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Title Branding
Author Anonymous User
Course Branding, corporate identity e lobbying
Institution Università degli Studi Suor Orsola Benincasa
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PARTE PRIMA. LA MARCA: UNA RISORSA COMPLESSA Capitolo 1: La marca oggi 1.1 Valore e valori della marca La marca ha valore quando introietta e trasmette forti valori. Nel suo lungo divenire storico – da semplice marcatore di proprietà/identificazione a motore semiotico ed identità – la marca è adesso approda ta al variegato mondo dei valori e dell’etica. VALORI come aggregati di senso – cognitivi ed affettivi – coerenti, duraturi, capaci di guidare le scelte individuali per un periodo di tempo sufficientemente prolungato. Sono elementi che fondano l’identità sociale e la specificità individuale e di gruppo ma, allo stesso tempo, sono i nuclei attraverso cui passano e si consolidano i processi di differenziazione sociale. Presupposto perché la marca possa trasformarsi in produttore di ricchezza è che però il materiale che firma non sia un vile metallo: la vera conditio sine qua non perché la marca possa esprimere il grande potenziale, trasformarsi in uno straordinario moltiplicatore di valore, è che si giustapponga ad un buon prodotto o servizio. Quando una marca – anche se ha costruito attorno a se un grande patrimonio simbolico – diviene inadempiente sotto il profilo della qualità, la sua attrattività perde rapidamente il richiamo (es: Jaguar , indebolita nel tempo. Solo con l’intervento di Ford Jaguar torna ad essere una marca che genera valore). A fronte di un consumatore più competente ed esigente, il rispetto e la reverenza di un tempo nei confronti della marca non trovano più spazi o ragion d ’essere. Le inadempienze anche se superate lasciano sempre una traccia. Ma una volta adempiuto al rispetto a questo prerequisito rappresentato dalla qualità, considerato un must, è proprio la marca che può attribuire caratteri totemici ai prodotti che firma. Per conseguire il successo, per creare valore, non è più sufficiente per l’impresa avere buoni prodotti ad un prezzo equo: questa è una condizione essenziale ma non sufficiente. Tra l’altro è noto come le differenze tangibili tra produttori diversi tendano, all’interno dello stesso comparto, ad assottigliarsi sempre di più ed a divenire progressivamente indistinguibili sotto il profilo dei valori d’uso. Anche le innovazioni più sostantive adesso rischiano di essere clonate quasi in tempo reale (es: prodotti Ferrero che oggi vengono copiati, con conseguente abbassamento del vantaggio competitivo basato sulle caratteristiche di unicità dei suoi prodotti). LA MARCA INVECE è IMPOSSIBILE DA CLONARE. La marca, sempre meno, può fruire di rendite di posizione basate sia su fattori distintivi sia sulla pregiudiziale fedeltà del consumatore. La marca deve costruirsi una propria equity di grande spessore e costruire poi un fertile terreno di dialogo con il consumatore. Deve continuamente elaborare, arricchire – mantenendo inalterati i suoi significati di fondo ed invertendo costantemente sui significanti – la propria identità se non vuol recitare un impotente soliloquio. La marca sviluppa un equity quando sia correttamente gestita nella piena consapevolezza del suo valore e delle sue potenzialità. Sono poche le imprese a dedicare alla marca – alla costruzione e gestione della sua equity – quell’attenzione e quell’intelligenza strategica che mercati sempre più ipercompetitivi e complessi richiederebbero. La marca ha valore se, e in quanto, riesce a sedimentarsi con una identità chiara, distintiva e coinvolgente nella mente del consumatore. Il concetto di custumer oriented brand equity – l’acronimo è COBE – parte proprio da questo assunto. La forza della marca, la sua capacità di produrre ricchezza, la sua equity si basa in realtà su ciò che il consumatore ha appreso, visto, sentito, percepito, sperimentato personalmente nel tempo. La COBE si attiva quando il consumatore elabora un elevato livello di conoscenza e familiarità con la marca che riesce a sedimentare nella sua mente un ricco patrimonio di associazioni positive in maniera consistente e duratura. La equity di una marca è come un sistema dinamico in evoluzione, fortemente interconnesso – dove ogni dimensione è in relazione (influenza e viene influenzata) alle altre – come una piramide. Alla base salienza della visibilità/awareness della marca, la competitività nel settore in cui opera, la fiducia che Ad un livello immediatamente superiore si trovano gli tangibili, le caratteristiche oggettive e performative, i d’uso della marca, le esperienze pregresse e, in il patrimonio associativo e simbolico che evoca, la sua immagine, il suo percepito ai diversi livelli di consapevolezza. Ad un livello ancora superiore troviamo una traduzione in termini valutativi dei valori d’uso, l’interesse

