Calvino - LE CITTA\' INVISIBILI PDF

Title Calvino - LE CITTA\' INVISIBILI
Author Sarha Fiorenza
Course Letteratura italiana contemporanea
Institution Università degli Studi di Catania
Pages 8
File Size 249.8 KB
File Type PDF
Total Downloads 68
Total Views 149

Summary

RIASSUNTO E ANALISI DEL LIBRO E CRITICHE IN PROGRAMMA ...


Description

Calvino - Le città Invisibili BIOGRAFIA E POETICA Figlio di due scienziati (il padre è agronomo, la madre biologa) nasce a Cuba dove i genitori dirigevano l'orto botanico di Santiago de las Casas, vicino all’Avana. Tornata in Italia la famiglia, a Sanremo, frequenta le scuole nella città ligure e, terminato il liceo si iscrive ad Agraria, ma interrompe l'Università per evitare l'arruolamento forzato e dopo l'8 settembre si unisce alle brigate partigiane nella Brigata Garibaldi. Si iscrive e si laurea alla facoltà di lettere di Torino e nel frattempo inizia a collaborare a riviste (fondamentale il rapporto con il Politecnico di Vittorini) e quotidiani. Entra a lavorare all'Einaudi e nel 1950 ne viene assunto definitivamente come redattore. Iniziano in questi anni le prime uscite dei suoi romanzi, tutti accolti con grande stima dalla critica internazionale. Nel 1964 sposa all'Avana Esther Judith Singer e l'anno successivo nasce la figlia Giovanna. L'anno successivo alla morte di Vittorini, cioè nel 1966, si trasferisce a Parigi con la famiglia. Nel 1972 pubblica le città invisibili. Inizia poi a collaborare con il Corriere della Sera, quindi con La Repubblica su cui scriverà fino al 1984. Nel 1978 muore la madre a 92 anni. Nel 1985 poiché invitato a tenere una serie di lezioni a Cambridge alla Haward University, prepara Lezioni Americane che verranno pubblicate postume nel 1988. Colpito il 6 settembre da ictus, muore a Castiglione di Pescaia nel 1985. Come la maggior parte degli scrittori del ’900, Calvino attraversa la fase neorealista a cui appartiene il suo romanzo d’esordio, Il sentiero dei nidi di ragno. Il Neorealismo è un movimento all’interno del quale gli scrittori raccontano l’esistenza umana dando voce ai racconti alle storie delle persone, documentando quanto successo negli anni precedenti. Alla base c’è la consapevolezza di aver preso parte a grandi eventi della storia e la volontà di contribuire alla ricostruzione morale dell’umanità, provata dai grandi conflitti. La letteratura, dunque, viene vista come uno strumento per incidere sulle coscienze e di ordinare l’esperienza collettiva. Rispetto alla corrente del Neorealismo, però, Calvino introduce degli elementi di novità, scegliendo nel suo Il sentiero dei nidi di ragno di raccontare la Resistenza con gli occhi di un bambino di nome Pin in modo da far emergere anche le contraddizioni e le debolezze degli uomini che facevano parte della Resistenza. Dopo questa prima fase, dagli anni Cinquanta Italo Calvino opera una svolta verso la letteratura fantastica che si concretizza con la trilogia de I Nostri Antenati, ossia nei tre romanzi: Il visconte dimezzato, Il Barone rampante e Il Cavaliere inesistente. In questo filone, Calvino mescola elementi fantastici con l’ambientazione storica, mantenendo sempre un certo razionalismo illuminista, che accompagna tutte le opere dello scrittore. La fase più interessante dello scrittore, però, è quella sperimentale - che inizia negli anni Settanta - in cui si dedica alla letteratura combinatoria: alla base vi è la volontà di allargare i confini della letteratura rompendo gli schemi tradizionali e aprendo a esperienze innovative. In questo periodo nascono i suoi romanzi più noti, che risentono dell’influenza degli scrittori dell’Oulipo e dello scrittore Jorge Luis Borges. La letteratura, dunque, viene intesa come gioco combinatorio. L’espressione tecnica combinatoria, o gioco combinatorio, indica la necessità che i materiali narrativi siano strutturati in base a scelte rigidamente razionali, predisposte secondo schemi fissati in precedenza, seguendo regole prestabilite e non modificabili dall’influenza di ispirazioni, emozioni, sentimenti. I romanzi che appartengono a questo filone sono “Le città invisibili (1972), Il castello dei destini incrociati (1973), Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) e Palomar (1983). Per Calvino, tuttavia, la letteratura combinatoria non è mai puro esercizio formale, ma è uno strumento per indagare più a fondo il mondo, partendo dalle infinite possibilità del linguaggio e dei processi matematici e informatici messi a disposizione della letteratura. Calvino è quindi animato da un intento conoscitivo e non perde mai di vista le finalità della narrativa: intrattenere, sorprendere, conoscere, far riflettere. LE CITTA’ INVISIBILI - TRAMA Il protagonista delle vicende narrate in questo libro è Marco Polo, il viaggiatore e mercante veneziano vissuto a tra l’ultimo decennio del 1200 e il terzo decennio del 1300 conosciuto ai più per la sua opera letteraria più famosa Il Milione. Il primo occidentale a descrivere in modo dettagliato gli usi e i costumi dell’antica Cina. Kublai Khan lo ammira a tal punto che arriva a nominarlo governatore della città di Yangzhou, nella Cina orientale, e ad affidargli una missione diplomatica nel Sud dell’impero. Marco Polo rimane in Cina per 17 anni.

