaccio introduce una "novità" nella letteratura trecentesca: parla dell'amore visto con gli occhi di una donna. Dal proemio possiamo, inoltre, cominciare ad intuire la struttura dell'opera in cui il narratore si identifica con l'autore stesso, ma la narrazione delle varie novelle viene poi delegata ai dieci giovani che, alcune volte, passano la parola ai personaggi delle novelle che raccontano altri aneddoti. I modelli narrativi usati in tutto il romanzo sono esplicitamente dichiarati dal Boccaccio in questo Proemio e sono: novella, favola, parabola e testo breve. INTRODUZIONE PRIMA GIORNATA Nell'introduzione alla prima giornata possiamo distinguere due parti nelle quali è possibile riconoscere dei precisi indicatori temporali. La prima parte si apre con la descrizione della tragica situazione di Firenze oppressa dalla peste nel 1348, e gli effetti provocati da essa. La malattia si manifestava con la comparsa di rigonfiamenti nelle ascelle e nell'inguine, che a lungo andare, si diffondevano in tutte le parti del corpo, provocando la morte. Il contagio si diffondeva non solo se si parlava o si stava vicino agli infermi ma anche se si toccavano i panni o qualsiasi cosa da loro usata. Tale pestilenza non attaccava solo gli uomini ma anche gli animali. Per proteggersi da questa epidemia alcuni vivevano con moderazione e costituivano delle brigate per vivere isolati nelle case in cui non c'erano infermi, mangiando cibi delicati ed evitando ogni lussuria. Altri contrariamente abbandonavano le loro case e si prestavano ai piaceri della vita, bevevano e mangiavano smodatamente, privandosi di ogni cura e medicina; essi facevano ciò che volevano in quanto in città le leggi non avevano autorità (i ministri e gli esecutori erano morti). Altri ancora bevevano e mangiavano moderatamente, non si rinchiudevano ma andavano in giro portando nelle mani fiori e spezie odorose, che avvicinavano al naso per sovrastare l'odore da morto. Ogni cittadino evitava l'altro e nessuno aveva più cura dei parenti a tal punto che i genitori abbandonavano i figli. Per questo motivo coloro che si ammalavano non avevano aiuto, se non la carità degli amici, in verità molto pochi, e l'avidità dei servitori. La peste diventa causa ma anche effetto del disordine etico sociale. Man mano che la pestilenza diventa più feroce viene a mancare la tradizionale usanza di celebrare un rito funebre poiché molti morivano da soli, senza alcun conforto o pianto dei congiunti, venivano seppelliti dai becchini. I corpi dei più umili venivano gettati in strada o seppelliti nelle fosse comuni. La malattia contagiosa attiva meccanismi di totale irrazionalità che annullano le norme basilari del vivere civile e degradano la condizione umana. In totale contrasto con questa prima parte è la seconda che è identificata da un indicatore temporale molto preciso (martedì) nella quale avviene l'incontro tra le sette ragazze (di età compresa tra i 18 e i 28 anni) ed i tre ragazzi (attorno ai 25 anni) all'alba nella Chiesa di Santa Maria Novella, che è descritta in modo tale da sembrare lontana anni luce dalla ferocia dell'epidemia. In contrasto ancora maggiore è la parte seguente all'incontro, cioè il trasferimento in campagna, descritta come un ambiente paradisiaco in cui si sentono gli uccelli cantare, si vedono le colline, le pianure e gli alberi. Il trasferimento si svolge il giorno seguente all'incontro, il mercoledì, sempre all'alba. Dopo essere arrivati nella loro nuova dimora i giovani stabiliscono i compiti della servitù, decidono di eleggere tra di loro un re che scelga un il tema per ogni giornata, determinano la scansione dei periodi della giornata: la mattina ci si alzava di buon'ora e si poteva fare ciò che si voleva, dopo pranzo si andava a dormire fino alle tre, nel pomeriggio ci si ritrovava e si raccontava una novella a testa su un tema stabilito la sera precedente dalla nuova regina, poi si cenava e dopo la cena ci si intratteneva con balli e canti fino all'ora di ritirarsi nelle proprie stanze. PRIMA GIORNATA PRIMA NOVELLA (PANFILO) La regina della prima giornata è Pampinea e il tema è libero. Il protagonista di questa novella, Ser Ciappelletto, è descritto da Boccaccio come “il peggior uomo che mai nascesse”. Egli è un falsario pronto ad utilizzare tutti i suoi mezzi per contorcere la realtà, un abile bugiardo e uno spietato disseminatore di litigi e contrasti all’interno di parenti e amici; assassino, bestemmiatore, traditore della Chiesa e della religione (che naturalmente non segue), ladro, ruffiano nei confronti di uomini e donne è, oltretutto, un accanito bevitore di vino: un uomo, quindi, non estraneo al peccato.Egli viene assunto da Musciatto Franzesi per la gestione dei suoi intricati affari sparsi in innumerevoli regioni. Durante il suo viaggio, trova accoglienza in casa di due fratelli usurai e qui è vittima di un malore. I due proprietari sono timorosi delle ripercussioni che la diffusione della notizia della morte di un personaggio simile nella loro abitazione senza l’estrema unzione avrebbe comportato. Il loro dialogo, però, non sfugge a Ser Ciappelletto, che rassicura i suoi ospiti garantendo loro nessuna preoccupazione futura. Per questo, fa venire il più “santo” tra i parroci, per una sua prima ed ultima confessione. Durante la visita del prete, Ciappelletto gli fa credere di essere un uomo perfetto, che non abbia mai commesso un peccato, quasi un santo. Il frate, stupito da una simile purezza, dopo la morte dell’uomo, raccoglie tutti i suoi fratelli in riunione con il solo obiettivo di lodare il defunto. Al funerale partecipa un gran numero di persone che, convinte che ciò che è stato detto riguardo il morto sia del tutto vero, adorano la sua salma proprio come se si trattasse di un individuo degno di essere beatificato e adorato.