continua Relazione Fedeltà empatia Commitment Identificazione Comunicazione two-way Soddisfazione Valutazione preferenze Attributi tangibili Esperienze tangibili performance

vi è

Sentimenti Emozioni affettività Brand essence

la

suscita. attributi valori parallelo

Immagine Patrimonio simbolico e valoriale

Salienza (visibilità + competenza + fiducia

LA PIRAMIDE DI COBE

per le performance attribuite, la customer satisfaction, le convinzioni sulla superiorità performativa della marca e, sullo stesso piano, i sentimenti, le emozioni che suscita, l’attualità che manifesta. Al cuore di questo cono si trova l’essenza della marca (brand/essence), il suo DNA, il suo patrimonio genetico e fondativo come viene percepito dal pubblico. All’apice della piramide del COBE vi è la relazione reale che la marca intesse con il suo pubblico, il commitment nei suoi confronti, la fedeltà che genera. Valore della marca dunque. In che senso?

Innanzitutto, valore per il consumatore: la marca riduce l’incertezza al momento della scelta. La marc a è, prima di tutto SICUREZZA. Minimizza cioè il fattore di rischio, un rischio che può essere: funzionale, ovvero performativo: che il prodotto cioè, nelle sue prestazioni, non risulti all’altezza delle aspettative . La garanzia di qualità costante nel tempo, e a prezzi competitivi, è alla base del contratto tra consumatore e marca. di integrità fisica: che il prodotto/servizio costituisca una fonte di possibili pericoli per la propria incolumità , salute e benessere. economico: che il prodotto/servizio, dopo l’acquisto, non risulti all’altezza del prezzo pagato sociale: che il prodotto/servizio non sia in grado di garantire la legittimazione sociale della scelta La marca, quindi, anche come veicolo di rassicurazione ed integrazione sociale) psicologico: che il prodotto/servizio non contribuisca anche al benessere psicologico dell’use r temporale: che l’acquisto finisca per rappresentare una perdita di tempo, attraverso la sperimentazione incessante mordi e fuggi: che la fruizione del prodotto/servizio non sia supportata da un referente in grado di assicurare risposte a dubbi, problemi, necessità del consumatore. Il rapporto con la merce non si esaurisce, infatti, nella vendita, ma garantisce responsabilità ed assistenza per tutto il periodo in cui prosegue l’uso. Si viene quindi a fondare una sorta di contratto sociale tra il pubblico e la marca. La marca deve cioè essere all’altezza delle aspettative e delle promesse e i consumatori le restituiranno, in cambio, fiducia e credibilità, atti di acquisto e fedeltà. Il valore della marca per il consumatore può divenire così elevato da generare un effetto placebo. Es: varie birre percepite in un certo qual modo se assaggiate sapendo di che marca si tratta, stesse birre percepite diversamente se marca non è mostrata. Il valore della marca è riconducibile all’extraprezzo che si è disposti a pagare rispetto allo stesso prodotto nella versione unbrended. Ciò che negli anni ’80 ha generato un’inedita attenzione alla marca e alla sua equity sono alcuni passaggi di proprietà che sovvertono tutti i parametri di valutazione della marca. Il gruppo Buitoni Perugina passa dal gruppo di Carlo De Benedetti alla Nestlé per un prezzo che non trova alcun riscontro nei libri contabili né in quanto speso in precedenza per l’acquisto dalla famiglia Buitoni (un rapporto 1 a 8). Philip Morris acquista la Kraft per un importo 4 volte superiore al suo valore di libro. Il sospetto che il valore della marca sia influenzato da fattori extracontabili comincia, in quegli anni, a divenire una certezza. Valore della marca per l’impresa quindi come moltiplicatore del suo valore oggettivo in caso di vendita; come maggior prezzo che riesce a scontare sul mercato; come maggior potere contrattuale nei confronti della distribuzione; come possibilità di operazioni di estensione della marca o di licensing sia come maggiore apprezzamento sul mercato azionario. In tempi recenti è stata la crescente sensibilità del consumatore al prezzo a far dubitare della tenuta delle marche nei confronti delle non marche a basso prezzo e, soprattutto, la crescente competitività delle marche della grande distribuzione. Ma nonostante queste continue sfide, la marca sembra godere di buona salute. Le marche di eccellenza oggi sono quelle loyalty leader. La fedeltà dei propri utenti e consumatori è una dimensione importante del valore di una marca soprattutto in mercati, come gli attuali, che non crescono più ai ritmi del passato. La transazione da un marketing di tipo offensivo – quando l’obiettivo è conquistare quote crescenti di mercato e di allargare il parco consumatori - a uno di tipo difensivo - quando, a fronte di mercati statici o di regresso, si tende a fidelizzare la propria clientela e non perdere quote di mercato - è centrale per cogliere il significato attuale e il ruolo della equity di marca. L’equity della marca è la risultante di una catena sillogistica che prende avvio dalla percezione della marca da parte dei consumatori, che ne influenza la soddisfazione in funzione dei comportamenti di consumo, che a sua volta genera fedeltà ed è capace di trasformarli in alto-consumanti e ad elevato tasso di frequentazione della marca, attraendo anche i consumatori floaters. La fedeltà è quindi rapportabile alla soddisfazione del consumatore che, a sua volta, è funzione del plesso di attributi associati alla marca e percepiti dal suo pubblico. Si crea così una catena causale che, oltre a determinare la fedeltà, influisce sugli heavy buyers (non sempre vi è coincidenza al di là dell’apparente tautologia: posso essere infedele e generare un’elevata frequentazione/fedeltà, ed essere fedele ma con ritmi d’acquisto rallentati oppure acquistando quantità più contenute) e riesce ad intercettare i floaters. LA CATENA CAUSALE DELLA EQUITY DELLA MARCA

Tangibile Attributi percepiti

heavy buyers

costumer satisfaction Intangibile

fedeltà

valore della marca

floaters

Uno dei concetti fondamentali di mkt nato negli anni ’80 è il concetto di Brand equity. L’emergere della brand equity ha portato buone e cattive notizie: buone perché ha comportato un crescente rilievo della marca (fino allora trascurata nelle scelte strategiche), ponendola al centro delle strategie di mkt e delle ricerche. Cattive in quanto il concetto è stato definito in tante diverse maniere per un numero diverso di scopi.