Calvino nella sua opera immagina: Marco Polo, l’esploratore veneziano, si trova al cospetto di Kublai Khan, imperatore del regno dei Tartari. L’imperatore chiede a Marco di raccontargli del suo lungo viaggio e in particolare vuole che gli vengano descritte le città che ha visitato. In verità si esprimono a gesti o con gli oggetti, perché Marco Polo non conosce la lingua del Gran Khan. Marco Polo non si limita ad una descrizione fisica, o esteriore, delle città che incontra (e che nel testo hanno tutte un nome di donna e non il nome reale e storico), ma espone anche un resoconto dettagliato delle città che gli vengono in mente quando vede quelle reali, delle sensazioni e delle emozioni che ogni città, con i suoi profumi, sapori e rumori, suscitano. All’imperatore viene narrato di luoghi fantastici e surreali frutto della mente del viaggiatore che pesca nel suo immaginario tracciando una sorta di mappa del suo universo chimerico. Nessuna delle città raccontate nel libro ha infatti un corrispettivo reale, le scene di vita esotica e le avventure vissute da Polo sono infatti solo il riflesso della vivace mente del narratore che senz’altro esagera o meglio arricchisce quello che probabilmente ha in parte anche vissuto. Ogni città è in realtà inesistente, Marco non l’ha mai visitata, per cui l’intera descrizione è frutto della sua fervida immaginazione. Marco sembra giustificare la sua fantasia sostenendo in più punti del libro che ogni cosa rimanda a qualche altra cosa, e quindi ogni città rimanda a qualche altra città: si tratta di un gioco al rimando che può andare avanti all’infinito. Ma soprattutto ogni città rimanda alla città dove Marco ha trascorso la sua infanzia, Venezia: «ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia», ammette Marco. Le infinite possibilità (le 55 città) nascono da un’origine unitaria (Venezia) e vi si specchiano. In questo specchiarsi risiede l’infinita possibilità della letteratura, in grado di raccontare un universo a partire da un dettaglio. Il macro e il micro si specchiano e si rimandano, generando di continuo nuovi mondi. STRUTTURA DEL TESTO: Il libro è stato scritto ad intervalli di tempo anche molto lunghi. Il libro è costituito da nove capitoli, ciascuno aperto e chiuso da una cornice in corsivo nella quale si profila lo scenario e si mette in scena il dialogo tra i due protagonisti: Marco Polo e il Khan. Ma c'è un'ulteriore divisione interna: ognuna delle 55 città ognuna con un dome di donna, e divise a loro volta in base a una categoria, 11 serie divise a seconda dei temi di cui trattano: • • • • • • • • • • •