PRIMA GIORNATA TERZA NOVELLA (FILOMENA) Questa novella, narra che Saladino, sultano d'Egitto e di Siria, era molto ricco, potente e saggio ma ultimamente, stava affrontando una carenza economica. Siccome Saladino era una persona molto avara, cercò di rivolgersi all'ebreo Melchisedech con l'astuzia affinché riuscisse ad ottenere ciò che voleva con una parvenza di giustizia. Così fece venire Melchisedech che era un usuraio di Alessandria, e gli domandò quale tra la religione giudaica, quella saracena e la cristiana, secondo lui fosse quella vera. Melchisedech però, oltre ad essere un fedele dell'ebraismo, era anche molto astuto e capì subito che con una sua risposta poteva andare contro il sultano. A questo punto l'usuraio, siccome doveva per forza dare una risposta, gli raccontò una novelletta che esprimeva un paragone. Infatti, questa novelletta raccontava che un uomo ricco possedeva una pietra preziosa e che alla sua morte la doveva dare in eredità a un figlio che doveva essere molto fedele e responsabile. Questa pietra preziosa fu tramandata per molte generazioni fino a quando, un discendente non sapeva a chi dei tre figli dare la pietra preziosa, poiché erano tutti e tre meritevoli dell'eredità. Così fece rifare due copie perfette della pietra autentica da un abile orefice. Alla sua morte, ognuno dei tre figli ricevette un anello e lo prese per vero, ma non si poté scoprire mai quali dei tre figli avesse ricevuto la pietra autentica. Tutta questa novella servì per far capire al sovrano che come l'eredità dell'uomo ricco era toccata a chissà chi fra i tre figli, ancora oggi non si poteva sapere quale, tra le tre religioni prevalenti, fosse quella autentica. Questa novella si conclude bene: Saladino ammirò l'intelligenza di Melchisedech e gli disse francamente la verità. L'ebreo prestò i soldi che servivano al sovrano. Saladino gli restituì poi l'intera somma, aggiunse grandissimi doni e lo fece diventare suo amico. SECONDA GIORNATA QUINTA NOVELLA (FILOMENA) Tema centrale: liete conclusioni di disgrazie Andreuccio di Pietro da Perugia si reca a Napoli per comprare un cavallo. Al mercato non riesce a concludere nessuna trattativa, ma una prostituta siciliana adocchia la sua borsa contenente 500 fiorini. Andreuccio incontra una sua vecchia serva e gli racconta lo scopo del suo viaggio. Questa viene poi avvicinata dalla donna siciliana che si fa raccontare nei particolari tutta la vita del giovane. Tornato all'albergo Andreuccio trova ad aspettarlo una servetta dalla donna che gli riferisce l'invito della sua padrona a casa propria. Il giovane accetta volentieri credendo che la siciliana si sia innamorata di lui. Arrivato a casa della "signora" viene accolto molto calorosamente, e lei gli fa credere di essere una sua sorella illegittima. Andreuccio cade nel tranello molto ingenuamente e accetta di restare a mangiare e a dormire a casa della "sorella", ma, quando va in bagno, le assi del pavimento cedono e lui precipita in un vicolo pieno di sporcizia. La "sorella", che non aspettava altro, lo deruba dei soldi e dei vestiti e non lo soccorre. Il giovane capisce l'inganno e cerca di rientrare, ma viene minacciato da un vicino di casa ed è costretto ad andarsene. Vagando per la città incontra due compari che, sentita la sua storia, e lo invitano ad aiutarli a svaligiare la tomba dell'Arcivescovo di Napoli morto il giorno precedente. Andreuccio accetta e, dopo essersi lavato in un pozzo, segue i due nella chiesa maggiore, entra nella tomba e ne estrae tutti i paramenti, ma tiene per sé l'anello di rubini che vale più dei 500 fiorini rubatigli. I due compari non vedendo l'anello chiudono Andreuccio nella tomba e fuggono. Dopo molti tentativi di uscire, il giovane si rassegna alla morte, ma, proprio in quel momento, arrivano altri ladri che aprono la tomba: Andreuccio li spaventa, loro fuggono e lui riesce finalmente ad uscire e a tornare a casa