BRAND EQUITY nella sua corretta interpretazione dovrebbe essere intesa come un concetto composito e non il semplice traslato del brand value (quando cioè una marca si vende o si acquista o è indicata nei bilanci), anche se è ciò che lo genera. Equity non è neanche un sinonimo di brand image. L’immagine rientra nel concetto di brand equity come del resto quello di posizionamento, ma va ben otre. Valore e valori, quindi. Sino ad un recente passato la marca era abituata a flirtare con il sistema dei valori connessi al comparto merceologico di appartenenza (la sicurezza per le auto, la salute per l’alimentazione). Adesso la prospettiva si amplia. Sono sempre più le marche che paiono incorporare nel proprio DNA grandi valori sociali come la tolleranza, il rispetto reciproco, l’attenzione per l’ambiente, l’amicizia. E il pubblico apprezza (a patto che non sia una mera facciata ma che la marca incorpori davvero questi valori). La marca, nel suo divenire, passa da un mero ruolo denotativo al complesso e ricco mondo delle connotazioni, dove i primi step la vedono caratterizzarsi in termini di goodwill e di posizionamento. Successivamente per evolvere di pari passo con il sociale, il mercato e il consumatore, la marca dovrà assimilare valori culturalmente egemoni, ma anche divenire una marca relazionale e confrontarsi seriamente con il mondo dell’etica e delle responsabilità sociali (casi Cirio e Parmalat). Oggi il pubblico sembra attribuire una crescente importanza alle frequentazioni, da parte della marca, verso il mondo dell’etica. E dimostra di apprezzare e premiare quelle marche che si comportano coerentemente a queste aspettative. Non è sufficiente impegnarsi nella beneficienza o sponsorizzare cause nobili senza che la cultura e la prassi dell’impresa non siano prioritariamente impegnate a tradurre la tensione etica. Valore e valori, quindi: valori che partono dal migliore adempimento della promessa di fabbricare buoni prodotti, ad un prezzo competitivo, basso o nullo impatto ambientale, coerentemente alle culture in cui andranno a diffondersi, nel massimo rispetto di chi lavora nell’impresa. È partendo da queste premesse che si costruisce la marca in reale sintonia con la nuova sensibilità al mondo dell’etica: una scelta autonoma, largamente discrezionale, ben al di là di quelle che sono le norme o i vincoli che la legge impone. 1.2 La nuova realtà della marca Negli ultimi decenni la marca ha acquisito un’importanza ed una autonomia crescenti in tutti i settori di consumo, della società, della cultura e dell’economia. Si è trasformata in un potentissimo strumento semiotico, in un capitale straordinario: una risorsa preziosa per le aziende. Una protagonista assoluta delle nostre vite. Eppure, per lungo tempo, il mondo dell’economia ha sottovalutato il mondo della marca, concentrandosi più sui valori ritenuti tangibili (il prodotto). La visione economica del valore della marca poi tende a concepirla esclusivamente come un differenziale di prezzo che il consumatore è disposto a pagare per un prodotto branded rispetto ad uno analogo, ma unbranded. Un modello troppo semplice che esclude lo spessore di significati che la marca oggi deve veicolare. Fino agli anni ’80 la marca è stata percepita, dalla logica