Le città e la memoria: Diomira, Isidora, Zaira, Zora, Maurilia Le città e il desiderio: Dorotea, Anastasia, Despina, Fedora, Zobeide Le città e i segni: Tamara, Zirma, Zoe, Ipazia, Olivia Le città sottili: Isaura, Zenobia, Armilla, Sofronia, Ottavia Le città e gli scambi: Eufemia, Cloe, Eutropia, Ersilia, Smeraldina Le città e gli occhi: Valdrada, Zemrude, Bauci, Fillide, Moriana Le città e il nome: Aglaura, Leandra, Pirra, Clarice, Irene Le città e i morti: Melania, Adelma, Eusapia, Argia, Laudomia Le città e il cielo: Eudossia, Bersabea, Tecla, Perinzia, Andria Le città continue: Leonia, Trude, Procopia, Cecilia, Pentesilea Le città nascoste: Olinda, Raissa, Marozia, Teodora, Berenice

L’intento combinatorio di Italo Calvino è che ogni lettore può decidere se seguire l’ordine di stampa, o di crearsi un proprio ordine interno a seconda delle diverse categorie. La lettura diviene così un gioco, un insieme di fattori che, disposti in ordine sparso, non fanno modificare il risultato finale. Non c’è una gerarchia, una consequenzialità. Alcune categorie di città rispecchiano un aspetto della vita umana, così che attraverso le descrizioni stesse si impara a conoscere più a fondo l’animo umano. In molte descrizioni è presente una conclusione che può essere interpretata come una morale; per esempio, nella città Zirma, appartenente alla categoria "le città e i segni", il monito è che la memoria è ridondante: ripete i segni perché la città cominci ad esistere. LA METANARRAZIONE La prima edizione de Le Città invisibili fu pubblicata nel novembre 1972 da Einaudi. Il libro, come affermato dallo stesso Calvino, è nato un pezzo per volta poiché nello scrivere egli va a serie: aveva tante cartelle: per gli oggetti, una cartella per gli animali, una per le persone, una cartella per i personaggi storici e un’altra per gli eroi della mitologia […]. Quando una cartella comincia a riempirsi di fogli, comincio a pensare al libro che ne posso tirar fuori. Così mi sono portato dietro questo libro delle città negli ultimi anni, scrivendo