senza aver perso una lira. INTRODUZIONE ALLA QUARTA GIORNATA Introduzione alla quarta giornata: si difende dalle critiche mosse contro di lui e contro le novelle precedenti. L'autore si rivolge ancora una volta alle sue "carissime donne" e ripete le critiche che gli sono state rivolte: ci sono stati alcuni che hanno affermato che le novelle, scritte in volgare fiorentino, hanno uno stile umile e dimesso; alcuni pensano che al Boccaccio le donne piacciono troppo; alcuni pensano che Boccaccio esalti e lodi troppo le donne; altri pensano che farebbe meglio a stare con le Muse piuttosto che scrivere sulle donne, dato che questi argomenti non sono adatti ad un uomo della sua età. Boccaccio decide di difendersi da queste critiche raccontando una novella, la novella "delle papere". Si tratta della centounesima novella del Decameron. A Firenze viveva un cittadino, il cui nome era Filippo Balduccio. Costui era un uomo di condizione umile, ma molto ricco e sposato. Quando il figlio aveva circa due anni, la moglie morì. Rimasto vedovo, decise di isolarsi dal resto del mondo e di trasferirsi fuori Firenze per contemplare Dio. Portò con sé il suo unico figlioletto e lo educò alla preghiera e alla contemplazione. Non gli parlò mai delle donne e cercò di non fargliene incontrare mai una. Per questo motivo, quando doveva recarsi in città per fare acquisti, lasciava sempre il fanciullo da solo. Dopo molti anni, il figlio, ormai diventato un giovane uomo, propose al vecchio padre di accompagnarlo in città per aiutarlo. Giunto in città, il ragazzo, che aveva sempre vissuto al di fuori da ogni contesto civile, si meravigliò fortemente nel vedere costruzioni e monumenti e chiedeva al padre spiegazioni su tutto ciò che incontravano strada facendo. Per "sfortuna", Filippo e il figlio incontrarono un gruppo di donne ben vestite che tornavano da un matrimonio. Il giovane, non avendo mai visto una donna, chiese al padre cosa fossero. Il padre gli rispose che erano la cosa più brutta e malsana del mondo e lo invitò a non pensarci. Il giovane insisteva con le sue domande e il padre, vergognandosi, e non volendo rivelare il loro vero nome (donne), disse che si chiamavano "papere". Il padre temeva che la sola parola "donne" avesse potuto scatenare pulsioni sensuali nel figlio. Il figlio disse di volere una di quelle papere e che, dopo averla presa, avrebbe sempre avuto cura nel darle qualcosa da beccare. Boccaccio racconta questa novella perché vuole difendersi dalle accuse ricevute e perché vuole spiegare quanto sia irresistibile la forza dell'amore, che è capace di colpire anche un giovane "selvatico", cresciuto senza nessuna educazione sentimentale. Fonte della novella è la storia misogina di “Barlaam e Josaphat”, dove le donne vengono descritte come demoni. Nella novella di Boccaccio, invece, le donne vengono descritte come papere, cioè come animali. Le donne non vengono chiamate con il loro giusto appellativo perché c'è la paura di attrarre il maligno nominandole. Nella novella del Boccaccio manca la fine misogina: ha rovesciato una gerarchia biblica, cioè responsabile del peccato originale non è più la donna, ma il padre. Il padre rappresenta il vecchio ordine che reprime le donne, il figlio al contrario rifiuta questo ordine. L'istinto naturale non può essere frenato. Le donne che vede il figlio di Filippo, non fanno niente di male ed è l'istinto o la natura del giovane a spingerlo a voler possedere una di queste "papere". QUARTA GIORNATA QUINTA NOVELLA (FILOMENA) I fratelli di Elisabetta uccidono l’amante di lei; egli le appare in sogno e le mostra dove è sotterrato; ella, di nascosto, dissotterra la testa e la mette in un vaso di basilico, e, su quello, piangendo, ogni giorno resta per molto tempo. I fratelli glielo tolgono ed ella muore di dolore poco dopo. Filomena cominciò dicendo che avrebbe narrato di genti umili, la cui sorte sarebbe stata ugualmente triste.