economica, come un elemento di disturbo, un corpo estraneo. Fino ad allora le preoccupazioni prevalenti erano ancora rivolte alla produzione di beni e alla loro commercializzazione più che a valorizzare la marca. Il montante interesse sulla marca come possibile moltiplicatore di valore nasce a seguito dell’ondata di fusioni e acquisizioni che ha caratterizzato i mercati occidentali nel corso di tutti gli anni ’80. Ad un certo punto infatti ci si è resi conto che le marche avevano acquisito un proprio peso autonomo ed erano diventate drivers determinanti nello stabilire il valore di un’azienda, nella fase di definizione di un suo prezzo di mercato. Lo studio sul reale significato dei marchi, sulla loro essenza, sul loro peso nelle scelte di consumo degli individui, sulla loro importanza nella cultura e nella vita delle persone ha gradualmente distolto il management dal mondo fisico dei prodotti e l’ha avvicinato sempre più a quello intangibile e simbolico dei brand. O, meglio, ha progressivamente annullato la tradizionale separazione tra prodotto (performativo, tangibile, misurabile) e marca (astratta, teorica, imprendibile). Ci sono voluti decenni perché il mondo manageriale ed economico si adeguassero a questo rivoluzionario mutamento, legati com’erano all’idea che la loro attività di base fosse ancora di vendere beni e non creare significati, e che il branding fosse soltanto un inevitabile completamento. Il management inizia a comprendere il reale valore della marca dal momento in cui prende coscienza del ruolo delle risorse immateriali nella costruzione del vantaggio competitivo di un’azienda. Tuttavia nel nostro paese siamo ancora distanti da una sua piena comprensione, da un approccio multidimensionale, capace di cogliere e di accogliere la verità e la densità di significati che questo oggi ingloba. 1.3 Da Mikey Mouse a Madonna: il senso della marca oltre il prodotto Che cos’è la marca oggi? Certamente, la marca oggi è un addensato di attributi tangibili ed intangibili, di performance affettive ed effettive, di qualità e di coerenza. Non esiste settore del consumo che non veda, in crescendo, espandersi la marca anche negli angoli più remoti: si brandizzano la frutta, la verdura, le scope, gli accessori, etc. Il branding contemporaneo assume in maniera crescente una dimensione astratta, spesso addirittura ideologica: la marca si svincola dal prodotto e dal servizio, disegna autentici territori, descrive e definisce stili di vita e propone sistemi di valori. La marca adesso è sintonia, fiducia, appartenenza. È un legame profondo, o un flirt appassionato. Spesso la si ostenta con orgoglio, discretamente o a caratteri cubitali sugli indumenti. È un luogo ordinato e coerente, sensato ed umanissimo. Ecco perché possiamo considerare brand persino personaggi famosi, squadre di calcio, format televisivi (Es. Madonna, Grande fratello, Walt Disney). La marca è la vera protagonista della società postmoderna: è divenuta diva, star, confidente ed amica. Oggi la marca sta assumendo le sembianze di una istanza antropomorfa e colloquiale. Caratterizzata da una straordinaria prossimità (fisica, affettiva, etica, valoriale) con la gente. La relazione con la marca oggi è percepita come sana sicura ed affidabile.