saltuariamente, un pezzetto per volta, passando attraverso fasi diverse. Le città invisibili hanno seguito gli umori e le riflessioni di Calvino che finivano per trasformarsi in immagini di città. In altre parole: per poter cogliere l’essenza della narrazione, il lettore è spinto a comprendere la struttura concettuale che sta alle spalle del semplice scorrere della vicenda. Calvino allora ci svela l’esistenza di due piani letterari, che si risolvono in una metanarrazione. Oltre al racconto vero e proprio, il cui scorrere contiene personaggi, luoghi e avvenimenti, esiste un secondo racconto che ne svela le qualità strutturali. Il racconto nel racconto permette allo scrittore di rivelare quegli sforzi tecnici, in assenza dei quali la storia crollerebbe. La letteratura non è la figurazione di un mondo alternativo. È anzi composizione concreta del mondo che noi abitiamo. Se vogliamo allora comprendere il significato profondo di un testo, dobbiamo afferrarne anche l’intelaiatura sostanziale. Le scelte di forma. Sembrerà banale, ma la progettazione letteraria dei nostri pensieri, ovvero come infiliamo una parola dietro l’altra, incide enormemente sulla qualità degli stessi. Oltre ad esserci una realtà fittizia esiste anche la letteratura: non solo una matrice di supporto per narrare una storia ma è essa stessa componente del reale, una realtà che ha delle sue proprietà e caratteristiche. Storia narrata e racconto nel racconto, attraverso lo stile Calvino ci comunica e ci permette di renderci conto che oltre al racconto esiste un significato più profondo. (METANARRAZIONE) Ogni città è un piccolo scrigno che racchiude all’interno le nostre domande, le incertezze della nostra esistenza. Città reali e immaginarie, architetture da sogno e paesaggi da brividi, anche frutto dell’immaginazione: tutto si mescola nei racconti del viaggiatore veneziano, dando come risultato uno spaccato della complessità e del disordine della realtà. «Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un'altra», spiega Marco Polo al Gran Khan. Non si tratta solo di fantasia: i resoconti del navigatore veneziano racchiudono in sé delle profonde verità sull’andamento della società. La città, come realtà e come simbolo, è uno dei cardini della narrativa calviniana, nel senso che spesso le storie di Calvino hanno un’ambientazione urbana. L’ambiente dove sceglie di vivere il barone rampante assume ben presto i caratteri di una città arborea, per esempio. Uno stimolo è provenuto dal romanzo di Vittorini “Le città del mondo”, e dal fatto di essere abitato a Parigi perché quest’ultima si presta a suggerire l’idea che ogni città sia l’intreccio di molte città diverse e ogni dimensione dell’esistenza possa acquisire figure di città. In effetti Parigi è una feconda sorgente di ispirazione per Calvino, nonostante egli dichiari di viverci come un eremita. Nulla di cui meravigliarsi quindi quando Calvino decide di concentrare un'intera opera proprio sulle città. RACCONTO DI SUPERFICIE Le Città invisibili possono appartenere alla serie di “racconti di superficie” alla quale appartengono già opere quali “Il Giuoco dell’oca” e “Nuovo commento” e “Il castello dei destini incrociati” dello stesso Calvino. Romanzo di superficie, non ce una fine, non c’è un intreccio, linearità. La cosa che hanno in comune questi libri è che tutti abbandonano la profondità della narrazione a vantaggio di una maggiore concentrazione sulle “superfici”: Nel Nuovo Commento Manganelli basa il suo racconto su delle note ad un libro che non esiste e sulle note a queste note e ancora note alle note delle note, non esiste una vera storia. Nel Castello dei destini incrociati Calvino, la superficie è quella dei tarocchi, attraverso la cui combinazione si dispiega la narrazione. Ulteriore esempio della conquista della superficie è il capolavoro di Lewis Caroll, Alice nel paese delle meraviglie. È la conclusione del viaggio del viaggio sotterraneo di Alice, quando si fa chiaro che tutta la storia era la storia delle combinazioni d’un mazzo di carte, è l’annuncio che nessuna profondità domina il discorso, ma soltanto un processo di “scivolamento” attraverso storie discontinue. La conquista della superficie di Alice è quindi anche un “rifiuto della falsa profondità” ma è anche la scoperta che il discorso è come il gioco, è un gioco ideale, dove certe serie determinano la condotta del giocatore all’interno di uno spazio piano e senza spessore, quindi senza rapporti con le cose. Ciò che fa Calvino in Le città invisibili è consentire di portare avanti questo discorso e di scoprire altre sue caratteristiche. In questo libro abbiamo lo stesso tipo di costruzione astratta vista nell’altro suo libro, e cioè un racconto-itinerario, attraverso un ideale atlante che è sia l’impero del Khan in cui sono sparse le città che Marco Polo descrive all’imperatore, sia la scacchiera che il Khan considera esser modello del suo impero.

La filigrana (qualcosa che sta al di sotto della superficie, quasi impercettibile) di un disegno così sottile da sfuggire alle termiti. Il racconto è quello che permette di intravedere in questo caos, un disegno, una traccia, qualcosa che possiamo vedere e riconoscere. il senso non è nascosto, “nelle cantine o nei sotterranei”, ma il senso è da trovare sulla superficie. METAFORA DEGLI SCACCHI (richiama la metafora di Saussure sulla natura del