La sua storia era ambientata a Messina, dove vivevano tre giovani fratelli, mercanti, rimasti molto ricchi dopo la morte del padre, originario di San Gimignano. Costoro avevano una sorella, Elisabetta, ancora nubile e, in un loro magazzino, un giovane pisano di nome Lorenzo, che curava i loro affari, e di cui Elisabetta si innamorò. Lorenzo ricambiò e cominciarono a fare ciò che entrambi desideravano.Purtroppo, non riuscirono ad incontrarsi segretamente, il fratello maggiore si accorse che Elisabetta si recava là dove Lorenzo dormiva. Il malvagio, senza parlare, aspettò la mattina seguente per raccontare ai fratelli ciò che aveva visto nella notte passata. Decisero, per evitare di recare alcuna infamia alla sorella, di fingere di non sapere niente, finché non fosse giunto il tempo di togliersi dal viso quella vergogna. Continuarono, quindi, a ridere e a scherzare con Lorenzo come facevano di solito, fino a quando, fingendo di andare fuori città per svago, non lo condussero con loro. Giunti in un luogo molto solitario, lo uccisero e lo sotterrarono, senza che nessuno se ne accorgesse. Tornati a Messina, diffusero la voce che lo avevano mandato a fare delle commissioni in un altro paese, come talvolta accadeva. Elisabetta, non tornando Lorenzo, sempre più in ansia, chiese ai fratelli con insistenza dove l’avevano mandato, ma ne ricevette una risposta minacciosa. Una notte, Lorenzo le apparve in sogno, pallido e le disse che non sarebbe più tornato perché i fratelli di lei l’avevano ucciso. Le indicò il luogo dove l’avevano sotterrato e scomparve. La giovane decise di andare a vedere, di nascosto dai fratelli, nel luogo indicato, se era vero. Giunta sul luogo, trovò il corpo dell’amante. Avrebbe voluto portare con sé tutto il corpo per seppellirlo onorevolmente, ma non era possibile. Allora, con un coltello, gli staccò la testa dal busto, l’avvolse in un asciugamano e la diede ad una sua domestica. Poi, non vista da nessuno, se ne ritornò a casa. Si chiuse in camera e pianse tanto da lavare con le lacrime la testa, coprendola di baci. Poi, prese un grande e bel vaso e la mise dentro, avvolta in un bel fazzoletto di seta. Copertala di terra, vi piantò il basilico e innaffiava ogni giorno con le sue lacrime. Ben presto la sua tristezza e la cura che ella aveva per il vaso insospettirono i vicini, che ne parlarono con i fratelli. Costoro, di nascosto, fecero portare via il vaso di basilico. Elisabetta, non trovandolo, con insistenza lo chiese, ma non le fu restituito. Dopo poco si ammalò e nella sua malattia non chiedeva altro che il vaso. I giovani, meravigliati dell‘insistente richiesta, vollero vedere che cosa c’era dentro. Versata la terra, videro il drappo in cui era avvolta la testa non ancora così consumata, che impedisse il riconoscimento della testa di Lorenzo. Temendo che l’omicidio si venisse a sapere fuggirono da Messina, e, trasferiti tutti i loro averi, se ne andarono a Napoli. Elisabetta, continuando a chiedere il suo vaso, piangendo morì. E così finì il suo sventurato amore. Dopo un certo tempo la sua storia fu conosciuta e un cantastorie compose una canzone, che si cantava ancora al loro tempo e cioè “Quale fu l’uomo malvagio che mi rubò il vaso da fiori ecc.ecc”. QUINTA GIORNATA NONA NOVELLA Tema centrale: le conclusioni fortunate di storie d'amore partite male. Coppo di Borghese Domenichi era uno degli uomini più autorevoli di Firenze ed era solito raccontare la storia di Federigo degli Alberighi. Federigo degli alberighi era un giovane nobile fiorentino innamorato di monna Giovanna. Per conquistarla aveva fatto di tutto, ma lei non ricambiava minimamente. Continuando a spendere denaro per far colpo su monna Giovanna, Federigo sperpera tutto il patrimonio di famiglia ed è costretto a trasferirsi nell'unico podere che gli rimane col suo amato falcone dove conduce una vita misera. Dopo qualche anno, il marito di monna Giovanna muore nomina suo erede il figlio o, se egli dovesse morire senza figli, la moglie. Quell'estate monna Giovanna si trasferisce in campagna col figlio, vicino al podere di Federigo. Il figlio di monna Giovanna si "innamora" del falcone di Federigo e, quando si ammala, chiede alla madre di portaglielo. Giovanna, dopo una prima esitazione, cede alla richiesta del figlio e si reca da Federigo accompagnata da una sua amica. Fede...


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