1.4 La marca contemporanea e il nuovo consumatore Il apporto tra marca e consumatore è profondamente cambiato nel corso della storia. Il consumatore ha cambiato radicalmente pelle (nuovo consumatore verso il postmoderno), è un consumatore maturo. La antica subalternità e deferenza del consumatore nei confronti delle marche si è dissolta: le marche devono riconquistarsi giorno per giorno fiducia e crediti. L’espandersi della grande distribuzione, l’ingresso delle variegate formule distributive all’insegna del discount insieme all’incremento esponenziale della price sensitivity da parte del consumatore ha cambiato le carte in gioco. Non siamo più consumatori che accettano il prezzo imposto dalle marche. Ricerchiamo non il prezzo più basso ma il miglior rapporto prezzo-qualità. Il consumatore rivendica una maggiore discrezionalità di scelta. C’è una maggiore autonomia psicologica. Un consumatore maturo significa un consumatore competente, in grado di valutare le prestazioni e la qualità della marca, che opera continui confronti fra marche senza alcuna sudditanza. Un consumatore esigente, che non si accontenta facilmente ed inflessibile nei confronti di chi non ha saputo mantenere le promesse. Un consumatore che chiede sempre di più, che pretende servizi aggiuntivi rispetto al minimo contrattuale delle prestazioni di base. Cosa sia ora la qualità a fronte di un consumatore esigente, competente e smaliziato è per nulla scontato. La qualità è una costruzione in progress, una sorta di opera aperta che si trasforma e arricchisce di sempre nuove dimensioni. Se, sino ad un recente passato, compito della pubblicità non era certo vendere ma elevare la propensione al consumo, adesso oltre a questo, la pubblicità per una marca di qualità deve venire percepita in termini di qualità. Una marca importante non può permettersi una pubblicità scadente anche se efficiente sotto il profilo delle vendite. Questo per sottolineare il concetto di multidimensionalità del concetto di qualità con cui la marca deve oggi confrontarsi. Rispetto ai brand attributes (colore, forma, odore), il consumatore mostra maggior interesse per i brand benefit: che cosa cioè la marca può fare per me, come può essermi utile, il significato ed il valore che attribuisce, per la sua esistenza, al prodotto o servizio. Ma quali sono le richieste che il nuovo consumatore rivolge alla marca? C’è un sistema di aspettative che, ogni volta che si acqu ista un prodotto o servizio, non deve essere disatteso ma assolto e, se possibile, superato in termini di qualità. Anzitutto, quindi, ancora una volta, garanzia e qualità. Qualità significa soddisfare nella maniera ...


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