linguaggio) Se sommiamo i 9 capitoli ai 55 capitoletti dedicati alle città, danno come risultato 64, che è il numero delle tessere di una scacchiera. La scacchiera è infatti l’immagine che sostiene la struttura delle Città invisibili ed è proprio nel momento in cui essa compare nel testo che viene fornita una indicazione di lettura molto importante: inizialmente Marco Polo, non conoscendo le lingue dell'Oriente, si esprime attraverso oggetti, gesti, smorfie; la comunicazione è incerta ma efficace, più di quella ottenuta quando Marco imparerà la lingua del Khan: a quel punto, bisognerà di nuovo integrarla con gesti, smorfie e silenzi. Allo stesso modo il lettore ha davanti a sé un libro composto da capitoletti che possono essere visti come tessere di una scacchiera e che devono essere interpretati, mettendoli in relazione l’uno con l’altro, per riuscire a dedurne un significato. Allo stesso modo il lettore ha davanti a sé un libro composto da capitoletti che possono essere visti come tessere di una scacchiera e che devono essere interpretati, mettendoli in relazione l'uno con l'altro, per riuscire a dedurne il significato. Kublai Khan è l’imperatore dei tartari e possiede dunque un vastissimo impero. Non conosce però minimamente alcun territorio del suo regno ed è costretto a farsi descrivere ogni luogo dall’ambasciatore veneziano. I due personaggi incarnano nella vicenda due aspetti completamente diversi della ricchezza: Marco Polo incarna la ricchezza culturale e Kublai Khan quella economica e politica. Nonostante nella vita reale all’apparenza la ricchezza economica prevalga su quella culturale, questo romanzo ci fa comprendere l’importanza della cultura che supera il denaro. Tornando dalla sua ultima missione Marco Polo trovò il Kan che lo attendeva seduto davanti a una scacchiera. Con un gesto lo invitò a sedersi di fronte a lui e a descrivergli col solo aiuto degli scacchi le città che aveva visitato. persuaso che i dati materiali contino meno del loro reciproco rapporto, il Khan chiede a Marco Polo di descrivergli le città usando solo i pezzi di una scacchiera, voleva rendersi conto della grandezza del suo impero, del numero materiale delle città conquistate. Ogni partita a scacchi corrispondeva alla descrizione di una diversa regione dell’impero. A forza di astrarre, però, i tesori dell'impero si riducono a pura illusione. Ciò che resta è il nulla. Allora Marco Polo rilancia la posta, descrivendo minuziosamente il legno della scacchiera, e passando da questo alla scelta degli alberi da abbattere per avere quel legno, alle barche che trasportano i tronchi, agli approdi ecc. Invita il Kan ad andare oltre la superfice, oltre il numero delle città possedute. Le città non sono un numero ma sono ciò che le caratterizza, ciò che c’è dentro, ciò che le compone. Due quindi sono le maniere per rappresentare il reale: tenersi stretti ai dati concreti dell'esperienza o andare dal particolare alle leggi che lo regolano; non si può prescindere da una di queste due vie, né seguirle contemporaneamente. Questo dilemma è ben spiegato nel dialogo che i 2 personaggi hanno alla fine del V capitolo parlando di un ponte: Marco Polo descrive dettagliatamente il ponte, pietra per pietra. Kublai chiede quale sia la pietra principale che sostiene l’intero ponte. Marco Polo, risponde che non è questa o quella pietra ma è proprio l’insieme di queste, è l’arco che esse formano a sostenere tutto il ponte. Kublai allora sorpreso, chiede ancora, come mai Marco Polo insiste a parlare delle pietre se alla fine è solo l’arco ciò che importa veramente. Marco Polo, risponde dicendo che, senza le singole pietre, non si sarebbe nessun arco, e quindi nessun ponte. È vero che il ponte è sostenuto dalla linea dell’arco e dunque è essa che conta, ma è anche vero che essa non esisterebbe senza le singole pietre disposte ad arco. Quello che però è decisivo è non perdere l’unità della visione ANCHE NOI LETTORI SIAMO IMPERATORI

“Non è detto che Kublai Kan creda a tutto quel che dice Marco Polo quando gli descrive le città visitate nelle sue ambascerie, ma certo l’imperatore dei tartari continua ad ascoltare il giovane veneziano con più curiosità e attenzione che ogni altro suo messo o esploratore. Nella vita degli imperatori c’è un momento, che segue all’orgoglio per l’ampiezza sterminata dei territori che abbiamo conquistato, alla malinconia e al sollievo di sapere che presto rinunceremo a conoscerli e a comprenderli; un senso come di vuoto che ci prende una sera con l’odore degli elefanti dopo la pioggia e della cenere di sandalo che si raffredda nei bracieri; una vertigine che fa tremare i fiumi e le montagne istoriati sulla fulva groppa dei planisferi, arrotola uno sull’altro i dispacci che ci annunciano il franare degli ultimi eserciti nemici di sconfitta in sconfitta, e scrosta la ceralacca dei sigilli di re mai sentiti nominare che implorano la protezione delle nostre armate avanzanti in cambio di tributi annuali in metalli preziosi, pelli conciate e gusci di testuggine: è il momento disperato in cui si scopre che quest’impero che ci era sembrato la somma di tutte le meraviglie è uno sfacelo senza fine né forma, che la sua corruzione è troppo incancrenita perché il nostro scettro possa mettervi riparo, che il trionfo sui sovrani avversari ci ha fatto eredi della loro l...


Similar Free PDFs